Capitolo secondo
IL REGNO ITALICO, 568-875: CONTINUAZIONE E CONSOLIDAMENTO AL
NORD
Il Regno Longobardo
I Longobardi dominano la storia italiana altomedievale, e la loro improvvisa
apparizione in Italia dalla Pannonia (I'attuale Ungheria) nel 568 segna
tradizionalmente una rottura nella storia italiana. Dal 568 in poi, l'Italia dovette subire
quasi quattordici secoli di disunione, in quanto gli stessi Longobardi non
conquistarono mai l'intera penisola. Essi iniziano, quindi, la lunga storia italiana di
particolarismi e occupazioni da parte di potenze straniere. D'altra parte, a partire dal
600 circa, occuparono due terzi dell'intera penisola, e dalla fine del VII secolo forse i
tre quarti di essa, e sin dai regni di Grimoaldo e di Liutprando (rispettivamente: 662-
71 e 712-44), il compatto Regno Longobardo, che comprendeva la maggior parte
dell'Italia settentrionale e la Toscana, ebbe supremazia politica sui ducati longobardi
degli Appennini meridionali, Spoleto e Benevento, e sugli avamposti romanobizantini,
aventi per centri Ravenna, Roma, Napoli e le estremit� meridionali della
terraferma italiana (cfr. carta geografica 2). Le istituzioni politiche longobarde
vennero mantenute praticamente in toto dai Franchi, dopo la conquista di Carlomagno
nel 774, e la loro fisionomia longobarda era assai pi� decisa di quanto non lo fossero
state ostrogote le istituzioni di questo popolo. All'origine, certo, molte di esse
risalivano ai Romani, anche alcune dai nomi germanici, come si vedr�, ma vennero
risistemate dai Longobardi ricorrendo (con aiuto romano) a frammenti pi� antichi,
proprio come accadde per la costruzione, da parte dell'imperatore Costantino, della
chiesa di S. Lorenzo fuori le mura, a Roma, eretta utilizzando materiali di templi
demoliti. Gran parte dei progressi compiuti dalla storia dell'Italia medievale possono
esser fatti risalire in un modo o nell'altro al periodo longobardo, e questo apparir� nel
libro una sorta di punto di partenza.
Ma molto pi� che una rottura storica, l'invasione longobarda segna una rottura
storiografica. A partire dal 568, e ancor pi� dopo il 610, i materiali si diradano
moltissimo, riprendendo nuovamente solo con l'avvio delle serie di documenti
medievali all'inizio dell'VIII secolo. (L'eccezione, in questo vuoto, � Ravenna, con i
suoi papiri del VII secolo e la competente cronaca locale di Andrea Agnello. In
merito, si veda il capitolo terzo.) La nostra fonte principale � la storia longobarda di
Paolo Diacono, scritta nell'ultima decade dell'VIII secolo, ma anch'egli dovette
confrontarsi con la scarsezza di materiali, e la sua opera � di conseguenza piuttosto
breve (circa 140 pagine in folio)1. Paolo fu un critico intelligente e uno scrittore dallo
stile attraente, ed era in grado di correggere il latino delle sue fonti (che
comprendevano Gregorio di Tours), ma aveva un senso semplicistico del passato.
Nella sua storia, il senso del passato si riduce a una sorta di orgoglio per la passata
prodezza dei Longobardi, venato dal desiderio di rendere i Longobardi pagani pi�
violenti che fosse possibile, cosl da far risaltare il contrasto con i loro discendenti
cristiani, e in particolare il re Liutprando. Egli offusc� o elimin� fenomeni che
potevano risultare imbarazzanti, come l'arianesimo longobardo, o l'opposizione papale
al suo eroe Liutprando. La sua affidabilit� � spesso sospetta, e le sue prove devono

longobarda, in particolare l'Editto di Rotari del 643 (388 capitoli) e la legislazione di
Liutprando (152 capitoli). Nei casi in cui ci siano altre fonti alternative, cos� come
accade per il tardo secolo VI, si tratta generalmente di frammenti contraddittori e
confusi, quasi tutti provenienti dall'esterno del regno longobardo e ad esso ostili.
Come conseguenza di tale scarsezza di fonti, la storiografia relativa al periodo
longobardo consiste, pi� che in ogni altro periodo della storia italiana, in una miniera
di opposte teorie formulate da storici moderni. Gli storici degli ultimi 150 anni hanno
suggerito pi� o meno ogni possibile opposta interpretazione del tardo VI secolo e del
VII, ricorrendo a generosissime interpretazioni delle fonti probanti. Gli storici del
periodo ostrogoto tendono ad assumere atteggiamenti che, nell'insieme, convergono.
Per quanto riguarda il periodo longobardo, invece, la storia tende a diventare,
alquanto apettamente, una congerie di teorie di singoli storici. Una proporzione
notevole di quanto qui segue � fatta necessariamente di congetture.
La storia dei primi Longobardi, prima del 568, non ha rilievo diretto per l'Italia. Basti
dire che si trattava di una popolazione germanica, come i Franchi, e che parlava una
lingua imparentata con l'antico alto tedesco. I1 primo a parlarne, localizzandoli lungo
il basso Elba, fu Tacito; successivamente si mossero verso quella che � oggi la Bo
mia, quindi nell'Austria inferiore, infine, all'inizio del VI secolo (circa 527 )
s'insediarono nella provincia romana di frontiera della Pannonia. Per quanto potessero
ricordare, erano stati sempre governati da un re, per lo pi� della famiglia Lething,
almeno fino al 547, quando l'ultimo re di quella dinastia, Waltari, ebbe per successore
il proprio tutore Audoino, padre di Alboino. Procopio li definisce cattolici nel 548,
allorch� Audoino sollecit� l'aiuto di Bisanzio contro i Gepidi ariani, che i Longobardi
infine sconfissero nel 567 con l'aiuto degli Avari2. Tal cattolicesimo era inizialmente
limitato certamente alla corte e ai suoi fedelissimi, e nel 568 il re era gi� divenuto
ariano e, secondo il punto di vista bizantino, un eretico; ci� comunque indica che i
Longobardi, al tempo di Giustiniano, facevano parte dell'orbita bizantina. Anche i
legami conseguiti attraverso i matrimoni dei re del VI secolo fino ad Alboino
sembrano indicare che la popolazione rientrava in un vasto ambito centro-europeo di
mutuo sostegno, sotto l'egemonia dei Franchi. I Longobardi non arrivarono dal nulla,
n� si tratt� di semplici barbari selvaggi allo stadio primitivo. Avevano occupato per
quarant�anni una provincia romana. Avevano anche incluso nel proprio sistema
politico un'intera serie di titoli militari romani, quali dux e comes, e probabilmente
agivano formalmente in qualit� di confederati romani. Narsete, quando distrusse
Totila, chiese ad Audoino un contingente militare, e l'ottenne, ma, trovandolo troppo
violento ed indisciplinato, lo risped� presto indietro3. D'altra parte, quando Alboino
invase l'Italia tenne sotto il proprio controllo sia il grande e disparato esercito che la
popolazione, dal S68 fino al suo assassinio nel 572. Ovviamente, la disciplina non �
un indice particolarmente utile o significativo di romanizzazione (e ancor meno della
civilizzazione), ma nei primi anni i Longobardi sono descritti quasi esclusivamente in
base a termini militari. Non abbiamo a disposizione altri criteri.
Gianpiero Bognetti vide nell'invasione di Alboino un � piano organico e generale �,
una strategia su vasta scala. Alboino vantava legami franco-austrasiani tramite la

prima moglie e, con una conversione tattica all'Arianesimo nel 565 circa, sper� di
ottenere l'appoggio dei Goti ariani dell'Italia settentrionale, che erano stati appena
schiacciati da Narsete nel 561. Alboino avanz� lentamente e apparentemente senza
opposizioni attraverso la pianura padana nel 569, lasciando duchi nelle maggiori citt�,
in particolare il nipote Gisolfo a Cividale del Friuli; quindi assedi� Pavia, la prima
citt� che gli fece resistenza, per tre anni (569-72). Durante questi tre anni,
cominciarono le complicazioni, poich� contingenti di predatori longobardi iniziarono
a spargersi sulle Alpi penetrando nella Borgogna dei Franchi (negli anni 569-75), e
verso il 571 i Longobardi stanno gi� formando ducati per un lungo tratto verticale
della penisola, a Spoleto (sotto Faroaldo) e Benevento (sotto Zotto), senza avere
apparentemente occupato i territori intermedi. Bognetti ha suggerito delle spiegazioni:
l'invasione della Borgogna fu il risultato dell'alleanza con Sigeberto d'Austrasia,
mentre i ducati della penisola furono in effetti costituiti dai Bizantini come pres�di
contro Alboino in punti strategici, in quanto sia Spoleto che Benevento controllavano
importanti passi appenninici. Questa seconda ipotesi pare molto verosimile, non
altrettanto la prima. In ogni caso, l'assassinio di Alboino, forse con la complicit�
bizantina, mise fine al � piano organico �, e durante il resto del secolo regn� il caos4.
Il successore di Alboino, Clefi, fu pure assassinato nel 574, e nei seguenti dieci anni,
durante il cosiddetto interregno, i Longobardi rimasero senza re. Paolo Diacono
sostiene che a governarli c'erano trentacinque duchi, pur se il numero sembra davvero
troppo alto5. Ne nomina soltanto cinque, quelli di Pavia, Bergamo, Brescia, Trento e
Cividale, per la maggior parte vicini al Trentino, ossia alla zona in cui visse una delle
sue principali fonti, Secondo di Non. Possiamo aggiungere Torino, Spoleto e
Benevento, con sicurezza, ma per altri si possono soltanto fare supposizioni. Entro
1'VIII secolo, i Longobardi ebbero ducati o loro equivalenti in tutte le citt� romane del
nord e della Toscana, ma non si pu� ancora affermare che ad ogni citt� corrispondesse
un ducato. Quanto a questo, non si pu� nemmeno essere certi che i Longobardi
controllassero determinate zone, poich� i Bizantini mantennero certamente dei presidi
in alcuni luoghi importanti dell'Italia del nord: sul Lago di Como fino al 588, a Susa
(sulla principale via verso la Borgogna) finch� i Franchi la presero nell'ottavo
decennio del VI secolo, nella valle di Non fino alla decade seguente, e a Cremona fino
al 603.
L'interregno costituisce una delle maggiori difficolt� della storiografia longobarda. Di
solito lo si vede come il contrassegno della barbarie e dell'atavismo dei Longobardi;
l'abbandono della monarchia � un evento quasi privo di paragone nella storia dei regni
romano-germanici e se ne deduce che evidentemente non dovevano essere troppo
legati a tale forma. Tuttavia, non era proprio cosa normale, neanche per i Germani dei
tempi di Tacito, abbandonare la monarchia nel bel mezzo di una guerra, che in questo
caso continu� anche dopo la morte di Clefi: il primo contrattacco bizantino si ebbe
sotto Baduario nel 57S, e fu un clamoroso insuccesso. Altre spiegazioni
dell'interregno paiono pi� probabili. Ne sono state suggerite parecchie. La pi�
soddisfacente l'ha offerta ancora Bognetti, affermando che i duchi longobardi

potrebbero essere stati invitati alla ribellione e disgregati dalle offerte bizantine di
denaro. Menandro, il principale cronachista bizantino per la settima e ottava decade
del secolo VI, nota che nel 577 l'imperatore Tiberio II sbors� ai Franchi 30.000 libbre
d'oro perch� muovessero guerra ai Longobardi, e ai Longobardi perch� trattassero la
pace. Anche nel 579 mand� denaro a singoli duchi longobardi perch� si ribellassero.
E in realt�, nelle fonti del VI secolo giunteci, particolarmente le lettere di Gregorio
Magno, troviamo i nomi dei Longobardi che combatterono contro Bizantini, cos�
come, e quasi in egual misura, di quelli che combatterono a loro fianco. Uno di questi
ultimi, Droctulfo, nella tomba erettagli a Ravenna, si merit� un'iscrizione celebrativa
alle sue gesta eroiche: � terribile d'aspetto ma d'animo nobile, aveva lunga barba e
ardito cuore. Am� sempre i fasti ed il nome di Roma e fu lo sterminatore della propria
gente �. Etnicamente, Droctulfo era uno Svevo, e la confederazione longobarda
comprendeva un gran numero di gruppi etuici diversi�Sassoni, Gepidi, Bulgari,
Sarmati, Svevi, Turingi, Romani, Pannonici� e i Sassoni possono venir considerati
come un gruppo in s� omogeneo, stando alle nostre fonti. Una tale mescolanza non ha
certo aiutato la coesione politica dei Longobardi in quel periodo. Spoleto e Benevento
si erano gi� certamente ribellate a Bisanzio, e potevano diffondere il caos nella
penisola. D'altra partc, verso il 580 i Bizantini avevano � comperato � il duca del
Friuli, Grasulfo, probabilmente il pi� potente duca del settentrione. Si deve almeno
ammettere che l'ottavo e il nono decennio di quel secolo devono essere stati cos�
caotici, sia per i Longobardi che per i Romano-Bizantini, che l'uso intelligente di
denaro bizantino potrebbe essere ben stato la causa dell'abbandono temporaneo della
monarchia longobarda6. Ma anche se le cose andarono cos�, si tratt� di fenomeno
temporaneo. Nel 584, di fronte alle invasioni franco-austrasiane provenienti dal nord,
i duchi longobardi si riunirono ed elessero Autari, figlio di Clefi, loro re. Se quanto
afferma Paolo � vero, dovettero avere intenzioni politiche ben ferme, visto che
ciascun duca cedette al re met� delle proprie sostanze, denaro e possedimenti per
renderlo forte baluardo della monarchia. Certo � che sin da allora i re in Italia
poterono contare su una base di vasta propriet� fondiaria, che dur� fino all'XI secolo.
Darmstadter calcol� che in Lombardia e in Piemonte questa consisteva di un decimo e
pi� della totale area fondiaria7.
Autari � presentato come un re energico, giovane e romantico, ma si sa poco di lui.
Sopravvisse a tre invasioni franche in sei anni, e mor� nel 590 dopo avere appena
stabilito un'alleanza con i Bavaresi, attraverso le nozze con la principessa bavarese
Teodolinda. Poco prima della morte, emise un editto anticattolico. Gregorio Magno
(che fu eletto Papa in quello stesso anno) ne ritenne la morte un segno della giustizia
divina, ma Dio sembra esser stato dalla parte di Autari: l'ultima invasione franca, del
590 consistette in un doppio attacco, coordinato con i Bizantini e destinato a spazzar
via i Longobardi, ma non ebbe successo. I Longobardi si barricarono nelle citt�, senza
opporre resistenza, ma i Franchi e i Bizantini non riuscirono a congiungere le forze e
infine iFranchi se ne tornarono indietro. I Bizantini ne furono oltraggiati, ma
probabilmente i Franchi non avevano alcun vero desiderio di eliminare i Longobardi.
A1 contrario, ottennero quasi certamente la supremazia sull'Italia settentrionale,
secondo la tradizione impostasi verso la met� del secolo VI. Autari pagava loro il
tributo, e pur se una fonte afferma che il suo successore Agilulfo (590-616) avrebbe sborsato una somma di denaro per liberarsi da esso, � possibile trovare i Longobardi,
ancora nel terzo decennio del secolo VII, tra le file dell'esercito franco contro il re
degli Slavi Samo, assieme agli Alemanni che erano certamente una popolazione
tributaria dei Franchi8.
Dopo il S90, i Bizantini si rassegnarono momentaneamente alla sopravvivenza dei
Longobardi, e cominciarono a consolidarsi nelle aree geografiche in cui erano
confinati. Le loro �lite militari finirono con lo stabilirvisi con potere sia politico che
economico, a fianco delle gerarchie episcopali di Ravenna, Roma e Napoli (si veda il
capitolo terzo). A partire dal 590 anche fra i Longobardi cominci� a delinearsi una
maggiore coesione politica. Autari tenne soprattutto un atteggiamento difensivo, ma
Agilulfo, privo di minacce da parte dei Franchi, pass� all'attacco, occupando o
rioccupando parecchie citt� lungo il Po, e minacciando Roma nel 593-4. Verso il 605,
la serie di tregue concordate fra le due parti si cristallizz� in una pace permanente, che
i re longobardi avrebbero infranto solo due volte nei successivi 120 anni. Da questo
momento, fu possibile una ripresa dell'Italia. Per Agilulfo ci� significava il
consolidamento del potere centralizzato dello stato longobardo, e Paolo lo descrive
mentre ottiene la resa o la sottomissione di almeno otto duchi (la fonte di Paolo,
Secondo, si trovava presso la corte di Agilulfo, e ci� rende Paolo testimone affidabile
di questo regno). Entro il 603, anche Gisolfo II del Friuli, il ducato politicamente pi�
autonomo di tutto il nord, venne a patti. Pi� a sud, Agilulfo fu o meno ambizioso o
meno fortunato. Pare che verso la fine del suo regno fosse riuscito a stabilirsi in
Toscana, pur se nel 603 Gregorio Magno ci indica l'esistenza l� di un duca
indipendente lombardo, Cillanne, in guerra con Pisa (che per breve tempo fu
autonoma). D'altra parte, Spoleto e Benevento ebbero vite politiche del tutto
indipendenti, anche se Paolo afferma che il duca Arichi I di Benevento (591-641)
era un friulano messo al potere da Agilulfo: cos�, per esempio, il duca Ariulfo di
Spoleto, che nel 592 minacci� per conto proprio Roma, si rifiut� di aiutare Agilulfo a
fare la stessa cosa nel 5939. Certamente Agilulfo concesse ai ducati meridionali una
autonomia de facto, e per tale aspetto fiss� la situazione politica per un secolo e
mezzo a venire, con la breve eccezione del regno di Grimoaldo. Il regno longobardo
non incluse il sud, e la storia del mezzogiorno � diversa, come si vedr� nel capitolo
sesto. A1 nord, per�, Agilulfo riusc� ad avere il riconoscimento della propria
supremazia da parte di tutti gli altri potenti gruppi longobardi, e su questa base
cominci� a consolidare lo stato, che per la prima volta comincia a prender forma nelle
nostre fonti. Lo fece anche imitando accuratamente forme e cerimonie romane e
bizantine, e sicuramente si serv� di consiglieri e ministri romani, fra i quali Secondo di
Non. Sulla decorazione in oro d'un elmo ritrovato in Toscana appare una sua
immagine, fiancheggiato da guerrieri longobardi ma pure da angeli che portano
insegne recanti la parola victoria. Un'iscrizione ce lo presenta con i titoli
romaneggianti di grat(ia) d(e)i, vir glor(iosissimus), rex totius Ital(iae). E, imitando
Autari, egli us� certamente il titolo romano e ostrogoto di flavius. Nel 604 volle che il proprio figlio Adaloaldo, gi� battezzato cattolico, venisse presentato come re nel circo romano di Milano (alla maniera degli imperatori a Costantinopoli), al cospetto di
ambasciatori provenienti dalla Francia10.
E� chiaro che Agilulfo, utilizzando una serie piuttosto eclettica di immagini, mirava a
dare al suo regno una patina di romanit�. Bognetti lo ha visto come una figura eroica,
il guerriero ariano (o pagano) che cercava di romanizzare e cattolicizzare la sua corte
e la sua eredit� simile in molti modi al Teodorico di un secolo prima e, come
Teodorico, suscitando l'ira nazionalistica germanica sui propri successori, cos� da far
iniziare una serie di colpi di stato religiosi e guerre civili che durarono nell'assieme
dal 626 al 690. L'interpretazione di Bognetti mi sembra per� molto azzardata. In ogni
caso, l'intera vicenda della storia religiosa dei Longobardi va discussa, pur se
brevemente.
I Longobardi erano sicuramente per la maggior parte pagani al momento del loro
arrivo in Italia nel 568, pur se conosciamo poco circa le loro pratiche: i sacrifici resi
alla testa di un capro, come racconta Gregorio Magno, o in un tempietto nel bosco,
secondo quanto dice Giona di Bobbio (che scrisse nel quinto decennio del VII secolo),
o tirando frecce contro una pelle appesa ad un albero, come nella vita di Barbato del
secolo IX riguardante il vescovo di Benevento vissuto nell'ottava decade del secolo
VII11. Ma sovrapposta a ci�, almeno per una parte dell'aristocrazia, c'era la religione
cristiana. Dalla met� del VI secolo furono in gran parte cattolici, ma sin da Alboino
cominciarono ad essere ariani, almeno a corte. Sappiamo che Autari fu attivamente
ariano. Pu� darsi lo sia stato anche Agilulfo: di certo non fu cattolico, pur se gran
parte della sua corte lo fu; Aricaldo (626-36) e Rotari (636-52) lo furono certamente.
Dei re pi� tardi non sappiamo se qualcuno fu ariano, ma Grimoaldo probabilmente si
(66271). Adaloaldo (616-26), Ariperto (652-61) e i successori di Grimoaldo furon
tutti cattolici. Bognetti sostiene che ci sia stata una grande frattura tra elementi �
progressisti �, che desideravano introdurre il cattolicesimo alla corte longobarda e
della societ�, e i gruppi di guerrieri nazionalisti e tradizionalisti, che usavano
l'arianesimo di Alboino e Autari come pietra di paragone. Agilulfo pot� circondarsi di
cattolici, come la moglie Teodolinda, o Agrippino vescovo di Como, o l'irlandese
Colombano (che fond� nel 613 il monastero di Bobbio), in quanto nell'Italia
settentrionale il cattolicesimo si ricollegava allo scisma dei Tre Capitoli (un conflitto
sull'ortodossia di tre trattati di teologia, che nascondeva tensioni interne alla chiesa
d'oriente, e tra l'Imperatore di Bisanzio e il Papa di Roma) fin dal 551 e si opponeva
quindi sia al papato che ai Bizantini. Per�, quando, sotto Adaloaldo e la madre
reggente Teadolinda, si manifestarono tendenze atte a por fine allo scisma, i
nazionalisti longobardi cominciarono ad agitarsi. E quando nel 626 l'imperatore
d'Oriente Eraclio inizi� a vincere nelle sue guerre contro i Persiani, rendendo in tal
modo pi� palpabile la minaccia bizantina, i Longobardi, allarmati, sostituirono
prestamente ad Adaloeldo un ariano, Arioaldo. Da quel momento in poi, ogni
qualvolta i Longobardi ebbero un re cattolico, ogni sua attivit� fu indebolita dal
pericolo di una rivolta dei tradizionalisti, come accadde nel 661-2, e poi ancora nel
688, quando il duca ribelle di Trento, Alachi, giunse, senza rimanervi molto, al trono.
Alcuni dei problemi relativi all'affresco di questo periodo scendono in dettagli
particolarissimi, che non sono rilevanti per la nostra narrazione. I1 quadro che Bognetti offre, per�, � quello di gruppi ben definiti, legati a consapevoli ideologie
politiche, e sarebbe cruciale per la nostra analisi se fosse vero; esso non � tuttavia
totalmente attendibile. Innanzitutto c'� l'assenza di prove attestanti qualche particolare
fervore religioso durante l'epoca longobarda. All'editto anti-cattolico di Autari
abbiamo gi� fatto riferimento: si limit� a proibire ai Longobardi di battezzare
cattolicamente i propri figli. Comunque, fra i seguaci di Autari ci furono dei cattolici,
e Gregorio ne nomina uno12. In avvenimenti di cui siamo a conoscenza si possono
vedere Arioaldo e Rotari che rispettano, se non altro, i diritti della Chiesa di Roma sui
cattolici in territorio longobardo. Della sensibilit� religiosa di Grimoaldo non
sappiamo assolutamente niente, pur se Paolo, la nostra maggior fonte in questioni del
genere, non � giunto mai ad ammettere che alcuno dei suoi re sia stato ariano con
l'unica eccezione di Rotari. I re del tardo secolo VII e dell'VIII, divenuti ormai
chiaramente cattolici, non mostrano zelo maggiore dei re ariani. Lo stesso uso della
Chiesa come strumento politico per il rafforzamento dello stato, cosa ricorrente tra le
monarchie alto medievali, � del tutto assente sino ai tempi della conquista franca13.
Alboino si convert� all'arianesimo per evidenti motivi politici, e l'ultimo re che
sostenne l'arianesimo in modo attivo mor� nel 590, soltanto venticinque anni pi� tardi.
Non si tratt� di un periodo sufficientemente lungo perch� si installasse fra i
Longobardi la coscienza del valore potenziale dell'arianesimo come vessillo del
nazionalismo.
Un secondo problema � costituito dal fatto che il colpo di stato del 626, in cui fu
rimosso Adaloaldo, venne aiutato dai vescovi cattolici del regno longobardo, come
possiamo apprendere da una lettera indignata di Onorio I14. La cosa non apparirebbe
molto strana se fosse vero che Adaloaldo aveva ricusato lo scisma dei Tre Capitoli,
come ha sostenuto Bognetti; ma abbiamo troppo poche prove per affermarlo. D'altro
canto, il fatto che sia i vescovi (cio� i Romani) sia i Longobardi contribuissero alla
caduta di Adaioaldo, e che il Papa e l'esarca la deplorassero, mostra che contro
Adaloaldo non erano schierati soltanto i nazionalisti longobardi. Paolo afferma che
Adaloaldo impazz�; � possibile. Oppure, cos� come era successo con Amalasunta e
Teodato un secolo prima, pu� essere che avesse progettato una totale riconciliazione
con Bisanzio sul piano politico. Ma in ogni caso, supporre che ci fosse un
raggruppamento irredentistico fra i Longobardi, in forza di un'ideologia religiosa
coerente e dell'assunzione del ruolo di custodi della politica, pare superfluo e
anacronistico. Paolo ci fornisce un'unica prova della consapevolezza politica dei
Longobardi: quando nel 663 il nuovo re Grimoaldo torn� al suo ducato di un tempo,
Benevento, per combattere un'invasione bizantina, molti Longobardi (fra cui il suo
reggente, Lupo, duca del Friuli) conclusero che non ne sarebbe tornato pi�, e
abbandonarono la sua causa15. Ci� non quadra molto con la visione politica
internazionale che Bognetti suggerisce come tipica dei nazionalisti del 626.
Personalmente, preferisco considerare l'alternanza di credo religioso nei re del VII
secolo come l'indice non della centralit� della religione per i Longobardi, bens� della
quasi totale irrilevanza del personale schieramento religioso all'interno di un sistema
politico assolutamente secolare. Diversamente dai Franchi, i Longobardi non ebbero
bisogno della Chiesa per rafforzare il proprio stato. Piuttosto, poterono far ricorso,
come vedremo, a parecchi residui delle istituzioni della tarda romanit�.
D'altra parte, nelle nostre fonti � possibile scorgere due diverse correnti all'interno
della monarchia del secolo VII, che possono venir collegate, con cautela, a fedi
religiose: da un lato, la tradizione di Agilulfo, della corte cattolica con legami col
cerimoniale e la cultura romani e bizantini, seguita dai discendenti del fratello di
Teodolinda, Gundoaldo, la dinastia bevarese, che govern� pi� o meno dal 652 al 712;
da un altro lato, quella che potrebbe venir definita la tradizione � del paese�, la
monarchia di uomini che avevano cominciato col titolo di duchi e s'erano legati alla
corte attraverso matrimoni: Arioaldo, Rotari e Grimoeldo. Le due tendenze non si
cristallizzarono in raggruppamenti politici; rappresentarono solo un contrasto fra le
origini sociali degli uomini che erano nella posizione di giungere al supremo potere
dell�organizzazione statale. Tuttavia, Rotari e Grimoaldo, almeno, agirono
diversamente rispetto ai Bavaresi. Promulgarono leggi e contribuirono alla
legislazione longobarda.
L'Editto di Rotari del 643 costituisce l'esposizione pi� sistematica e su pi� ampia scala
delle consuetudini germaniche giunta sino a noi e proveniente da un regno germanico,
con la sola esclusione dei Visigoti16. Ma il codice dei Visigoti � fortemente
influenzato dal diritto rornano in generale. L'Editto di Rotari, viceversa, � romano
solo per quel che riguarda il linguaggio, certe affermazioni basilari sulla propriet� (e,
fino a un certo punto, il molo e la figura pubblica dello stato), e la sua inclusivit�.
Entra attentamente nelle sfere della corte e dell'esercito, della compensazione per le
ferite, della propriet� fondiaria e delle responsabilit� (in misura minore), l'eredit�, il
matrimonio, la schiavit�, i crimini agricoli e la procedura legale. Rotari s'accontent�
per lo pi� di esporre le consuetudini, pur se di tanto in tanto ammise specificatamente
di aver alterato qualche usanza, cosi come fece nell'aumentare la compensazione
monetaria nel caso di ferimenti per rendere pi� onorevole la rinuncia alle falde.
Redasse invece una serie il pi� possibile vasta, con l'aiuto dei suoi consiglieri, delle
usanze longobarde e vi appose il suo nome. Si tratt� di una cosa di stile tipicamente
germanico, e costitu� una maniera per accaparrarsi prestigio del tutto diversa da quella
di Agilulfo. Inoltre, ebbe a cadere nel contesto della prima guerra longobarda
d'aggressione dopo quattro decadi, nella quale Rotari conquist� gran parte dell'Emilia
e l'intera costa ligure. Ma la cosa fu resa possibile grazie alla organizzazione statale
risalente ad Agilulfo, all'interno di un sistema amministrativo di origine romana che
pot� fornire il personale (sicuramente romano) necessario per raccogliere e redigere
388 articoli di legge, e che pot� considerare l'Editto, una volta steso, un codice scritto
parallelo al codice romano, e suscettibile di mutamenti (con le aggiunte di Grimoaldo
e quelle dei sovrani dell'VIII secolo). Rotari non fu educato a corte e fu un ariano, ma
non si oppose alla tradizione di Agilulfo; costru� su di essa. In modo simile, Cuniperto
(679-700) miglior� l'amministrazione, e accrebbe l'importanza della capitale
longobarda, Pavia; ma uno dei cardini della sua amministrazione fu il codice
formulato da Rotari e Grimoaldo. Le due tradizioni, anzich� opporsi, paiono
integrarsi.
D'ora in poi si far� riferimento alle leggi con i nomi dei re.
Grimoaldo giunse al potere nel 662 strappandolo ai due figli di Ariperto I, Godeperto
e Pertarito, iniziatori di una guerra civile che segn� le origini di un conflitto
sanguinoso sfociato in una serie di violenti colpi di stato tra i loro discendenti
(completamente cattolici) nel 701-2. Grimoaldo era duca di Benevento, pur se figlio
di Gisolfo II del Friuli. La cosa � interessante perch� indica i rapporti di parentela fra
ducati situati ai poli opposti dell'Italia, nonostante l'indipendenza de facto di
Benevento. Ma il fatto che un duca di Benevento si potesse sentire sufficientemente
parte del sistema politico longobardo da reclamarne la corona suggerisce
qualcos'altro. Ci furono molti colpi di stato nella storia dei Longobardi: dieci o undici,
per non nominare che quelli che ebbero successo. A volte si interpreta ci� come un
segno della debolezza politica dei Longobardi. Quanto fosse forte lo stato lo si vedr�
fra poco, ma la tendenza a prendere il potere con un colpo di stato non � un segno
della disgregazione dei Longobardi ma, al contrario, della sostanziale coesione del
sistema politico. Max Gluckman in uno dei testi classici di introduzione
all'antropologia sociale ha mostrato come la ribellione compiuta da gruppi che
rispettano i confini di un sistema politico pu� rafforzare, piuttosto che minare, un tale
sistema.17Ha fatto l'esempio degli Zul�, nel cui stato le comunicazioni etano cosl
difficili che sarebbe stato facile per i vari sovrani locali mantenersi indipendenti.
Invece, quei sovrani potevano, ribellandosi, aspirare al titolo reale, e le periodiche
guerre civili, scoppiate attorno a candidati rivali in lizza per il regno unitario,
rafforzarono quell'unit�. In modo simile, � possibile vedere come l'indipendenza dei
duchi longobardi all'interno del regno sia stata distrutta da Agilulfo e come, dopo il
regno di questi, non si trovino pi� duchi alla ricerca dell'indipendenza. Diversamente,
essi cominciarono ad aspirare al trono, con Arioaldo di Torino nel 626, Alachi di
Trento nel 688 circa, Rotari di Bergamo nel 702 circa, Rachi del Friuli nel 744,
Desiderio di Brescia nel 756, e altri. I1 fatto che anche Grimoaldo abbia compiuto
questo tentativo nel 622 sta a indicare che per certi aspetti anche Benevento poteva
essere coinvolta in tali esperienze pur se eccezionalmente. Grimoaldo lasci� suo figlio
Romoaldo come duca indipendente, e fu solo nel quarto decennio dell'VIII secolo che
Liutprando sottomise il sud al controllo reale Se ne pu� dedurre che, nonostante il
legame ereditario con la dinastia bavarese che perduro con qualche interruzione fino
al 712, il sistema politico longobardo permetteva a coloro che, sia ariani sia, sempre
pi�, cattolici, ritenevano di poter raccogliere attorno a s� forze militari e politiche
sufficienti a conquistare il potere, di esplicare pienamente le proprie personali
ambizioni. Ci� pu� produrre una debolezza nel sistema politico, ma non
necessariamente, e nel caso dei Longobardi non la produsse18. Argomenti simili
potrebbero essere addotti in merito ai problemi sulla successione tra i Visigoti in
Spagna nel secolo VII.
La corte reale e la costruzione dello stato costituivano la base del potere reale
longobardo. Entrambe si reggevano su una capitale, Pavia, dove si trovava il palatium
reale o curtis regia. Non � che Pavia avesse avuto sempre quel ruolo (Alboino
probabilmente le prefer� Verona, e Agilulfo Milano), ma verso il 620 fu pi� o meno
accettata come la citt� principale, e lo rimase per quattro secoli. Venne arricchita di
edifici monumentali che esprimessero quel suo ruolo: il palazzo stesso, di origini
ostrogote, un'intera serie di chiese fondate da re e regine a partire almeno dalla met�
del secolo VII, e uno dei pochi complessi termali che si sappia funzionante in quel
secolo. Se non fu modellata esattamente su Costantinopoli, lo fu sul modo in cui
quella citt� era concepita, e, pi� direttamente, su Ravenna. Eccettuando la Toledo dei
Visigoti e la Aquisgrana di Carlo Magno (che fu per poco tempo capitale), non ebbe
alcun parallelo nell'Europa occidentale. Sin dai tempi di Cuniperto in poi, � possibile
rintracciare una successione di grammatici che vi han risieduto, con lo stesso Paolo
Diacono sotto Desiderio attorno al 760, e divenne probabilmente gi� allora il centro
degli avvocati e dei notai, anche fuori dai confini della corte reale vera e propria19
L'organizzazione centrale dello stato era chiaramente di derivazione romana.
Esistevano alcune cariche cerimoniali appartenenti di certo alla tradizione longobarda,
marpabis, scilpor, scaJard, antepor, stolesaz, molte delle quali sono difficilmente
definibili pur se sappiamo che lo stolesaz era il tesoriere (incarico particolarmente
importante alla corte di Benevento, che imit� le tradizioni longobarde), e il marpabis �
a volte chiosato come strator o stalliere. Ma dall'epoca in cui cominciamo ad aver
documenti della corte, cio� dal regno di Liutprando, non sono tanto quelle figure che
incontriamo, quanto incarichi di chiara origine romana, maiordomus, vesterarius,
camerarius, actionarius, e in particolare il referendarius e tutta una serie di notari di
corte. Questi ultimi erano incaricati di redigere i diplomi reali, registrazioni formali di
decisioni e doni del re, che venivano stilati prima dal referendarius. I1 maiordomus e
gli altri avevano incarichi pubblici, sia domestici che amministrativi, a Pavia, ma
funzionavano anche da rappresentanti, almeno parziali, del sovrano nel resto
dell'Italia, come una sorta di missi carolingi. Era a loro che venivano sottoposti casi
giuridici difficili nelle province. Liutprando invi� il maiordomus Ambrosio nella
primavera del 715 e il notarius e missus reale Gunteramo nell'estate dello stesso anno
a sentire le prime discussioni dell'interminabile disputa relativa ai confini tra le
diocesi di Siena e di Arezzo20. Tutti quei funzionari pubblici, con l'aiuto degli
stratores, davano udienza anche a Pavia. Tali funzioni giuridiche rendono difficile
separare i singoli compiti di ciascuno di loro, tanto che i funzionari di palazzo, in
modo simile ai duchi e ai gastaldi delle province, sono spesso chiamati semplicemente
iudices. Ma a Pavia formavano comunque un gruppo ben definito, potenzialmente
disponibile per chiunque avesse bisogno della ratificazione reale di un atto giuridico o
desiderasse appellarsi contro una decisione della magistratura. I re o i loro pi� vicini
rappresentanti dovettero ratificare molti atti giuridici assai banali, nei nostri testi
dell'VIII secolo, quali la copia autentica di una concessione fondiaria fatta da un
notabile toscano durante il regno di Astolfo, o una piccola alterazione di dettagli nel
testamento di Gisolfo strator di Lodi nel 759. Nel 771 i tre proprietari di una chiesetta
privata nei pressi di Lucca si appellarono al re in una disputa legale col vescovo
Peredeo, Desiderio ingiunse a Peredeo di riconsiderare le loro istanze e di riconosere i
loro diritti, cosa che il vescovo fece21. I1 re mantenne in uso ~�nche molte prerogative
e molti oneri del tardo stato romano: la zecca, ia determinazione dei prezzi, la
conservazione delle mura cittadine22. La presenza di Pavia quale forza politica nel
Per la determinazione dei prezzi: Memoratorium de Mercedibus Commacinorum
regno fu senz'altro efficace. Una cosa soltanto contraddistingue nettamente il regno
longobardo dal tardo Impero e dallo stato degli Ostrogoti: non riscosse imposte
fondiarie. Di certo i re ricevettero abbondanti proventi dalle tasse sulle attivit�
commerciali, dazi di importazione, imposte sulle vendite e dazi portuali, fra i quali �
pressoch� impossibile distinguere chiaramente: datio, teloneum, siliquaticum,
ripaticum, portaticum, tutti con radici tardo romane. Poterono anche beneficiare di
manodopera di corv�e (angaria, scuvide o utilitates), da parte probabilmente di uomini
liberi romani e longobardi23. Ma gli imperatori avevano considerato tutte queste
tassazioni come banalit� in confronto all'imposta fondiaria, che era stata la vera fonte
di sostentamento dello stato. Nel caso in cui quell'imposta sia rimasta in vigore in
epoca longobarda, ci� pu� esser successo solo in modo frammentario e irrilevante. Ad
esempio, in un diploma di Carlomagno del 792 si fa riferimento a una decima versata
in precedenza allo stato dalla chiesa di Aquileia; se il peso di quelle tasse fosse stato
per� rilevante e normale, ne avremmo senz'altro qualche cenno in altri documenti24.
La mancanza di un'imposta fondiaria, per�, muta l'intero rapporto fra stato e societ�.
L'imposta era stata essenziale per il funzionamento di intere attivit� sociali, quali il
mantenimento dell'esercito. Aveva costituito senz'altro la voce di maggior peso
finanziario per contadini e proprietari terrieri, e la sua raccolta annuale aveva segnato
certamente il momento in cui lo stato gravava maggiormente sulla societ�. Non deve
sorprendere che sia scomparsa durante le invasioni longobarde, considerata la
difficolt� che c'era sempre stata a riscuoterla. Sopravvisse per� nell'Italia bizantina.
L'esercito longobardo trov� invece il proprio sostentamento dall'insediamento diretto
sulle terre (cfr. pp. 92 ss.). Ma ci� signific� che, per quanto romane fossero le forme
dello stato longobardo, il suo peso istituzionale era molto diverso. Se si eccettuano
proventi straordinari, quali bottini di guerra o confische legali, le risorse finanziarie
dello stato derivavano ora quasi esclusivamente dalla sua stessa propriet� fondiaria.
Cos� che la propriet� fondiaria divent� in questo periodo pi� che uno strumento per
ottenere il potere e l'influenza politici, come era stato con i Romani, il potere politico
vero e proprio. L'esercito venne ora organizzato localmente, come una sorta di dovere
pubblico, sotto il controllo dei duchi. Tuttavia, i duchi tendevano a rappresentare
anche i maggiori proprietari privati di terreni nei rispettivi loro territori, e avevano i
propri dipendenti; verso il 750 l'obbligo di fornire forze militari fu gi� misurato
secondo la propriet� fondiaria. Per cui il modello sociale, pur se inserito in una
struttura politica che doveva le sue linee generali alla tarda romanit�, era gi� divenuto
ampiamente � feudale �. Fintantoch� l'Impero poteva riscuotere le sue imposte esso
rimaneva ipso facio un'istituzione potente e sovrastante. Dall'epoca longobarda in poi
lo stato ebbe a dipendere per la sua stessa esistenza, pi� esplicitamente e direttamente,
dal consenso: il consenso dei suoi sostenitori pi� potenti, i duchi (e, pi� tardi, i conti)
e gli altri proprietari terrieri. Per il momento, in ogni caso, non aveva alcuna difficolt�
ad ottenere quel consenso. I re (con l'eccezione di Grimoaldo) non sembrano aver
dovuto essere troppo generosi con i loro sostenitori per ottenere il loro appoggio,
diversamente da quanto accadde per altri sovrani dell'Alto Medioevo. Solo a partire
dal 900, da quando cio� il potere statale cominci� a venir meno, i sovrani presero a
rilasciare grandi concessioni di terra. Nel frattempo, la sopravvivenza di un sistema
MGH Leges, IV, pp. 176~0. Per le mura di cinta cittadine V. Fainelli (curatore)
Codice Diplomasico Veronese, I (venezia, 1940), n. 147.
legale complesso che si basava sui centri di potere regi, e su un equilibrio di forze nei
centri minori, la citt�, costituiva la base pi� sicura per l'egemonia dei re longobardi,
come vedremo nei capitoli seguenti.
L'amministrazione locale longobarda era pure, in massima parte, di derivazione
romana. I1 regno risultava da un complesso di circoscrizioni locali che
corrispondevano, nella maggior parte, ai territori cittadini e alle diocesi ecclesiastiche
romani. A controllarli c'erano duchi e gastaldi, che vivevano nelle citt�, rafforzando
cos� il predominio che le citt� avevano sempre avuto sui territori circostanti. A volte si
verificavano cambiamenti, quasi sempre chiaramente motivati. La difesa dei confini
locali era il motivo principale, e produceva grandi ducati come il Friuli, o in altre aree
una proliferazione di distretti amministrativi basati su castra, roccaforti difensive,
come Castelseprio e Sirmione ai piedi delle Alpi, e un'intera catena di castra negli
Appennini toscani ed emiliani a controbilanciare le difese appenniniche bizantine25.
Laddove i confini fra territori di singole citt� venivano a mutare, le citt� che
perdevano appezzamenti tendevano a fare resistenza, cos� che i re dovevano risolvere
le dispute, come accadde tra Parma e Piacenza (almeno quattro volte fra il 626 e
1'854) e tra Siena e Arezzo. In quest'ultimo caso, i confini amministrativi di Arezzo
non s'erano veramente estesi; tuttavia, all'inizio del VII secolo, durante una lunga
vacanza di vescovi a Siena, la diocesi di Arezzo era giunta a includere una ventina di
chiese senesi. I vescovi senesi considerarono una tal cosa un'anomalia intollerabile e
vennero appoggiati dai propri gastaldi. Liutprando stette dalla parte di Arezzo, e cos�
accadde anche per una serie di re e di papi, pur se un giudizio contrario espresso da
papa Leone IV nell'850 ingarbugli� tanto la disputa da impedirne la soluzione per
molti secoli26.
Ovviamente, in qualit� di duchi furono nominati i capi militari dell'esercito di
Alboino, collocati subito in singole citt�, e presto incaricati anche di responsabilit�
civili. I gastaldi, invece, pare fossero originariamente gli amministratori locali del
fisco reale (cio� le entrate del re, derivanti allora quasi esclusivamente da terreni). Per
Rotari di certo le due funzioni pubbliche coesistono nella stessa citt� e anzi egli le usa
come meccanismi di appello27. Ma sotto Agilulfo si nota che i gastaldi rimpiazzano i
duchi nelle citt� ribelli, e in Toscana la maggior parte delle citt� (tranne Lucca e
Chiusi) sembrano non avere avuto mai alcun duca. Nei ducati meridionali, i gastaldi
costituivano gli unici rappresentanti politici locali, ma erano per� totalmente
sottoposti ai duchi che reggevano il governo centrale a Spoleto e a Benevento. I1
ruolo duplice dei gastaldi sembra essersi cristallizzato a Siena tanto che nel 715
coesistettero due gastaldi. Non si pu� sapere con certezza se la netta separazione dei
poteri fu una caratteristica diffusa; ma a Lucca, almeno, la curtis regia ovvero il centro
politico-amministrativo locale era geograficamente separato dalla curtis ducalis, la
corte del duca, e a Brescia, nel 759-60, il re Desiderio distinse nei suoi diplomi tra la
propriet� del re (curtem nostram), la propriet� ufficiale del duca (curtis ducalis) e la
propriet� personale da lui posseduta, o affidatagli, quando si trov� duca in quella citt�

sotto Astolfo28. Duchi e gastaldi godettero entrambi di un considerevole rispetto locale
e mostrarono grande impegno nelle vicende locali, ma � significativo che, con rare
eccezioni, non sia possibile ripercorrere dinastie degli uni o degli altri. Agli inizi ne
ebbe una il Friuli, ma essa si perse nel quarto o quinto decennio del secolo VII. La
stessa Spoleto mut� dinastia parecchie volte, subendo di solito le pressioni dei re.
Soltanto Benevento continu� indisturbata (sotto l'ex dinastia friulana), almeno sino al
regno di Liutprando.
Per quanto riguarda ambiti di minore ampiezza delle citt�-territorio, d'altra parte, la
confusione � estrema. Le leggi alludono a funzionari pubblici minori, gli sculdabis, il
centenarius e il lecanus. Si sono fatti vari tentativi di organizzarli in gerarchie
verosimili con verosimili circoscrizioni; in generale per� non s'� avuto alcun
successo. Non c'� alcun motivo per credere che avessero nell'Italia longobarda le
stesse funzioni che adempivano altrove. In alcuni casi, tali funzionari devono avere
avuto responsabilit� locali: � chiaro che Liutprando lo d� per scontato nelle sue leggi,
e di tanto in tanto troviamo riferimenti a decani e centenari, responsabili forse per i
villaggi toscani e i territori relativi. Pi� a nord, comunque, non si riesce a trovarne
tracce nel periodo longobardo. Nel ducato di Spoleto pare che entro il gastaldato di
Rieti gli sculdabes abbiano avuto incarichi ufficiali, ma solo nella cerchia del
gastaldo, e non fuori di quella citt�29. La relativa omogeneit� del governo centrale e
dell'amministrazione cittadina sparisce completamente a livello locale. Non si pu�
dire se ci� fosse risultato del caos delle guerre gotiche e longobarde o se invece sia
soltanto la pi� antica prova documentata in nostro possesso di contrasti ancor pi�
remoti. L'unit� locale base dello stato longobardo fu essenzialmente la citt� con il
territorio che la circondava; essa costituiva una struttura cellulare, in parte risultato
della volont� di Alboino di lasciare il governo delle citt� ai duchi, ma soprattutto
continuazione della tradizionale ripartizione sociale e geografica dell'Italia.
Soddisfatta la coerenza a questo principio, il problema delle unit� minori pare aver
contato poco.
Con l�VIII secolo, tale quadro politico si consolida. Grimoaldo sconfisse l'ultimo
tentativo bizantino di riconquistare territori longobardi, sotto l'imperatore Costante II
nel 663, e ne seguirono sessant'anni di pace, con l'eccezione di alcune espansioni dei
Beneventini (Taranto e Brindisi nel penultimo decennio del VII secolo, la Valle del
Liri nel 702 circa). La dinastia bavarese si distrusse da s� attraverso una serie di colpi
di stato a catena tra il 701 e il 712, e nel 712 il suo ultimo re, Ariperto lI (701-12),
venne spodestato da Ansprando. Ansprando mor� quello stesso anno, e gli successe il
figlio Liutprando (712-44). Liutprando e i tre principali suoi successori, Ratchis (744-
9), Astolfo (749-56) e Desiderio (757-74) mostrano identit� individuali e
atteggiamenti sottilmente differenti. Diviene cos� possibile una storia politica30.
I1 padre di Liutprando era stato il tutore di Liutperto (700-2), figlio di Cuniperto, ed
era salito al potere con l'aiuto militare del duca dei Bavaresi. In senso politico era
chiaramente l'erede di Cuniperto, tuttavia non rientrava nella tradizione dinastica della
corte di Pavia, e per quel che riguarda le sue gesta si mostr� pi� un seguace di Rotari

e Grimoaldo. Con Liutprando venne a configurarsi nella sua completezza la sintesi
delle due tendenze della monarchia longobarda nel VII secolo. I1 suo primo gesto, nel
713, fu di rivedere le disposizioni del codice di Rotati in merito all'eredit�. La rapidit�
della revisione � sintomatica: ci deve essere stata una considerevole pressione
popolare a favore di maggiori diritti ereditari per le donne e della legittimazione delle
donazioni lasciate alla Chiesa. Liutprando stesso ne accenna in una notizia del 733 in
cui si lamenta dell'avidit� dei funzionari reali, e si chiede perch� non s'accontentino
delle concessioni di cui gi� godono. I provvedimenti sembrano avere avuto un
riscontro immediato; quasi le prime donazioni alla Chiesa di cui ci sia giunta notizia,
seguono subito nel 71431. L'importanza della legittimazione esplicita di atti giuridici
da parte dei re dimostra quanto fossero forti l'autorit� del re e della legge, come
vedremo nel capitolo quinto. Dimostra altres� l'influsso del diritto romano, poich�
questi mutamenti andavano nella direzione della pratica legale romana. I Romani
costituivano la gran maggioranza degli abitanti dell'Italia longobarda, ma cominciano
a spuntare solo nelle fonti che documentano il regno di Liutprando, pur se alcuni
s'eran gi� notati nel VII secolo, come Pietro figlio di Paolo, l'aiutante di Adaloaldo, e
la nobildonna romana Teodota, di cui s'innamor� Cuniperto alle terme32. I1 rapporto
fra Romani e Longobardi verr� discusso pi� avanti, ma possiamo notare fin d'ora
come Liutprando fosse stato influenzato dal diritto romano. Non per� in modo
indiscriminato: elementi romani ebbero a inserirsi in una cornice legale fermamente
longobarda. Il resto della legislazione sull'eredit�, ad esempio, rimase totalmente
longobardo. Cos� ancora, nel 731, Liutprando: rese il combattimento conosciuto come
� giudizio di Dio � un avvenimento dal valore accuratamente circoscritto: � poich�
non siamo sicuri sulla verit� del giudizio di Dio, e abbiamo saputo di molti che hanno
perduto la loro causa ingiustamente; ma, poich� esso rientra nelle tradizioni della
nostra gente longobarda, non possiamo proibire del tutto la legge che lo autorizza �33.
Sentimenti nobili, tipici della nazionalit� dei giudizi ad hoc di Liutprando; essi sono
comunque fermamente soggiogati alle norme del diritto longobardo. Questa cornice
Longobarda tradizionale che circondava ogni innovazione legale fu l'elemento
caratterizzante della versione di Liutprando della sintesi del VII secolo.
Liutprando legifer� durante l'intero suo regno, con l'eccezione degli ultimi nove anni,
aggiungendo 152 articoli all'Editto (158 se includiamo anche i sei capitoli della notitia
de acioribus regis, che nella sua essenza si configura come precorritrice del capitolare
carolingio). Per il resto egli tenne sotto fermo controllo i suoi duchi e, dopo il 126,
attacc� con una certa sicurezza tutte le altre potenze della penisola. Nel 726-7 invase
l'Esarcato e l'occup� per intero con la sola eccezione di Ravenna; quando se ne ritir�,
mantenne sotto il suo controllo le zone pi� occidentali. Nel 732-3, nel 740 e nel 743
ne rioccup� le altre parti, compresa, stavolta, Ravenna. Nel 733 scese verso il sud, e
mise il nipote Gregorio al potere a Benevento. Nel 739, in reazione ad un�alleanza a
lui ostile fra Spoleto, Benevento e il papato, espulse il duca di Spoleto e occup�
quattro citt� appartenenti a Roma, prima di tornarsene a nord per aiutare Carlo
Martello nella guerra contro gli Arabi in Francia. Nel 742 torn� nel sud e cacci� via i
duchi sia di Spoleto che di Benevento, tornando a nord solo nel 743 per occupare;
Ravenna: All'improvviso, per la prima volta dopo sessant'anni, il potere militare
longobardo dimostrava di non avere alcun rivale in Italia. Al tempo di Rachi, Spoleto

viene assorbita entro la cornice del regno: le sue pratiche notarili dipendono sin da
allora da Pavia, e i re acquisiscono il diritto di alienare le propriet� dei duchi. Tra il
751 e il 756 Astolfo elimin� addirittura la figura del duca34. Come conseguenza,
Spoleto sarebbe stata incorporata saldamente nell'Impero Carolingio. Anche
Benevento, almeno parzialmente, fu assoggettata a Pavia, pur se in questo caso solo
come conseguenza del riconoscimento della supremazia del settentrione, rafforzata
dalla capacit� degli eserciti settentrionali di spodestare in qualsiasi momento i suoi
duchi. Cosa intendesse fare Liutprando delle parti bizantine dell'Italia � meno certo.
Non sembra avere avuto progetti di occupazione territoriale permanente in merito ai
possedimenti romani, e, nel 744, dietro richiesta del papa Zaccaria, evacu� Ravenna.
Pare avesse riconosciuto un'esistenza indipendente e legittima all'Esarcato, pur se non
ai ducati longobardi. Quando giunse al potere Astolfo, le cui idee erano alquanto
differenti, l'equilibrio internazionale delle forze era mutato.
Ildeprando successe allo zio Liutprando, ma fu destituito quasi subito da Rachi del
Friuli (744). Rachi pare aver seguito la politica di Liutprando, attaccando Roma e
Ravenna, e poi ritirandosi. Le sue quattordici leggi del 746 rientrano nelle tradizioni
di Liutprando. I1 problema che maggiormente afflisse il suo regno � quello dell'abuso
di potere da parte degli iudices (duchi e gastaldi) e dell'opposizione illegale nei loro
confronti. Non si trattava di un problema nuovo per i re longobardi (o per i loro
predecessori): sia Rotari che Liutprando lo affrontarono nelle loro leggi, e Rachi
stesso usa termini tardo-romani, quali patrocinium, nella propria analisi della
situazione35. In effetti, i re longobardi, come tutti i sovrani medievali, erano
praticamente impotenti dinanzi all'abuso di potere da parte dei loro rappresentanti
locali (quello che Rachi definisce il favoritismo nei confronti di dipendenti, parenti,
amici, o persone che sborsavano denaro), in quanto il loro potere locale era basato
proprio su quei rappresentanti. Si pu� dire che almeno qualche tentativo venne fatto,
come indicano le leggi; e, per esempio, Liutprando cacci� Pemmo (padre di Rachi)
dal ducato del Friuli, per aver questi trattato iniquamente il patriarca di Aquileia36.
Quel che queste leggi non mostrano � la presunta insicurezza vissuta da Rachi di
fronte alla crescente inquietudine civile; inquietudini di tal sorta erano comuni nella
societ� altomedievale. Pi� serie furono le misure che egli prese soprattutto contro la
Francia37, per proteggere i confini dalle infiltrazioni di nemici e di spie, e dalla fuga di
informazioni segrete e di persone.
La Francia fu sempre pi� potente del regno longobardo, anche durante l'eclissi politica
dei Merovingi nel tardo VII secolo, e i Longobardi fecero bene attenzione a rimanere
in rapporti amichevoli. Dopo il regno di Agilulfo, le due potenze si mantennero
alleate, con l'unico intervallo dell'invasione dei Franchi nel 662 (a favore del re
esiliato Pertarito), fino al regno di Liutprando. Come s'� visto, Liutprando e Carlo
Martello combatterono assieme contro gli Arabi. Quando nel 740 il papa Gregorio III
chiese l'aiuto dei Franchi contro Liutprando, questo gli fu negato. Ma il papato aveva
sempre pi� bisogno dei Franchi contro i Longobardi, in quanto gli imperatori
bizantini, sia per differenze religiose che per le guerre in Oriente, non erano pi�
disposti a venire in aiuto di Roma. Dopo la morte di Carlo Martello nel 741, il papato

e i Franchi avviarono un ravvicinamento che port� al riconoscimento papale della
dinastia carolingia come dinastia reale in Francia, nel 752. Era pi� che logico che
Rachi se ne preoccupasse: la Francia era anche la patria tradizionale degli esuli
longobardi e avrebbe potuto, volendo, aiutarli. Nel 749 egli si ritir� nel monastero di
Montecassino, dopo essere stato destituito (probabilmente con un colpo di stato) dal
suo energico fratello Astolfo. I problemi si acuirono. Come abbiamo detto, Astolfo
assorb� completamente Spoleto. Nel 751 occup� Ravenna, con tutta l'intenzione di
rimanervi, come si pu� vedere dalle testimonianze relative alle edificazioni (poi
interrotte) da lui intraprese in qella citt�. Nel 752 chiese il tributo dei Romani, e il
controllo sui castra della campagna romana. Dopo il fallimento dei negoziati, il papa
Stefano II si rivolse ai Franchi. Nel 755 (o 754) i Franchi, guidati da Pipino III,
attaccarono; Astolfo li affront� in una battaglia campale e perse. Dentro l'assediata
Pavia firm� l'accordo coi Franchi, cedendo al Papa tutto l'Esarcato (contro il desiderio
dei ravennati, che certo preferivano il dominio dei Longobardi piuttosto che quello del
Papa). A seguito della rottura della pace, nel 756, Pipino invase nuovamente il regno
longobardo e si giunse a un nuovo accordo. Entro l'anno Astolfo mor�.38
In generale gli storici hanno giudicato severamente Astolfo, vedendolo
esclusivamente con gli occhi dei suoi nemici. La storia di Paolo si ferma al 744, e del
resto la sua ipersensibilit� in merito ai cattivi rapporti fra re longobardi e papato lo
avrebbe reso poco affidabile per il periodo seguente. Ci restano soltanto gli annali dei
Franchi e il Liber Pontificalis romano, analisi condotte con animo per nulla amico.
Quest'ultimo non lesina le parole nell'esprimere la sua opioione su Astolfo: il pi�
malvagio, il pi� feroce, spaventoso, empio, blasfemo, son tra gli epiteti pi� laconici.
In realt�, Astolfo stava solo portando alle loro logiche conclusioni le linee politiche di
Liutprando. Si pu� dire unicamente che ebbe la sfortuna di regnare in un momento in
cui i Franchi si mostrarono disposti a intervenire, poich� i Franchi erano invincibili.
Non fu neanche in vera opposizione nei confronti del papa, dal punto di vista
religioso. Nel 7S2, nel bel mezzo delle sue campagne militari, deleg� Roma a
decidere in merito alla terza fase della controversia fra Siena e Arezzo, affermando
che la cosa non era di sua competenza. Neanche Liutprando era giunto a ci�. Le sue
leggi mostrano preoccupazioni assai simili a quelle di Rachi, con forse l'aggiunta
significativa di una legge che castigava la tendenza dei potenti a fuggire dai doveri
militari. I Longobardi, probabilmente, erano assai meno pronti dei Franchi allo stato
di guerra permanente: parecchi aristocratici longobardi, come � noto, fecero
testamento prima di scendere in campo contro Pipino, e questo non contribu� certo
all'efficacia di Astolfo contro i Franchi39.
I1 regno di Desiderio (757-74) ha tutta l'aria di un commento in appendice sull'intera
situazione. All'inizio, Desiderio cominci�, con l'appoggio papale, vincendo una guerra
civile contro Rachi, riapparso momentaneamente da Montecassino per reclamare il
trono. Dapprima visse nell�ombra dell'alleanza franco-papale, pur se ci� non gli
imped� di controllare almeno Spoleto e Benevento. Dopo il 768, la morte di Pipino e

una difficile successione a Roma gli dettero l'opportuoit� di riaffermarsi, ma i re
longobardi ormai erano in trappola. In un'epoca di pi�
Netti confini (i Longobardi avevano persino introdotto i passaporti), i Longobardi non
potevano accettare tranquillamente l'esistenza dello stato pontificio nel centro
dell'Italia. Ma, quando Desiderio fu forte abbastanza da poterlo attaccare (nel 772-3),
a Roma c'era un papa della forza di Adriano I (772-94), e il figlio di Pipino,
Carlomagno, era unico re in Francia. Carlomagno, piuttosto controvoglia, invase
l�Italia nel 773 e sconfisse un esercito longobardo ai piedi delle Alpi. Tra l'autunno
773 e il giugno 774 assedi� Pavia e Verona, e quindi, entrando trionfalmente in Pavia,
s'incoron� re.
I1 regno longobardo cadde per la semplice ragione che la logica geografica imponeva
a qualsiasi re longobardo ambizioso di opporsi al pontefice in un momento in cui il
pi� forte esercito d'Europa era pronto a combattere dietro richiesta del papato. D'altra
parte Desiderio, nelle sue attivit� interne, pare esser stato tanto fiducioso e sicuro
quanto ogni suo altro predecessore. Di certo ebbe un'opposizione all'interno: il
cognato di Astolfo, Anselmo, abate di Nonantola, si rifugi� a Montecassino nel 760
circa, e torn� solo dopo la conquista franca; e un documento reale del 772 elenca nove
nobili infideles, uno dei quali, Augino, se n'era scappato proprio in Francia. Ma tutto
ci� avrebbe avuto ben poco peso se i Franchi fossero rimasti neutrali; conflitti di quel
tipo non costituivano alcuna novit�. Inoltre, nel 773-4, la gente si raccolse attorno a
Carlomagno, e gli Spoletani cacciarono via il duca Teodicio che stava dalla parte di
Desiderio. Adriano stesso; scelse Ildeprando, come suo successore.40 Ma tale
prontezza nello scendere a patti con i Franchi non pu� essere considerata una causa
della caduta di Desiderio, poich� ebbe luogo solo dopo la sconfitta militare
dell'esercito longobardo, quando gli italiani si resero conto che Desiderio aveva i
giorni contati. I1 regno longobardo era militarmente pi� debole di quello dei Franchi,
ma Carlomagno eredit� uno stato forte e bene organizzato.
Il Regno Carolingio
Carlomagno fu in Italia nel 773-4 per meno di un anno. Pavia cadde in giugno; prima
della fine della stagione delle campagne militari egli se ne torn� al nord, a combattere
in Sassonia. Ci� istitu� una tradizione che perdur� per tutto il periodo in cui vi furono
re d'Italia: governo d'oltralpe signific� monarca assente. Carlomagno ritorn� solo
quattro volte prima della sua morte nell'814 (776, 780-1, 786-7 e 800-1, quando gli
venne dato il titolo simbolico di imperatore da papa Leone III), ma cinque anni sono
notevoli quando si pensa a ci� che fecero alcuni dei suoi successori, e deriv� dal suo
desiderio di stabilizzare una parte dell'impero appena conquistata. In ogni caso, i
Longobardi non gli provocarono molti guai. Adriano I gli scrisse per avvertirlo di un
complotto, nel 775, fra diversi duchi longobardi e l'imperatore bizantino, ma quando
esso scoppi� nel 776 solo uno o due duchi vi erano effettivamente coinvolti, e il loro
capo, Rodgaudo del Friuli, cadde durante la battaglia. Carlomagno avrebbe potuto
prendere l'occasione per allontanare dal loro incarico tutti i duchi longobardi, ma
prefer� aspettare che morissero per sostituirli con conti franchi, e almeno un vecchio
ribelle, Aione, venne perdonato nel 799 e reinsediato, e il figlio di questi, Alboino,

divenne pure lui conte, durante il regno seguente. I ribelli longobardi persero i loro
possedimenti, che furono confiscati, ma i loro parenti pi� fedeli conservarono le
proprie terre. Di tanto in tanto venivano portati in Francia alcuni ostaggi, fra cui i
vescovi di Lucca, Pisa e Reggio Emilia, e probabilmente il fratello di Paolo Diacono,
Arichis, ma verso il 780 erano stati rilasciati quasi tutti. Pu� darsi comunque che
l'esercito di Carlomagno abbia tenuto un atteggiamento meno cauto: nel 776 egli
dovette emanare un capitolare riguardante le conseguenze di una seria carestia,
causata probabilmente dalle invasioni militari 41
Da quel momento, il regno longobardo divenne un regno dipendente dall'impero
franco, e le sue istituzioni cominciarono a mutare lentamente. Verso 1'814, i duchi
longobardi erano divenuti conti, per lo pi� franchi o alemanni; missi franchi sedevano,
in qualit� di messaggeri del re, alle corti locali. Ma l'influsso delle popolazioni
settentrionali in Italia fu piuttosto lento, e alla morte di Carlomagno era appena agli
albori. La politica locale e le corti locali non mutarono molto d'aspetto durante la
dominazione carolingia. Rimasero in piedi sia le strutture sociali italiane che le norme
che governavano l'attivit� politica. Ci� accadde in parte anche perch� si trattava di
norme non dissimili da quelle dei Franchi: l'Italia e la Gallia si erano sviluppate in
direzioni molto simili, fino a un certo punto, almeno. Per esempio, nel 774
Carlomagno cedette due valli alpine strategicamente importanti, la Valtellina e la
Valcamonica, ai monasteri franchi di San Dionigi e San Martino di Tours, compiendo
le uniche grandi donazioni di terra regia durante il suo regno. Si tratt� di una classica
azione politica franca. Tuttavia, gli ultimi re longobardi s'erano comportati
esattamente allo stesso modo con i monasteri da loro patrocinati, cosa che accadde per
esempio quando i re friulani Rachi e Astolfo incoraggiarono i Friulani a fondare i
monasteri importanti, anche strategicamente, di Sesto, Nonantola e del Monte
Amiata42. La politica rimase, sotto i Carolingi, quella che era stata sotto i Longobardi:
una politica basata sulla propriet� fondiaria.
La conquista franca non apport� grandi modifiche alla mappa dell'Italia. Ovviamente,
Carlomagno aveva conquistato solo il nord ed il centro dell'Italia, il regno longobardo
e il ducato di Spoleto. Spoleto: rimase parte del regno italico (come cominci� a venir
chiamato), pur se gran parte delle sue attivit� rimasero pressoch� del tutto
indipendenti. I papi conservarono lo stato pontificio che si trovava fra quei due
territori, il vecchio Esarcato di Ravenna e il ducato di Roma. Tuttavia, i Carolingi
mantennero di fatto il potere su d tutto quel territorio, con l'eccezione del retroterra
romano, e dopo la fine del IX secolo Ravenna stessa divenne una parte permanente
del regno. A sud, Benevento conserv� la sua indipendenza. I1 duca Arichi II (758-87),
genero di Desiderio, si dichiar� princeps, principe, nel 774, ed eman� diciassette leggi
come aggiunte al codice longobardo, attribuendo a qesti due gesti un valore di sfida a
Carlomagno. Benevento conserv� una tradizione legittimista longobarda per altri tre
secoli, fino alla conquista normanna della fine del secolo XI. Carlomagno, spronato
da Papa Adriano (che reclamava delle terre meridionali), invase Benevento nel 787.
Arichi chiese l'aiuto bizantino, ma mor�. Il suo erede, Grimoaldo III, non fu che un

ostaggio in mani franche. In cambio della sua liberazione, Grimoaldo ebbe il compito
imbarazzante di sconfiggere, l'esercito di sostegno bizantino che era arrivato nel 788,
capeggiato da suo zio Adelchi, figlio di Desiderio. Grimoaldo (787-806) riconobbe la
sovranit� franca, ma essa rimase puramente nominale. Lo si vede agire sempre come
un governante indipendente; combatt� varie guerre contro i Franchi, e coni� le proprie
monete43. Sin dai regni di Arichi e Grimoaldo, in realt�, c'� sufficiente materiale
documentario da permetterci di considerare Benevento come un'entit� indipendente, e,
eccettuati occasionali interventi franchi (particolarmente fra 1'866 e 1'873), la sua
storia rimase del tutto distinta. Ci� fu ancor pi� vero per quel che riguarda i territori
minori rimasti ai Bizantini nell'Italia meridionale; Napoli, Amalfi, e le zone greche di
Otranto e della Calabria; di tutti questi si parler� a parte nel capitolo sesto.
A scrivere la storia politica dei primi settant'anni dell'Italia carolingia si fa presto. Nel
781 Carlomagno incoron� il suo figliolo di quattro anni, Pipino, re d'Italia (781-810),
e dopo di allora vi pass� ben poco tempo. Pipino fu a capo di un'amministrazione
autonoma ma non indi. pendente, con un mutevole stuolo di guardiani: il cugino
Adalardo di Corbie prima, poi i beiuli (tutori) Waldo di Reichenau (circa 783-90) e
Rotchild (circa 800). Eserciti guidati da Pipino annientarono gli Avari nel 796 e
sottrassero Chieti a Benevento nell'80144. Quando mori Pipino, Adalardo ricomparve,
come tutore del giovane figlio di quello, Bernardo (812-7). Nell'814, tuttavia,
Lodovico il Pio, ultimo figlio sopravvissuto di Carlomagno, divenne unico
imperatore. Lodovico, che aveva tre figli propri, teneva in scarso conto i diritti del
nipote. Nell'817 divise l'amministrazione dell'Impero: il figlio maggiore ebbe l'Italia
con il titolo di imperatore; Bernardo, anche se non destituito apertamente, non fu
preso in considerazione. Si ribell� contro Lodovico, col sostegno di parecchi segusci
franchi del padre, e col sostegno anche, o la simpatia, di non pochi tradizionalisti in
Italia della Francia. La rivolta falli, e Lodovico fece accecare Bernardo che mor� per
le ferite riportate 45. Nell'822-4' il figlio di Lodovico, Lotario, fu visto per la prima
volta in Italia (mentre Lodovico il Pio non vi si rec� mai). Minorenne come i suoi due
predecessori, fu rappresentato da Wala, il fratello di Adalardo.
Dei Carolingi che furono per qualche tempo in Italia, Lotario (817-55) fu il meno
italiano. Rimase nel paese per la maggior parte della decade 831-841, ma
principalmente perch� Lodovico il Pio ve l'aveva effettivamente bandito. L'Italia servi
a Lotario come base militare e politica per le sue awenture a nord; diversamente dal
proprio figlio Lodovico II e dallo stesso Carlomagno, Lotario non visse molto nelle
dtt�, preferendo le grandi tenute reali come Corteolona o Aureola, cosi come fecero i
re franchi nell'Europa del nord 46. E, distinguendosi anche in questo sia dal successore
che dal predecessore, Lotario non nomin� alcun longobardo in incarichi ecclesiastici o
secolari. Le nomine che egli dedse, tuttavia, non suggeriscono antagonismo coi
Longobardi (Leone, uno dei suoi pi� intimi consiglieri, era longobardo), ma soltanto
la totale dipendenza dell'Italia dagli interessi dei Franchi. Quando nell'834 ebbe luogo
la rottura con Lodovico, Lotario dovette mettersi alla ricerca di propriet� e incarichi

per i propri sostenitori settentrionali, e che comport� la maggiore ondata di
immigrazione nordica in Italia di tutto il periodo carolingio. Lotario secolarizz� una
porzione notevole delle propriet� ecclesiastiche per concedere feudi ai propri
sostenitori, in perfetto stile franco, in aggiunta alle terre confiscate agli uomini di
Lodovico che Lotario espulse dall'Italia. Pur se molti dei sostenitori di Lotario
morirono nella pestilenza dell'836-7, quando, alla morte di Lodovico nell'840, Lotario
lasci� l'Italia, l'influsso franco sulla penisola aveva raggiunto il suo apice.
Contemporaneamente, l'Italia mostrava gi� segni di uno sviluppo in direzioni diverse
da quelle del resto dell'impero dei Franchi. I Franchi giuntivi con Carlomagno vi
erano insediati gi� da una generazione, e avevano cominciato a mettere radici. E i
capitolari del regno di Lotario, in particolare quelli dell'825 e del1'832, costituirono i
primi esempi di legislazione massiccia, dopo il 774, priva di un in�lusso predominante
delle leggi di Francia. In questa direzione avrebbe continuato poi Lodovico II,
divenuto imperatore d'Italia nell'850.
La descrizione della politica italiana in questo periodo, per quanto concerne le attivit�
dei re, risulta monotona e banale. Ci� � in parte dovuto al fatto che l'Italia aveva uno
status ambiguo, n� indipendente n� totalmente parte integrante dell'impero franco, con
monarchi minorenni o assenti per la maggior parte del tempo. Ma � ancor pi� dovuto
alla quasi totale mancanza di storiografia indigena relativa al periodo carolingio, con
le sole eccezioni dei materiali riguardanti Benevento e delle storie vescovili delle citt�
romano-bizantine di Roma, Ravenna e Napoli. Tra l'interruzione improvvisa della
storia di Paolo Diacono nel 744 e l'inizio di quella di Liutprando da Cremona nell'888,
non abbiamo altro che irrilevanti frammenti. I1 principale � costituito dalla storia di
Andrea da Bergamo, scritta come seguito di Paolo Diacono nel penultimo decennio
del IX secolo. Ci offre un quadro abbastanza dettagliato e ben documentato
dell'ultima decade del regno di Lodovico II, e illustra i problemi sorti dopo la sua
morte nell'875. Ma per quanto riguarda la storia precedente si dimostra stranamente
mal informata. Rachi e Astolfo vi sono nominati come legislatori, e il numero delle
loro leggi � fornito con cura, ma a parte ci�, Andrea � non si ricorda delle loro gesta,
ma, per sentito dire, furono entrambi coraggiosi, e i Longobardi durante i loro regni
non ebbero paura di nessuno �. Gli informatori franchi di Andrea si sono addirittura
dimenticati di Pipino III. Le guerre degli anni 773-6 e la rivolta di Bernardo sono
divenute leggende popolari, come � pure successo per la mediazione dell'Arcivescovo
di Milano, Angilberto, fra Lodovico e Lotario. Non vi si legge d'altro: nel testo di
Andrea, fra 1'833 e 1'863 l'Italia sembra non aver vissuto nessun avvenimento
importante47. Andrea � certamente un cattivo storico, ma la sua ignoranza �
significativa. I re franchi, fino a Lodovico II (che regn� soltanto in Italia), non parvero
effettivamente agli Italiani sovrani del loro paese. Le loro guerre in Italia, contro gli
Slavi ad est, i Longobardi a sud, gli Arabi sulle coste, sono ricordate soltanto dai
cronachisti franchi. L'amministrazione italiana, come si vedr�, giungeva ovunque, ma
i suoi sovrani venivano dimenticati. I1 solo modo di governare l'Italia propriamente
comportava il vivervi di persona, e solo Lodovico II, fra tutti i sovrani carolingi
indipendenti, lo fece; solo lui riusc� a dare una impronta nuova al regno.
D'altra parte, fu proprio durante il governo incolore dei primi Carolingi che la
sofisticazione del sistema amministrativo raggiunse il vertice. L'efficienza dello stato
47 Andrea, Historia (in MGH S.R.L., pp. 221-30), cc. 3-7.
cominci� a venir meno soltanto durante il regno di Lotario poich�, eccettuando il
decennio 831-41, egli fu in pratica un monarca assente. L'amministrazione continu�
ad essere basata essenzialmente sui modelli longobardi che Carlomagno aveva trovato
gi� nel 774: la gerarchia di funzionari pubblici basata su duchi e gastaldi nelle citt�, e
l'amministrazione centrale di Pavia. Quei modelli; erano retti ancora dal principio
della propriet� terriera, la chiave che s piega tutto il potere politico post-romano. I
dazi, le corv�es e i servizi richiesti dai re longobardi vennero richiesti ancora dai
Carolingi e dai loro successori, e sono ancor meglio documentati, ma continuavano a
rappresentare una piccola parte delle entrate e dei fondi del re, tranne per quanto
riguarda il servizio pi� importante richiesto, quello del contributo militare48.
La politica della propriet� fondiaria � stata menzionata come un problema dei
Longobardi, ma fu nel periodo carolingio che cominci� a venir chiaramente
documentata, e alcuni conflitti locali fanno capolinO nella nostra documentazione. I
re dell'Europa altomedievale ebbero principalmente due diversi, ma correlati, tipi di
problemi, per stabilire il loro potere: il problema del consenso e quello del controllo.
In parole povere, il re doveva riuscire a far si che l'aristocrazia fosse d'accordo con le
sue azioni e lo aiutasse in quelle; ma contemporaneamente aveva bisogno di
conservare una qualche autorit� sulle azioni dei nobili nei loro rispettivi territori. In
Francia, i Carolingi (almeno dopo Carlomagno) ebbero poca fortuna relativamente al
secondo problema, e per quel che riguarda il primo dovettero cedere gran parte delle
loro propriet� sotto forma di doni oppure feudi. In Italia le cose andarono pi�
facilmente. L'attiva monarchia longobarda aveva stabilizzato il potere del re a un
livello abbastanza alto, che permetteva di ottenere l'appoggio dell'aristocrazia in
cambio di doni relativamente esigui. La pratica venne conservata dai Carolingi. I re
donarono raramente appezzamenti di terra, e solo di piccole dimensioni. Lo stesso
Lotario, al momento di insediare i suoi sostenitori in Italia nell'834, ag� con prudenza,
dando loro terre della Chiesa anzich� proprie. La documentazione in nostrO possesso
tende a dare pi� spazio alle registrazioni di donazioni alla Chiesa, che non di benefici
a vassalli laici (possessi feudali ), e questo contribuisce sicuramente ad attenuare la
proporzione dei benefici. Ma la propriet� � feudale � non raggiunse mai quote
signifcative in Italia e, almeno nel IX secolo, appare chiaro come la generosit� del re,
in Italia diversamente che in Francia, non abbia mai minato seriamente la propriet�
fondiaria reale49.
L'effetto che ci� ebbe sulle classi pi� elevate sar� messo a tema nei capitoli seguenti,
ma un risultato immediato va discusso subito. I re che non distribuirono consistenti
quantit� di terreni si trovarono in una posizione alquanto debole al momento di
affidare ai loro protetti una supremazia fondiaria locale, quando desideravano farlo.
Perch� una protezione dei reali franchi (soprattutto verso i conti) si trasformasse in
vera e propria egemonia franca in aree locali erano necessarie tre generazioni. Se i re
non insediavano i loro protetti in qualit� di proprietari terrieri, la possibilit� di questi
di influenzare gli equilibri di potere era alquanto limitata. I re potevano agire sulla
distribuzione e ridistribuzione degli incarichi pubblici, e lo fecero; ma non fu mai

facile, per esempio, controllare le illegalit� di un conte nella sua contea, se egli era un
sostenitore leale ed efficace del sovrano. Sin dal quarto decennio del secolo IX,
cominci� ad esser difficile anche impedire che il figlio succedesse al padre
nell'incarico. I Carolingi affrontarono tale problema in tre principali maniere: con
l'intervento diretto e il rafforzamento delle gerarchie dei funzionari, particolarmente
attraverso le leggi; con mezzi pi� specifici e mirati, soprattutto l'uso massiccio di
missi; e con l'uso politico della Chiesa per bilanciare il potere locale dell'aristocrazia
laica.
Non v'� alcun dubbio che i Carolingi ritenessero compito loro intervenire nella societ�
pi� capillarmente di quanto avevan fatto altri sovrani altomedievali. La loro
legislazione, o � capitolari �, comprende, nell'edizione classica, due volumi in folio di
testo in latino. Re e imperatori emanarono decreti amministrativi su una gran variet�
di argomenti, imponendoli a Longobardi, Romani e Franchi, senza tener
minimamente conto delle leggi dei singoli gruppi etnici. Nell'832, ad esempio, Lotario
promulg� due capitolari in Italia. Nel primo, legifer� sulle nomine e le assegnazioni
relative alle chiese battesimali; lo spargimento di sangue in chiesa; i diritti legali degli
ebrei; il vilipendio alla magistratura; le cospirazioni suggellate dal giuramento;
l'oppressione dei poveri; l'inosservanza delle disposizioni imperiali; il rifiuto di
accettare denaro in corso legale; la coniatura di denaro falso; la normativa relativa alle
testimonianze; e il costo della redazione di documenti. Nel secondo, impart� istruzioni
ai suoi missi per indagare su un campo altrettanto vasto: le dotazioni monastiche;
l'organizzazione delle zecche, e le frodi locali inerenti al conio; pesi e misure antichi,
e l'usura; il giusto giudizio; come agire con chi non avesse giurato fedelt� al re; il
disprezzo della propriet� e dei palazzi del re; il godimento di benefici reali e di terre
del fisco; il restauro delle chiese; le recenti depredazioni della propriet� ecclesiastica;
la cospirazione il mantenimento di ponti e di strade50. La lista fornisce un esempio
abbastanza rappresentativo delle principali preoccupazioni dei re carolingi in Italia. A
nord delle Alpi, il quadro era un po' diverso, ma non di molto. Nel capitolo quinto
verr� discusso un esempio particolarmente sorprendente di intervento, il tentativo
carolingio di mantenere un intero gruppo sociale di piccoli proprietari terrieri cosI
ch`e servissero nell'esercito e partecipassero alle corti locali.
Come riuscissero i Carolingi a mettere in pratica tali decreti � un problema assai pi�
serio. In Francia essi venivano promulgati oralmente, e pu� essere messa in dubbio la
conoscenza generale della loro esistenza In Italia, invece, troviamo riferimenti
espliciti in documenti, ed � probabile che una classe aristocratica alfabeta ne fosse
abbastanza bene informata. Responsabili per la messa in pratica erano i conti locali,
operanti nella rete delle citt� italiane. I Carolingi fecero grande affidamento sui propri
conti, e si pu� constatare come la responsabilit� comitale si sia progressivamente
estesa in tutto il IX secolo a molti territori alpini o appenninici che erano rimasti
indipendenti dall'autorit� delle citt� durante il periodo longobardo. Vi erano poi vari
tipi di funzionari legali non totalmente dipendenti dai conti ed ancora legati alle citt�.
Fra questi i pi� importanti furono gli scabini, generalmente piccoli proprietari terrieri,
che avevano il compito di far funzionare i tribunali, strumento fondamentale del
governo carolingio e considerevole fonte di entrate51. Ma ad esercitare un ruolo

politico e direttivo predominante erano i conti, come conseguenza anche del loro
ruolo di capi militari locali, ed � pi� che probabile che molte delle leggi emanate da
Lotario nell'832 venissero violate dai conti o dai loro vassalli, in particolare quelle
volte a limitare la spoliazione di propriet� ecclesiastiche e l'oppressione dei poveri. :�
per tal ragione che Lotario eman� istruzioni parallele ai suoi missi per indagare sulla
loro applicazione.
I missi, messaggeri del re, non costituivano un'innovazione carolingia. Gi� i re
longobardi avevano spedito i loro rappresentanti a controllare l'attivit� di singoli duchi
e a giudicare importanti controversie legali. Ma i Carolingi fecero dei missi una
caratteristica fondamentale del loro governo; il missus divenne l'organo
rappresentativo del governo centrale nelle province. Se un conte ne sfidava l'autorit�,
sapeva che ne sarebbe seguita una rappresaglia militare. Questo � almeno il modo in
cui il sistema funzionava secondo quanto ci dicono i capitolari, ma i testi legali
tendono a idealizzare le istituzioni. I1 governo carolingio, in realt�, non funzionava in
modo cos� limpido; ricorreva piuttosto a una serie di misure ad hoc, che si
controbilanciavano a vicenda. Parlare di una � istituzione dei missi � significa dire in
modo formale che i re carolingi spedivano di continuo emissari che rettificassero le
depredazioni dei potenti e degli altri emissari. In tal modo Carlomagno invi� dei
baiuli con Pipino per accertarsi che l'Italia fosse governata giustamente; ma abbiamo
notizie di uno di essi, Rotchild, soltanto grazie alle illegalit� che commise. Nell'anno
800 circa, per esempio, espulse l'abate Ildeperto dal monastero di San Bartolomeo a
Pistoia e affid� questo in fendo al bavarese Nebulung, finch� non arrivarono altri
missi a rettificare il suo gesto. La biografia del missus Wala fornisce un resoconto
drammatico di come le diverse circoscrizion� giudiziarie e le aristocrazie locali
italiane cospirassero per impedire che per esempio una vedova ottenesse da lui
giustizia52. Nei casi in cui i missi erano anche conti, cosa non rara, i conti su cui
investigavano ricevevano non di rado un trattamento privilegiato. In ogni caso, per�,
non si dovrebbe esser troppo severi nel giudicare i funzionari carolingi; i re possono
essersi s� lamentati per l'oppressione subita dai deboli, ma non sembrano averla
considerata una cosa cosi insopportabile, poi, se non quando veniva minacciata la
capacit� dei deboli di prestar servizi militari. Per lo pi�, lo stato non s'aspettava grandi
gesti d'onest� e di giustizia da parte dei suoi sudditi, e in tale ristretto ambito si pu�
dire che alcuni missi abbiano servito i loro padroni con tutta l'onest� necessaria.
La carriera di uno di questi, Leone, che firm� documenti con una sua caratteristica
formula tra 1'801 e 1'841, � stata messa in luce da Donald Bullongh in un'accurata
indagine documentaria53. Cominci� come vassallo al seguito del conte di palazzo
Ebroardo, un Alemanno; fra 1'812 e 1'814 e nel terzo decennio di quel secolo fu con
Adalardo e Wala, tipici emissari carolingi. Allora veniva nominato spesso con
l'epiteto di missus, e fu testimone alle redazioni di documenti o a processi in luoghi
tanto distanti quanto lo sono Roma, Spoleto, Pistoia, Reggio e Milano. Verso 1'823-4
fu nominato probabilmente conte di Milano. Nell'837 una cronaca lo descrisse come

tenuto � in grande stima� (magni loci) da Lotario, e organizzatore di alcune attivit�
inerenti alla guerra fredda fra Lotario e il padre. Entro 1'844 il figlio Giovanni gli era
succeduto come conte di Milano, al cui territorio aggiunse Seprio. Leone fu un
amministratore di professione, con quarant'anni di servizio, e sotto governanti non
altrettanto duraturi. Non � che si possa precisamente ritrarlo in una qualche categoria
all'interno del � sistema governativo �, ma assieme ai suoi meno conosciuti colleghi
contribui a dare vera continuit� ed efficacia al governo italiano. Era evidentemente
originario del posto. Bullaugh ha pensato, probabilmente giustamente, che fosse un
longobardo, pur se con parentele franche. Comunque non fu un aristocratico grande
proprietario terriero, com'erano i principali conti, fu attivo in ogni sfera del governo
carolingio. La sua carriera indica quanta autorit� poteva avere il governo centrale
italiano. Leone, privo di prestigio familiare, poteva fare moltissimo semplicemente
con l'autorit� conferitagli dalla sanzione di Pavia. Probabilmente gi� i re longobardi
avevano fatto ricorso a uomini del suo tipo; Lodovico II avrebbe rinvigorito questa
tradizione, affidandosi in gran misura a personaggi sconosciuti. il per� significativo
che la contea di Leone fosse cosI vicina a Pavia. Come funzionario pubblico locale
privo di possedimenti propri, i suoi poteri sarebbero stati assai minori. Le contee di
frontiera (o � marche �), in particolare, venivano affidate di regola a membri della
Reichsadel, la nobilt� imperiale. Solo questi possedevano la base fondiaria privata e il
potere militare necessari per mantenere l'autorit� in quelle zone.
L'altra forza che i Carolingi cominciarono a sfruttare fu quella della Chiesa. I
Longobardi non avevano mai usato la Chiesa nelLa gestione del potere. Adeguandosi
alla tradizione romana (diversamente dai Bizantini), cercarono di tener separate le
faccende secolari da quelle ecclesiastiche; non che ignorassero completamente la
politica ecclesiastica, abbiamo visto come fondassero monasteri in contesti politici, e
l'aristocrazia aveva fatto la stessa cosa. Carlomagno favori questi monasteri nel
tentativo di far accettare Ia sovranit� franca in Italia54. Ma Carlomagno e ancor pi� i
suoi successori andarono ben pi� in l�: il clero, e particolarmente i vescovi, divennero
strumento di governo. Gli stessi capitolari franchi, a differenza delle leggi longobarde,
trattarono ampiamente di faccende ecclesiastiche. In Francia, ci� costituiva pratica
comune, e il rilevare la diffusione di tale pratica in Italia segna l'assimilazione del
paese alle tradizioni di governo franche. Gli stessi vescovi, per�, erano di solito
longobardi, tranne quelli pi� importanti, quali Ratoldo di Verona sotto Lodovico il Pio
e soprattutto Angilberto II di Milano e Giuseppe di Ivrea sotto Lotatio e Lodovico II.
L'importanza di questo predominio longobardo deriva dalle posizioni dei vescovi
nelle strutture di potere delle citt� italiane.55
Come s'� visto nel capitolo primo, i vescovi e le loro chiese, sin dal quinto secolo,
avevano avuto in alcune citt� grandi possedimenti terrieri. La conquista longobarda
imped� dapprima che quei possedimenti s'estendessero ancora di pi� (tranne che nelle
citt� romanobizantine, dove la progressione continu� indisturbata), ma verso 1'VIII
secolo, nella gran parte delle citt� per le quali abbiamo una documentazione, il
vescovo costituiva la maggior figura di proprietario terriero. Lucca, influenti famiglie
locali fornirono una catena quasi ininterrotta di vescovi dal secondo decennio
dell'VIII secolo sino al 1023. Il potere locale dei vescovi era nella maggior parte dei
luoghi strettamente collegato alle famiglie pi� importanti della zona. I vescovi si

trovavano al centro della vita politica ad ogni livello eccettuato quello statale. La
scomparsa di questa eccezione sotto i Carolingi pare logica, e s inserisce bene non
solo nella pratica dei Franchi, ma anche nell'ambito delle implicazioni conseguenti
alla Cooperazione politica fra Carolingi e papato che sostitu� l'inimicizia del periodo
longobardo e controbilanci� la tendenza ad attribuire ogni incarico secolare ai
Franchi. Gli aristocratici longobardi furono sempre pi� esclusi dalla rete del patronato
statale: tra 1'814 e 1'875 si possono rintracciare solo due o tre conti l.ongobardi.
Questi accentrarono la loro attenzione sul potere locale, all'in- terno del quale il ruolo
pi� importante era quello di vescovo. I re avevano il potere de facto di scegliere i
vescovi, e Lotario e Lodovico II lo esercitarono spesso. Lotario scelse sempre dei
Franchi, Lodovico di solito dei Longobardi. In altri periodi, per�, i vescovi furono
eletti localmente, e rimasero il centro delle strutture di potere urbane. Franchi e
Alemanni presero a diffondersi in tutta l'Italia e quando coprivano il rango di conti via
via ne ereditavano gli incarichi e agivano con sempre maggiore indipendenza. Ma, per
la maggior parte, quando i vescovi venivano scelti localmente non erano presi da
famiglie franche. Sarebbe sbagliato vedere in ci� un'opposizione etnica tra Franchi e
Longobardi; � pi� che altro un segno che i franchi non riuscirono quasi mai a inserirsi
profondamente nlle strutture sociali locali. In virt� dei loro incarichi, vescovi e conti
erano tuttavia effettivamente in potenziale opposizione. Entrambe le cariche
prevedevano il controllo di grandi quantit� di terra e, con la nuova importanza
attribuita dai Carolingi ai vescovi, le due funzioni cominciarono ad entrare in
contrasto. I conti attaccarono spesso le propriet� episcopali, o per avidit� o, sempre
pi�, per autodifesa. I vescovi avevano spesso poteri giudiziari e sempre pi�, durante il
rx secolo, godevano di immunit� nei confronti dei conti. Questa fu in parte una scelta
politica di alcuni Carolingi, che davano forse peso al contributo morale dei vescovi
alla politica, pur se i vescovi non opprimevano i deboli meno dei conti56. D'altro canto
essi coprivano cariche non ereditarie; e lo stato forse anche comprese che un
equilibrio locale del potere andava a suo vantaggio. Fintantoch� le rivalit� locali si
bilanciavano, lo stato sarebbe sopravvissuto e sarebbe stato forte. Quando per� uno di
questi funzionari di elevato grado (o una famiglia) emergeva vittorioso in una citt�,
come accadde in moltissime localit� fra 1'880 e il 920 circa, la coesione dello stato ne
era minacciata.
La comprensione di una tale politica locale � fondamentale per capire la storia
italiana, e a partire dal IX secolo � possibile seguirla in parecchie localit�. Due
esempi, Brescia e Lucca, ne sottolineeranno alcune implicazioni. Brescia costituisce
un buon esempio del potere derivante da una grande propriet� terriera, e
particolarmente rappresentabile � la storia della famiglia dei Supponidi. Il primo
membro di quella famiglia di cui si sappia qualcosa � un franco, Suppone I, conte di
Brescia nell'817, che contribu� a domare la rivolta di Bernardo. Forse in premio gli fu
data Spoleto nell'822, mentre il (probabile) figlio Mauringo conserv� Brescia, presto
diventando pure lui duca di Spoleto, nell'824. In quegli anni e nelle decadi seguenti i
Supponidi si costruirono un patrimonio fondiario consistente in tenute sparse in tutta
l'Italia settentrionale, grazie probabilmente ai vari tradizionali mezzi: doni e feudi
reali, appropriazione di terra comitale, acquisizioni, estorsioni. Un altro membro della
famiglia, Adelchi I, fu conte di Parma nel quarto decennio del secolo IX, di Cremona,
forse, nell'841 e, ancora una volta, di Brescia. Quest'asse Lombardia orientale-Emilia

occidentale rimase, pi� o meno, un centro di interessi della famiglia dei Supponidi, e
quando la famiglia raggiunse il massimo splendore con il matrimonio fra la supponide
Angilberga e Lodovico II, ella ottenne dal marito altre terre in quei territori, come
mostra chiaramente il testamento di lei nell'87957. Da allora ritroviamo spesso i
Supponidi conti di Brescia, Piacenza e Parma. I pi� importanti fra loro, Suppone II e il
cugino Suppone III, sotto Lodovico II coprirono incarichi anche altrove: Suppone II a
Parma, Asti e Torino; Suppone III (1'archiminister e consiliarius di Lodovico)
nuovamente a Spoleto. Non controllarono mai pienamente quelle citt�; non ne
avevano bisogno, tale era il raggio del loro influsso; a Brescia spartirono il controllo
con i vescovi, e con il ricco monastero di San Salvatore (pi� tardi Santa Giulia),
fondato da Desiderio, e governato di solito tramite principesse reali. Tra i vescovi ci
furono il franco Notting (844-63), altro aiutante di Lodovico II, e, prima, il
longobardo Ramperto (circa 825-44), che contribu� alla fama di parecchie chiese
locali attraverso miracoli e reliquie ed il sostegno politico dell'Arcivescovo di Milano
Angilberto.
Queste istituzioni mostrano un complicato intreccio di legami, specialmente San
Salvatore, che fu sotto il patrocinio sia dei vescovi che dei conti. G]i stessi duchi del
Friuli, strettamente imparentati con i Supponidi (e con i Carolingi), mandarono le loro
figlie in quel monastero; e sia i Supponidi che i vescovi di Brescia sostennero
lealmente la fazione germanica e friulana durante le dispute per la successione che
nacquero dopo la morte di Lodovico II nell'875. Non esiste traccia di rivalit� tra
quelle forze, a Brescia. Il motivo sta probabilmente nel fatto che avevano vari legami
in tutta l'Italia settentrionale e che operavano su una scala che sconfinava dai limiti di
una singola citt�. Ci� spiega anche perch� si rifiutarono di ricorrere alle
mutevolissime alleanze che caratterizzarono i decenni seguenti all'875. I Supponidi, in
particolare, abbisognavano di uno stato forte, in quanto la loro propriet� fondiaria si
estendeva in cos� tanta parte del nord che solo lo stato poteva garantire la pace di cui
avevano bisogno per conservarla. Non � forse una coincidenza che essi scomparvero,
come famiglia, nelle stesse decadi della met� del secolo X che videro la
frantumazione dello stato italico. Altre famiglie avevano dimensioni simili, pur se non
arrivarono ad essere tanto importanti quanto i Supponidi. Una rete fragile e insieme
complessa di propriet� fondiarie si stendeva sulla maggior parte dell'Italia
settentrionale, in un equilibrio precario che era sostenuto dalla forza dello stato
mentre gli consentiva di essere forte. Ludovico poteva affidare ai Supponidi una
miriade di incarichi, perch� essi avevano bisogno di lui. A loro volta, essi non
dovevano dirigere le loro ambizioni verso un controllo territoriale di singole contee,
ma solo sulla carica di conte, in qualsiasi contea. Le famiglie i cui interessi si
limitavano a una sola contea erano invece assai pi� pericolose, pur se pi� deboli, per
la coesione interna del regno.
I pericoli apparvero pi� chiaramente in questo periodo lungo i confini del regno
italico, nelle tre grandi � marche � del Friuli, della Toscana e di Spoleto, che sommate
assieme costituivano pi� di un terzo dei territori italiani. I1 termine � marca � �
appropriato, ma comparve tardi, e suggerisce una omogeneit� fra le tre zone superiore

alla realt�. I1 Friuli e Spoleto costituivano, ovviamente, vecchie unit� longobarde, e i
loro sovrani erano generalmente chiamati conti o, ancora, duchi, fino al penultimo
decennio del IX secolo. La marca toscana si venne a formare all'inizio del secolo IX.
Entro la met� di quel secolo in tutte e tre il potere si trasmetteva per via ereditaria e si
verific� un'autonomia de facto sotto le tre famiglie regnanti: gli Unruochingi, i
Bonifaci e i Guideschi, come vengono chiamate oggi (ma non allora). Si trattava di tre
delle maggiori famiglie appartenenti alla nobilt� imperiale franca, con interessi in
diversissime aree dell'Impero, ma, per quanto riguardava l'Italia, basati
esclusivamente sulla marca che controllavano. Ne risult� che non ebbero alcun
motivo strutturale per usare il loro potere locale al fine di rafforzare lo stato italico. Le
tre famiglie sfruttarono fino in fondo le proprie opportunit�, ma in modi diversi. Gli
Unruochingi friulani, coi loro stretti legami di parentela con i Carolingi, ebbero la
reputazione di sudditi leali. I Bonifaci toscani cooperarono con i Franchi fino alla
morte di Lodovic� II, dopodich� presero a cuore soprattutto la propria autonomia. I
Guideschi di Spoleto conservarono i loro legami con l'oltralpe, ma si trovarono a
governare il ducato pi� distante; sin dall'inizio s'interessarono soprattutto alla propria
autonomia e alle faccende di Benevento, e resistettero a qualsiasi re che cercasse di
esercitare un qualche controllo su di loro58.
La creazione di questo tipo di potere si pu� meglio osservare a Lucca. Nell'812-3, il
bavarese Bonifacio I Vi fece la comparsa in qualit� di conte. Diversamente dai suoi
predecessori, sembr� controllare la maggior parte delle contee lungo la valle
dell'Arno. I1 figlio Bonifacio II gli successe e nell'828 � ricordato nell'incarico di
difensore della Corsica. Condusse una flotta a combattere gli Arabi e razzi�
addirittura l'Africa59. La difesa per mare era stata responsabilit� dei conti di Lucca sin
dall'ottava decade dell'VlII secolo, e con l'accrescersi degli attacchi arabi, fu logico
che l'autorit� comitale toscana venisse a rafforzarsi. Documenti lucchesi ci mostrano
come il conte accumulasse poteri anche a livello locale. I1 vescovo di Lucca, che per
almeno un secolo aveva rappresentato la figura pi� prestigiosa nella citt�, perse il
controllo sul notariato urbano nel secondo decennio del IX secolo, e ne segu� una
serie di vescovi meno importanti (fra cui due franchi) fino alla met� del secolo,
quando fu nominato vescovo Geremia, appartenente a una importante famiglia del
luogo e scelto dietro consiglio di Lodovico II. I conti di Lucca non poterono
controllare direttamente i vescovi, in quanto questi ultimi possedevano propriet�
troppo vaste e avevano tutta una rete di legami locali, ma limitarono l'autorit�
episcopale alle sole faccende ecclesiastiche. Se alcuni vescovi di Lucca raggiunsero
maggior prestigio, non lo ottennero dentro la citt�, bens� in qualit� di missi del re a
livello nazionale, come quando il vescovo Gherardo I guid� un esercito in Calabria
per conto di Lodovico II nell'870.
Nell'833 Bonifacio II si espose nella difesa di Lodovico il Pio e venne spodestato da
Lotario; dovette cosl ritirarsi nelle sue terre nella Francia meridionale. Anche i
possidenti italo-franchi maggiormente coinvolti nelle vicende italiane avevano
propriet� al di fuori dell'Italia. Quando per�, nell'864, Everardo del Friuli divise le sue
terre (che s'estendevano dal Belgio al Veneto) fra i propri eredi, ne impose

esplicitamente la ridistribuzione qualora guerre civili causassero perdite. La propriet�
fondiaria su scala europea fu sicura solo fintantoch� dur� l'unit� dell'Impero e a
partire dall'843 essa prese a disgregarsi. Quando torn� la pace, Bonifacio era gi�
morto; ma il figlio Adalberto I (84686) divenne il sovrano di quella che era allora a
volte definita la marca toscana, un agglomerato delle contee settentrionali di quella
regione, ed ebbe un potere paragonabile a quello di un vicer�. I processi non ebbero
pi� luogo alla corte del re ma a quella di Adalberto sin dalla met� del secolo. Ben
poche potenze secolari poterono fiorire nei suoi territori se non rientravano sotto il
suo controllo. Dopo 1'875, quando alla morte di Lodovico II seguirono le guerre
civili, Adalberto e il figlio Adalberto II (886-915) governarono quello che divent�
effettivamente uno stato indipendente: Adalberto II non si cur� nemmeno di prender
parte a molte di quelle guerre, e dai suoi documenti cominciarono a scomparire le
datazioni fondate sugli anni di regno. Il potere di Adalberto II si bas� sicuramente
sull'appropriazione del fisco toscano, a favore della propria famiglia, pur se non
sappiamo con esattezza quando ci� avvenne. I1 suo non fu, comunque, solo il potere
privato di un grande proprietario terriero; Adalberto esercit� anche il controllo sul
meccanismo pubblico dello stato. La sua posizione personale fu tanto forte da
consentirci di affermare che l'indipendenza della Toscana durante il suo regno non
dimostra tanto la debolezza dello stato, ma ne rappresenta piuttosto la continuazione
su scala ridotta. Come si vedr�, la coesione toscana sopravvisse effettivamente a
quella dello stato italico stesso. Adalberto e i suoi successori governarono in un'area
geografica omogenea e abbastanza grande, nella quale il reticolo statale carolingio
poteva funzionare nella stessa maniera in cui aveva funzionato per i re. In contee
minori, o in aree montagnose come Spoleto, l'affermarsi di una indipendenza simile
port� al collasso, come si vedr� negli ultimi due capitoli.
Nell'844 Lodovico II venne inviato in Italia da Lotario, e nell'850 (in qualit� di
imperatore) si mise a governare senza il controllo del padre. Da quel momento non
lasci� pi� l'Italia, nemmeno dopo la morte di Lotario nell'855 e, pur se imperatore,
non ebbe alcun interesse o influsso nell'Europa del nord. Fu comunque il primo e
ultimo carolingio a coglier l'occasione di governare l'Italia come avevano fatto i re
longobardi. I1 re che vi si prov� successivamente, Ugo (926-47), si accorse che era
ormai troppo tardi. Lodovico fu generalmente accettato dalla sua aristocrazia per la
forza e l'autorit� di cui godeva, tranne forse a Spoleto. Abbiamo gi� esaminato
l'intelaiatura di quel potere, l'intrico di autorit� centrale, gerarchia di funzionari e
rivalit� urbane. Lodovico ritenne che quel sistema si fosse indebolito a causa di vari
decenni di vacanza, ma che potesse ancora costituire la base d'azione per il potere di
un re attivo e deciso com'egli era. Lodovico consolid� il controllo sulle strutture
interne del regno e quindi, seguendo l'esempio degli ultimi re longobardi, cerc� di
estendere la propria autorit�, intervenendo negli stati del meridione60.
Alla fine del quinto decennio del secolo, Lodovico dette istruzioni ai vescovi perch�
indagassero nelle proprie diocesi su abusi ecclesiastici o secolari. Nell'850, in un
sinodo episcopale e due capitolari, stil� un catalogo delle osservazioni dei vescovi e
mise in atto dei rimedi. I1 sinodo di Pavia costitu� la prima importante occasione
pubblica. A presiedere vi furono Lodovico, Angilberto II di Milano, Teodemaro

patriarca di Aquileia, e l'arcicappellano Giuseppe vescovo di Ivrea. Ma l'avvenimento
di quell'anno � costituito dai capitolari. Trattano quasi esclusivamente di problemi
attinenti la violenza, l'abbandono e l'oppressione. Nel Capitolare 213 i ladri assaltano
mercanti e pellegrini; i malvagi assaltano ville e viandanti; alcuni proprietari
cospirano con quelli. I potenti, laici o ecclesiastici, vivono alle spalle del popolo, ne
confiscano i cavalli, ne usano i pascoli; i palazzi reali giacciono nello squallore, e gli
edifici pubblici devono essere restaurati, per essere degne dimore di ambasciatori
stranieri (eco interessante questo delle Variae di Cassiodoro: si veda p. 113); il ponte
sul Ticino a Pavia deve essere ricostruito; i missi pretendono troppi doni e favori dal
popolo61. Quel capitolare offre una immagine da manuale dello squallido stato di
abbandono in cui l'Italia era caduta con i Carolingi, e non v'� da dubitare che molti di
quei problemi fossero endemici, particolarmente, come s'� visto, lo sfruttamento da
parte dei potenti. In tale campo Lodovico giunge quasi ad ammettere la sconfitta: se
vengono portati via i cavalli, questi devono venire almeno pagati al prezzo equo; i
missi possono continuare a pretendere i loro tributi, fintantoch� sono quelli in uso. Ma
il ponte a Pavia � ricostruito; e nei capitolari pi� tardi non si parla pi� di ladri. La lista
insolitamente dettagliata delle illegalit� pare un segno della seriet� delle intenzioni di
Lodovico, e i suoi rimedi han tutto l'aspetto di misure efficaci. Quel che si riesce a
sapere sulle attivit� di Lodovico indica che egli riusci a stabilire un livello
considerevole di controllo politico. Nell'853, Geremia vescovo di Lucca, con l'aiuto di
due diplomi imperiali, allora promulgati, ristabil� i suoi diritti su terre dal suo
predecessore date in locazione, apparentemente a seguito di pressioni, ad alcuni laici.
Nell'860 vari missi imperiali investigarono sull'impossessamento illegale di terre
imperiali attuato dal conte di Camerino, Ildeperto e lo annullarono62. Lodovico stesso
cominci� a organizzare un gruppo di cortigiani e amministratori col quale governare
l'Italia direttamente. Ricorse ai grandi potenti del regno di Lotario, Giuseppe d'Ivrea,
Angilberto di Milano, Notting di Brescia ed Everardo del Friuli, ma dopo le loro morti
prefer� affidarsi a personaggi relativamente sconosciuti, di propri cappellani personali,
consiliarii, e vassalli; gli unici nomi di prestigio furono quelli di Suppone II e
Suppone III, parenti della propria moglie. Sotto Lodovico, venne anche un po' a
diminuire la burocratizzazione del governo di Pavia. I grandi incarichi di
arcicappellano e arcicancelliere sparirono, temporaneamente. Lodovico e Angilberga
(in qualit� di consors regni, regina consorte), divennero essi stessi i capi del governo,
e gran parte di questo si spostava attraverso il regno con loro, di citt� in citt�.
Da ci� potrebbe sembrare che Lodovico volesse contrastare l'influsso dei grandi
nobili, ma quasi certamente la cosa non avvenne. Nelle contee i figli continuarono a
succedere ai padri. Lodovico cerc� soltanto di controllarne le attivit� in modo un po'
pi� vigile, e ricorse meno a loro nel governo centrale. Probabilmente us� la Chiesa per
controbilanciare il potere di alcuni, e ci risulta che egli abbia nominato un gran
numero di vescovi (di solito longobardi), prendendoli in larga misura fra i propri fidi,
nella Toscana di Adalberto63. Ma il fondamento della sua politica, il fisco, non fu
seriamente minacciato dalla nobilt�, e pare che Lodovico abbia lasciato in pace gli
aristocratici a lui leali. Probabilmente fu ancor meno generoso dei suoi predecessori
per quel che riguarda le concessioni di terre reali; fra tutti i laici, Suppone III � l'unico

per il quale i documenti testimonino una vera e propria donazione di terreni; e gli
unici beneficiari di grandi doni furono Angilberga e i due monasteri reali di San
Salvatore a Brescia e San Clemente di Casauria 64 Lodovico accontent� la sua
aristocrazia in un altro modo: con l'avventura militare.
Nell'866 Lodovico promulg� un capitolare in cui richiamava alle armi per una
campagna militare contro Benevento, con clausole specifiche relative agli obblighi
militari, e con un elenco dei missi destinati a rimanere in patria ad organizzare la
difesa e la chiamata alle armi locale in dodici diverse aree del regno65. Pare che quasi
tutta l'aristocrazia lo abbia accompagnato. Lodovico era gi� intervenuto prima nel
sud: era stato a Roma parecchie volte, e aveva condotto eserciti contro gli Arabi
nell'846 e nell'848. Nell'848 aveva anche contribuito a por fine alla guerra civile a
Benevento, che da allora in poi rimase divisa fra i principati di Benevento e Salerno
(con Capua come terza forza quasi indipendente). Nell'866 era sceso a sud per
scacciare gli Arabi sotto Sawdan (ovvero � il Sultano �) da Bari, dove erano insediati
sin dall'847. Quel che si stava esattamente verificando nel caos politico dell'Italia
meridionale verr� discusso nel capitolo sesto; i tre stati longobardi erano soltanto tre
tessere di un intarsio politico che includeva gli stati neoindipendenti di Napoli, Amalfi
e Gaeta, il rinnovato in�lusso bizantino che si sprigionava dalla Calabria, l'intervento
di Roma e Spoleto appartenenti ali'orbita franca, e ovviamente gli Arabi. Lo scopo
della spedizione di Lodovico era di allontanare questi ultimi, ma � quasi fuor di
dubbio che egli intendesse anche estendere il proprio potere negli stati frammentati
del sud, usando la forza del pi� potente esercito italiano di quel secolo. Gli stati
meridionali lo accolsero bene e con cautela. Gli stessi Bizantini collaborarono, in
quanto si sentivano pure loro minacciati: all'inizio della seconda met� del secolo gli
Arabi avevano conquistato la maggior parte della Sicilia. Sfortunatamente per
Lodovico, ci vollero quasi cinque anni perch� Bari cadesse, e ci� accadde solo per
merito di un blocco navale attuato dagli Slavi e dai Bizantini nell'871. Lodovico se ne
accredit� il merito, almeno agli occhi dei Franchi, tuttavia non lasci� il sud. La sua
presenza laggi� rese possibile ci� che era pressoch� impossibile: un'alleanza di
Beneventani, Salernitani, Napoletani e Spoletani contro di lui; fonti successive
includono tra gli alleati anche il Sultano arabo. Nell'agosto 871 Lodovico venne fatto
prigioniero da Adelchi di Benevento, tenuto nella citt� per un mese, e lasciato libero
soltanto dietro giuramento di non vendicarsi.
E� difficile, per noi, renderci conto dell'impatto negativo provocato
dall'imprigionamento a Benevento, ma esso rovin� il prestigio di Lodovico. Per
controbilanciarne gli esiti egli dovette farsi reincoronare imperatore. Ma non poteva,
ora, ricambiare l'ostilit� degli stati meridionali. Pur se torn� nel sud nell'872-3, la sua
battaglia l� era perduta. I principi longobardi si schierarono dalla parte dei Bizantini,
che li ripagarono nel decennio seguente, sottraendo loro quasi la met� dei territori,
compresa l'intera Puglia. Alla fin fine i beneficiari delle campagne militari di
Lodovico furono proprio i Bizantini. I1 massimo che Lodovico pot� fare per
dimostrare il suo potere fu allontanare Lamberto di Spoleto per il ruolo da lui
sostenuto nella faccenda dell'871, e di sostituirgli Suppone III. Lamberto torn� a

Spoleto nell'876, dopo la morte di Lodovico. In tal modo sparirono anche le ultime
vestigia del successo di Lodovico.
Le fonti riguardanti gli ultimi anni del regno di Lodovico hanno un timbro
apocalittico. Andrea ci racconta che il vino ribolliva nei tini durante la vendemmia
dell'871, di inondazioni, siccit�, invasioni di cavallette nell'872-3 e, nell'875, di una
cometa, chiaro simbolo delle � grandi tribolazioni � che sarebbero seguite alla morte
di Lodovico, privo di figli, prima del cinquantesimo anno, nell'agosto 87566. Ma non
si riesce a dimostrare che la posizione interna, al nord, di Lodovico si fosse indebolita,
eccetto per quanto concerne l'evento curioso di una petiziOne presentatagli da un
gruppo di nobili, mirante a farlo divorziare dalla moglie in favore, pare, della figlia
del conte di Siena67. Ad ogni buon conto, Ludovico era demoralizzato. E alla sua
morte la fatale debolezza del regno, ossia l'assenza di un erede maschio, apparve
chiaramente. I suoi due zii, in Francia e in Germania, accampavano eguali diritti. La
disputa per la successione che ne risult�, dur� pi� o meno trent'anni, e port� come
conseguenza al crollo dello stato. Come mai la cosa sia accaduta, lo si vedr� nel
capitolo settimo, ma non si pu� capirla ragionando soltanto in termini politici. Fu il
risultato di mutamenti strutturali e congiunturali che interessavano i livelli pi�
profondi della societ� e dell'economia italiane.

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