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PROFESSIONISTI - La Cassazione mette i alle richieste del
magistrato
Giornalisti, segreto ampio
Possibile il riserbo professionale sulle informazioni
capaci di rivelare la fonte fiduciaria

di Caterina Malavenda
  La Corte di cassazione estende il segreto professionale
dei giornalisti. Con la sentenza n. 85 del 21 gennaio 2004
(depositata l'11 maggio), la VI Sezione penale ha
stabilito che il segreto professionale sulle fonti,
sancito dall'articolo 200, comma 3 del Codice di procedura
penale, si estende <a tutte le indicazioni che possono
condurre all'identificazione di coloro che hanno fornito
fiduciariamente le notizie>.

In particolare, ha ad oggetto <anche l'indicazione
relativa alle utenze telefoniche di cui il giornalista
disponeva nel periodo in cui ha ricevuto le notizie
fiduciarie perch� la stessa � funzionale rispetto alla
identificazione di coloro che tali notizie hanno fornito e
la relative richiesta � quindi in contrasto con il divieto
posto dall'articolo 200 del Codice di procedura penale>.
Il segreto "copre" dunque tutte le informazioni attraverso
le quali � possibile individuare la fonte delle notizie.

La questione parte dalla pubblicazione di notizie su
indagini in corso, in parte secretate dalla Procura. Per
individuare la fonte delle informazioni veniva convocato,
in qualit� di persona informata sui fatti, l'autore
dell'articolo. Alla richiesta di indicare le utenze
telefoniche delle quali si serviva il giorno della fuga di
notizie, il giornalista opponeva il segreto professionale,
ritenendo che tale informazione avrebbe potuto consentire
di individuare la sua fonte.

Il magistrato, assumendo che il segreto non fosse
opponibile, sospendeva l'esame e contestava al giornalista
il reato di false dichiarazioni, ai sensi dell'articolo
371 bis del Codice penale. Il processo si concludeva con
l'assoluzione del giornalista, in base all'articolo 59,
ultimo comma, del Codice penale, per aver agito
erroneamente convinto di poter legittimamente opporre il
segreto professionale: la domanda del Pm, secondo il
tribunale, non equivaleva <a richiesta di rivelazione
della fonte informativa>. Nonostante l'esito favorevole,
veniva proposto ricorso, assumendo che la garanzia offerta
dall'articolo 200 del Codice di procedura a tutte le
categorie elencate, non possa essere assimilata alle cause
di giustificazione. Ha invece natura sostanziale: in
presenza delle situazioni indicate dalla norma, il teste
versa in una condizione soggettiva che esclude in radice
la rilevanza penale del silenzio, legittimamente opposto.

In altre parole, mentre il giornalista che diffama
commette un reato, ma non � punibile se esercita, nei
limiti previsti, il diritto di cronaca e di critica, il
giornalista che tutela la fonte, come la Corte ha
riconosciuto, non pu� essere costretto a deporre. Di
conseguenza, non pu� essere incriminato se tace, perch�
non ha l'obbligo giuridico di rispondere, anche quando le
domande non riguardano direttamente l'identit� della
fonte, pur mirando manifestamente alla sua individuazione.
O quando vengono svolte attivit� investigative (come
perquisizioni e intercettazioni) con lo stesso scopo.

La Corte europea dei diritti dell'uomo � intervenuta sulla
materia, a favore dei giornalisti applicando l'articolo 10
della Convenzione europea dei diritti. Con la sentenza sul
caso Goodwin del 27 marzo 1996, ha condannato il Regno
Unito per non aver tutelato adeguatamente il diritto alla
protezione delle fonti giornalistiche: il giornalista era
stato, infatti, condannato in patria per non averle
rivelate, senza che l'ordine di divulgazione fosse
assistito dai requisiti della necessit�, della
ragionevolezza e della proporzionalit�.

E con la sentenza sul caso Roemen e Schmit del 25 febbraio
2003, ha condannato il Lussemburgo per aver consentito la
perquisizione presso gli uffici e le dimore dei

giornalisti, alla ricerca di prove sulle loro fonti
confidenziali. La Corte di Strasburgo ha ritenuto che le
perquisizioni con tale scopo costituiscano <un'azione pi�
grave dell'intimazione di divulgare l'identit�
dell'informatore>. Esercitando un potere di indagine
estremamente ampio, gli inquirenti <possono accedere a
tutta la documentazione in possesso del giornalista>, con
una incidenza assai pi� ampia nel rapporto fra il
professionista e tutte le sue fonti. Ogni tentativo di
aggirare il diritto a tutelare le fonti costituisce
un'aggressione alla libert� di stampa. L'assenza della
necessaria protezione potrebbe infatti dissuadere le fonti
dall'aiutare la stampa a informare il pubblico su
questioni di interesse generale.

Alla tendenza restrittiva, manifestata sovente dai giudici
nazionali, si contrappone ora la sentenza in esame, che ha
riconosciuto il diritto al silenzio del giornalista quando
le risposte possono anche potenzialmente consentire
l'individuazione delle sue fonti.

(da Il Sole 24 Ore dell�11 giugno 2004)

  LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

  07?Udienza pubblica                     Registra
Generale n. 7034103

in data 21 gennaio 2904.                sentenza n.  85
-22397/04

                 REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE PENALE

  Composta dai sig.ri

Dr Raffaele                LEONASI
               Presidente

Dr. Adolfo                DI VIRGINIO
               Consigliere

Dr. Saverio Felice                MANNINO
               Consigliere

Dr. Francesco                SERPICO
               Consigliere

Dr. Arturo                CORTESE
               Consigliere

ha pronunciato la seguente

            SENTENZA

sul ricorso proposto da

      MORETTI Paolo, nato il 20 marzo 1971 a Como,

avverso la sentenza del Tribunale di Como 22 novembre 2002
n.2054, con la quale � stato assolto dal reato p. e p.
dall'art. 371 bis c.p.,

commesso in Como il 13 aprile 2000,

perch� non punibile per erronea supposizione di causa di
giustificazione.

  Sentita la relazione svolta dal Cons. S.F. MANNINO;

Sentita la requisitoria del P.G., in persona del dr.
Gianfranco VIGLIETTA, il quale ha chiesto il rigetto del
ricorso;

Sentita l'arringa del difensore, avv. Caterina MALAVENDA,
il quale ha chiesto l�accoglimento del ricorso

  osserva

                 IN FATTO E DIRITTO

  Avverso la sentenza del Tribunale di Como 22 novembre
2002 n. 2054, con la quale � stato assolto dal reato
indicato in epigrafe ? a lui contestato perch� nel
corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico
ministero in sede di sommarie informazioni testimoniali,
taceva le informazioni richieste ed  in particolare si
rifiutava illegittimamente di indicare i numeri telefonici
che aveva in uso il giorno 30 marzo 2000, perch� non
punibile per erronea supposizione di causa di
giustificazione -  perch� non punibile per erronea
supposizione di causa di giustificazione�, Paolo Moretti
ha proposto ricorso per cassazione per saltum, chiedendone
l'annullamento per i seguenti motivi:

  1. erronea applicazione dell'art. 200 c.3 c.p.p. (art.
606 lett. b) c.p.p.) sul presupposto che il ricorrente non
avrebbe potuto invocare il segreto professionale e sarebbe
stato obbligato a rispondere alla domanda del P.M.;

2.     violazione dell'art. 384 c.p. (art. 606 lett. b)
c.p.p.) perch� il ricorrente, versando ab origine nella
situazione potenziale di indagato, avrebbe dovuto essere
convocato sin dall'inizio come tale e non come persona
informata sui fatti, con diritto alla scriminante di cui
alla norma citata.

Procedendo in via pregiudiziale alla verifica della
regolarit� dell'impugnazione si osserva. che l'imputato
prosciolto perch� non punibile per erronea supposizione di
una causa di giustificazione ha interesse a impugnare la
sentenza di proscioglimento per ottenere una delle formule
assolutorie, a lui evidentemente pi� favorevoli, perch� il
fatto non sussiste o perch� l'imputato non lo ha commesso,
le sole che gli avrebbero precluso il potere d'impugnare.

Nel merito si osserva che, secondo la giurisprudenza di
questa Corte, il delitto di rivelazione di segreti
d'ufficio costituisce un reato plurisoggettivo anomalo in
quanto, malgrado che la fattispecie criminosa implichi la
partecipazione di una persona che riceve la notizia,
questa tuttavia non assume la posizione giuridica di
concorrente necessario e la condotta penalmente rilevante
� solo quella dell�autore della rivelazione. Anche se
questa peculiarit� strutturale non esclude la
configurabilit� del concorso eventuale, realizzato nelle
forme ordinarie della determinazione o dell'istigazione da
parte del destinatario della rivelazione (Cass., Sez. U.,
19 gennaio 1982 n. 420; Sez. I, 23 marzo 1994 n. 4831).

Per conseguenza, il giornalista non concorrente nel reato,
per non aver determinato o istigato il pubblico ufficiale
o l'incaricato di un pubblico servizio a rivelare
abusivamente le notizie d'ufficio destinate a rimanere
segrete, non assume la posizione processuale di sottoposto
alle indagini e non versa, quindi, in situazione
d'incompatibilit� con l'ufficio di testimone.

Sotto questo profilo � sicuramente valida la premessa
posta dal Giudicante, che il Moretti non do�veva essere
sentito come indagato per il reato previsto dal primo
comma dell'art. 326 c.p. e pertanto il secondo motivo di
ricorso appare privo di fondamento.

E', invece, fondato il primo motivo.

L'attivit� giornalistica secondo la previsione dell'art.
200 u.c. c.p.p. � tutelata dal segreto pro�fessionale per
cui il giornalista professionista iscritto all'albo non
pu� essere obbligato a deporre relativamente ai nomi delle
persone dalle quali ha ricevuto notizie di carattere
fiducia�rio nell'esercizio della sua professione.

La tutela deve ritenersi necessariamente estesa a tutte le
indicazioni che possono condurre all'identificazione di
coloro che hanno fornito fiduciariamente le notizie.

Rientra pertanto nel segreto professionale anche
l'indicazione relativa alle utenze telefoniche di cui il
giornalista disponeva nel periodo in cui ha ricevuto le
notizie fiduciarie perch� la stes�sa � dichiaratamente
funzionale rispetto all'identificazione di coloro che tali
notizie hanno fornito e la relativa richiesta � quindi in
contrasto con il divieto posto dall'art. 200 c.p.p. cit..

Ne deriva che il giornalista il quale, sentito come
testimone, si astiene dal deporre opponendo legittimamente
il segreto professionale, anche in ordine a indicazioni
che comunque possono essere utilizzate per risalire alla
fonte delle notizie pubblicate, non si rende colpevole del
reato previsto dall'art. 371 bis c.p.p. per aver taciuto
in tutto o in parte ci� che sa intorno ai fatti su cui
viene sen�tito.

Nella specie il Moretti � stato incriminato per il reato
previsto dall'art. 371 bis c.p. per essersi rifiu�tato
illegittimamente di indicare i numeri telefonici che aveva
in uso il giorno 30 marzo 2000, ossia nella data cui si
riferisce l�informazione fiduciaria ricevuta, la cui
indicazione gli era stata richiesta al fine evidente di
individuare l'autore dell�informazione stessa, per
l'ipotesi che potesse essere un pubblico ufficiale o un
incaricato di pubblico servizio punibile per il reato
previsto dall'art. 326 c.p.. In realt�, in base alla
disposizione dell'art. 200 u.c. c.p.p. il giornalista non
avrebbe potuto essere co�stretto a deporre e di
conseguenza non avrebbe potuto essere incriminato per il
reato previsto dall'art. 371 bis c.p., che perci� non
sussiste.

  P.Q.M.

  La Corte

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perch� il fatto
non sussiste.

Cos� deciso in Roma il 21 gennaio 2004.

  Il Presidente         Il Consigliere estensore
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