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Segreto professionale. Con le sentenze Goodwin e Roemen la  Corte di Strasburgo impone l�alt alle perquisizioni nelle redazioni a tutela delle fonti dei giornalisti. Pm e giudici italiani devono indagare solo sui loro collaboratori (che �spifferano� le notizie) e non su chi riceve l�informazione.


Ricerca di  Franco  Abruzzo
1. Il giornalista come mediatore intellettuale tra il fatto e i lettore. Il segreto professionale gli consente di ricevere notizie, mentre le fonti sono �garantite� -   Non esiste il concetto giuridico di giornalismo. Il concetto, abitualmente estrapolato dall�articolo 2 della legge professionale n. 69/1963 (quello dedicato alla deontologia della categoria), si riassume nella frase �giornalismo=informazione critica�. Il primo comma dell�articolo 2, infatti, dice: �� diritto insopprimibile dei giornalisti la libert� d�informazione e di critica.....�. Questo vuoto � stato, per�, riempito dalla  giurisprudenza: �Per attivit� giornalistica deve intendersi la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione. Il giornalista si pone pertanto come mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso...... differenziandosi la professione giornalistica da altre professioni intellettuali proprio in ragione di una tempestivit� di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la  loro novit�, della dovuta attenzione e considerazione�  (Cass. Civ., sez. lav., 20  febbraio 1995, n. 1827). Dall�insieme delle norme si ricava che il giornalista raccoglie,  commenta e elabora notizie legate all�attualit� e che � tenuto ad assicurare (ai cittadini) un�informazione �qualificata e caratterizzata (secondo la sentenza n. 112/1993 della Corte costituzionale, ndr) da obiettivit�, imparzialit�, completezza e correttezza; dal rispetto della dignit� umana, dell�ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori nonch� dal pluralismo delle fonti cui (i giornalisti, ndr) attingono conoscenze e notizie in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni, avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti�. Il pluralismo delle fonti a sua volta  ha un�interfaccia che  si chiama segreto professionale.
Nel nostro ordinamento la tutela del segreto professionale viene tradizionalmente fatto risalire all�articolo 622 del Codice penale del 1930 (in vigore), che punisce la rivelazione del segreto professionale. Il divieto di divulgare la fonte della notizia �, invece,  un principio giuridico, che ha festeggiato i 40 anni nel 2003. Giornalisti ed editori, in base all�articolo 2 (comma 3) della legge professionale n. 69/1963, �sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ci� sia richiesto dal carattere fiduciario di esse�. Tale norma consente al giornalista di ricevere notizie, mentre le fonti sono �garantite�. Anche l�articolo 138 Del Testo unico sulla privacy (Dlgs n. 196/2003) tutela il segreto dei giornalisti sulla fonte delle notizie, quando afferma che  �restano ferme le norme sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia�. La violazione della regola deontologica del segreto sulla fonte fiduciaria comporta responsabilit� disciplinare (articoli 2 e  48 della legge n. 69/1963).
Il rispetto della segretezza della fonte fiduciaria della notizia, per�, non appare assoluto. L�articolo 200 del Codice di procedura penale del 1988 stabilisce, per quanto concerne il rapporto tra obbligo a deporre avanti al giudice e segreto professionale, che il giornalista pu� opporre il segreto professionale sui nomi delle persone dalle quali egli ha avuto notizie di carattere fiduciario nell�esercizio della professione.  Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicit� pu� essere accertata soltanto attraverso l�identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni. Il segreto professionale pu�, quindi, essere rimosso con �comando� del giudice a condizione che: a) la notizia che proviene dalla fonte fiduciaria sia indispensabile ai fini della prova del reato per cui si procede; b) l�accertamento della veridicit� della notizia possa avvenire soltanto tramite l�identificazione della fonte fiduciaria (Tribunale di Alba, sentenza 25 gennaio 2001, n. 601/2000 Reg. gen.). In particolare il terzo comma dell�articolo 200 del Cpp enuncia: �Le disposizioni... si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell�Albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell�esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicit� pu� essere accertata solo attraverso l�identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare le fonti delle sue informazioni�. I pubblicisti e i praticanti, esclusi dai vincoli dell�articolo 200 del Codice di procedura penale, non possono, quindi, davanti al giudice,  come i giornalisti professionisti, avvalersi delle norme citate per �coprire� la fonte fiduciaria delle loro notizie. Ma � pur vero che gli stessi sono tenuti a rispettare l�articolo  2 (comma 3) della legge  n. 69/1963 sull�ordinamento della professione di giornalista: conseguentemente possono invocare il segreto sulle fonti.
2. Segreto sulle fonti: �La norma assicura una piena tutela, consentendo una deroga soltanto in via di eccezione� (Tribunale penale di Treviso). Anche la Convenzione europea dei diritti dell�Uomo protegge le fonti dei giornalisti - Un giudice (mai un Pm) pu� ordinare, come riferito, a un giornalista professionista, in base all�articolo 200 del Cpp, di �indicare la fonte delle sue informazioni  se le notizie sono indispensabili  ai fini della prova del reato e la loro veridicit� pu� essere accertata solo attraverso l�identificazione della fonte della notizia�. Bisogna sottolineare che in sede giurisprudenziale �  affiorato un orientamento pi� favorevole alle ragioni dei giornalisti: �La norma di cui al comma 3 dell'art. 200  Cpp deve intendersi riferita all'accertamento della fondatezza della notizia pubblicata, in quanto funzionale all'esame della sua veridicit� che pu� trovare l'unico strumento nella identificazione della fonte fiduciaria. Solo in tale circostanza quindi il giudice, al fine di verificare la rispondenza della notizia indispensabile per la prova di un reato per cui si procede, potrebbe ordinare al giornalista di indicare la sua fonte, purch� sia l'unico strumento investigativo a disposizione� (Pret. Roma, 21/02/1994).
I giornalisti continuano, per�, nonostante le timide aperture interpretative, ad opporre il segreto professionale, che � salvaguardato anche  dall�articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell�Uomo. L�articolo 10 (Libert� di espressione), - ripetendo le parole della Dichiarazione universale dei diritti dell�Uomo del 1948 e del Patto sui diritti politici di New York del 1966 -,  recita: � Ogni persona ha diritto alla libert� d'espressione. Tale diritto include la libert� d'opinione e la libert� di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorit� pubbliche e senza considerazione di frontiere�. La libert� di ricevere le informazioni comporta, come ha scritto la Corte dei diritti dell�Uomo di Strasburgo, la protezione assoluta  delle fonti dei giornalisti.
Una difesa forte del segreto dei giornalisti emerge dalla sentenza 14 gennaio 2000 del Tribunale penale di Treviso (n. 252/1999 Reg. gen.): �Nulla � risultato circa l�identit� dell�informatore perch� tutti i giornalisti indicati come testi si sono avvalsi del segreto professionale. Il Pm ha chiesto che gli stessi venissero obbligati, cos� come previsto dall�articolo 200 (terzo comma) Cpp, a deporre sul punto, ma il collegio ha respinto l�istanza. La norma appena menzionata assicura, invece,  una piena tutela al segreto professionale dei giornalisti, consentendo una deroga soltanto in via di eccezione, e quindi di stretta interpretazione.  Prevede l�imposizione dell�obbligo a deporre in presenza � congiunta � di due precisi requisiti: quello dell�impossibilit� di accertare la veridicit� della notizia se non attraverso l�identificazione della fonte della stessa e quello dell�indispensabilit� della notizia ai fini della prova del reato per il quale si procede. Se questi sono gli stretti limiti di operativit� della deroga, sembra evidente che l�obbligo a deporre sarebbe stato imposto non gi� ad accertare la veridicit� della notizia (che  pacificamente in questo caso erano vere e non richiedevano  alcuna verifica in tal senso) , bens� ad individuare l�autore del reato di rivelazione di segreti (del quale, oltretutto, il giornalista avrebbe potuto eventualmente essere anche partecipe), violando cos� la tutela del segreto sulle fonti giornalistiche accordata dal
legislatore�.
3. C�� differenza tra il segreto professionale dei giornalisti e quello degli altri professionisti - Medici, chirurghi, avvocati, sacerdoti, notai, consulenti tecnici, farmacisti e ostetriche, dottori e ragionieri commercialisti, consulenti del lavoro, dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze sono tenuti a non divulgare notizie ricevute sotto l�impegno del segreto professionale. I giornalisti, invece, sono eticamente obbligati a rendere pubbliche (sulla stampa, per agenzia, per tv o per radio, per web) le notizie ricevute, ma, con gli editori, in base all�articolo 2 della legge professionale e all�articolo 13 della legge sulla privacy, sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie quando ci� sia richiesto dal carattere fiduciario di esse. Gli uni non divulgano le notizie, gli altri (i giornalisti) devono pubblicare e tutelare soltanto la fonte delle notizie pubblicate.
4. Sentenza Goodwin: la Corte di Strasburgo difende il segreto professionale dei giornalisti (su questa linea anche il Parlamento europeo) - La Convenzione europea dei diritti dell�Uomo (legge 4 agosto 1955 n. 848) con l�articolo 10, come riferito, tutela espressamente le fonti dei giornalisti, stabilendo il diritto a �ricevere� notizie. Lo ha spiegato la Corte dei diritti dell�Uomo di Strasburgo con la sentenza che ha al centro il caso del giornalista inglese William Goodwin (Corte europea diritti dell�Uomo 27 marzo 1996, Goodwin c. Regno Unito, v. Tabloid n. 1/2000 n. Peron). William Goodwin,  giornalista inglese, aveva ricevuto da una fonte fidata ed attendibile alcune informazioni su una societ� di programmi elettronici (la Tetra Ltd). In particolare il giornalista rivel� che tale societ� aveva contratto numerosi debiti e vertiginose perdite. La societ� Tetra per evitare i danni che sarebbero potuti derivarle dalla divulgazione di tali notizie present� all�alta Corte di Giustizia inglese un ricorso con il quale non solo chiedeva che fosse vietata la pubblicazione dell�articolo in questione, ma chiedeva altres� che il giornalista fosse condannato a rivelare la fonte delle informazioni ricevute al fine di evitare nuove �fughe di notizie�. Le richiesta della Tetra furono accolte sia dall�alta Corte che dalla corte d�Appello, secondo le quali il diritto alla protezione delle fonti giornalistiche  ben pu� essere limitato �nell�interesse0 della giustizia, della sicurezza nazionale nonch� a fini di prevenzione di disordini o di delitti�. Il giornalista, tuttavia, non esegu� l�ordine di divulgazione della  fonte � posto che in tale modo la stessa si sarebbe �bruciata� � e present� ricorso alla Commissione Europea dei Diritti dell�Uomo, denunciando la violazione dell�articolo 10 della Convenzione.
La Corte di Strasburgo, con sentenza 27 marzo 1996, muovendo dal principio che ad ogni giornalista deve essere riconosciuto il  diritto di ricercare le notizie, ha ritenuto che �di tale diritto fosse logico e conseguente corollario anche il diritto alla protezione delle fonti giornalistiche, fondando tale assunto sul presupposto che l�assenza di tale protezione potrebbe dissuadere le fonti non ufficiali dal fornire notizie importanti al giornalista, con la conseguenza che questi correrebbe il rischio di rimanere del tutto ignaro di informazioni che potrebbero rivestire un interesse generale per la collettivit��. Questa sentenza della Corte di Strasburgo � l�altra faccia di una sentenza (la n. 11/1968) della nostra Corte costituzionale: �Se la libert� di informazione e di critica � insopprimibile, bisogna  convenire  che quel  precetto,  pi� che il contenuto di un semplice diritto, descrive la funzione stessa del libero giornalista: � il venir  meno  ad  essa, giammai  l'esercitarla  che  pu�  compromettere  quel  decoro e quella dignit� sui quali l'Ordine � chiamato a vigilare�.                    
La decisione del caso  �Goodwin�  � particolarmente interessante anche perch� ha concorso a dissipare i dubbi nascenti da una interpretazione letterale dell�articolo 10 della Convenzione, che si limita a specificare che la libert� di espressione comprende sia il diritto passivo a ricevere delle informazioni sia il diritto attivo di fornirle, senza, per�, che sia menzionato il diritto del giornalista di cercare e procurarsi notizie tramite proprie fonti di informazioni. Tale lacuna aveva, difatti, sollevato il quesito  - attualmente sciolto dalla Corte � che quest�ultimo diritto non rientrasse nell�ambito del diritto alla libert� e pertanto non fosse ricompreso nell�ambito della sua tutela. Ma del resto la tendenza espressa dalla Corte con tale decisione trova ulteriore conferma e riscontro con le tendenze espresse al riguardo dallo stesso Parlamento Europeo, il quale � in una risoluzione del 18 gennaio 1994 sulla segretezza delle fonti d�informazione dei giornalisti -  ha dichiarato che �il diritto alla segretezza delle fonti di informazioni dei giornalisti contribuisce in modo significativo a una migliore e pi� completa informazione dei cittadini e che tale diritto influisce di fatto anche sulla trasparenza del processo decisionale�. In sintesi il segreto professionale � indispensabile sia nello svolgimento della professione giornalistica che nell�esercizio del diritto di ogni cittadino a ricevere informazioni, mentre per contro le uniche eccezioni ammissibili devono essere ragionevoli e in ogni caso limitate, poich� �il mancato rispetto del segreto professionale limita in modo indiretto lo stesso diritto all�informazione�  Anche la nostra Corte costituzionale, con la sentenza n. 1/1981, ha, come riferito, riconosciuto solennemente  �l'esistenza di una vera e propria libert� di cronaca dei giornalisti (comprensiva dell'acquisizione delle notizie) e di un comune interesse all'informazione, quale risvolto passivo della libert� di manifestazione del pensiero�.
5. La Corte di Strasburgo, con la sentenza Roemen, impone l�alt alle perquisizioni negli uffici dei giornalisti  e dei loro avvocati a tutela delle fonti dei giornalisti - L�ordinamento europeo impedisce ai giudici nazionali di  ordinare perquisizioni  negli uffici e nelle abitazioni dei giornalisti nonch� nelle �dimore� dei loro avvocati a caccia di  prove sulle fonti confidenziali dei cronisti: �La libert� d'espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una societ� democratica, e le garanzie da concedere alla stampa rivestono un'importanza particolare. La protezione delle fonti giornalistiche � uno dei pilastri della libert� di stampa. L'assenza di una tale protezione potrebbe dissuadere le fonti giornalistiche dall'aiutare la stampa a informare il pubblico su questioni d'interesse generale. Di conseguenza, la stampa potrebbe essere meno in grado di svolgere il suo ruolo indispensabile di "cane da guardia" e il suo atteggiamento nel fornire informazioni precise e affidabili potrebbe risultare ridotto�. Questi sono i principi  sanciti nella sentenza �Roemen� 25 febbraio 2003 (Procedimento n. 51772/99) della quarta sezione della Corte europea dei diritti dell�uomo. Il segreto professionale dei giornalisti � tutelato solennemente  dall�articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell�uomo,  mentre l�articolo 8 della stessa Convenzione protegge il domicilio dei legali.
I protagonisti di questa vicenda (causa Roemen e Schmit contro Lussemburgo)  sono due cittadini lussemburghesi, il giornalista  Robert  Roemen e l�avvocato Anne-Marie Schmit. La Corte di Strasburgo ha dichiarato che c�� stata la violazione degli articoli 8 e 10 della Convenzione e conseguentemente ha condannato il Granducato del Lussemburgo a pagare al giornalista e all�avvocato 4mila euro a testa per i danni morali  nonch� le spese (11.629 euro) al cronista.
Il 21 luglio 1998, Robert Roemen ha pubblicato un articolo intitolato "Minister W. der Steuerhinterziehung �berf�hrt" ("Il ministro W. accusato di frode fiscale") sul quotidiano "L�tz�buerger Journal". Vi sosteneva che �il ministro aveva infranto il settimo, l'ottavo e il nono comandamento con frodi riguardanti l'IVA e osservava che ci si sarebbe potuti aspettare che un uomo politico di destra prendesse pi� sul serio i principi elaborati con tanta cura da Mos�. Precisava che il ministro era stato oggetto di una sanzione fiscale di 100.000 franchi lussemburghesi. Concludeva che un tale atteggiamento era ancor pi� vergognoso poich� proveniente da una personalit� che doveva servire da esempio�. La reazione del ministro era scattata sul fronte amministrativo e penale. Cos� i giudici avevano ordinato di perquisire gli studi e gli uffici del giornalista e dell�avvocato alla ricerca di indizi  tali da portare gli inquirenti alla identificazione delle �gole profonde� annidate nell�amministrazione finanziaria del Granducato.
Si legge nella sentenza: �Secondo l'opinione della Corte il presente caso si distingue dal caso Goodwin in un punto fondamentale. In quest'ultimo caso l'ingiunzione (di un tribunale inglese, ndr) aveva intimato al giornalista di rivelare l'identit� del suo informatore, mentre nel caso in oggetto sono state effettuate perquisizioni presso il domicilio e il luogo di lavoro del giornalista. La Corte giudica che delle perquisizioni aventi per oggetto di scoprire la fonte di un giornalista costituiscono - anche se restano senza risultato - un'azione pi� grave dell�intimazione di divulgare l'identit� della fonte. Infatti, gli inquirenti che, muniti di un mandato di perquisizione, sorprendono un giornalista nel suo luogo di lavoro, detengono poteri d'indagine estremamente ampi poich�, per definizione, possono accedere a tutta la documentazione in possesso del giornalista. La Corte, che non pu� fare altro se non rammentare che "i limiti definiti per la riservatezza delle fonti
giornalistiche esigono da parte [sua] (...) l'esame pi� scrupoloso possibile" (vedi supra il provvedimento Goodwin citato, � 40), � quindi del parere che le perquisizioni effettuate presso il giornalista erano ancora pi� lesive nei confronti della protezione delle fonti di quelle adottate nel caso Goodwin.In considerazione di quanto precede la Corte giunge alla conclusione che il Governo non ha dimostrato che l'equilibrio degli interessi in oggetto, vale a dire, da un lato, la protezione delle fonti e, dall'altro, la prevenzione e repressione dei reati, sia stato salvaguardato. A tale scopo rammenta che "le considerazioni di cui devono tenere conto le istituzioni della Convenzione per esercitare il loro controllo nell'ambito del par. 2 dell'art.10 fanno pendere la bilancia degli interessi in oggetto in favore di quello della difesa della libert� di stampa in una societ� democratica" (vedi supra il provvedimento Goodwin citato, � 45)�.
L'avvocato, invece, lamenta un'aggressione ingiustificata al suo diritto al rispetto del suo domicilio a causa della perquisizione effettuata presso il suo studio. Sostiene inoltre che il sequestro avvenuto in tale occasione ha violato il diritto al rispetto della "corrispondenza fra l'avvocato e il suo cliente�. La Corte riconosce che �il mandato di perquisizione concedeva quindi agli inquirenti dei poteri piuttosto estesi�. Inoltre, e soprattutto, la Corte � del parere che lo scopo della perquisizione era infine quello di svelare la fonte del giornalista: �Di conseguenza, la perquisizione della scrivania dell'avvocato ha avuto una ripercussione sui diritti garantiti al giornalista dall'articolo 10 della Convenzione. La Corte giudica peraltro che la perquisizione della scrivania � stata sproporzionata rispetto allo scopo previsto, sostanzialmente tenendo conto della rapidit� con cui � stata effettuata�.
6. La tutela delle fonti delle giornalisti a livello continentale - Con la raccomandazione n� R  (2000) 7, adottata l�8 marzo 2000, anche il Consiglio d�Europa ha voluto tutelare solennemente le fonti dei giornalisti, affermando: �Il diritto dei giornalisti di non rivelare le loro fonti fa parte integrante del loro diritto alla libert� di espressione garantito dall'articolo 10 della Convenzione. L'articolo 10 della Convenzione, cos� come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo, s'impone a tutti gli Stati contraenti. Vista l'importanza, per i media all'interno di una societ� democratica, della confidenzialit� delle fonti dei giornalisti, � bene tuttavia che la legislazione nazionale assicuri una protezione accessibile, precisa e prevedibile. E' nell'interesse dei giornalisti e delle loro fonti come in quello dei pubblici poteri disporre di norme legislative chiare e precise in materia. Queste norme dovrebbero ispirarsi all'articolo 10, cos� come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo, oltre che alla presente Raccomandazione. Una protezione pi� estesa della confidenzialit� delle fonti d'informazione dei giornalisti non � esclusa dalla Raccomandazione. Se un diritto alla non-divulgazione esiste, i giornalisti possono legittimamente rifiutare di divulgare delle informazioni identificanti una fonte senza esporsi alla denuncia della loro responsabilit� sul piano civile o penale o a una qualunque pena cagionata da questo rifiuto�. Questa raccomandazione concorre, con la risoluzione del Parlamento europeo e con le sentenze della Corte dei Strasburgo, a formare uno �spazio giuridico europeo�, che fa del segreto professionale dei giornalisti un caposaldo della libert� di stampa e del diritto dei cittadini all�informazione.
7. Le norme della Convenzione europea dei diritti dell�Uomo sono di immediata operativit� nel nostro Paese - La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell�Uomo e delle libert� fondamentali rappresenta un meccanismo di protezione internazionale dei diritti dell�uomo particolarmente efficace. Le norme della Convenzione sono di immediata operativit� nel nostro Paese: �Le  norme  della  Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libert� fondamentali, salvo quelle il cui contenuto sia   da   considerarsi   cos�   generico  da  non  delineare  specie sufficientemente  puntualizzate,  sono  di immediata applicazione nel nostro  Paese e vanno concretamente valutate nella loro incidenza sul pi�  ampio  complesso  normativo  che  si  �  venuto a determinare in conseguenza   del  loro  inserimento  nell'ordinamento  italiano;  la �precettivit��  in  Italia delle norme della Convenzione consegue dal principio  di   adattamento   del   diritto   italiano   al  diritto internazionale  convenzionale per cui ove l'atto o il fatto normativo internazionale  contenga  il  modello di un atto interno completo nei suoi  elementi  essenziali,  tale  cio�  da  poter  senz'altro creare obblighi  e  diritti,  l'adozione  interna  del  modello  di  origine internazionale  �  automatica  (adattamento  automatico),  ove invece l'atto  internazionale  non  contenga  detto  modello  le  situazioni giuridiche  interne  da esso imposte abbisognano, per realizzarsi, di una specifica attivit� normativa dello Stato� (Cass., sez. un. pen., 23 novembre 1988; Parti in causa Polo Castro; Riviste: Cass. Pen., 1989, 1418, n. Bazzucchi; Riv. Giur. Polizia Locale, 1990, 59; Riv. internaz. diritti dell'uomo, 1990, 419). Anche la Corte costituzionale  (sentenza n. 10 del 19 gennaio 1993) si � pronunciata autorevolmente in tale senso, specificando che la legislazione  con  cui la Convenzione � entrata in vigore in Italia  consiste in una normativa che, pur avendo forza di legge, deriva �da una fonte  riconducibile a una competenza atipica� e pertanto risulta �insuscettibile di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria�. Ribadiscono ancora i supremi giudici della prima sezione penale, che si pongono  su di una linea di continuit� con gli enunciati delle Sezioni unite del 1988: �Le norme della Convenzione europea, in quanto principi  generali  dell'ordinamento, godono di una particolare forma di  resistenza nei confronti della legislazione nazionale posteriore� (Cass. pen., sez. I, 12 maggio 1993; Parti in causa Medrano; Riviste  Cass. Pen., 1994, 440, n. Raimondi; Rif. legislativi L 4 agosto 1955 n. 848; Dpr 9 ottobre 1990 n. 309, art. 86). La suprema magistratura civile � dello stesso avviso: �Le  norme  della  Convenzione  europea  sui diritti dell'Uomo, nonch� quelle  del primo protocollo addizionale, introdotte nell'ordinamento italiano  con  l.  4 agosto 1955 n. 848, non sono dotate di efficacia meramente   programmatica.   Esse,   infatti,  impongono  agli  Stati contraenti,   veri   e   propri   obblighi  giuridici  immediatamente vincolanti, e, una volta introdotte nell'ordinamento statale interno, sono  fonte  di  diritti  ed obblighi per tutti i soggetti. E non pu� dubitarsi  del  fatto  che  le  norme in questione - introdotte nello ordinamento  italiano  con  la  forza  di  legge  propria  degli atti contenenti  i  relativi  ordini  di esecuzione, non possono ritenersi abrogate  da  successive  disposizioni  di legge interna, poich� esse derivano da una fonte riconducibile ad una competenza atipica e, come tali,  sono insuscettibili di abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria� (Cass. civ., sez. I, 8 luglio 1998, n. 6672; Riviste: Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario, 1998, 1380, n. Marzanati;  Giust. Civ., 1999, I, 498; Rif. legislativi L  4 agosto 1955 n. 848). Anche la giustizia amministrativa ritiene che  �la Convenzione europea dei diritti  dell'Uomo,  resa  esecutiva con la l. 4 agosto 1955 n. 848, sia direttamente  applicabile  nel  processo  amministrativo�  (Tar Lombardia, sez. III, Milano 12 maggio 1997 n. 586; Parti in causa Soc. Florenzia c. Iacp Milano e altro; Riviste Foro Amm., 1997, 1275,, 2804, n. Perfetti; Colzi; Rif. legislativi L  4 agosto 1955 n. 848, artt. 6 e 13  L 4 agosto 1955 n. 848).
La Convenzione deve il suo successo  al fatto di fondarsi su un sistema di ricorsi � sia da parte degli Stati contraenti sia da parte degli  individui -  in grado di assicurare un valido controllo in ordine al rispetto dei principi fissati dalla Convenzione stessa. La  Corte europea dei diritti dell'Uomo � in sostanza un tribunale  internazionale istituito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libert� fondamentali al quale pu� essere proposto ricorso  per la violazione di diritti e libert� garantiti dalla Convenzione sia dagli Stati  contraenti e sia dai cittadini dei singoli Stati.
Non solo gli articoli della Convenzione  quant�anche le sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell�Uomo, che della prima � diretta emanazione, sono vincolanti per gli Stati contraenti. �Le Alte Parti contraenti � dice l�articolo 46 della Convenzione � si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive  della Corte nelle controversie nelle quali sono parti�. Va detto anche che gli articoli della Convenzione operano e incidono unitamente alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo ne d� attraverso le sentenze. Le sentenze formano quel diritto vivente al quale i giudici dei vari Stati contraenti sono chiamati ad adeguarsi sul modello della giustizia inglese. �La portata e il significato effettivo delle disposizioni della Convenzione  e dei suoi protocolli non possono essere compresi adeguatamente senza far riferimento alla giurisprudenza. La giurisprudenza  diviene dunque, come la Corte stessa ha precisato nel caso Irlanda contro Regno Unito (sentenza 18 gennaio 1978, serie A n. 25, �  154) fonte di parametri interpretativi che oltrepassano spesso i limiti del caso concreto giuridici, degli obblighi derivanti  dalla Convenzione�.i criteri che hanno
guidato la Corte in un dato caso possono trovare e hanno trovato applicazione, mutatis mutandis, anche in casi analoghi riguardanti altri Stati� (Antonio Bultrini, La Convenzione europea dei diritti dell�Uomo: considerazioni introduttive, in Il Corriere giuridico,  Ipsoa, n. 5/1999, pagina 650). D�altra parte, dice l�articolo 53 della Convenzione,  �nessuna delle disposizioni della presente Convenzione pu� essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell�uomo e le libert� fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Paese contraente o in base ad ogni altro accordo al quale tale Parte contraente partecipi�. Vale conseguentemente, con valore vincolante, l�interpretazione che della Convenzione  d� esclusivamente la Corte europea di Strasburgo. Non a caso il Consiglio d�Europa, nella raccomandazione R(2000)7 sulla tutela delle fonti dei giornalisti, ha scritto testualmente: �L'articolo 10 della Convenzione, cos� come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo, s'impone a tutti gli Stati contraenti�. Su questa linea si muove il principio affermato il 27 febbraio 2001 dalla Corte europea dei diritti dell�Uomo: �I giudici nazionali devono applicare le norme della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo secondo i principi ermeneutici espressi nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo� (in Fisco, 2001, 4684).
8. I giornalisti  italiani devono rifiutarsi di rispondere ai giudici sul segreto professionale, invocando, con le leggi nazionali, la protezione dell�articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell�Uomo e le sentenze Goodwin e Roemen della Corte di Strasburgo. Il Codice di procedura penale (articolo 200) deve recepire Strasburgo. Pm e Gip devono indagare soltanto su chi (pubblico ufficiale) �spiffera� la notizia e non su chi (giornalista) la riceve -  E� diritto insopprimibile dei giornalisti  quello di raccontare quel che accade, fatti e notizie su questioni  di  interesse  generale. Questo principio, che � l�incipit dell�articolo 2 della legge professionale dei giornalisti italiani, � consacrato in una sentenza della Corte di Strasburgo. La libert� di scrivere � sacra e cammina di pari passo con l�osservanza della deontologia. Il rispetto del segreto professionale � una regola fondamentale perch� sul rovescio garantisce il diritto dei cittadini all�informazione: �E'  diritto  dei  giornalisti  quello  di  comunicare informazioni su questioni  di  interesse  generale,  purch�  ci� avvenga nel rispetto dell'etica  giornalistica,  che  richiede  che  le informazioni siano espresse  correttamente  e  sulla  base  di  fatti  precisi  e  fonti affidabili;  costituisce,  pertanto,  un  limite  irragionevole  alla libert�  di  stampa  la condanna per ricettazione di giornalisti che, attenendosi alle norme deontologiche, abbiano pubblicato documenti di interesse  generale  pervenuti  loro  in  conseguenza  del  reato  di violazione  di segreto professionale da altri commesso (nella specie, copia  delle denunzie dei redditi di un importante manager francese)� (Corte europea diritti dell'Uomo, 21 gennaio 1999; Parti in causa Comm. europea dir. uomo c. Governo francese e altro; Riviste: Foro It., 2000, IV, 153).
La  Convenzione  europea dei diritti dell�Uomo e le sentenze di Strasburgo rendono forte il lavoro del cronista. Le vicende Goodwin e Romen sono episodi  che assumono valore strategico. Quelle sentenze possono essere �usate�, quando i  giudici nazionali mettono sotto inchiesta, sbagliando, i giornalisti, che si avvalgono del segreto professionale. I giornalisti devono rifiutarsi di rispondere ai giudici in tema di segreto professionale,  invocando, con le norme nazionali (legge n. 69/1963 e dlgs n.  196/2003), la protezione dell�articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell�Uomo nonch� le sentenze Goodwin  e Roemen della Corte di Strasburgo. Questa linea � l�unica possibile anche per evitare, come scrive il Tribunale penale di Treviso, di finire sulla graticola dell�incriminazione per violazione del segreto d�ufficio in concorso con pubblici ufficiali (per lo pi� ignoti), cio� con coloro che, - magistrati, cancellieri  o ufficiali di polizia giudiziaria -, hanno �spifferato� le notizie ai cronisti. In effetti l�eventuale responsabilit�, collegata alla fuga di notizie, grava solo sul pubblico ufficiale che diffonde la notizia coperta da vincoli di segretezza e non sul giornalista che la riceve e che, nell�ambito dell�esercizio del diritto-dovere di cronaca, la divulga. Va affermato il principio secondo il quale il giornalista, che riceva una notizia coperta da segreto, pu� pubblicarla senza incorrere nel reato previsto dall�articolo 326 del Cp.  E� palese la differenza con il reato di corruzione, che colpisce sia il corrotto sia il corruttore. L�articolo 326, invece, punisce solo chi (pubblico ufficiale) viola il segreto e non chi (giornalista) riceve l�informazione e la fa circolare. Ferma restando, ad ogni modo, la prerogativa del giornalista di non rivelare l�identit� delle proprie fonti. Il giornalista, che svela le sue fonti, rischia il procedimento disciplinare al quale non pu�, comunque, sfuggire per l�evidente violazione deontologica. Una lettura ragionevole dell�articolo 326 del Cp evita l�incriminazione (assurda) del giornalista per concorso nel reato (con il pubblico ufficiale..loquace) e le perquisizioni,  arma ormai spuntata dopo la sentenza �Roemen� della Corte di Strasburgo..
Il Codice di procedura penale, in base alla relativa legge-delega, �deve adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall�Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale�.  Il Parlamento in sostanza deve calare nel Codice le sentenze Goodwin e Roemen nonch� l�articolo 10 della Convenzione, abolendo il potere del Gip di interrogare il giornalista. Finir� la storia dei giornalisti arrestati e condannati perch� difendono il segreto professionale anche  come cittadini  europei? L�articolo 200 del Cpp afferma il diritto del giornalista professionista al segreto sulle sue fonti fiduciarie, ma nel contempo autorizza il giudice a interrogarlo sulle sue fonti fiduciarie. Potere, questo,  che fa a pugni con la giurisprudenza   della Corte di Strasburgo. Il Parlamento deve sancire una volta per tutte la regola in base alla quale il giornalista ha diritto al segreto professionale come gli altri professionisti. Punto e basta. Non una parola in pi�. Strasburgo ha spiegato perch� � necessaria ed urgente questa svolta.

                                                             Prof.  Francesco Abruzzo

(Dalla relazione  �Doveri dei giornalisti in rapporto al diritto di cronaca (in particolare giudiziaria) e di critica� - Csm. Incontro di studi sul tema  �Magistratura e mass media� - Roma, 9-11 dicembre 2004).
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PROFESSIONISTI - La Cassazione mette i <paletti> alle richieste del magistrato  e assolve giornalista di Como
Giornalisti, segreto ampio 
Possibile il riserbo professionale sulle informazioni capaci di rivelare la fonte fiduciaria

di Caterina Malavenda
La Corte di cassazione estende il segreto professionale dei giornalisti. Con la sentenza n. 85 del 21 gennaio 2004 (depositata l'11 maggio), la VI Sezione penale ha stabilito che il segreto professionale sulle fonti, sancito dall'articolo 200, comma 3 del Codice di procedura penale, si estende <a tutte le indicazioni che possono condurre all'identificazione di coloro che hanno fornito fiduciariamente le notizie>.
In particolare, ha ad oggetto <anche l'indicazione relativa alle utenze telefoniche di cui il giornalista disponeva nel periodo in cui ha ricevuto le notizie fiduciarie perch� la stessa � funzionale rispetto alla identificazione di coloro che tali notizie hanno fornito e la relative richiesta � quindi in contrasto con il divieto posto dall'articolo 200 del Codice di procedura penale>. Il segreto "copre" dunque tutte le informazioni attraverso le quali � possibile individuare la fonte delle notizie.
La questione parte dalla pubblicazione di notizie su indagini in corso, in parte secretate dalla Procura di Como. Per individuare la fonte delle informazioni veniva convocato, in qualit� di persona informata sui fatti, l'autore dell'articolo. Alla richiesta di indicare le utenze telefoniche delle quali si serviva il giorno della fuga di notizie, il giornalista opponeva il segreto professionale, ritenendo che tale informazione avrebbe potuto consentire di individuare la sua fonte.
Il magistrato, assumendo che il segreto non fosse opponibile, sospendeva l'esame e contestava al giornalista il reato di false dichiarazioni, ai sensi dell'articolo 371 bis del Codice penale. Il processo si concludeva con l'assoluzione del giornalista, in base all'articolo 59, ultimo comma, del Codice penale, per aver agito erroneamente convinto di poter legittimamente opporre il segreto professionale: la domanda del Pm, secondo il tribunale, non equivaleva <a richiesta di rivelazione della fonte informativa>. Nonostante l'esito favorevole, veniva proposto ricorso, assumendo che la garanzia offerta dall'articolo 200 del Codice di procedura a tutte le categorie elencate, non possa essere assimilata alle cause di giustificazione. Ha invece natura sostanziale: in presenza delle situazioni indicate dalla norma, il teste versa in una condizione soggettiva che esclude in radice la rilevanza penale del silenzio, legittimamente opposto.
In altre parole, mentre il giornalista che diffama commette un reato, ma non � punibile se esercita, nei limiti previsti, il diritto di cronaca e di critica, il giornalista che tutela la fonte, come la Corte ha riconosciuto, non pu� essere costretto a deporre. Di conseguenza, non pu� essere incriminato se tace, perch� non ha l'obbligo giuridico di rispondere, anche quando le domande non riguardano direttamente l'identit� della fonte, pur mirando manifestamente alla sua individuazione. O quando vengono svolte attivit� investigative (come perquisizioni e intercettazioni) con lo stesso scopo.
La Corte europea dei diritti dell'uomo � intervenuta sulla materia, a favore dei giornalisti applicando l'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti. Con la sentenza sul caso Goodwin del 27 marzo 1996, ha condannato il Regno Unito per non aver tutelato adeguatamente il diritto alla protezione delle fonti giornalistiche: il giornalista era stato, infatti, condannato in patria per non averle rivelate, senza che l'ordine di divulgazione fosse assistito dai requisiti della necessit�, della ragionevolezza e della proporzionalit�.
E con la sentenza sul caso Roemen e Schmit del 25 febbraio 2003, ha condannato il Lussemburgo per aver consentito la perquisizione presso gli uffici e le dimore dei giornalisti, alla ricerca di prove sulle loro fonti confidenziali. La Corte di Strasburgo ha ritenuto che le perquisizioni con tale scopo costituiscano <un'azione pi� grave dell'intimazione di divulgare l'identit� dell'informatore>. Esercitando un potere di indagine estremamente ampio, gli inquirenti <possono accedere a tutta la documentazione in possesso del giornalista>, con una incidenza assai pi� ampia nel rapporto fra il professionista e tutte le sue fonti. Ogni tentativo di aggirare il diritto a tutelare le fonti costituisce un'aggressione alla libert� di stampa. L'assenza della necessaria protezione potrebbe infatti dissuadere le fonti dall'aiutare la stampa a informare il pubblico su questioni di interesse generale.
Alla tendenza restrittiva, manifestata sovente dai giudici nazionali, si contrappone ora la sentenza in esame, che ha riconosciuto il diritto al silenzio del giornalista quando le risposte possono anche potenzialmente consentire l'individuazione delle sue fonti.
(da Il Sole 24 Ore dell�11 giugno 2004)

Il testo della sentenza  che assolve Paolo  Moretti

                              REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE

ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da
MORETTI Paolo, nato il 20 marzo 1971 a Como,
avverso la sentenza del Tribunale di Como 22 novembre 2002 n.2054, con la quale � stato assolto dal reato p. e p. dall'art. 371 bis c.p.,
commesso in Como il 13 aprile 2000,
perch� non punibile per erronea supposizione di causa di giustificazione.

Sentita la relazione svolta dal Cons. S.F. MANNINO;
Sentita la requisitoria del P.G., in persona del dr. Gianfranco VIGLIETTA, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
Sentita l'arringa del difensore, avv. Caterina MALAVENDA, il quale ha chiesto l�accoglimento del ricorso
osserva
IN FATTO E DIRITTO
Avverso la sentenza del Tribunale di Como 22 novembre 2002 n. 2054, con la quale � stato assolto dal reato indicato in epigrafe   a lui contestato perch� nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero in sede di sommarie informazioni testimoniali, taceva le informazioni richieste ed  in particolare si rifiutava illegittimamente di indicare i numeri telefonici che aveva in uso il giorno 30 marzo 2000, perch� non punibile per erronea supposizione di causa di giustificazione -  perch� non punibile per erronea supposizione di causa di giustificazione�, Paolo Moretti ha proposto ricorso per cassazione per saltum, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:

1. erronea applicazione dell'art. 200 c.3 c.p.p. (art. 606 lett. b) c.p.p.) sul presupposto che il ricorrente non avrebbe potuto invocare il segreto professionale e sarebbe stato obbligato a rispondere alla domanda del P.M.;
2. violazione dell'art. 384 c.p. (art. 606 lett. b) c.p.p.) perch� il ricorrente, versando ab origine nella situazione potenziale di indagato, avrebbe dovuto essere convocato sin dall'inizio come tale e non come persona informata sui fatti, con diritto alla scriminante di cui alla norma citata.
Procedendo in via pregiudiziale alla verifica della regolarit� dell'impugnazione si osserva. che l'imputato prosciolto perch� non punibile per erronea supposizione di una causa di giustificazione ha interesse a impugnare la sentenza di proscioglimento per ottenere una delle formule assolutorie, a lui evidentemente pi� favorevoli, perch� il fatto non sussiste o perch� l'imputato non lo ha commesso, le sole che gli avrebbero precluso il potere d'impugnare.
Nel merito si osserva che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio costituisce un reato plurisoggettivo anomalo in quanto, malgrado che la fattispecie criminosa implichi la partecipazione di una persona che riceve la notizia, questa tuttavia non assume la posizione giuridica di concorrente necessario e la condotta penalmente rilevante � solo quella dell�autore della rivelazione. Anche se questa peculiarit� strutturale non esclude la configurabilit� del concorso eventuale, realizzato nelle forme ordinarie della determinazione o dell'istigazione da parte del destinatario della rivelazione (Cass., Sez. U., 19 gennaio 1982 n. 420; Sez. I, 23 marzo 1994 n. 4831).
Per conseguenza, il giornalista non concorrente nel reato, per non aver determinato o istigato il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio a rivelare abusivamente le notizie d'ufficio destinate a rimanere segrete, non assume la posizione processuale di sottoposto alle indagini e non versa, quindi, in situazione d'incompatibilit� con l'ufficio di testimone.
Sotto questo profilo � sicuramente valida la premessa posta dal Giudicante, che il Moretti non do�veva essere sentito come indagato per il reato previsto dal primo comma dell'art. 326 c.p. e pertanto il secondo motivo di ricorso appare privo di fondamento.
E', invece, fondato il primo motivo.
L'attivit� giornalistica secondo la previsione dell'art. 200 u.c. c.p.p. � tutelata dal segreto pro�fessionale per cui il giornalista professionista iscritto all'albo non pu� essere obbligato a deporre relativamente ai nomi delle persone dalle quali ha ricevuto notizie di carattere fiducia�rio nell'esercizio della sua professione.
La tutela deve ritenersi necessariamente estesa a tutte le indicazioni che possono condurre all'identificazione di coloro che hanno fornito fiduciariamente le notizie.
Rientra pertanto nel segreto professionale anche l'indicazione relativa alle utenze telefoniche di cui il giornalista disponeva nel periodo in cui ha ricevuto le notizie fiduciarie perch� la stes�sa � dichiaratamente funzionale rispetto all'identificazione di coloro che tali notizie hanno fornito e la relativa richiesta � quindi in contrasto con il divieto posto dall'art. 200 c.p.p. cit..
Ne deriva che il giornalista il quale, sentito come testimone, si astiene dal deporre opponendo legittimamente il segreto professionale, anche in ordine a indicazioni che comunque possono essere utilizzate per risalire alla fonte delle notizie pubblicate, non si rende colpevole del reato previsto dall'art. 371 bis c.p.p. per aver taciuto in tutto o in parte ci� che sa intorno ai fatti su cui viene sen�tito.
Nella specie il Moretti � stato incriminato per il reato previsto dall'art. 371 bis c.p. per essersi rifiu�tato illegittimamente di indicare i numeri telefonici che aveva in uso il giorno 30 marzo 2000, ossia nella data cui si riferisce l�informazione fiduciaria ricevuta, la cui indicazione gli era stata richiesta al fine evidente di individuare l'autore dell�informazione stessa, per l'ipotesi che potesse essere un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio punibile per il reato previsto dall'art. 326 c.p.. In realt�, in base alla disposizione dell'art. 200 u.c. c.p.p. il giornalista non avrebbe potuto essere co�stretto a deporre e di conseguenza non avrebbe potuto essere incriminato per il reato previsto dall'art. 371 bis c.p., che perci� non sussiste.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perch� il fatto non sussiste.
Cos� deciso in Roma il 21 gennaio 2004.

Il Presidente   Il Consigliere estensore
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