Capitolo secondo
IL REGNO ITALICO, 568-875: CONTINUAZIONE E CONSOLIDAMENTO AL NORD Il Regno Longobardo I Longobardi dominano la storia italiana altomedievale, e la loro improvvisa apparizione in Italia dalla Pannonia (I'attuale Ungheria) nel 568 segna tradizionalmente una rottura nella storia italiana. Dal 568 in poi, l'Italia dovette subire quasi quattordici secoli di disunione, in quanto gli stessi Longobardi non conquistarono mai l'intera penisola. Essi iniziano, quindi, la lunga storia italiana di particolarismi e occupazioni da parte di potenze straniere. D'altra parte, a partire dal 600 circa, occuparono due terzi dell'intera penisola, e dalla fine del VII secolo forse i tre quarti di essa, e sin dai regni di Grimoaldo e di Liutprando (rispettivamente: 662- 71 e 712-44), il compatto Regno Longobardo, che comprendeva la maggior parte dell'Italia settentrionale e la Toscana, ebbe supremazia politica sui ducati longobardi degli Appennini meridionali, Spoleto e Benevento, e sugli avamposti romanobizantini, aventi per centri Ravenna, Roma, Napoli e le estremit� meridionali della terraferma italiana (cfr. carta geografica 2). Le istituzioni politiche longobarde vennero mantenute praticamente in toto dai Franchi, dopo la conquista di Carlomagno nel 774, e la loro fisionomia longobarda era assai pi� decisa di quanto non lo fossero state ostrogote le istituzioni di questo popolo. All'origine, certo, molte di esse risalivano ai Romani, anche alcune dai nomi germanici, come si vedr�, ma vennero risistemate dai Longobardi ricorrendo (con aiuto romano) a frammenti pi� antichi, proprio come accadde per la costruzione, da parte dell'imperatore Costantino, della chiesa di S. Lorenzo fuori le mura, a Roma, eretta utilizzando materiali di templi demoliti. Gran parte dei progressi compiuti dalla storia dell'Italia medievale possono esser fatti risalire in un modo o nell'altro al periodo longobardo, e questo apparir� nel libro una sorta di punto di partenza. Ma molto pi� che una rottura storica, l'invasione longobarda segna una rottura storiografica. A partire dal 568, e ancor pi� dopo il 610, i materiali si diradano moltissimo, riprendendo nuovamente solo con l'avvio delle serie di documenti medievali all'inizio dell'VIII secolo. (L'eccezione, in questo vuoto, � Ravenna, con i suoi papiri del VII secolo e la competente cronaca locale di Andrea Agnello. In merito, si veda il capitolo terzo.) La nostra fonte principale � la storia longobarda di Paolo Diacono, scritta nell'ultima decade dell'VIII secolo, ma anch'egli dovette confrontarsi con la scarsezza di materiali, e la sua opera � di conseguenza piuttosto breve (circa 140 pagine in folio)1. Paolo fu un critico intelligente e uno scrittore dallo stile attraente, ed era in grado di correggere il latino delle sue fonti (che comprendevano Gregorio di Tours), ma aveva un senso semplicistico del passato. Nella sua storia, il senso del passato si riduce a una sorta di orgoglio per la passata prodezza dei Longobardi, venato dal desiderio di rendere i Longobardi pagani pi� violenti che fosse possibile, cosl da far risaltare il contrasto con i loro discendenti cristiani, e in particolare il re Liutprando. Egli offusc� o elimin� fenomeni che potevano risultare imbarazzanti, come l'arianesimo longobardo, o l'opposizione papale al suo eroe Liutprando. La sua affidabilit� � spesso sospetta, e le sue prove devono longobarda, in particolare l'Editto di Rotari del 643 (388 capitoli) e la legislazione di Liutprando (152 capitoli). Nei casi in cui ci siano altre fonti alternative, cos� come accade per il tardo secolo VI, si tratta generalmente di frammenti contraddittori e confusi, quasi tutti provenienti dall'esterno del regno longobardo e ad esso ostili. Come conseguenza di tale scarsezza di fonti, la storiografia relativa al periodo longobardo consiste, pi� che in ogni altro periodo della storia italiana, in una miniera di opposte teorie formulate da storici moderni. Gli storici degli ultimi 150 anni hanno suggerito pi� o meno ogni possibile opposta interpretazione del tardo VI secolo e del VII, ricorrendo a generosissime interpretazioni delle fonti probanti. Gli storici del periodo ostrogoto tendono ad assumere atteggiamenti che, nell'insieme, convergono. Per quanto riguarda il periodo longobardo, invece, la storia tende a diventare, alquanto apettamente, una congerie di teorie di singoli storici. Una proporzione notevole di quanto qui segue � fatta necessariamente di congetture. La storia dei primi Longobardi, prima del 568, non ha rilievo diretto per l'Italia. Basti dire che si trattava di una popolazione germanica, come i Franchi, e che parlava una lingua imparentata con l'antico alto tedesco. I1 primo a parlarne, localizzandoli lungo il basso Elba, fu Tacito; successivamente si mossero verso quella che � oggi la Bo mia, quindi nell'Austria inferiore, infine, all'inizio del VI secolo (circa 527 ) s'insediarono nella provincia romana di frontiera della Pannonia. Per quanto potessero ricordare, erano stati sempre governati da un re, per lo pi� della famiglia Lething, almeno fino al 547, quando l'ultimo re di quella dinastia, Waltari, ebbe per successore il proprio tutore Audoino, padre di Alboino. Procopio li definisce cattolici nel 548, allorch� Audoino sollecit� l'aiuto di Bisanzio contro i Gepidi ariani, che i Longobardi infine sconfissero nel 567 con l'aiuto degli Avari2. Tal cattolicesimo era inizialmente limitato certamente alla corte e ai suoi fedelissimi, e nel 568 il re era gi� divenuto ariano e, secondo il punto di vista bizantino, un eretico; ci� comunque indica che i Longobardi, al tempo di Giustiniano, facevano parte dell'orbita bizantina. Anche i legami conseguiti attraverso i matrimoni dei re del VI secolo fino ad Alboino sembrano indicare che la popolazione rientrava in un vasto ambito centro-europeo di mutuo sostegno, sotto l'egemonia dei Franchi. I Longobardi non arrivarono dal nulla, n� si tratt� di semplici barbari selvaggi allo stadio primitivo. Avevano occupato per quarant�anni una provincia romana. Avevano anche incluso nel proprio sistema politico un'intera serie di titoli militari romani, quali dux e comes, e probabilmente agivano formalmente in qualit� di confederati romani. Narsete, quando distrusse Totila, chiese ad Audoino un contingente militare, e l'ottenne, ma, trovandolo troppo violento ed indisciplinato, lo risped� presto indietro3. D'altra parte, quando Alboino invase l'Italia tenne sotto il proprio controllo sia il grande e disparato esercito che la popolazione, dal S68 fino al suo assassinio nel 572. Ovviamente, la disciplina non � un indice particolarmente utile o significativo di romanizzazione (e ancor meno della civilizzazione), ma nei primi anni i Longobardi sono descritti quasi esclusivamente in base a termini militari. Non abbiamo a disposizione altri criteri. Gianpiero Bognetti vide nell'invasione di Alboino un � piano organico e generale �, una strategia su vasta scala. Alboino vantava legami franco-austrasiani tramite la prima moglie e, con una conversione tattica all'Arianesimo nel 565 circa, sper� di ottenere l'appoggio dei Goti ariani dell'Italia settentrionale, che erano stati appena schiacciati da Narsete nel 561. Alboino avanz� lentamente e apparentemente senza opposizioni attraverso la pianura padana nel 569, lasciando duchi nelle maggiori citt�, in particolare il nipote Gisolfo a Cividale del Friuli; quindi assedi� Pavia, la prima citt� che gli fece resistenza, per tre anni (569-72). Durante questi tre anni, cominciarono le complicazioni, poich� contingenti di predatori longobardi iniziarono a spargersi sulle Alpi penetrando nella Borgogna dei Franchi (negli anni 569-75), e verso il 571 i Longobardi stanno gi� formando ducati per un lungo tratto verticale della penisola, a Spoleto (sotto Faroaldo) e Benevento (sotto Zotto), senza avere apparentemente occupato i territori intermedi. Bognetti ha suggerito delle spiegazioni: l'invasione della Borgogna fu il risultato dell'alleanza con Sigeberto d'Austrasia, mentre i ducati della penisola furono in effetti costituiti dai Bizantini come pres�di contro Alboino in punti strategici, in quanto sia Spoleto che Benevento controllavano importanti passi appenninici. Questa seconda ipotesi pare molto verosimile, non altrettanto la prima. In ogni caso, l'assassinio di Alboino, forse con la complicit� bizantina, mise fine al � piano organico �, e durante il resto del secolo regn� il caos4. Il successore di Alboino, Clefi, fu pure assassinato nel 574, e nei seguenti dieci anni, durante il cosiddetto interregno, i Longobardi rimasero senza re. Paolo Diacono sostiene che a governarli c'erano trentacinque duchi, pur se il numero sembra davvero troppo alto5. Ne nomina soltanto cinque, quelli di Pavia, Bergamo, Brescia, Trento e Cividale, per la maggior parte vicini al Trentino, ossia alla zona in cui visse una delle sue principali fonti, Secondo di Non. Possiamo aggiungere Torino, Spoleto e Benevento, con sicurezza, ma per altri si possono soltanto fare supposizioni. Entro 1'VIII secolo, i Longobardi ebbero ducati o loro equivalenti in tutte le citt� romane del nord e della Toscana, ma non si pu� ancora affermare che ad ogni citt� corrispondesse un ducato. Quanto a questo, non si pu� nemmeno essere certi che i Longobardi controllassero determinate zone, poich� i Bizantini mantennero certamente dei presidi in alcuni luoghi importanti dell'Italia del nord: sul Lago di Como fino al 588, a Susa (sulla principale via verso la Borgogna) finch� i Franchi la presero nell'ottavo decennio del VI secolo, nella valle di Non fino alla decade seguente, e a Cremona fino al 603. L'interregno costituisce una delle maggiori difficolt� della storiografia longobarda. Di solito lo si vede come il contrassegno della barbarie e dell'atavismo dei Longobardi; l'abbandono della monarchia � un evento quasi privo di paragone nella storia dei regni romano-germanici e se ne deduce che evidentemente non dovevano essere troppo legati a tale forma. Tuttavia, non era proprio cosa normale, neanche per i Germani dei tempi di Tacito, abbandonare la monarchia nel bel mezzo di una guerra, che in questo caso continu� anche dopo la morte di Clefi: il primo contrattacco bizantino si ebbe sotto Baduario nel 57S, e fu un clamoroso insuccesso. Altre spiegazioni dell'interregno paiono pi� probabili. Ne sono state suggerite parecchie. La pi� soddisfacente l'ha offerta ancora Bognetti, affermando che i duchi longobardi potrebbero essere stati invitati alla ribellione e disgregati dalle offerte bizantine di denaro. Menandro, il principale cronachista bizantino per la settima e ottava decade del secolo VI, nota che nel 577 l'imperatore Tiberio II sbors� ai Franchi 30.000 libbre d'oro perch� muovessero guerra ai Longobardi, e ai Longobardi perch� trattassero la pace. Anche nel 579 mand� denaro a singoli duchi longobardi perch� si ribellassero. E in realt�, nelle fonti del VI secolo giunteci, particolarmente le lettere di Gregorio Magno, troviamo i nomi dei Longobardi che combatterono contro Bizantini, cos� come, e quasi in egual misura, di quelli che combatterono a loro fianco. Uno di questi ultimi, Droctulfo, nella tomba erettagli a Ravenna, si merit� un'iscrizione celebrativa alle sue gesta eroiche: � terribile d'aspetto ma d'animo nobile, aveva lunga barba e ardito cuore. Am� sempre i fasti ed il nome di Roma e fu lo sterminatore della propria gente �. Etnicamente, Droctulfo era uno Svevo, e la confederazione longobarda comprendeva un gran numero di gruppi etuici diversi�Sassoni, Gepidi, Bulgari, Sarmati, Svevi, Turingi, Romani, Pannonici� e i Sassoni possono venir considerati come un gruppo in s� omogeneo, stando alle nostre fonti. Una tale mescolanza non ha certo aiutato la coesione politica dei Longobardi in quel periodo. Spoleto e Benevento si erano gi� certamente ribellate a Bisanzio, e potevano diffondere il caos nella penisola. D'altra partc, verso il 580 i Bizantini avevano � comperato � il duca del Friuli, Grasulfo, probabilmente il pi� potente duca del settentrione. Si deve almeno ammettere che l'ottavo e il nono decennio di quel secolo devono essere stati cos� caotici, sia per i Longobardi che per i Romano-Bizantini, che l'uso intelligente di denaro bizantino potrebbe essere ben stato la causa dell'abbandono temporaneo della monarchia longobarda6. Ma anche se le cose andarono cos�, si tratt� di fenomeno temporaneo. Nel 584, di fronte alle invasioni franco-austrasiane provenienti dal nord, i duchi longobardi si riunirono ed elessero Autari, figlio di Clefi, loro re. Se quanto afferma Paolo � vero, dovettero avere intenzioni politiche ben ferme, visto che ciascun duca cedette al re met� delle proprie sostanze, denaro e possedimenti per renderlo forte baluardo della monarchia. Certo � che sin da allora i re in Italia poterono contare su una base di vasta propriet� fondiaria, che dur� fino all'XI secolo. Darmstadter calcol� che in Lombardia e in Piemonte questa consisteva di un decimo e pi� della totale area fondiaria7. Autari � presentato come un re energico, giovane e romantico, ma si sa poco di lui. Sopravvisse a tre invasioni franche in sei anni, e mor� nel 590 dopo avere appena stabilito un'alleanza con i Bavaresi, attraverso le nozze con la principessa bavarese Teodolinda. Poco prima della morte, emise un editto anticattolico. Gregorio Magno (che fu eletto Papa in quello stesso anno) ne ritenne la morte un segno della giustizia divina, ma Dio sembra esser stato dalla parte di Autari: l'ultima invasione franca, del 590 consistette in un doppio attacco, coordinato con i Bizantini e destinato a spazzar via i Longobardi, ma non ebbe successo. I Longobardi si barricarono nelle citt�, senza opporre resistenza, ma i Franchi e i Bizantini non riuscirono a congiungere le forze e infine iFranchi se ne tornarono indietro. I Bizantini ne furono oltraggiati, ma probabilmente i Franchi non avevano alcun vero desiderio di eliminare i Longobardi. A1 contrario, ottennero quasi certamente la supremazia sull'Italia settentrionale, secondo la tradizione impostasi verso la met� del secolo VI. Autari pagava loro il tributo, e pur se una fonte afferma che il suo successore Agilulfo (590-616) avrebbe sborsato una somma di denaro per liberarsi da esso, � possibile trovare i Longobardi, ancora nel terzo decennio del secolo VII, tra le file dell'esercito franco contro il re degli Slavi Samo, assieme agli Alemanni che erano certamente una popolazione tributaria dei Franchi8. Dopo il S90, i Bizantini si rassegnarono momentaneamente alla sopravvivenza dei Longobardi, e cominciarono a consolidarsi nelle aree geografiche in cui erano confinati. Le loro �lite militari finirono con lo stabilirvisi con potere sia politico che economico, a fianco delle gerarchie episcopali di Ravenna, Roma e Napoli (si veda il capitolo terzo). A partire dal 590 anche fra i Longobardi cominci� a delinearsi una maggiore coesione politica. Autari tenne soprattutto un atteggiamento difensivo, ma Agilulfo, privo di minacce da parte dei Franchi, pass� all'attacco, occupando o rioccupando parecchie citt� lungo il Po, e minacciando Roma nel 593-4. Verso il 605, la serie di tregue concordate fra le due parti si cristallizz� in una pace permanente, che i re longobardi avrebbero infranto solo due volte nei successivi 120 anni. Da questo momento, fu possibile una ripresa dell'Italia. Per Agilulfo ci� significava il consolidamento del potere centralizzato dello stato longobardo, e Paolo lo descrive mentre ottiene la resa o la sottomissione di almeno otto duchi (la fonte di Paolo, Secondo, si trovava presso la corte di Agilulfo, e ci� rende Paolo testimone affidabile di questo regno). Entro il 603, anche Gisolfo II del Friuli, il ducato politicamente pi� autonomo di tutto il nord, venne a patti. Pi� a sud, Agilulfo fu o meno ambizioso o meno fortunato. Pare che verso la fine del suo regno fosse riuscito a stabilirsi in Toscana, pur se nel 603 Gregorio Magno ci indica l'esistenza l� di un duca indipendente lombardo, Cillanne, in guerra con Pisa (che per breve tempo fu autonoma). D'altra parte, Spoleto e Benevento ebbero vite politiche del tutto indipendenti, anche se Paolo afferma che il duca Arichi I di Benevento (591-641) era un friulano messo al potere da Agilulfo: cos�, per esempio, il duca Ariulfo di Spoleto, che nel 592 minacci� per conto proprio Roma, si rifiut� di aiutare Agilulfo a fare la stessa cosa nel 5939. Certamente Agilulfo concesse ai ducati meridionali una autonomia de facto, e per tale aspetto fiss� la situazione politica per un secolo e mezzo a venire, con la breve eccezione del regno di Grimoaldo. Il regno longobardo non incluse il sud, e la storia del mezzogiorno � diversa, come si vedr� nel capitolo sesto. A1 nord, per�, Agilulfo riusc� ad avere il riconoscimento della propria supremazia da parte di tutti gli altri potenti gruppi longobardi, e su questa base cominci� a consolidare lo stato, che per la prima volta comincia a prender forma nelle nostre fonti. Lo fece anche imitando accuratamente forme e cerimonie romane e bizantine, e sicuramente si serv� di consiglieri e ministri romani, fra i quali Secondo di Non. Sulla decorazione in oro d'un elmo ritrovato in Toscana appare una sua immagine, fiancheggiato da guerrieri longobardi ma pure da angeli che portano insegne recanti la parola victoria. Un'iscrizione ce lo presenta con i titoli romaneggianti di grat(ia) d(e)i, vir glor(iosissimus), rex totius Ital(iae). E, imitando Autari, egli us� certamente il titolo romano e ostrogoto di flavius. Nel 604 volle che il proprio figlio Adaloaldo, gi� battezzato cattolico, venisse presentato come re nel circo romano di Milano (alla maniera degli imperatori a Costantinopoli), al cospetto di ambasciatori provenienti dalla Francia10. E� chiaro che Agilulfo, utilizzando una serie piuttosto eclettica di immagini, mirava a dare al suo regno una patina di romanit�. Bognetti lo ha visto come una figura eroica, il guerriero ariano (o pagano) che cercava di romanizzare e cattolicizzare la sua corte e la sua eredit� simile in molti modi al Teodorico di un secolo prima e, come Teodorico, suscitando l'ira nazionalistica germanica sui propri successori, cos� da far iniziare una serie di colpi di stato religiosi e guerre civili che durarono nell'assieme dal 626 al 690. L'interpretazione di Bognetti mi sembra per� molto azzardata. In ogni caso, l'intera vicenda della storia religiosa dei Longobardi va discussa, pur se brevemente. I Longobardi erano sicuramente per la maggior parte pagani al momento del loro arrivo in Italia nel 568, pur se conosciamo poco circa le loro pratiche: i sacrifici resi alla testa di un capro, come racconta Gregorio Magno, o in un tempietto nel bosco, secondo quanto dice Giona di Bobbio (che scrisse nel quinto decennio del VII secolo), o tirando frecce contro una pelle appesa ad un albero, come nella vita di Barbato del secolo IX riguardante il vescovo di Benevento vissuto nell'ottava decade del secolo VII11. Ma sovrapposta a ci�, almeno per una parte dell'aristocrazia, c'era la religione cristiana. Dalla met� del VI secolo furono in gran parte cattolici, ma sin da Alboino cominciarono ad essere ariani, almeno a corte. Sappiamo che Autari fu attivamente ariano. Pu� darsi lo sia stato anche Agilulfo: di certo non fu cattolico, pur se gran parte della sua corte lo fu; Aricaldo (626-36) e Rotari (636-52) lo furono certamente. Dei re pi� tardi non sappiamo se qualcuno fu ariano, ma Grimoaldo probabilmente si (66271). Adaloaldo (616-26), Ariperto (652-61) e i successori di Grimoaldo furon tutti cattolici. Bognetti sostiene che ci sia stata una grande frattura tra elementi � progressisti �, che desideravano introdurre il cattolicesimo alla corte longobarda e della societ�, e i gruppi di guerrieri nazionalisti e tradizionalisti, che usavano l'arianesimo di Alboino e Autari come pietra di paragone. Agilulfo pot� circondarsi di cattolici, come la moglie Teodolinda, o Agrippino vescovo di Como, o l'irlandese Colombano (che fond� nel 613 il monastero di Bobbio), in quanto nell'Italia settentrionale il cattolicesimo si ricollegava allo scisma dei Tre Capitoli (un conflitto sull'ortodossia di tre trattati di teologia, che nascondeva tensioni interne alla chiesa d'oriente, e tra l'Imperatore di Bisanzio e il Papa di Roma) fin dal 551 e si opponeva quindi sia al papato che ai Bizantini. Per�, quando, sotto Adaloaldo e la madre reggente Teadolinda, si manifestarono tendenze atte a por fine allo scisma, i nazionalisti longobardi cominciarono ad agitarsi. E quando nel 626 l'imperatore d'Oriente Eraclio inizi� a vincere nelle sue guerre contro i Persiani, rendendo in tal modo pi� palpabile la minaccia bizantina, i Longobardi, allarmati, sostituirono prestamente ad Adaloeldo un ariano, Arioaldo. Da quel momento in poi, ogni qualvolta i Longobardi ebbero un re cattolico, ogni sua attivit� fu indebolita dal pericolo di una rivolta dei tradizionalisti, come accadde nel 661-2, e poi ancora nel 688, quando il duca ribelle di Trento, Alachi, giunse, senza rimanervi molto, al trono. Alcuni dei problemi relativi all'affresco di questo periodo scendono in dettagli particolarissimi, che non sono rilevanti per la nostra narrazione. I1 quadro che Bognetti offre, per�, � quello di gruppi ben definiti, legati a consapevoli ideologie politiche, e sarebbe cruciale per la nostra analisi se fosse vero; esso non � tuttavia totalmente attendibile. Innanzitutto c'� l'assenza di prove attestanti qualche particolare fervore religioso durante l'epoca longobarda. All'editto anti-cattolico di Autari abbiamo gi� fatto riferimento: si limit� a proibire ai Longobardi di battezzare cattolicamente i propri figli. Comunque, fra i seguaci di Autari ci furono dei cattolici, e Gregorio ne nomina uno12. In avvenimenti di cui siamo a conoscenza si possono vedere Arioaldo e Rotari che rispettano, se non altro, i diritti della Chiesa di Roma sui cattolici in territorio longobardo. Della sensibilit� religiosa di Grimoaldo non sappiamo assolutamente niente, pur se Paolo, la nostra maggior fonte in questioni del genere, non � giunto mai ad ammettere che alcuno dei suoi re sia stato ariano con l'unica eccezione di Rotari. I re del tardo secolo VII e dell'VIII, divenuti ormai chiaramente cattolici, non mostrano zelo maggiore dei re ariani. Lo stesso uso della Chiesa come strumento politico per il rafforzamento dello stato, cosa ricorrente tra le monarchie alto medievali, � del tutto assente sino ai tempi della conquista franca13. Alboino si convert� all'arianesimo per evidenti motivi politici, e l'ultimo re che sostenne l'arianesimo in modo attivo mor� nel 590, soltanto venticinque anni pi� tardi. Non si tratt� di un periodo sufficientemente lungo perch� si installasse fra i Longobardi la coscienza del valore potenziale dell'arianesimo come vessillo del nazionalismo. Un secondo problema � costituito dal fatto che il colpo di stato del 626, in cui fu rimosso Adaloaldo, venne aiutato dai vescovi cattolici del regno longobardo, come possiamo apprendere da una lettera indignata di Onorio I14. La cosa non apparirebbe molto strana se fosse vero che Adaloaldo aveva ricusato lo scisma dei Tre Capitoli, come ha sostenuto Bognetti; ma abbiamo troppo poche prove per affermarlo. D'altro canto, il fatto che sia i vescovi (cio� i Romani) sia i Longobardi contribuissero alla caduta di Adaioaldo, e che il Papa e l'esarca la deplorassero, mostra che contro Adaloaldo non erano schierati soltanto i nazionalisti longobardi. Paolo afferma che Adaloaldo impazz�; � possibile. Oppure, cos� come era successo con Amalasunta e Teodato un secolo prima, pu� essere che avesse progettato una totale riconciliazione con Bisanzio sul piano politico. Ma in ogni caso, supporre che ci fosse un raggruppamento irredentistico fra i Longobardi, in forza di un'ideologia religiosa coerente e dell'assunzione del ruolo di custodi della politica, pare superfluo e anacronistico. Paolo ci fornisce un'unica prova della consapevolezza politica dei Longobardi: quando nel 663 il nuovo re Grimoaldo torn� al suo ducato di un tempo, Benevento, per combattere un'invasione bizantina, molti Longobardi (fra cui il suo reggente, Lupo, duca del Friuli) conclusero che non ne sarebbe tornato pi�, e abbandonarono la sua causa15. Ci� non quadra molto con la visione politica internazionale che Bognetti suggerisce come tipica dei nazionalisti del 626. Personalmente, preferisco considerare l'alternanza di credo religioso nei re del VII secolo come l'indice non della centralit� della religione per i Longobardi, bens� della quasi totale irrilevanza del personale schieramento religioso all'interno di un sistema politico assolutamente secolare. Diversamente dai Franchi, i Longobardi non ebbero bisogno della Chiesa per rafforzare il proprio stato. Piuttosto, poterono far ricorso, come vedremo, a parecchi residui delle istituzioni della tarda romanit�. D'altra parte, nelle nostre fonti � possibile scorgere due diverse correnti all'interno della monarchia del secolo VII, che possono venir collegate, con cautela, a fedi religiose: da un lato, la tradizione di Agilulfo, della corte cattolica con legami col cerimoniale e la cultura romani e bizantini, seguita dai discendenti del fratello di Teodolinda, Gundoaldo, la dinastia bevarese, che govern� pi� o meno dal 652 al 712; da un altro lato, quella che potrebbe venir definita la tradizione � del paese�, la monarchia di uomini che avevano cominciato col titolo di duchi e s'erano legati alla corte attraverso matrimoni: Arioaldo, Rotari e Grimoeldo. Le due tendenze non si cristallizzarono in raggruppamenti politici; rappresentarono solo un contrasto fra le origini sociali degli uomini che erano nella posizione di giungere al supremo potere dell�organizzazione statale. Tuttavia, Rotari e Grimoaldo, almeno, agirono diversamente rispetto ai Bavaresi. Promulgarono leggi e contribuirono alla legislazione longobarda. L'Editto di Rotari del 643 costituisce l'esposizione pi� sistematica e su pi� ampia scala delle consuetudini germaniche giunta sino a noi e proveniente da un regno germanico, con la sola esclusione dei Visigoti16. Ma il codice dei Visigoti � fortemente influenzato dal diritto rornano in generale. L'Editto di Rotari, viceversa, � romano solo per quel che riguarda il linguaggio, certe affermazioni basilari sulla propriet� (e, fino a un certo punto, il molo e la figura pubblica dello stato), e la sua inclusivit�. Entra attentamente nelle sfere della corte e dell'esercito, della compensazione per le ferite, della propriet� fondiaria e delle responsabilit� (in misura minore), l'eredit�, il matrimonio, la schiavit�, i crimini agricoli e la procedura legale. Rotari s'accontent� per lo pi� di esporre le consuetudini, pur se di tanto in tanto ammise specificatamente di aver alterato qualche usanza, cosi come fece nell'aumentare la compensazione monetaria nel caso di ferimenti per rendere pi� onorevole la rinuncia alle falde. Redasse invece una serie il pi� possibile vasta, con l'aiuto dei suoi consiglieri, delle usanze longobarde e vi appose il suo nome. Si tratt� di una cosa di stile tipicamente germanico, e costitu� una maniera per accaparrarsi prestigio del tutto diversa da quella di Agilulfo. Inoltre, ebbe a cadere nel contesto della prima guerra longobarda d'aggressione dopo quattro decadi, nella quale Rotari conquist� gran parte dell'Emilia e l'intera costa ligure. Ma la cosa fu resa possibile grazie alla organizzazione statale risalente ad Agilulfo, all'interno di un sistema amministrativo di origine romana che pot� fornire il personale (sicuramente romano) necessario per raccogliere e redigere 388 articoli di legge, e che pot� considerare l'Editto, una volta steso, un codice scritto parallelo al codice romano, e suscettibile di mutamenti (con le aggiunte di Grimoaldo e quelle dei sovrani dell'VIII secolo). Rotari non fu educato a corte e fu un ariano, ma non si oppose alla tradizione di Agilulfo; costru� su di essa. In modo simile, Cuniperto (679-700) miglior� l'amministrazione, e accrebbe l'importanza della capitale longobarda, Pavia; ma uno dei cardini della sua amministrazione fu il codice formulato da Rotari e Grimoaldo. Le due tradizioni, anzich� opporsi, paiono integrarsi. D'ora in poi si far� riferimento alle leggi con i nomi dei re. Grimoaldo giunse al potere nel 662 strappandolo ai due figli di Ariperto I, Godeperto e Pertarito, iniziatori di una guerra civile che segn� le origini di un conflitto sanguinoso sfociato in una serie di violenti colpi di stato tra i loro discendenti (completamente cattolici) nel 701-2. Grimoaldo era duca di Benevento, pur se figlio di Gisolfo II del Friuli. La cosa � interessante perch� indica i rapporti di parentela fra ducati situati ai poli opposti dell'Italia, nonostante l'indipendenza de facto di Benevento. Ma il fatto che un duca di Benevento si potesse sentire sufficientemente parte del sistema politico longobardo da reclamarne la corona suggerisce qualcos'altro. Ci furono molti colpi di stato nella storia dei Longobardi: dieci o undici, per non nominare che quelli che ebbero successo. A volte si interpreta ci� come un segno della debolezza politica dei Longobardi. Quanto fosse forte lo stato lo si vedr� fra poco, ma la tendenza a prendere il potere con un colpo di stato non � un segno della disgregazione dei Longobardi ma, al contrario, della sostanziale coesione del sistema politico. Max Gluckman in uno dei testi classici di introduzione all'antropologia sociale ha mostrato come la ribellione compiuta da gruppi che rispettano i confini di un sistema politico pu� rafforzare, piuttosto che minare, un tale sistema.17Ha fatto l'esempio degli Zul�, nel cui stato le comunicazioni etano cosl difficili che sarebbe stato facile per i vari sovrani locali mantenersi indipendenti. Invece, quei sovrani potevano, ribellandosi, aspirare al titolo reale, e le periodiche guerre civili, scoppiate attorno a candidati rivali in lizza per il regno unitario, rafforzarono quell'unit�. In modo simile, � possibile vedere come l'indipendenza dei duchi longobardi all'interno del regno sia stata distrutta da Agilulfo e come, dopo il regno di questi, non si trovino pi� duchi alla ricerca dell'indipendenza. Diversamente, essi cominciarono ad aspirare al trono, con Arioaldo di Torino nel 626, Alachi di Trento nel 688 circa, Rotari di Bergamo nel 702 circa, Rachi del Friuli nel 744, Desiderio di Brescia nel 756, e altri. I1 fatto che anche Grimoaldo abbia compiuto questo tentativo nel 622 sta a indicare che per certi aspetti anche Benevento poteva essere coinvolta in tali esperienze pur se eccezionalmente. Grimoaldo lasci� suo figlio Romoaldo come duca indipendente, e fu solo nel quarto decennio dell'VIII secolo che Liutprando sottomise il sud al controllo reale Se ne pu� dedurre che, nonostante il legame ereditario con la dinastia bavarese che perduro con qualche interruzione fino al 712, il sistema politico longobardo permetteva a coloro che, sia ariani sia, sempre pi�, cattolici, ritenevano di poter raccogliere attorno a s� forze militari e politiche sufficienti a conquistare il potere, di esplicare pienamente le proprie personali ambizioni. Ci� pu� produrre una debolezza nel sistema politico, ma non necessariamente, e nel caso dei Longobardi non la produsse18. Argomenti simili potrebbero essere addotti in merito ai problemi sulla successione tra i Visigoti in Spagna nel secolo VII. La corte reale e la costruzione dello stato costituivano la base del potere reale longobardo. Entrambe si reggevano su una capitale, Pavia, dove si trovava il palatium reale o curtis regia. Non � che Pavia avesse avuto sempre quel ruolo (Alboino probabilmente le prefer� Verona, e Agilulfo Milano), ma verso il 620 fu pi� o meno accettata come la citt� principale, e lo rimase per quattro secoli. Venne arricchita di edifici monumentali che esprimessero quel suo ruolo: il palazzo stesso, di origini ostrogote, un'intera serie di chiese fondate da re e regine a partire almeno dalla met� del secolo VII, e uno dei pochi complessi termali che si sappia funzionante in quel secolo. Se non fu modellata esattamente su Costantinopoli, lo fu sul modo in cui quella citt� era concepita, e, pi� direttamente, su Ravenna. Eccettuando la Toledo dei Visigoti e la Aquisgrana di Carlo Magno (che fu per poco tempo capitale), non ebbe alcun parallelo nell'Europa occidentale. Sin dai tempi di Cuniperto in poi, � possibile rintracciare una successione di grammatici che vi han risieduto, con lo stesso Paolo Diacono sotto Desiderio attorno al 760, e divenne probabilmente gi� allora il centro degli avvocati e dei notai, anche fuori dai confini della corte reale vera e propria19 L'organizzazione centrale dello stato era chiaramente di derivazione romana. Esistevano alcune cariche cerimoniali appartenenti di certo alla tradizione longobarda, marpabis, scilpor, scaJard, antepor, stolesaz, molte delle quali sono difficilmente definibili pur se sappiamo che lo stolesaz era il tesoriere (incarico particolarmente importante alla corte di Benevento, che imit� le tradizioni longobarde), e il marpabis � a volte chiosato come strator o stalliere. Ma dall'epoca in cui cominciamo ad aver documenti della corte, cio� dal regno di Liutprando, non sono tanto quelle figure che incontriamo, quanto incarichi di chiara origine romana, maiordomus, vesterarius, camerarius, actionarius, e in particolare il referendarius e tutta una serie di notari di corte. Questi ultimi erano incaricati di redigere i diplomi reali, registrazioni formali di decisioni e doni del re, che venivano stilati prima dal referendarius. I1 maiordomus e gli altri avevano incarichi pubblici, sia domestici che amministrativi, a Pavia, ma funzionavano anche da rappresentanti, almeno parziali, del sovrano nel resto dell'Italia, come una sorta di missi carolingi. Era a loro che venivano sottoposti casi giuridici difficili nelle province. Liutprando invi� il maiordomus Ambrosio nella primavera del 715 e il notarius e missus reale Gunteramo nell'estate dello stesso anno a sentire le prime discussioni dell'interminabile disputa relativa ai confini tra le diocesi di Siena e di Arezzo20. Tutti quei funzionari pubblici, con l'aiuto degli stratores, davano udienza anche a Pavia. Tali funzioni giuridiche rendono difficile separare i singoli compiti di ciascuno di loro, tanto che i funzionari di palazzo, in modo simile ai duchi e ai gastaldi delle province, sono spesso chiamati semplicemente iudices. Ma a Pavia formavano comunque un gruppo ben definito, potenzialmente disponibile per chiunque avesse bisogno della ratificazione reale di un atto giuridico o desiderasse appellarsi contro una decisione della magistratura. I re o i loro pi� vicini rappresentanti dovettero ratificare molti atti giuridici assai banali, nei nostri testi dell'VIII secolo, quali la copia autentica di una concessione fondiaria fatta da un notabile toscano durante il regno di Astolfo, o una piccola alterazione di dettagli nel testamento di Gisolfo strator di Lodi nel 759. Nel 771 i tre proprietari di una chiesetta privata nei pressi di Lucca si appellarono al re in una disputa legale col vescovo Peredeo, Desiderio ingiunse a Peredeo di riconsiderare le loro istanze e di riconosere i loro diritti, cosa che il vescovo fece21. I1 re mantenne in uso ~�nche molte prerogative e molti oneri del tardo stato romano: la zecca, ia determinazione dei prezzi, la conservazione delle mura cittadine22. La presenza di Pavia quale forza politica nel Per la determinazione dei prezzi: Memoratorium de Mercedibus Commacinorum regno fu senz'altro efficace. Una cosa soltanto contraddistingue nettamente il regno longobardo dal tardo Impero e dallo stato degli Ostrogoti: non riscosse imposte fondiarie. Di certo i re ricevettero abbondanti proventi dalle tasse sulle attivit� commerciali, dazi di importazione, imposte sulle vendite e dazi portuali, fra i quali � pressoch� impossibile distinguere chiaramente: datio, teloneum, siliquaticum, ripaticum, portaticum, tutti con radici tardo romane. Poterono anche beneficiare di manodopera di corv�e (angaria, scuvide o utilitates), da parte probabilmente di uomini liberi romani e longobardi23. Ma gli imperatori avevano considerato tutte queste tassazioni come banalit� in confronto all'imposta fondiaria, che era stata la vera fonte di sostentamento dello stato. Nel caso in cui quell'imposta sia rimasta in vigore in epoca longobarda, ci� pu� esser successo solo in modo frammentario e irrilevante. Ad esempio, in un diploma di Carlomagno del 792 si fa riferimento a una decima versata in precedenza allo stato dalla chiesa di Aquileia; se il peso di quelle tasse fosse stato per� rilevante e normale, ne avremmo senz'altro qualche cenno in altri documenti24. La mancanza di un'imposta fondiaria, per�, muta l'intero rapporto fra stato e societ�. L'imposta era stata essenziale per il funzionamento di intere attivit� sociali, quali il mantenimento dell'esercito. Aveva costituito senz'altro la voce di maggior peso finanziario per contadini e proprietari terrieri, e la sua raccolta annuale aveva segnato certamente il momento in cui lo stato gravava maggiormente sulla societ�. Non deve sorprendere che sia scomparsa durante le invasioni longobarde, considerata la difficolt� che c'era sempre stata a riscuoterla. Sopravvisse per� nell'Italia bizantina. L'esercito longobardo trov� invece il proprio sostentamento dall'insediamento diretto sulle terre (cfr. pp. 92 ss.). Ma ci� signific� che, per quanto romane fossero le forme dello stato longobardo, il suo peso istituzionale era molto diverso. Se si eccettuano proventi straordinari, quali bottini di guerra o confische legali, le risorse finanziarie dello stato derivavano ora quasi esclusivamente dalla sua stessa propriet� fondiaria. Cos� che la propriet� fondiaria divent� in questo periodo pi� che uno strumento per ottenere il potere e l'influenza politici, come era stato con i Romani, il potere politico vero e proprio. L'esercito venne ora organizzato localmente, come una sorta di dovere pubblico, sotto il controllo dei duchi. Tuttavia, i duchi tendevano a rappresentare anche i maggiori proprietari privati di terreni nei rispettivi loro territori, e avevano i propri dipendenti; verso il 750 l'obbligo di fornire forze militari fu gi� misurato secondo la propriet� fondiaria. Per cui il modello sociale, pur se inserito in una struttura politica che doveva le sue linee generali alla tarda romanit�, era gi� divenuto ampiamente � feudale �. Fintantoch� l'Impero poteva riscuotere le sue imposte esso rimaneva ipso facio un'istituzione potente e sovrastante. Dall'epoca longobarda in poi lo stato ebbe a dipendere per la sua stessa esistenza, pi� esplicitamente e direttamente, dal consenso: il consenso dei suoi sostenitori pi� potenti, i duchi (e, pi� tardi, i conti) e gli altri proprietari terrieri. Per il momento, in ogni caso, non aveva alcuna difficolt� ad ottenere quel consenso. I re (con l'eccezione di Grimoaldo) non sembrano aver dovuto essere troppo generosi con i loro sostenitori per ottenere il loro appoggio, diversamente da quanto accadde per altri sovrani dell'Alto Medioevo. Solo a partire dal 900, da quando cio� il potere statale cominci� a venir meno, i sovrani presero a rilasciare grandi concessioni di terra. Nel frattempo, la sopravvivenza di un sistema MGH Leges, IV, pp. 176~0. Per le mura di cinta cittadine V. Fainelli (curatore) Codice Diplomasico Veronese, I (venezia, 1940), n. 147. legale complesso che si basava sui centri di potere regi, e su un equilibrio di forze nei centri minori, la citt�, costituiva la base pi� sicura per l'egemonia dei re longobardi, come vedremo nei capitoli seguenti. L'amministrazione locale longobarda era pure, in massima parte, di derivazione romana. I1 regno risultava da un complesso di circoscrizioni locali che corrispondevano, nella maggior parte, ai territori cittadini e alle diocesi ecclesiastiche romani. A controllarli c'erano duchi e gastaldi, che vivevano nelle citt�, rafforzando cos� il predominio che le citt� avevano sempre avuto sui territori circostanti. A volte si verificavano cambiamenti, quasi sempre chiaramente motivati. La difesa dei confini locali era il motivo principale, e produceva grandi ducati come il Friuli, o in altre aree una proliferazione di distretti amministrativi basati su castra, roccaforti difensive, come Castelseprio e Sirmione ai piedi delle Alpi, e un'intera catena di castra negli Appennini toscani ed emiliani a controbilanciare le difese appenniniche bizantine25. Laddove i confini fra territori di singole citt� venivano a mutare, le citt� che perdevano appezzamenti tendevano a fare resistenza, cos� che i re dovevano risolvere le dispute, come accadde tra Parma e Piacenza (almeno quattro volte fra il 626 e 1'854) e tra Siena e Arezzo. In quest'ultimo caso, i confini amministrativi di Arezzo non s'erano veramente estesi; tuttavia, all'inizio del VII secolo, durante una lunga vacanza di vescovi a Siena, la diocesi di Arezzo era giunta a includere una ventina di chiese senesi. I vescovi senesi considerarono una tal cosa un'anomalia intollerabile e vennero appoggiati dai propri gastaldi. Liutprando stette dalla parte di Arezzo, e cos� accadde anche per una serie di re e di papi, pur se un giudizio contrario espresso da papa Leone IV nell'850 ingarbugli� tanto la disputa da impedirne la soluzione per molti secoli26. Ovviamente, in qualit� di duchi furono nominati i capi militari dell'esercito di Alboino, collocati subito in singole citt�, e presto incaricati anche di responsabilit� civili. I gastaldi, invece, pare fossero originariamente gli amministratori locali del fisco reale (cio� le entrate del re, derivanti allora quasi esclusivamente da terreni). Per Rotari di certo le due funzioni pubbliche coesistono nella stessa citt� e anzi egli le usa come meccanismi di appello27. Ma sotto Agilulfo si nota che i gastaldi rimpiazzano i duchi nelle citt� ribelli, e in Toscana la maggior parte delle citt� (tranne Lucca e Chiusi) sembrano non avere avuto mai alcun duca. Nei ducati meridionali, i gastaldi costituivano gli unici rappresentanti politici locali, ma erano per� totalmente sottoposti ai duchi che reggevano il governo centrale a Spoleto e a Benevento. I1 ruolo duplice dei gastaldi sembra essersi cristallizzato a Siena tanto che nel 715 coesistettero due gastaldi. Non si pu� sapere con certezza se la netta separazione dei poteri fu una caratteristica diffusa; ma a Lucca, almeno, la curtis regia ovvero il centro politico-amministrativo locale era geograficamente separato dalla curtis ducalis, la corte del duca, e a Brescia, nel 759-60, il re Desiderio distinse nei suoi diplomi tra la propriet� del re (curtem nostram), la propriet� ufficiale del duca (curtis ducalis) e la propriet� personale da lui posseduta, o affidatagli, quando si trov� duca in quella citt� sotto Astolfo28. Duchi e gastaldi godettero entrambi di un considerevole rispetto locale e mostrarono grande impegno nelle vicende locali, ma � significativo che, con rare eccezioni, non sia possibile ripercorrere dinastie degli uni o degli altri. Agli inizi ne ebbe una il Friuli, ma essa si perse nel quarto o quinto decennio del secolo VII. La stessa Spoleto mut� dinastia parecchie volte, subendo di solito le pressioni dei re. Soltanto Benevento continu� indisturbata (sotto l'ex dinastia friulana), almeno sino al regno di Liutprando. Per quanto riguarda ambiti di minore ampiezza delle citt�-territorio, d'altra parte, la confusione � estrema. Le leggi alludono a funzionari pubblici minori, gli sculdabis, il centenarius e il lecanus. Si sono fatti vari tentativi di organizzarli in gerarchie verosimili con verosimili circoscrizioni; in generale per� non s'� avuto alcun successo. Non c'� alcun motivo per credere che avessero nell'Italia longobarda le stesse funzioni che adempivano altrove. In alcuni casi, tali funzionari devono avere avuto responsabilit� locali: � chiaro che Liutprando lo d� per scontato nelle sue leggi, e di tanto in tanto troviamo riferimenti a decani e centenari, responsabili forse per i villaggi toscani e i territori relativi. Pi� a nord, comunque, non si riesce a trovarne tracce nel periodo longobardo. Nel ducato di Spoleto pare che entro il gastaldato di Rieti gli sculdabes abbiano avuto incarichi ufficiali, ma solo nella cerchia del gastaldo, e non fuori di quella citt�29. La relativa omogeneit� del governo centrale e dell'amministrazione cittadina sparisce completamente a livello locale. Non si pu� dire se ci� fosse risultato del caos delle guerre gotiche e longobarde o se invece sia soltanto la pi� antica prova documentata in nostro possesso di contrasti ancor pi� remoti. L'unit� locale base dello stato longobardo fu essenzialmente la citt� con il territorio che la circondava; essa costituiva una struttura cellulare, in parte risultato della volont� di Alboino di lasciare il governo delle citt� ai duchi, ma soprattutto continuazione della tradizionale ripartizione sociale e geografica dell'Italia. Soddisfatta la coerenza a questo principio, il problema delle unit� minori pare aver contato poco. Con l�VIII secolo, tale quadro politico si consolida. Grimoaldo sconfisse l'ultimo tentativo bizantino di riconquistare territori longobardi, sotto l'imperatore Costante II nel 663, e ne seguirono sessant'anni di pace, con l'eccezione di alcune espansioni dei Beneventini (Taranto e Brindisi nel penultimo decennio del VII secolo, la Valle del Liri nel 702 circa). La dinastia bavarese si distrusse da s� attraverso una serie di colpi di stato a catena tra il 701 e il 712, e nel 712 il suo ultimo re, Ariperto lI (701-12), venne spodestato da Ansprando. Ansprando mor� quello stesso anno, e gli successe il figlio Liutprando (712-44). Liutprando e i tre principali suoi successori, Ratchis (744- 9), Astolfo (749-56) e Desiderio (757-74) mostrano identit� individuali e atteggiamenti sottilmente differenti. Diviene cos� possibile una storia politica30. I1 padre di Liutprando era stato il tutore di Liutperto (700-2), figlio di Cuniperto, ed era salito al potere con l'aiuto militare del duca dei Bavaresi. In senso politico era chiaramente l'erede di Cuniperto, tuttavia non rientrava nella tradizione dinastica della corte di Pavia, e per quel che riguarda le sue gesta si mostr� pi� un seguace di Rotari e Grimoaldo. Con Liutprando venne a configurarsi nella sua completezza la sintesi delle due tendenze della monarchia longobarda nel VII secolo. I1 suo primo gesto, nel 713, fu di rivedere le disposizioni del codice di Rotati in merito all'eredit�. La rapidit� della revisione � sintomatica: ci deve essere stata una considerevole pressione popolare a favore di maggiori diritti ereditari per le donne e della legittimazione delle donazioni lasciate alla Chiesa. Liutprando stesso ne accenna in una notizia del 733 in cui si lamenta dell'avidit� dei funzionari reali, e si chiede perch� non s'accontentino delle concessioni di cui gi� godono. I provvedimenti sembrano avere avuto un riscontro immediato; quasi le prime donazioni alla Chiesa di cui ci sia giunta notizia, seguono subito nel 71431. L'importanza della legittimazione esplicita di atti giuridici da parte dei re dimostra quanto fossero forti l'autorit� del re e della legge, come vedremo nel capitolo quinto. Dimostra altres� l'influsso del diritto romano, poich� questi mutamenti andavano nella direzione della pratica legale romana. I Romani costituivano la gran maggioranza degli abitanti dell'Italia longobarda, ma cominciano a spuntare solo nelle fonti che documentano il regno di Liutprando, pur se alcuni s'eran gi� notati nel VII secolo, come Pietro figlio di Paolo, l'aiutante di Adaloaldo, e la nobildonna romana Teodota, di cui s'innamor� Cuniperto alle terme32. I1 rapporto fra Romani e Longobardi verr� discusso pi� avanti, ma possiamo notare fin d'ora come Liutprando fosse stato influenzato dal diritto romano. Non per� in modo indiscriminato: elementi romani ebbero a inserirsi in una cornice legale fermamente longobarda. Il resto della legislazione sull'eredit�, ad esempio, rimase totalmente longobardo. Cos� ancora, nel 731, Liutprando: rese il combattimento conosciuto come � giudizio di Dio � un avvenimento dal valore accuratamente circoscritto: � poich� non siamo sicuri sulla verit� del giudizio di Dio, e abbiamo saputo di molti che hanno perduto la loro causa ingiustamente; ma, poich� esso rientra nelle tradizioni della nostra gente longobarda, non possiamo proibire del tutto la legge che lo autorizza �33. Sentimenti nobili, tipici della nazionalit� dei giudizi ad hoc di Liutprando; essi sono comunque fermamente soggiogati alle norme del diritto longobardo. Questa cornice Longobarda tradizionale che circondava ogni innovazione legale fu l'elemento caratterizzante della versione di Liutprando della sintesi del VII secolo. Liutprando legifer� durante l'intero suo regno, con l'eccezione degli ultimi nove anni, aggiungendo 152 articoli all'Editto (158 se includiamo anche i sei capitoli della notitia de acioribus regis, che nella sua essenza si configura come precorritrice del capitolare carolingio). Per il resto egli tenne sotto fermo controllo i suoi duchi e, dopo il 126, attacc� con una certa sicurezza tutte le altre potenze della penisola. Nel 726-7 invase l'Esarcato e l'occup� per intero con la sola eccezione di Ravenna; quando se ne ritir�, mantenne sotto il suo controllo le zone pi� occidentali. Nel 732-3, nel 740 e nel 743 ne rioccup� le altre parti, compresa, stavolta, Ravenna. Nel 733 scese verso il sud, e mise il nipote Gregorio al potere a Benevento. Nel 739, in reazione ad un�alleanza a lui ostile fra Spoleto, Benevento e il papato, espulse il duca di Spoleto e occup� quattro citt� appartenenti a Roma, prima di tornarsene a nord per aiutare Carlo Martello nella guerra contro gli Arabi in Francia. Nel 742 torn� nel sud e cacci� via i duchi sia di Spoleto che di Benevento, tornando a nord solo nel 743 per occupare; Ravenna: All'improvviso, per la prima volta dopo sessant'anni, il potere militare longobardo dimostrava di non avere alcun rivale in Italia. Al tempo di Rachi, Spoleto viene assorbita entro la cornice del regno: le sue pratiche notarili dipendono sin da allora da Pavia, e i re acquisiscono il diritto di alienare le propriet� dei duchi. Tra il 751 e il 756 Astolfo elimin� addirittura la figura del duca34. Come conseguenza, Spoleto sarebbe stata incorporata saldamente nell'Impero Carolingio. Anche Benevento, almeno parzialmente, fu assoggettata a Pavia, pur se in questo caso solo come conseguenza del riconoscimento della supremazia del settentrione, rafforzata dalla capacit� degli eserciti settentrionali di spodestare in qualsiasi momento i suoi duchi. Cosa intendesse fare Liutprando delle parti bizantine dell'Italia � meno certo. Non sembra avere avuto progetti di occupazione territoriale permanente in merito ai possedimenti romani, e, nel 744, dietro richiesta del papa Zaccaria, evacu� Ravenna. Pare avesse riconosciuto un'esistenza indipendente e legittima all'Esarcato, pur se non ai ducati longobardi. Quando giunse al potere Astolfo, le cui idee erano alquanto differenti, l'equilibrio internazionale delle forze era mutato. Ildeprando successe allo zio Liutprando, ma fu destituito quasi subito da Rachi del Friuli (744). Rachi pare aver seguito la politica di Liutprando, attaccando Roma e Ravenna, e poi ritirandosi. Le sue quattordici leggi del 746 rientrano nelle tradizioni di Liutprando. I1 problema che maggiormente afflisse il suo regno � quello dell'abuso di potere da parte degli iudices (duchi e gastaldi) e dell'opposizione illegale nei loro confronti. Non si trattava di un problema nuovo per i re longobardi (o per i loro predecessori): sia Rotari che Liutprando lo affrontarono nelle loro leggi, e Rachi stesso usa termini tardo-romani, quali patrocinium, nella propria analisi della situazione35. In effetti, i re longobardi, come tutti i sovrani medievali, erano praticamente impotenti dinanzi all'abuso di potere da parte dei loro rappresentanti locali (quello che Rachi definisce il favoritismo nei confronti di dipendenti, parenti, amici, o persone che sborsavano denaro), in quanto il loro potere locale era basato proprio su quei rappresentanti. Si pu� dire che almeno qualche tentativo venne fatto, come indicano le leggi; e, per esempio, Liutprando cacci� Pemmo (padre di Rachi) dal ducato del Friuli, per aver questi trattato iniquamente il patriarca di Aquileia36. Quel che queste leggi non mostrano � la presunta insicurezza vissuta da Rachi di fronte alla crescente inquietudine civile; inquietudini di tal sorta erano comuni nella societ� altomedievale. Pi� serie furono le misure che egli prese soprattutto contro la Francia37, per proteggere i confini dalle infiltrazioni di nemici e di spie, e dalla fuga di informazioni segrete e di persone. La Francia fu sempre pi� potente del regno longobardo, anche durante l'eclissi politica dei Merovingi nel tardo VII secolo, e i Longobardi fecero bene attenzione a rimanere in rapporti amichevoli. Dopo il regno di Agilulfo, le due potenze si mantennero alleate, con l'unico intervallo dell'invasione dei Franchi nel 662 (a favore del re esiliato Pertarito), fino al regno di Liutprando. Come s'� visto, Liutprando e Carlo Martello combatterono assieme contro gli Arabi. Quando nel 740 il papa Gregorio III chiese l'aiuto dei Franchi contro Liutprando, questo gli fu negato. Ma il papato aveva sempre pi� bisogno dei Franchi contro i Longobardi, in quanto gli imperatori bizantini, sia per differenze religiose che per le guerre in Oriente, non erano pi� disposti a venire in aiuto di Roma. Dopo la morte di Carlo Martello nel 741, il papato e i Franchi avviarono un ravvicinamento che port� al riconoscimento papale della dinastia carolingia come dinastia reale in Francia, nel 752. Era pi� che logico che Rachi se ne preoccupasse: la Francia era anche la patria tradizionale degli esuli longobardi e avrebbe potuto, volendo, aiutarli. Nel 749 egli si ritir� nel monastero di Montecassino, dopo essere stato destituito (probabilmente con un colpo di stato) dal suo energico fratello Astolfo. I problemi si acuirono. Come abbiamo detto, Astolfo assorb� completamente Spoleto. Nel 751 occup� Ravenna, con tutta l'intenzione di rimanervi, come si pu� vedere dalle testimonianze relative alle edificazioni (poi interrotte) da lui intraprese in qella citt�. Nel 752 chiese il tributo dei Romani, e il controllo sui castra della campagna romana. Dopo il fallimento dei negoziati, il papa Stefano II si rivolse ai Franchi. Nel 755 (o 754) i Franchi, guidati da Pipino III, attaccarono; Astolfo li affront� in una battaglia campale e perse. Dentro l'assediata Pavia firm� l'accordo coi Franchi, cedendo al Papa tutto l'Esarcato (contro il desiderio dei ravennati, che certo preferivano il dominio dei Longobardi piuttosto che quello del Papa). A seguito della rottura della pace, nel 756, Pipino invase nuovamente il regno longobardo e si giunse a un nuovo accordo. Entro l'anno Astolfo mor�.38 In generale gli storici hanno giudicato severamente Astolfo, vedendolo esclusivamente con gli occhi dei suoi nemici. La storia di Paolo si ferma al 744, e del resto la sua ipersensibilit� in merito ai cattivi rapporti fra re longobardi e papato lo avrebbe reso poco affidabile per il periodo seguente. Ci restano soltanto gli annali dei Franchi e il Liber Pontificalis romano, analisi condotte con animo per nulla amico. Quest'ultimo non lesina le parole nell'esprimere la sua opioione su Astolfo: il pi� malvagio, il pi� feroce, spaventoso, empio, blasfemo, son tra gli epiteti pi� laconici. In realt�, Astolfo stava solo portando alle loro logiche conclusioni le linee politiche di Liutprando. Si pu� dire unicamente che ebbe la sfortuna di regnare in un momento in cui i Franchi si mostrarono disposti a intervenire, poich� i Franchi erano invincibili. Non fu neanche in vera opposizione nei confronti del papa, dal punto di vista religioso. Nel 7S2, nel bel mezzo delle sue campagne militari, deleg� Roma a decidere in merito alla terza fase della controversia fra Siena e Arezzo, affermando che la cosa non era di sua competenza. Neanche Liutprando era giunto a ci�. Le sue leggi mostrano preoccupazioni assai simili a quelle di Rachi, con forse l'aggiunta significativa di una legge che castigava la tendenza dei potenti a fuggire dai doveri militari. I Longobardi, probabilmente, erano assai meno pronti dei Franchi allo stato di guerra permanente: parecchi aristocratici longobardi, come � noto, fecero testamento prima di scendere in campo contro Pipino, e questo non contribu� certo all'efficacia di Astolfo contro i Franchi39. I1 regno di Desiderio (757-74) ha tutta l'aria di un commento in appendice sull'intera situazione. All'inizio, Desiderio cominci�, con l'appoggio papale, vincendo una guerra civile contro Rachi, riapparso momentaneamente da Montecassino per reclamare il trono. Dapprima visse nell�ombra dell'alleanza franco-papale, pur se ci� non gli imped� di controllare almeno Spoleto e Benevento. Dopo il 768, la morte di Pipino e una difficile successione a Roma gli dettero l'opportuoit� di riaffermarsi, ma i re longobardi ormai erano in trappola. In un'epoca di pi� Netti confini (i Longobardi avevano persino introdotto i passaporti), i Longobardi non potevano accettare tranquillamente l'esistenza dello stato pontificio nel centro dell'Italia. Ma, quando Desiderio fu forte abbastanza da poterlo attaccare (nel 772-3), a Roma c'era un papa della forza di Adriano I (772-94), e il figlio di Pipino, Carlomagno, era unico re in Francia. Carlomagno, piuttosto controvoglia, invase l�Italia nel 773 e sconfisse un esercito longobardo ai piedi delle Alpi. Tra l'autunno 773 e il giugno 774 assedi� Pavia e Verona, e quindi, entrando trionfalmente in Pavia, s'incoron� re. I1 regno longobardo cadde per la semplice ragione che la logica geografica imponeva a qualsiasi re longobardo ambizioso di opporsi al pontefice in un momento in cui il pi� forte esercito d'Europa era pronto a combattere dietro richiesta del papato. D'altra parte Desiderio, nelle sue attivit� interne, pare esser stato tanto fiducioso e sicuro quanto ogni suo altro predecessore. Di certo ebbe un'opposizione all'interno: il cognato di Astolfo, Anselmo, abate di Nonantola, si rifugi� a Montecassino nel 760 circa, e torn� solo dopo la conquista franca; e un documento reale del 772 elenca nove nobili infideles, uno dei quali, Augino, se n'era scappato proprio in Francia. Ma tutto ci� avrebbe avuto ben poco peso se i Franchi fossero rimasti neutrali; conflitti di quel tipo non costituivano alcuna novit�. Inoltre, nel 773-4, la gente si raccolse attorno a Carlomagno, e gli Spoletani cacciarono via il duca Teodicio che stava dalla parte di Desiderio. Adriano stesso; scelse Ildeprando, come suo successore.40 Ma tale prontezza nello scendere a patti con i Franchi non pu� essere considerata una causa della caduta di Desiderio, poich� ebbe luogo solo dopo la sconfitta militare dell'esercito longobardo, quando gli italiani si resero conto che Desiderio aveva i giorni contati. I1 regno longobardo era militarmente pi� debole di quello dei Franchi, ma Carlomagno eredit� uno stato forte e bene organizzato. Il Regno Carolingio Carlomagno fu in Italia nel 773-4 per meno di un anno. Pavia cadde in giugno; prima della fine della stagione delle campagne militari egli se ne torn� al nord, a combattere in Sassonia. Ci� istitu� una tradizione che perdur� per tutto il periodo in cui vi furono re d'Italia: governo d'oltralpe signific� monarca assente. Carlomagno ritorn� solo quattro volte prima della sua morte nell'814 (776, 780-1, 786-7 e 800-1, quando gli venne dato il titolo simbolico di imperatore da papa Leone III), ma cinque anni sono notevoli quando si pensa a ci� che fecero alcuni dei suoi successori, e deriv� dal suo desiderio di stabilizzare una parte dell'impero appena conquistata. In ogni caso, i Longobardi non gli provocarono molti guai. Adriano I gli scrisse per avvertirlo di un complotto, nel 775, fra diversi duchi longobardi e l'imperatore bizantino, ma quando esso scoppi� nel 776 solo uno o due duchi vi erano effettivamente coinvolti, e il loro capo, Rodgaudo del Friuli, cadde durante la battaglia. Carlomagno avrebbe potuto prendere l'occasione per allontanare dal loro incarico tutti i duchi longobardi, ma prefer� aspettare che morissero per sostituirli con conti franchi, e almeno un vecchio ribelle, Aione, venne perdonato nel 799 e reinsediato, e il figlio di questi, Alboino, divenne pure lui conte, durante il regno seguente. I ribelli longobardi persero i loro possedimenti, che furono confiscati, ma i loro parenti pi� fedeli conservarono le proprie terre. Di tanto in tanto venivano portati in Francia alcuni ostaggi, fra cui i vescovi di Lucca, Pisa e Reggio Emilia, e probabilmente il fratello di Paolo Diacono, Arichis, ma verso il 780 erano stati rilasciati quasi tutti. Pu� darsi comunque che l'esercito di Carlomagno abbia tenuto un atteggiamento meno cauto: nel 776 egli dovette emanare un capitolare riguardante le conseguenze di una seria carestia, causata probabilmente dalle invasioni militari 41 Da quel momento, il regno longobardo divenne un regno dipendente dall'impero franco, e le sue istituzioni cominciarono a mutare lentamente. Verso 1'814, i duchi longobardi erano divenuti conti, per lo pi� franchi o alemanni; missi franchi sedevano, in qualit� di messaggeri del re, alle corti locali. Ma l'influsso delle popolazioni settentrionali in Italia fu piuttosto lento, e alla morte di Carlomagno era appena agli albori. La politica locale e le corti locali non mutarono molto d'aspetto durante la dominazione carolingia. Rimasero in piedi sia le strutture sociali italiane che le norme che governavano l'attivit� politica. Ci� accadde in parte anche perch� si trattava di norme non dissimili da quelle dei Franchi: l'Italia e la Gallia si erano sviluppate in direzioni molto simili, fino a un certo punto, almeno. Per esempio, nel 774 Carlomagno cedette due valli alpine strategicamente importanti, la Valtellina e la Valcamonica, ai monasteri franchi di San Dionigi e San Martino di Tours, compiendo le uniche grandi donazioni di terra regia durante il suo regno. Si tratt� di una classica azione politica franca. Tuttavia, gli ultimi re longobardi s'erano comportati esattamente allo stesso modo con i monasteri da loro patrocinati, cosa che accadde per esempio quando i re friulani Rachi e Astolfo incoraggiarono i Friulani a fondare i monasteri importanti, anche strategicamente, di Sesto, Nonantola e del Monte Amiata42. La politica rimase, sotto i Carolingi, quella che era stata sotto i Longobardi: una politica basata sulla propriet� fondiaria. La conquista franca non apport� grandi modifiche alla mappa dell'Italia. Ovviamente, Carlomagno aveva conquistato solo il nord ed il centro dell'Italia, il regno longobardo e il ducato di Spoleto. Spoleto: rimase parte del regno italico (come cominci� a venir chiamato), pur se gran parte delle sue attivit� rimasero pressoch� del tutto indipendenti. I papi conservarono lo stato pontificio che si trovava fra quei due territori, il vecchio Esarcato di Ravenna e il ducato di Roma. Tuttavia, i Carolingi mantennero di fatto il potere su d tutto quel territorio, con l'eccezione del retroterra romano, e dopo la fine del IX secolo Ravenna stessa divenne una parte permanente del regno. A sud, Benevento conserv� la sua indipendenza. I1 duca Arichi II (758-87), genero di Desiderio, si dichiar� princeps, principe, nel 774, ed eman� diciassette leggi come aggiunte al codice longobardo, attribuendo a qesti due gesti un valore di sfida a Carlomagno. Benevento conserv� una tradizione legittimista longobarda per altri tre secoli, fino alla conquista normanna della fine del secolo XI. Carlomagno, spronato da Papa Adriano (che reclamava delle terre meridionali), invase Benevento nel 787. Arichi chiese l'aiuto bizantino, ma mor�. Il suo erede, Grimoaldo III, non fu che un ostaggio in mani franche. In cambio della sua liberazione, Grimoaldo ebbe il compito imbarazzante di sconfiggere, l'esercito di sostegno bizantino che era arrivato nel 788, capeggiato da suo zio Adelchi, figlio di Desiderio. Grimoaldo (787-806) riconobbe la sovranit� franca, ma essa rimase puramente nominale. Lo si vede agire sempre come un governante indipendente; combatt� varie guerre contro i Franchi, e coni� le proprie monete43. Sin dai regni di Arichi e Grimoaldo, in realt�, c'� sufficiente materiale documentario da permetterci di considerare Benevento come un'entit� indipendente, e, eccettuati occasionali interventi franchi (particolarmente fra 1'866 e 1'873), la sua storia rimase del tutto distinta. Ci� fu ancor pi� vero per quel che riguarda i territori minori rimasti ai Bizantini nell'Italia meridionale; Napoli, Amalfi, e le zone greche di Otranto e della Calabria; di tutti questi si parler� a parte nel capitolo sesto. A scrivere la storia politica dei primi settant'anni dell'Italia carolingia si fa presto. Nel 781 Carlomagno incoron� il suo figliolo di quattro anni, Pipino, re d'Italia (781-810), e dopo di allora vi pass� ben poco tempo. Pipino fu a capo di un'amministrazione autonoma ma non indi. pendente, con un mutevole stuolo di guardiani: il cugino Adalardo di Corbie prima, poi i beiuli (tutori) Waldo di Reichenau (circa 783-90) e Rotchild (circa 800). Eserciti guidati da Pipino annientarono gli Avari nel 796 e sottrassero Chieti a Benevento nell'80144. Quando mori Pipino, Adalardo ricomparve, come tutore del giovane figlio di quello, Bernardo (812-7). Nell'814, tuttavia, Lodovico il Pio, ultimo figlio sopravvissuto di Carlomagno, divenne unico imperatore. Lodovico, che aveva tre figli propri, teneva in scarso conto i diritti del nipote. Nell'817 divise l'amministrazione dell'Impero: il figlio maggiore ebbe l'Italia con il titolo di imperatore; Bernardo, anche se non destituito apertamente, non fu preso in considerazione. Si ribell� contro Lodovico, col sostegno di parecchi segusci franchi del padre, e col sostegno anche, o la simpatia, di non pochi tradizionalisti in Italia della Francia. La rivolta falli, e Lodovico fece accecare Bernardo che mor� per le ferite riportate 45. Nell'822-4' il figlio di Lodovico, Lotario, fu visto per la prima volta in Italia (mentre Lodovico il Pio non vi si rec� mai). Minorenne come i suoi due predecessori, fu rappresentato da Wala, il fratello di Adalardo. Dei Carolingi che furono per qualche tempo in Italia, Lotario (817-55) fu il meno italiano. Rimase nel paese per la maggior parte della decade 831-841, ma principalmente perch� Lodovico il Pio ve l'aveva effettivamente bandito. L'Italia servi a Lotario come base militare e politica per le sue awenture a nord; diversamente dal proprio figlio Lodovico II e dallo stesso Carlomagno, Lotario non visse molto nelle dtt�, preferendo le grandi tenute reali come Corteolona o Aureola, cosi come fecero i re franchi nell'Europa del nord 46. E, distinguendosi anche in questo sia dal successore che dal predecessore, Lotario non nomin� alcun longobardo in incarichi ecclesiastici o secolari. Le nomine che egli dedse, tuttavia, non suggeriscono antagonismo coi Longobardi (Leone, uno dei suoi pi� intimi consiglieri, era longobardo), ma soltanto la totale dipendenza dell'Italia dagli interessi dei Franchi. Quando nell'834 ebbe luogo la rottura con Lodovico, Lotario dovette mettersi alla ricerca di propriet� e incarichi per i propri sostenitori settentrionali, e che comport� la maggiore ondata di immigrazione nordica in Italia di tutto il periodo carolingio. Lotario secolarizz� una porzione notevole delle propriet� ecclesiastiche per concedere feudi ai propri sostenitori, in perfetto stile franco, in aggiunta alle terre confiscate agli uomini di Lodovico che Lotario espulse dall'Italia. Pur se molti dei sostenitori di Lotario morirono nella pestilenza dell'836-7, quando, alla morte di Lodovico nell'840, Lotario lasci� l'Italia, l'influsso franco sulla penisola aveva raggiunto il suo apice. Contemporaneamente, l'Italia mostrava gi� segni di uno sviluppo in direzioni diverse da quelle del resto dell'impero dei Franchi. I Franchi giuntivi con Carlomagno vi erano insediati gi� da una generazione, e avevano cominciato a mettere radici. E i capitolari del regno di Lotario, in particolare quelli dell'825 e del1'832, costituirono i primi esempi di legislazione massiccia, dopo il 774, priva di un in�lusso predominante delle leggi di Francia. In questa direzione avrebbe continuato poi Lodovico II, divenuto imperatore d'Italia nell'850. La descrizione della politica italiana in questo periodo, per quanto concerne le attivit� dei re, risulta monotona e banale. Ci� � in parte dovuto al fatto che l'Italia aveva uno status ambiguo, n� indipendente n� totalmente parte integrante dell'impero franco, con monarchi minorenni o assenti per la maggior parte del tempo. Ma � ancor pi� dovuto alla quasi totale mancanza di storiografia indigena relativa al periodo carolingio, con le sole eccezioni dei materiali riguardanti Benevento e delle storie vescovili delle citt� romano-bizantine di Roma, Ravenna e Napoli. Tra l'interruzione improvvisa della storia di Paolo Diacono nel 744 e l'inizio di quella di Liutprando da Cremona nell'888, non abbiamo altro che irrilevanti frammenti. I1 principale � costituito dalla storia di Andrea da Bergamo, scritta come seguito di Paolo Diacono nel penultimo decennio del IX secolo. Ci offre un quadro abbastanza dettagliato e ben documentato dell'ultima decade del regno di Lodovico II, e illustra i problemi sorti dopo la sua morte nell'875. Ma per quanto riguarda la storia precedente si dimostra stranamente mal informata. Rachi e Astolfo vi sono nominati come legislatori, e il numero delle loro leggi � fornito con cura, ma a parte ci�, Andrea � non si ricorda delle loro gesta, ma, per sentito dire, furono entrambi coraggiosi, e i Longobardi durante i loro regni non ebbero paura di nessuno �. Gli informatori franchi di Andrea si sono addirittura dimenticati di Pipino III. Le guerre degli anni 773-6 e la rivolta di Bernardo sono divenute leggende popolari, come � pure successo per la mediazione dell'Arcivescovo di Milano, Angilberto, fra Lodovico e Lotario. Non vi si legge d'altro: nel testo di Andrea, fra 1'833 e 1'863 l'Italia sembra non aver vissuto nessun avvenimento importante47. Andrea � certamente un cattivo storico, ma la sua ignoranza � significativa. I re franchi, fino a Lodovico II (che regn� soltanto in Italia), non parvero effettivamente agli Italiani sovrani del loro paese. Le loro guerre in Italia, contro gli Slavi ad est, i Longobardi a sud, gli Arabi sulle coste, sono ricordate soltanto dai cronachisti franchi. L'amministrazione italiana, come si vedr�, giungeva ovunque, ma i suoi sovrani venivano dimenticati. I1 solo modo di governare l'Italia propriamente comportava il vivervi di persona, e solo Lodovico II, fra tutti i sovrani carolingi indipendenti, lo fece; solo lui riusc� a dare una impronta nuova al regno. D'altra parte, fu proprio durante il governo incolore dei primi Carolingi che la sofisticazione del sistema amministrativo raggiunse il vertice. L'efficienza dello stato 47 Andrea, Historia (in MGH S.R.L., pp. 221-30), cc. 3-7. cominci� a venir meno soltanto durante il regno di Lotario poich�, eccettuando il decennio 831-41, egli fu in pratica un monarca assente. L'amministrazione continu� ad essere basata essenzialmente sui modelli longobardi che Carlomagno aveva trovato gi� nel 774: la gerarchia di funzionari pubblici basata su duchi e gastaldi nelle citt�, e l'amministrazione centrale di Pavia. Quei modelli; erano retti ancora dal principio della propriet� terriera, la chiave che s piega tutto il potere politico post-romano. I dazi, le corv�es e i servizi richiesti dai re longobardi vennero richiesti ancora dai Carolingi e dai loro successori, e sono ancor meglio documentati, ma continuavano a rappresentare una piccola parte delle entrate e dei fondi del re, tranne per quanto riguarda il servizio pi� importante richiesto, quello del contributo militare48. La politica della propriet� fondiaria � stata menzionata come un problema dei Longobardi, ma fu nel periodo carolingio che cominci� a venir chiaramente documentata, e alcuni conflitti locali fanno capolinO nella nostra documentazione. I re dell'Europa altomedievale ebbero principalmente due diversi, ma correlati, tipi di problemi, per stabilire il loro potere: il problema del consenso e quello del controllo. In parole povere, il re doveva riuscire a far si che l'aristocrazia fosse d'accordo con le sue azioni e lo aiutasse in quelle; ma contemporaneamente aveva bisogno di conservare una qualche autorit� sulle azioni dei nobili nei loro rispettivi territori. In Francia, i Carolingi (almeno dopo Carlomagno) ebbero poca fortuna relativamente al secondo problema, e per quel che riguarda il primo dovettero cedere gran parte delle loro propriet� sotto forma di doni oppure feudi. In Italia le cose andarono pi� facilmente. L'attiva monarchia longobarda aveva stabilizzato il potere del re a un livello abbastanza alto, che permetteva di ottenere l'appoggio dell'aristocrazia in cambio di doni relativamente esigui. La pratica venne conservata dai Carolingi. I re donarono raramente appezzamenti di terra, e solo di piccole dimensioni. Lo stesso Lotario, al momento di insediare i suoi sostenitori in Italia nell'834, ag� con prudenza, dando loro terre della Chiesa anzich� proprie. La documentazione in nostrO possesso tende a dare pi� spazio alle registrazioni di donazioni alla Chiesa, che non di benefici a vassalli laici (possessi feudali ), e questo contribuisce sicuramente ad attenuare la proporzione dei benefici. Ma la propriet� � feudale � non raggiunse mai quote signifcative in Italia e, almeno nel IX secolo, appare chiaro come la generosit� del re, in Italia diversamente che in Francia, non abbia mai minato seriamente la propriet� fondiaria reale49. L'effetto che ci� ebbe sulle classi pi� elevate sar� messo a tema nei capitoli seguenti, ma un risultato immediato va discusso subito. I re che non distribuirono consistenti quantit� di terreni si trovarono in una posizione alquanto debole al momento di affidare ai loro protetti una supremazia fondiaria locale, quando desideravano farlo. Perch� una protezione dei reali franchi (soprattutto verso i conti) si trasformasse in vera e propria egemonia franca in aree locali erano necessarie tre generazioni. Se i re non insediavano i loro protetti in qualit� di proprietari terrieri, la possibilit� di questi di influenzare gli equilibri di potere era alquanto limitata. I re potevano agire sulla distribuzione e ridistribuzione degli incarichi pubblici, e lo fecero; ma non fu mai facile, per esempio, controllare le illegalit� di un conte nella sua contea, se egli era un sostenitore leale ed efficace del sovrano. Sin dal quarto decennio del secolo IX, cominci� ad esser difficile anche impedire che il figlio succedesse al padre nell'incarico. I Carolingi affrontarono tale problema in tre principali maniere: con l'intervento diretto e il rafforzamento delle gerarchie dei funzionari, particolarmente attraverso le leggi; con mezzi pi� specifici e mirati, soprattutto l'uso massiccio di missi; e con l'uso politico della Chiesa per bilanciare il potere locale dell'aristocrazia laica. Non v'� alcun dubbio che i Carolingi ritenessero compito loro intervenire nella societ� pi� capillarmente di quanto avevan fatto altri sovrani altomedievali. La loro legislazione, o � capitolari �, comprende, nell'edizione classica, due volumi in folio di testo in latino. Re e imperatori emanarono decreti amministrativi su una gran variet� di argomenti, imponendoli a Longobardi, Romani e Franchi, senza tener minimamente conto delle leggi dei singoli gruppi etnici. Nell'832, ad esempio, Lotario promulg� due capitolari in Italia. Nel primo, legifer� sulle nomine e le assegnazioni relative alle chiese battesimali; lo spargimento di sangue in chiesa; i diritti legali degli ebrei; il vilipendio alla magistratura; le cospirazioni suggellate dal giuramento; l'oppressione dei poveri; l'inosservanza delle disposizioni imperiali; il rifiuto di accettare denaro in corso legale; la coniatura di denaro falso; la normativa relativa alle testimonianze; e il costo della redazione di documenti. Nel secondo, impart� istruzioni ai suoi missi per indagare su un campo altrettanto vasto: le dotazioni monastiche; l'organizzazione delle zecche, e le frodi locali inerenti al conio; pesi e misure antichi, e l'usura; il giusto giudizio; come agire con chi non avesse giurato fedelt� al re; il disprezzo della propriet� e dei palazzi del re; il godimento di benefici reali e di terre del fisco; il restauro delle chiese; le recenti depredazioni della propriet� ecclesiastica; la cospirazione il mantenimento di ponti e di strade50. La lista fornisce un esempio abbastanza rappresentativo delle principali preoccupazioni dei re carolingi in Italia. A nord delle Alpi, il quadro era un po' diverso, ma non di molto. Nel capitolo quinto verr� discusso un esempio particolarmente sorprendente di intervento, il tentativo carolingio di mantenere un intero gruppo sociale di piccoli proprietari terrieri cosI ch`e servissero nell'esercito e partecipassero alle corti locali. Come riuscissero i Carolingi a mettere in pratica tali decreti � un problema assai pi� serio. In Francia essi venivano promulgati oralmente, e pu� essere messa in dubbio la conoscenza generale della loro esistenza In Italia, invece, troviamo riferimenti espliciti in documenti, ed � probabile che una classe aristocratica alfabeta ne fosse abbastanza bene informata. Responsabili per la messa in pratica erano i conti locali, operanti nella rete delle citt� italiane. I Carolingi fecero grande affidamento sui propri conti, e si pu� constatare come la responsabilit� comitale si sia progressivamente estesa in tutto il IX secolo a molti territori alpini o appenninici che erano rimasti indipendenti dall'autorit� delle citt� durante il periodo longobardo. Vi erano poi vari tipi di funzionari legali non totalmente dipendenti dai conti ed ancora legati alle citt�. Fra questi i pi� importanti furono gli scabini, generalmente piccoli proprietari terrieri, che avevano il compito di far funzionare i tribunali, strumento fondamentale del governo carolingio e considerevole fonte di entrate51. Ma ad esercitare un ruolo politico e direttivo predominante erano i conti, come conseguenza anche del loro ruolo di capi militari locali, ed � pi� che probabile che molte delle leggi emanate da Lotario nell'832 venissero violate dai conti o dai loro vassalli, in particolare quelle volte a limitare la spoliazione di propriet� ecclesiastiche e l'oppressione dei poveri. :� per tal ragione che Lotario eman� istruzioni parallele ai suoi missi per indagare sulla loro applicazione. I missi, messaggeri del re, non costituivano un'innovazione carolingia. Gi� i re longobardi avevano spedito i loro rappresentanti a controllare l'attivit� di singoli duchi e a giudicare importanti controversie legali. Ma i Carolingi fecero dei missi una caratteristica fondamentale del loro governo; il missus divenne l'organo rappresentativo del governo centrale nelle province. Se un conte ne sfidava l'autorit�, sapeva che ne sarebbe seguita una rappresaglia militare. Questo � almeno il modo in cui il sistema funzionava secondo quanto ci dicono i capitolari, ma i testi legali tendono a idealizzare le istituzioni. I1 governo carolingio, in realt�, non funzionava in modo cos� limpido; ricorreva piuttosto a una serie di misure ad hoc, che si controbilanciavano a vicenda. Parlare di una � istituzione dei missi � significa dire in modo formale che i re carolingi spedivano di continuo emissari che rettificassero le depredazioni dei potenti e degli altri emissari. In tal modo Carlomagno invi� dei baiuli con Pipino per accertarsi che l'Italia fosse governata giustamente; ma abbiamo notizie di uno di essi, Rotchild, soltanto grazie alle illegalit� che commise. Nell'anno 800 circa, per esempio, espulse l'abate Ildeperto dal monastero di San Bartolomeo a Pistoia e affid� questo in fendo al bavarese Nebulung, finch� non arrivarono altri missi a rettificare il suo gesto. La biografia del missus Wala fornisce un resoconto drammatico di come le diverse circoscrizion� giudiziarie e le aristocrazie locali italiane cospirassero per impedire che per esempio una vedova ottenesse da lui giustizia52. Nei casi in cui i missi erano anche conti, cosa non rara, i conti su cui investigavano ricevevano non di rado un trattamento privilegiato. In ogni caso, per�, non si dovrebbe esser troppo severi nel giudicare i funzionari carolingi; i re possono essersi s� lamentati per l'oppressione subita dai deboli, ma non sembrano averla considerata una cosa cosi insopportabile, poi, se non quando veniva minacciata la capacit� dei deboli di prestar servizi militari. Per lo pi�, lo stato non s'aspettava grandi gesti d'onest� e di giustizia da parte dei suoi sudditi, e in tale ristretto ambito si pu� dire che alcuni missi abbiano servito i loro padroni con tutta l'onest� necessaria. La carriera di uno di questi, Leone, che firm� documenti con una sua caratteristica formula tra 1'801 e 1'841, � stata messa in luce da Donald Bullongh in un'accurata indagine documentaria53. Cominci� come vassallo al seguito del conte di palazzo Ebroardo, un Alemanno; fra 1'812 e 1'814 e nel terzo decennio di quel secolo fu con Adalardo e Wala, tipici emissari carolingi. Allora veniva nominato spesso con l'epiteto di missus, e fu testimone alle redazioni di documenti o a processi in luoghi tanto distanti quanto lo sono Roma, Spoleto, Pistoia, Reggio e Milano. Verso 1'823-4 fu nominato probabilmente conte di Milano. Nell'837 una cronaca lo descrisse come tenuto � in grande stima� (magni loci) da Lotario, e organizzatore di alcune attivit� inerenti alla guerra fredda fra Lotario e il padre. Entro 1'844 il figlio Giovanni gli era succeduto come conte di Milano, al cui territorio aggiunse Seprio. Leone fu un amministratore di professione, con quarant'anni di servizio, e sotto governanti non altrettanto duraturi. Non � che si possa precisamente ritrarlo in una qualche categoria all'interno del � sistema governativo �, ma assieme ai suoi meno conosciuti colleghi contribui a dare vera continuit� ed efficacia al governo italiano. Era evidentemente originario del posto. Bullaugh ha pensato, probabilmente giustamente, che fosse un longobardo, pur se con parentele franche. Comunque non fu un aristocratico grande proprietario terriero, com'erano i principali conti, fu attivo in ogni sfera del governo carolingio. La sua carriera indica quanta autorit� poteva avere il governo centrale italiano. Leone, privo di prestigio familiare, poteva fare moltissimo semplicemente con l'autorit� conferitagli dalla sanzione di Pavia. Probabilmente gi� i re longobardi avevano fatto ricorso a uomini del suo tipo; Lodovico II avrebbe rinvigorito questa tradizione, affidandosi in gran misura a personaggi sconosciuti. il per� significativo che la contea di Leone fosse cosI vicina a Pavia. Come funzionario pubblico locale privo di possedimenti propri, i suoi poteri sarebbero stati assai minori. Le contee di frontiera (o � marche �), in particolare, venivano affidate di regola a membri della Reichsadel, la nobilt� imperiale. Solo questi possedevano la base fondiaria privata e il potere militare necessari per mantenere l'autorit� in quelle zone. L'altra forza che i Carolingi cominciarono a sfruttare fu quella della Chiesa. I Longobardi non avevano mai usato la Chiesa nelLa gestione del potere. Adeguandosi alla tradizione romana (diversamente dai Bizantini), cercarono di tener separate le faccende secolari da quelle ecclesiastiche; non che ignorassero completamente la politica ecclesiastica, abbiamo visto come fondassero monasteri in contesti politici, e l'aristocrazia aveva fatto la stessa cosa. Carlomagno favori questi monasteri nel tentativo di far accettare Ia sovranit� franca in Italia54. Ma Carlomagno e ancor pi� i suoi successori andarono ben pi� in l�: il clero, e particolarmente i vescovi, divennero strumento di governo. Gli stessi capitolari franchi, a differenza delle leggi longobarde, trattarono ampiamente di faccende ecclesiastiche. In Francia, ci� costituiva pratica comune, e il rilevare la diffusione di tale pratica in Italia segna l'assimilazione del paese alle tradizioni di governo franche. Gli stessi vescovi, per�, erano di solito longobardi, tranne quelli pi� importanti, quali Ratoldo di Verona sotto Lodovico il Pio e soprattutto Angilberto II di Milano e Giuseppe di Ivrea sotto Lotatio e Lodovico II. L'importanza di questo predominio longobardo deriva dalle posizioni dei vescovi nelle strutture di potere delle citt� italiane.55 Come s'� visto nel capitolo primo, i vescovi e le loro chiese, sin dal quinto secolo, avevano avuto in alcune citt� grandi possedimenti terrieri. La conquista longobarda imped� dapprima che quei possedimenti s'estendessero ancora di pi� (tranne che nelle citt� romanobizantine, dove la progressione continu� indisturbata), ma verso 1'VIII secolo, nella gran parte delle citt� per le quali abbiamo una documentazione, il vescovo costituiva la maggior figura di proprietario terriero. Lucca, influenti famiglie locali fornirono una catena quasi ininterrotta di vescovi dal secondo decennio dell'VIII secolo sino al 1023. Il potere locale dei vescovi era nella maggior parte dei luoghi strettamente collegato alle famiglie pi� importanti della zona. I vescovi si trovavano al centro della vita politica ad ogni livello eccettuato quello statale. La scomparsa di questa eccezione sotto i Carolingi pare logica, e s inserisce bene non solo nella pratica dei Franchi, ma anche nell'ambito delle implicazioni conseguenti alla Cooperazione politica fra Carolingi e papato che sostitu� l'inimicizia del periodo longobardo e controbilanci� la tendenza ad attribuire ogni incarico secolare ai Franchi. Gli aristocratici longobardi furono sempre pi� esclusi dalla rete del patronato statale: tra 1'814 e 1'875 si possono rintracciare solo due o tre conti l.ongobardi. Questi accentrarono la loro attenzione sul potere locale, all'in- terno del quale il ruolo pi� importante era quello di vescovo. I re avevano il potere de facto di scegliere i vescovi, e Lotario e Lodovico II lo esercitarono spesso. Lotario scelse sempre dei Franchi, Lodovico di solito dei Longobardi. In altri periodi, per�, i vescovi furono eletti localmente, e rimasero il centro delle strutture di potere urbane. Franchi e Alemanni presero a diffondersi in tutta l'Italia e quando coprivano il rango di conti via via ne ereditavano gli incarichi e agivano con sempre maggiore indipendenza. Ma, per la maggior parte, quando i vescovi venivano scelti localmente non erano presi da famiglie franche. Sarebbe sbagliato vedere in ci� un'opposizione etnica tra Franchi e Longobardi; � pi� che altro un segno che i franchi non riuscirono quasi mai a inserirsi profondamente nlle strutture sociali locali. In virt� dei loro incarichi, vescovi e conti erano tuttavia effettivamente in potenziale opposizione. Entrambe le cariche prevedevano il controllo di grandi quantit� di terra e, con la nuova importanza attribuita dai Carolingi ai vescovi, le due funzioni cominciarono ad entrare in contrasto. I conti attaccarono spesso le propriet� episcopali, o per avidit� o, sempre pi�, per autodifesa. I vescovi avevano spesso poteri giudiziari e sempre pi�, durante il rx secolo, godevano di immunit� nei confronti dei conti. Questa fu in parte una scelta politica di alcuni Carolingi, che davano forse peso al contributo morale dei vescovi alla politica, pur se i vescovi non opprimevano i deboli meno dei conti56. D'altro canto essi coprivano cariche non ereditarie; e lo stato forse anche comprese che un equilibrio locale del potere andava a suo vantaggio. Fintantoch� le rivalit� locali si bilanciavano, lo stato sarebbe sopravvissuto e sarebbe stato forte. Quando per� uno di questi funzionari di elevato grado (o una famiglia) emergeva vittorioso in una citt�, come accadde in moltissime localit� fra 1'880 e il 920 circa, la coesione dello stato ne era minacciata. La comprensione di una tale politica locale � fondamentale per capire la storia italiana, e a partire dal IX secolo � possibile seguirla in parecchie localit�. Due esempi, Brescia e Lucca, ne sottolineeranno alcune implicazioni. Brescia costituisce un buon esempio del potere derivante da una grande propriet� terriera, e particolarmente rappresentabile � la storia della famiglia dei Supponidi. Il primo membro di quella famiglia di cui si sappia qualcosa � un franco, Suppone I, conte di Brescia nell'817, che contribu� a domare la rivolta di Bernardo. Forse in premio gli fu data Spoleto nell'822, mentre il (probabile) figlio Mauringo conserv� Brescia, presto diventando pure lui duca di Spoleto, nell'824. In quegli anni e nelle decadi seguenti i Supponidi si costruirono un patrimonio fondiario consistente in tenute sparse in tutta l'Italia settentrionale, grazie probabilmente ai vari tradizionali mezzi: doni e feudi reali, appropriazione di terra comitale, acquisizioni, estorsioni. Un altro membro della famiglia, Adelchi I, fu conte di Parma nel quarto decennio del secolo IX, di Cremona, forse, nell'841 e, ancora una volta, di Brescia. Quest'asse Lombardia orientale-Emilia occidentale rimase, pi� o meno, un centro di interessi della famiglia dei Supponidi, e quando la famiglia raggiunse il massimo splendore con il matrimonio fra la supponide Angilberga e Lodovico II, ella ottenne dal marito altre terre in quei territori, come mostra chiaramente il testamento di lei nell'87957. Da allora ritroviamo spesso i Supponidi conti di Brescia, Piacenza e Parma. I pi� importanti fra loro, Suppone II e il cugino Suppone III, sotto Lodovico II coprirono incarichi anche altrove: Suppone II a Parma, Asti e Torino; Suppone III (1'archiminister e consiliarius di Lodovico) nuovamente a Spoleto. Non controllarono mai pienamente quelle citt�; non ne avevano bisogno, tale era il raggio del loro influsso; a Brescia spartirono il controllo con i vescovi, e con il ricco monastero di San Salvatore (pi� tardi Santa Giulia), fondato da Desiderio, e governato di solito tramite principesse reali. Tra i vescovi ci furono il franco Notting (844-63), altro aiutante di Lodovico II, e, prima, il longobardo Ramperto (circa 825-44), che contribu� alla fama di parecchie chiese locali attraverso miracoli e reliquie ed il sostegno politico dell'Arcivescovo di Milano Angilberto. Queste istituzioni mostrano un complicato intreccio di legami, specialmente San Salvatore, che fu sotto il patrocinio sia dei vescovi che dei conti. G]i stessi duchi del Friuli, strettamente imparentati con i Supponidi (e con i Carolingi), mandarono le loro figlie in quel monastero; e sia i Supponidi che i vescovi di Brescia sostennero lealmente la fazione germanica e friulana durante le dispute per la successione che nacquero dopo la morte di Lodovico II nell'875. Non esiste traccia di rivalit� tra quelle forze, a Brescia. Il motivo sta probabilmente nel fatto che avevano vari legami in tutta l'Italia settentrionale e che operavano su una scala che sconfinava dai limiti di una singola citt�. Ci� spiega anche perch� si rifiutarono di ricorrere alle mutevolissime alleanze che caratterizzarono i decenni seguenti all'875. I Supponidi, in particolare, abbisognavano di uno stato forte, in quanto la loro propriet� fondiaria si estendeva in cos� tanta parte del nord che solo lo stato poteva garantire la pace di cui avevano bisogno per conservarla. Non � forse una coincidenza che essi scomparvero, come famiglia, nelle stesse decadi della met� del secolo X che videro la frantumazione dello stato italico. Altre famiglie avevano dimensioni simili, pur se non arrivarono ad essere tanto importanti quanto i Supponidi. Una rete fragile e insieme complessa di propriet� fondiarie si stendeva sulla maggior parte dell'Italia settentrionale, in un equilibrio precario che era sostenuto dalla forza dello stato mentre gli consentiva di essere forte. Ludovico poteva affidare ai Supponidi una miriade di incarichi, perch� essi avevano bisogno di lui. A loro volta, essi non dovevano dirigere le loro ambizioni verso un controllo territoriale di singole contee, ma solo sulla carica di conte, in qualsiasi contea. Le famiglie i cui interessi si limitavano a una sola contea erano invece assai pi� pericolose, pur se pi� deboli, per la coesione interna del regno. I pericoli apparvero pi� chiaramente in questo periodo lungo i confini del regno italico, nelle tre grandi � marche � del Friuli, della Toscana e di Spoleto, che sommate assieme costituivano pi� di un terzo dei territori italiani. I1 termine � marca � � appropriato, ma comparve tardi, e suggerisce una omogeneit� fra le tre zone superiore alla realt�. I1 Friuli e Spoleto costituivano, ovviamente, vecchie unit� longobarde, e i loro sovrani erano generalmente chiamati conti o, ancora, duchi, fino al penultimo decennio del IX secolo. La marca toscana si venne a formare all'inizio del secolo IX. Entro la met� di quel secolo in tutte e tre il potere si trasmetteva per via ereditaria e si verific� un'autonomia de facto sotto le tre famiglie regnanti: gli Unruochingi, i Bonifaci e i Guideschi, come vengono chiamate oggi (ma non allora). Si trattava di tre delle maggiori famiglie appartenenti alla nobilt� imperiale franca, con interessi in diversissime aree dell'Impero, ma, per quanto riguardava l'Italia, basati esclusivamente sulla marca che controllavano. Ne risult� che non ebbero alcun motivo strutturale per usare il loro potere locale al fine di rafforzare lo stato italico. Le tre famiglie sfruttarono fino in fondo le proprie opportunit�, ma in modi diversi. Gli Unruochingi friulani, coi loro stretti legami di parentela con i Carolingi, ebbero la reputazione di sudditi leali. I Bonifaci toscani cooperarono con i Franchi fino alla morte di Lodovic� II, dopodich� presero a cuore soprattutto la propria autonomia. I Guideschi di Spoleto conservarono i loro legami con l'oltralpe, ma si trovarono a governare il ducato pi� distante; sin dall'inizio s'interessarono soprattutto alla propria autonomia e alle faccende di Benevento, e resistettero a qualsiasi re che cercasse di esercitare un qualche controllo su di loro58. La creazione di questo tipo di potere si pu� meglio osservare a Lucca. Nell'812-3, il bavarese Bonifacio I Vi fece la comparsa in qualit� di conte. Diversamente dai suoi predecessori, sembr� controllare la maggior parte delle contee lungo la valle dell'Arno. I1 figlio Bonifacio II gli successe e nell'828 � ricordato nell'incarico di difensore della Corsica. Condusse una flotta a combattere gli Arabi e razzi� addirittura l'Africa59. La difesa per mare era stata responsabilit� dei conti di Lucca sin dall'ottava decade dell'VlII secolo, e con l'accrescersi degli attacchi arabi, fu logico che l'autorit� comitale toscana venisse a rafforzarsi. Documenti lucchesi ci mostrano come il conte accumulasse poteri anche a livello locale. I1 vescovo di Lucca, che per almeno un secolo aveva rappresentato la figura pi� prestigiosa nella citt�, perse il controllo sul notariato urbano nel secondo decennio del IX secolo, e ne segu� una serie di vescovi meno importanti (fra cui due franchi) fino alla met� del secolo, quando fu nominato vescovo Geremia, appartenente a una importante famiglia del luogo e scelto dietro consiglio di Lodovico II. I conti di Lucca non poterono controllare direttamente i vescovi, in quanto questi ultimi possedevano propriet� troppo vaste e avevano tutta una rete di legami locali, ma limitarono l'autorit� episcopale alle sole faccende ecclesiastiche. Se alcuni vescovi di Lucca raggiunsero maggior prestigio, non lo ottennero dentro la citt�, bens� in qualit� di missi del re a livello nazionale, come quando il vescovo Gherardo I guid� un esercito in Calabria per conto di Lodovico II nell'870. Nell'833 Bonifacio II si espose nella difesa di Lodovico il Pio e venne spodestato da Lotario; dovette cosl ritirarsi nelle sue terre nella Francia meridionale. Anche i possidenti italo-franchi maggiormente coinvolti nelle vicende italiane avevano propriet� al di fuori dell'Italia. Quando per�, nell'864, Everardo del Friuli divise le sue terre (che s'estendevano dal Belgio al Veneto) fra i propri eredi, ne impose esplicitamente la ridistribuzione qualora guerre civili causassero perdite. La propriet� fondiaria su scala europea fu sicura solo fintantoch� dur� l'unit� dell'Impero e a partire dall'843 essa prese a disgregarsi. Quando torn� la pace, Bonifacio era gi� morto; ma il figlio Adalberto I (84686) divenne il sovrano di quella che era allora a volte definita la marca toscana, un agglomerato delle contee settentrionali di quella regione, ed ebbe un potere paragonabile a quello di un vicer�. I processi non ebbero pi� luogo alla corte del re ma a quella di Adalberto sin dalla met� del secolo. Ben poche potenze secolari poterono fiorire nei suoi territori se non rientravano sotto il suo controllo. Dopo 1'875, quando alla morte di Lodovico II seguirono le guerre civili, Adalberto e il figlio Adalberto II (886-915) governarono quello che divent� effettivamente uno stato indipendente: Adalberto II non si cur� nemmeno di prender parte a molte di quelle guerre, e dai suoi documenti cominciarono a scomparire le datazioni fondate sugli anni di regno. Il potere di Adalberto II si bas� sicuramente sull'appropriazione del fisco toscano, a favore della propria famiglia, pur se non sappiamo con esattezza quando ci� avvenne. I1 suo non fu, comunque, solo il potere privato di un grande proprietario terriero; Adalberto esercit� anche il controllo sul meccanismo pubblico dello stato. La sua posizione personale fu tanto forte da consentirci di affermare che l'indipendenza della Toscana durante il suo regno non dimostra tanto la debolezza dello stato, ma ne rappresenta piuttosto la continuazione su scala ridotta. Come si vedr�, la coesione toscana sopravvisse effettivamente a quella dello stato italico stesso. Adalberto e i suoi successori governarono in un'area geografica omogenea e abbastanza grande, nella quale il reticolo statale carolingio poteva funzionare nella stessa maniera in cui aveva funzionato per i re. In contee minori, o in aree montagnose come Spoleto, l'affermarsi di una indipendenza simile port� al collasso, come si vedr� negli ultimi due capitoli. Nell'844 Lodovico II venne inviato in Italia da Lotario, e nell'850 (in qualit� di imperatore) si mise a governare senza il controllo del padre. Da quel momento non lasci� pi� l'Italia, nemmeno dopo la morte di Lotario nell'855 e, pur se imperatore, non ebbe alcun interesse o influsso nell'Europa del nord. Fu comunque il primo e ultimo carolingio a coglier l'occasione di governare l'Italia come avevano fatto i re longobardi. I1 re che vi si prov� successivamente, Ugo (926-47), si accorse che era ormai troppo tardi. Lodovico fu generalmente accettato dalla sua aristocrazia per la forza e l'autorit� di cui godeva, tranne forse a Spoleto. Abbiamo gi� esaminato l'intelaiatura di quel potere, l'intrico di autorit� centrale, gerarchia di funzionari e rivalit� urbane. Lodovico ritenne che quel sistema si fosse indebolito a causa di vari decenni di vacanza, ma che potesse ancora costituire la base d'azione per il potere di un re attivo e deciso com'egli era. Lodovico consolid� il controllo sulle strutture interne del regno e quindi, seguendo l'esempio degli ultimi re longobardi, cerc� di estendere la propria autorit�, intervenendo negli stati del meridione60. Alla fine del quinto decennio del secolo, Lodovico dette istruzioni ai vescovi perch� indagassero nelle proprie diocesi su abusi ecclesiastici o secolari. Nell'850, in un sinodo episcopale e due capitolari, stil� un catalogo delle osservazioni dei vescovi e mise in atto dei rimedi. I1 sinodo di Pavia costitu� la prima importante occasione pubblica. A presiedere vi furono Lodovico, Angilberto II di Milano, Teodemaro patriarca di Aquileia, e l'arcicappellano Giuseppe vescovo di Ivrea. Ma l'avvenimento di quell'anno � costituito dai capitolari. Trattano quasi esclusivamente di problemi attinenti la violenza, l'abbandono e l'oppressione. Nel Capitolare 213 i ladri assaltano mercanti e pellegrini; i malvagi assaltano ville e viandanti; alcuni proprietari cospirano con quelli. I potenti, laici o ecclesiastici, vivono alle spalle del popolo, ne confiscano i cavalli, ne usano i pascoli; i palazzi reali giacciono nello squallore, e gli edifici pubblici devono essere restaurati, per essere degne dimore di ambasciatori stranieri (eco interessante questo delle Variae di Cassiodoro: si veda p. 113); il ponte sul Ticino a Pavia deve essere ricostruito; i missi pretendono troppi doni e favori dal popolo61. Quel capitolare offre una immagine da manuale dello squallido stato di abbandono in cui l'Italia era caduta con i Carolingi, e non v'� da dubitare che molti di quei problemi fossero endemici, particolarmente, come s'� visto, lo sfruttamento da parte dei potenti. In tale campo Lodovico giunge quasi ad ammettere la sconfitta: se vengono portati via i cavalli, questi devono venire almeno pagati al prezzo equo; i missi possono continuare a pretendere i loro tributi, fintantoch� sono quelli in uso. Ma il ponte a Pavia � ricostruito; e nei capitolari pi� tardi non si parla pi� di ladri. La lista insolitamente dettagliata delle illegalit� pare un segno della seriet� delle intenzioni di Lodovico, e i suoi rimedi han tutto l'aspetto di misure efficaci. Quel che si riesce a sapere sulle attivit� di Lodovico indica che egli riusci a stabilire un livello considerevole di controllo politico. Nell'853, Geremia vescovo di Lucca, con l'aiuto di due diplomi imperiali, allora promulgati, ristabil� i suoi diritti su terre dal suo predecessore date in locazione, apparentemente a seguito di pressioni, ad alcuni laici. Nell'860 vari missi imperiali investigarono sull'impossessamento illegale di terre imperiali attuato dal conte di Camerino, Ildeperto e lo annullarono62. Lodovico stesso cominci� a organizzare un gruppo di cortigiani e amministratori col quale governare l'Italia direttamente. Ricorse ai grandi potenti del regno di Lotario, Giuseppe d'Ivrea, Angilberto di Milano, Notting di Brescia ed Everardo del Friuli, ma dopo le loro morti prefer� affidarsi a personaggi relativamente sconosciuti, di propri cappellani personali, consiliarii, e vassalli; gli unici nomi di prestigio furono quelli di Suppone II e Suppone III, parenti della propria moglie. Sotto Lodovico, venne anche un po' a diminuire la burocratizzazione del governo di Pavia. I grandi incarichi di arcicappellano e arcicancelliere sparirono, temporaneamente. Lodovico e Angilberga (in qualit� di consors regni, regina consorte), divennero essi stessi i capi del governo, e gran parte di questo si spostava attraverso il regno con loro, di citt� in citt�. Da ci� potrebbe sembrare che Lodovico volesse contrastare l'influsso dei grandi nobili, ma quasi certamente la cosa non avvenne. Nelle contee i figli continuarono a succedere ai padri. Lodovico cerc� soltanto di controllarne le attivit� in modo un po' pi� vigile, e ricorse meno a loro nel governo centrale. Probabilmente us� la Chiesa per controbilanciare il potere di alcuni, e ci risulta che egli abbia nominato un gran numero di vescovi (di solito longobardi), prendendoli in larga misura fra i propri fidi, nella Toscana di Adalberto63. Ma il fondamento della sua politica, il fisco, non fu seriamente minacciato dalla nobilt�, e pare che Lodovico abbia lasciato in pace gli aristocratici a lui leali. Probabilmente fu ancor meno generoso dei suoi predecessori per quel che riguarda le concessioni di terre reali; fra tutti i laici, Suppone III � l'unico per il quale i documenti testimonino una vera e propria donazione di terreni; e gli unici beneficiari di grandi doni furono Angilberga e i due monasteri reali di San Salvatore a Brescia e San Clemente di Casauria 64 Lodovico accontent� la sua aristocrazia in un altro modo: con l'avventura militare. Nell'866 Lodovico promulg� un capitolare in cui richiamava alle armi per una campagna militare contro Benevento, con clausole specifiche relative agli obblighi militari, e con un elenco dei missi destinati a rimanere in patria ad organizzare la difesa e la chiamata alle armi locale in dodici diverse aree del regno65. Pare che quasi tutta l'aristocrazia lo abbia accompagnato. Lodovico era gi� intervenuto prima nel sud: era stato a Roma parecchie volte, e aveva condotto eserciti contro gli Arabi nell'846 e nell'848. Nell'848 aveva anche contribuito a por fine alla guerra civile a Benevento, che da allora in poi rimase divisa fra i principati di Benevento e Salerno (con Capua come terza forza quasi indipendente). Nell'866 era sceso a sud per scacciare gli Arabi sotto Sawdan (ovvero � il Sultano �) da Bari, dove erano insediati sin dall'847. Quel che si stava esattamente verificando nel caos politico dell'Italia meridionale verr� discusso nel capitolo sesto; i tre stati longobardi erano soltanto tre tessere di un intarsio politico che includeva gli stati neoindipendenti di Napoli, Amalfi e Gaeta, il rinnovato in�lusso bizantino che si sprigionava dalla Calabria, l'intervento di Roma e Spoleto appartenenti ali'orbita franca, e ovviamente gli Arabi. Lo scopo della spedizione di Lodovico era di allontanare questi ultimi, ma � quasi fuor di dubbio che egli intendesse anche estendere il proprio potere negli stati frammentati del sud, usando la forza del pi� potente esercito italiano di quel secolo. Gli stati meridionali lo accolsero bene e con cautela. Gli stessi Bizantini collaborarono, in quanto si sentivano pure loro minacciati: all'inizio della seconda met� del secolo gli Arabi avevano conquistato la maggior parte della Sicilia. Sfortunatamente per Lodovico, ci vollero quasi cinque anni perch� Bari cadesse, e ci� accadde solo per merito di un blocco navale attuato dagli Slavi e dai Bizantini nell'871. Lodovico se ne accredit� il merito, almeno agli occhi dei Franchi, tuttavia non lasci� il sud. La sua presenza laggi� rese possibile ci� che era pressoch� impossibile: un'alleanza di Beneventani, Salernitani, Napoletani e Spoletani contro di lui; fonti successive includono tra gli alleati anche il Sultano arabo. Nell'agosto 871 Lodovico venne fatto prigioniero da Adelchi di Benevento, tenuto nella citt� per un mese, e lasciato libero soltanto dietro giuramento di non vendicarsi. E� difficile, per noi, renderci conto dell'impatto negativo provocato dall'imprigionamento a Benevento, ma esso rovin� il prestigio di Lodovico. Per controbilanciarne gli esiti egli dovette farsi reincoronare imperatore. Ma non poteva, ora, ricambiare l'ostilit� degli stati meridionali. Pur se torn� nel sud nell'872-3, la sua battaglia l� era perduta. I principi longobardi si schierarono dalla parte dei Bizantini, che li ripagarono nel decennio seguente, sottraendo loro quasi la met� dei territori, compresa l'intera Puglia. Alla fin fine i beneficiari delle campagne militari di Lodovico furono proprio i Bizantini. I1 massimo che Lodovico pot� fare per dimostrare il suo potere fu allontanare Lamberto di Spoleto per il ruolo da lui sostenuto nella faccenda dell'871, e di sostituirgli Suppone III. Lamberto torn� a Spoleto nell'876, dopo la morte di Lodovico. In tal modo sparirono anche le ultime vestigia del successo di Lodovico. Le fonti riguardanti gli ultimi anni del regno di Lodovico hanno un timbro apocalittico. Andrea ci racconta che il vino ribolliva nei tini durante la vendemmia dell'871, di inondazioni, siccit�, invasioni di cavallette nell'872-3 e, nell'875, di una cometa, chiaro simbolo delle � grandi tribolazioni � che sarebbero seguite alla morte di Lodovico, privo di figli, prima del cinquantesimo anno, nell'agosto 87566. Ma non si riesce a dimostrare che la posizione interna, al nord, di Lodovico si fosse indebolita, eccetto per quanto concerne l'evento curioso di una petiziOne presentatagli da un gruppo di nobili, mirante a farlo divorziare dalla moglie in favore, pare, della figlia del conte di Siena67. Ad ogni buon conto, Ludovico era demoralizzato. E alla sua morte la fatale debolezza del regno, ossia l'assenza di un erede maschio, apparve chiaramente. I suoi due zii, in Francia e in Germania, accampavano eguali diritti. La disputa per la successione che ne risult�, dur� pi� o meno trent'anni, e port� come conseguenza al crollo dello stato. Come mai la cosa sia accaduta, lo si vedr� nel capitolo settimo, ma non si pu� capirla ragionando soltanto in termini politici. Fu il risultato di mutamenti strutturali e congiunturali che interessavano i livelli pi� profondi della societ� e dell'economia italiane. http://archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/EDITORIA/Testi/storiamed/wickham/02.pdf |