A Raffale Carrieri, figura fondamentale per il mio percorso artistico, dedico una sezione del mio sito. Vi invito a scoprire la sublime poesia di questo importantissimo uomo di cultura, attraverso la lettura di alcune sue liriche. Buona navigazione! Dario Pisconti
Gli occhi voglio aprire
Gli occhi voglio aprire Le mani le braccia E la voce per farmi udire. L'oscuro voglio aprire Che mi chiude. I muri voglio aprire E ci� che sta intorno Sopra e sotto. Il chiuso voglio aprire In ogni luogo persona cosa: Il chiuso che sta in me, in te. Il sangue voglio aprire Per fuggire E l'anima per tornare Pi� aperto altrove.
Da � Io che sono cicala �
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Raffaele Carrieri e la sua poesia
Raffaele Carrieri nacque a Taranto il 17 febbraio del 1905,nel cuore della Taranto vecchia, tra via Cava e Piazza Fontana. Giovinetto, frequenta le scuole tecniche rivelando un carattere ribelle e attivo che mal si adatta all�ambiente scolastico, in cui tutto sembra codificato in un cerimoniale che di educativo ha solo la forma burocraticamente istituzionale, non la sostanza: �Gli insegnanti temevano le correnti d�aria; la continua preoccupazione durante le lezioni era il controllo delle finestre. Appena un insegnante sedeva ed apriva il registro cominciavano le richieste: un�improvvisa voglia di pisciare si diffondeva da un banco all�altro. Le aule erano prive di riscaldamento e l�inverno sia gli allievi che i professori indossavano mantelli. Uno spettacolo deprimente. Le mie assenze erano frequenti. Ero malvisto, il peggiore esempio dei tre corsi. Non un amico. E come avrei potuto averne fra quei piscioni ipocritucci? Ero disprezzato ma temuto. Parlavo poco ed ero di mano lesta.� Nel maggio del 1915 l�Italia dichiara guerra all�Austria; a Taranto cominciano ad arrivare treni di profughi dalle regioni invase dagli austriaci e le giovani erano assunte come domestiche. Nella pensione gestita dalla nonna materna, Luccio (era il diminutivo con cui Carrieri veniva chiamato in famiglia) ha modo di conoscerne tante, di incontrare gente con diverse esperienze di vita e di lavoro, di parlare con essi; di subire il fascino del loro modo di essere diversi, con altri linguaggi, altre abitudini, altri comportamenti. �Ero attratto dai viaggi, dai luoghi lontani, dalle dame di teatro che soggiornavano nell�alberghetto di mia nonna.� Nel 1918 a soli 13 anni, Carrieri sente che nulla pi� hanno da offrirgli quell�ambiente e quella vita. Fugge da casa per desiderio di viaggiare e s�imbarca clandestinamente sul piroscafo �Orione� per sbarcare in l'Albania. Di l�, dopo pochi mesi, raggiunge Gabriele D'Annunzio a Fiume nel 1919 (non � una scelta politica che muove il giovanetto quanto il fascino dell�avventura). L� viene ferito gravemente alla mano sinistra nei combattimenti delle cinque giornate. Torna a Taranto, ma subito si imbarca di nuovo e girovaga per i porti del Mediterraneo e la costa del Nord Africa. Nel 1924 , spinto forse dall�inconscia simpatia naturale per Rousseau le douanier, diventa doganiere a Palermo. Vi rimarr� per due anni. I doganieri erano un corpo speciale,con paga scarsa, raccattato per ogni dove che dipendeva dal comune. Qu�, Carrieri, non aveva occhi che per leggere e lo studio del professore Ferrante, un giovane sacerdote che abitava all�ultimo piano del casamento, accosto alla chiesa di Sant�Eulalia, costitu� il suo primo incontro con i classici. Studia, frequenta pittori, legge molto. Dopo due anni, con la liquidazione della pensione di invalido per l�impresa di Fiume, si reca a Parigi ed entra in contatto con la vivacit� della grande capitale culturale dell'Europa, stringendo relazioni e amicizie con i maggiori artisti (soprattutto pittori). Dal 1930 si stabil� a Milano, dedicandosi soprattutto alla critica d'arte e alla poesia. Significativi i suoi contributi all'Ambrosiano, l'Illustrazione italiana, XX si�cle, Pan, Tempo, Corriere della Sera, Epoca, Milano-sera. Fond� egli stesso nel 1945 un mensile di arte e letteratura, Le tre arti.
La poesia di Carrieri nasce
intorno agli anni quaranta sotto il segno di un omaggio a un grande artista,
Campigli, che egli contribu� a valorizzare; considerata nel suo insieme
(undici volumi, molti usciti dal commercio) essa rappresenta l'idea e
l'esperienza di un perpetuo vagabondaggio, nel tempo e nello spazio.
"L'anonimo viaggiatore senza valigie e senza addii";
cos� si definisce lui stesso, non senza premettere: "Sono
il viaggiatore ideale" (Il grano non muore).
Questo suo viaggio, che si estende non solo nella vita di Carrieri dalle tappe
avventurose, quella di un moderno picaro (come lo
definisce G. Spagnoletti), entra poi nel vasto paesaggio culturale del nostro
secolo, con frequentazioni che vanno da Apollinaire a Ungaretti, da Lorca a
Max Jacob. Gi� subito troviamo un ilare impegno ad abbracciare le pi�
spericolate esperienze moderniste e surrealiste; ma sempre con accenti d'una
chiarezza avvincente. � il segno entro cui si collocano Lamento del
gabelliere e Souvenir caporal, La civetta e Il Trovatore, e
via via gli ultimi volumi, Fughe provvisorie e il migliore di essi,
La richiesta del niente. In tutti, ma in particolare nelle pi� recenti
raccolte, ritornano i temi essenziali di Carrieri: il rischio sorridente, ma
anche spericolato di chi affronta la vita, gli incontri sentimentali e quelli
artistici, rifluiti poi ancora una volta nello splendido brogliaccio, Il
grano non muore. Scrisse oltre 40 volumi di saggi e narrativa, di rilievo quelli riguardanti le avanguardie e i Futuristi. Conobbe e fu in corrispondenza con personalit� di rilievo come Lautrec, Modigliani, Cendrars, Picasso, Marini, Campigli, Fiume, Cagli, Apollinaire, Cantatore, Ungaretti, Montale, de Chirico, Gentilini, Campigli, Alfonzo Gatto, Zavattini, Chagall, Francesco Flora, Cesetti, Messina, Savinio, Guttuso, Prampolini, Manz�, Ada Negri, Eduardo De Filippo, Dino Buzzati, Carlo Bo, Orfeo Tamburi, Lucio Fontana, Giorgio Morandi, Salvador Dal�, Bontempelli, Sironi, Carlo Carr�, de Pisis, ecc. Collabor� anche a numerose riviste, fra le quali spicca Esperienza poetica di Vittorio Bodini, dal 1954 al 1956 (sulla quale scrissero importanti nomi impegnati nel rinnovamento poetico e nel superamento della contrapposizione neorealismo / marxismo per una nuova forma poetica; ricordiamo fra gli altri Erba, Roman�, Scotellaro, Caproni, Tentori, Volponi, Zanzotto, Bellintani, Bona, Cataffi). La sua opera di poesia pi� significativa e matura dal punto di vista artistico, � la raccolta delle poesie d'amore Canzoniere amoroso, 1959. Ebbe importanti riconoscimenti per la sua opera poetica (Viareggio, Chianciano, Tarquinia-Cardarelli, Taormina). Di questo singolare poeta molto � stato detto e scritto. Egli � infatti un personaggio molto attivo nella cultura italiana degli anni '50 e '60, scrive su riviste e quotidiani di ampia tiratura e diffusione ed � molto conosciuto, anche se molto schivo. �Superficialmente potremmo leggere la sua poesia come l'espressione di una pur dotta ricerca stilistica, prosodica, musicale; dal punto di vista dei contenuti, come una specie di tranquillo canzoniere di un'anima borghese e chiusa al mondo con questo suo esasperato parlare di s�, che non � per� il narcisismo dannunziano o l'intimismo dei crepuscolari, anche se con questi movimenti la poesia di Carrieri ha molto a che vedere, ma per reazione avversa a queste poetiche� (Lucini). Su questo il Gramigna afferma: � che gli anni importanti e gli incontri determinanti per Carrieri sono stati quelli di Parigi a contatto con la nuova letteratura del primo trentennio del secolo, Apollinaire in testa�. In effetti, ad un esame pi� approfondito che prenda in considerazione i doppi sensi caratteristici della sua scrittura, la sua ci appare una poesia tormentata, estremamente mobile, sempre in movimento, come la sua vita, come egli stesso sembra suggerire nei versi di una sua lirica:� Si addice al mio verso/ l'andamento leggiero/ e l'odore bruciato/ del fuggiasco.� La sua visione della vita comunque, resta sempre quella del viandante, dell'occupante provvisorio di questo mondo, quasi da lui staccato, un mondo che egli fende e attraversa vorticosamente e sempre in fretta, sprizzando energia fisica e mentale, con immaginazione vulcanica, capacit� di legare i segni e i significati di questo mondo alla parola e nello stesso tempo all'immagine pittorica, creando una scrittura iconica di grande potenza. La sua poesia � una casa, che a volte viene ridipinta, risistemata, meglio ridefinita nei suoi spazi, impreziosita con addobbi o altro, ma sempre la stessa. Ad una attenta lettura, sembra di poter individuare questi elementi, mimetizzati da una scrittura apparentemente semplice, elegante ma quasi popolare, talvolta quasi nenia, filastrocca. Con lo spazio necessario per poter svolgere una analisi almeno sommaria di questi testi, potremmo renderci conto del ciclopico lavoro di lima (La vita ho consumato / su carta e inchiostro. / Mio Dio quanto ho limato / notte e giorno.) a cui egli sottopose i suoi testi, potremmo renderci conto della sorprendente abbondanza di figure retoriche, sintattiche, semantiche e logiche che sono nascoste in queste brevi liriche insonni che comincerebbero allora come ad esplodere sotto i nostri occhi. Dal punto di vista strutturale e dello stile la poesia di Carrieri � un pozzo senza fine, ma anche e soprattutto per i riferimenti extratestuali, le allusioni, le citazioni nascoste, i riferimenti ad altri testi, alla pittura e alla musica e addirittura alle Sacre Scritture, che sono mimetizzati ma abbondano in ogni lirica e ce la fanno rileggere in maniera sempre diversa � una poesia che va letta molto attentamente, cercando nel testo cos� esile e quasi etereo, i grandi tesori che esso racchiude. Carrieri sembra rifuggire i grandi temi che appassionano gli intellettuali del dopoguerra e parlare soltanto della sua esperienza. In realt�, questo "io" singolare presente nella quasi totalit� delle liriche in effetti � quasi sempre un "io" universale, una proposta fatta al lettore, un parlare della sua vita. I valori del messaggio, i contenuti nascosti, sono sempre contenuti di una esperienza collettiva, perch� tendono a un coinvolgimento (e coinvolgono). Quella di Carrieri � la proposta di uno stile di vita, di un modo di vedere la vita, partecipante e assieme distaccato, presente e assente e potenzialmente sempre in fuga. Anche quando egli si sofferma in temi che richiedono staticit�, pensosit�, su temi drammatici e struggenti come il Compianto per Garcia Lorca, o l'accorato Piet� cuori duri, egli lo fa con questa doppio registro, da una parte la partecipazione intensa che scaturisce dal messaggio, dal modo di trattarlo, di caricarlo di senso, dall'altra con una forma musicale ricercata, sfuggente, aerea, leggera, unita ad una prosodia ricercata e preziosa, ricca di elementi iterattivi, rime interne, allitterazioni, assonanze, paranomasie. Anche quando il suo verso sembra cercare la cantilena, l'andamento rapsodico, il tono minimale del canto popolare, l'an�fora, egli non abbandona mai il rigore della ricerca e la fatica della lima, in modo quasi esasperato. Opere poetiche di grande ispirazione sono: Lamento del gabelliere, (1945); Souvenir caporal (1946); La civetta (1949); Il trovatore (1953); Calepino di Parigi (1954); Canzoniere amoroso (1958); La giornata � finita (1963); Io che sono cicala (1967); La formica Maria (1967);Stellacuore (1970); Le ombre dispettose (1974). Nel preparare questa presentazione di Carrieri, mi sono servito della tesi di laurea � La poesia di Raffaele Carrieri � di Emilia Fistetto (mia consorte), relazionata dal Prof. Ennio Bonea e depositata presso la Facolt� di Magistero dell�Universit� degli Studi di Lecce; della"Storia della letteratura italiana del Novecento", Compton editori S.r.l., Roma 1994, pp. 526 e 527) Newton di Giacinto Spagnoletti; dell'edizione antologica Poesie scelte, Mondadori, 1976, a cura di Giuliano Gramigna; dell� antologia della poesia italiana a cura di Gianmario Lucini; dal testo �Raffaele Carrieri una vita per la poesia� di Luigi Cavallo, Rusconi, 1978 e dalla breve ma intensa frequentazione avuta col poeta, purtroppo nell�ultimo periodo della sua vita.
Dario Pisconti
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Da Lamento del gabelliere, (1945) | |
Lamento
Non pesa il fucile ad armacollo n� il pastrano n� la cartucciera lo stivale non pesa nella sera n� la brina sulla bandoliera. � l'ora ventidue, manca un minuto: il giro della luna s'� compiuto. All'oscuro le pietre sono colte da improvvisa tacita morte. In cielo non scorre fiume la foglia pi� non riluce il muro � tornato muro e lo stivale ancora stivale sopra il cuore del gabelliere. |
Attesa di niente
La luce non mi � stata compagna sulla terra n� l'acqua sorella. L'affabile acqua piovana che materna addormenta il vecchio gabelliere e la giovane rana. Avrei voluto chiudere il cielo come una semplice porta per restare una giornata acquattato sull'erba in attesa di niente. |
Muro sopra muro
Maledetto sia questo silenzio che alza muro sopra muro: il cielo separa dal corpo lo sguardo dell'occhio. Tra l'una e l'altra mano c'� lo spazio di una valle. Maledetto sia questo silenzio che alza muro sopra muro. |
I tuoi rami sono lunghe mani di ragazze more il cui polso garrulo suona di verzicanti bracciali Il tuo profuno � una scala di tondi lisci gradini che corrono a chiocciola intorno alla luna. La tua foglia � tre volte verde come una verde bandierina d'alga di domenica siciliana. Il tuo frutto ha sapore di navigli nuovi che prendono il mare con risa di fanciulle. |
Fine della giornata
A ogni fine di giornata quando il cielo muore con la gola tagliata come la gallina nera resto solo sul prato con gli odori della sera e il sacco di cenciaiolo dove raccolgo la cenere delle mie ore terrene. |
Mi duole
Seguo la mia pipa Come un cieco segue Un altro cieco. Cielo non v'� stasera, non c'� neanche un poco di cielo su cui andare. Mi duole la pipa, stasera. |
Piccola morte
So questo, era un soldato con un paio di scarpe nuove che accanto gli stavano a vegliarlo giorno e notte. Aveva una fucilata nel petto e ogni volta che tossiva guardava con ceruli occhi le scarpe che vegliavano come cani la branda dell'infermeria. Mor� alle cinque del mattino dicendo queste sole parole: "mettetemi amici le scarpe � venuta l'ora di andarmene." Mor� alle cinque del mattino con gli occhi rivolti alle scarpe. |
Chi mi cammina dentro e orma lascia di fuga? Chi rimuove l'antica collera, chi brucia, chi mi fruga? Chi si serve del mio piede e attraversa la strada non mia? Chi l'amico percuote con la mia buona mano? Frammenti d'altre vite, memorie di peccati antichi io mi porto. |
Morte del fiume
Non c'erano donne a piangere la morte del fiume n� madonne con le spade e fazzoletti: all'oscuro moriva come un cavaliere caduto da cavallo. Non c'era luna a piangere n� fidanzata mentre i neri battellieri percuotevano all'oscuro con mazze e martelli il corpo morto dei fiume. Non c'erano monache a piangere n� orfanelle: non c'era l'angelo. l'angelo delle sere d'inverno chiss� dov'era con la sua slitta bianca e le sue lane. |
Lamento delle 0,20
Signore, tu mi lavori senza tregua. Nell'inverno mi lavori e nell'estate, nei giorni delle feste consacrate. Nei mesi pari e in quelli di trentuno Col sole con la pioggia con la luna. a ore, a settimana, a cottimo, a giornata. Come il canuto operaio della ferriera tu mi cuoci mi sciogli e non ti bruci.
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Una sera fra le sette e le nove una sera dell'ultimo inverno allo scocco del coprifuoco il cielo ha lasciato la terra schiodando l'ultimo chiodo. Una sera fra le sette e le nove il cielo fugg� dalla terra su un toro di fuoco, una sera dell'ultimo inverno allo scocco del coprifuoco Una sera fra le sette e le nove il sangue s'apprese alla mota allo scocco del coprifuoco. |
Compianto per Garcia Lorca
Al muro, il poeta al muro dicevano i giornali, Lorca fucilato al muro. Per telegrafo un muro � uguale a un altro muro. Gli angeli non hanno pianto non hanno rivolto domande perch� in paradiso � proibito. Hanno guardato il muro Hanno guardato il sangue Come si guarda una rosa Sopra un muro di calce. Hai colto la rosa E ti sei messo a giuocare: era come alla fiera di Cordova era come alla corrida, era come alla porta del sole il giorno di Sant'Isidoro. Era bello vedere gli angeli Incantati di te, Garcia. Erano stati ragazzi a Siviglia E ti apprezzavano. All'improvviso furono tristi, la rosa era pi� bianca e tu pi� fioco. Erano stati ragazzi a Siviglia E sapevano che un muro � diverso da un altro muro. In cielo te lo sei portato Perch� ce ne fosse uno meno. Gli altri portano cavalli, portano cigni e colombe: Tu, Garcia, un muro Un muro che non si scavalca. Lasciate che gli angeli piangano. |
Malia d'inverno mi tiene e fuochi al chiuso. Mai pi� torner� alle notti nel mare sotto il gaio Capricorno. Mai pi� sparger� foglie di ruta sulla fronte di venere n� ascolter� al fresco lo stornello grottesco del venditore di terre che passa a cavallo con sette voci come sette liquori. Fiore di spina Abbandono il festino la tazza il tamburo e torno al fiore di spina. Il vostro modo di uccidere di cantare e fare all'amore non mi appartiene. Dove vado io nessuno viene Io non voglio aprire le braccia. Non ho niente di buono e dove vado io nessuno viene. Terra dopo terra ancora terra. Terra da pane e terra da vino terra infine per morire. Io non voglio aprire le braccia. Non ho niente da dare niente da ricevere e dove vado io ci sono spine. Spine la sera spine la mattina spine per scendere spine per salire. Io batto la terra Io torno al bosco ai boschi E batto coi piedi la terra come si batte la donna amata per capriccio o allegria: in una mano ciondoli e nell'altra ruscelli. Io batto e batto la terra come si batte lana di pecora prima che la sposa si corichi. Rauco pi� della cornacchia e pi� stonato del violino di valle io canto perch� mi piace cantare. Gioco dell'oca L'allodola il fiume l'ocarina l'immagine di te alla finestra che ti pettini come uno suona. I monti continuano i capelli. Mie stanze di paglia e di fuoco aprite tutti i cancelli: fra poco l'allodola il fiume e l'ocarina sar� io nei tuoi capelli.
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Da Il trovatore (1953) | |
Forestiero sono stato in ogni luogo pi� del lucchesino in Brasile che vende re di scagliola. Sono andato di paese in paese come il piccolo calabrese astrologo e ombrellaio. Ho risparmiato e sprecato. sono stato pi� paziente del muratore che attraversa il mare per alzare un muro in Australia. |
Sera d'Africa
I cammellieri fermarono i cammelli. L'aria era piena di tamburi come un cestello � pieno d'uova. Disceso dalla mia torre di stracci strinsi molte mani e molto mi inchinai. Quale giuoco interrotto ripresi? I millenni divennero specchi inganni e begli sguardi. Sposai Sara con la vista. i neri capelli furono miei e il gelsomino dei seni. Senza disfare veli presi la via del mare. Sara di nuovo nel tallero conservato nella lana suona ancora nell'aria delle mie sere d'Africa. |
Tavoliere
Quando scendo dagli Appennini alla patria remota dei fieni dell'orbo mi sovviene asino delle cisterne che lo zero ripete sempre alla sete del Tavoliere. Lunga sete zero cocente muore l'acqua della sorgente. |
Piet�, piet� cuori duri piet� per l'uccello migratore che ha perduto un'ala in volo. Piet� per l'orfano gitano che s'� giocato a carte sella e cavallo suicida in una prigione. Piet� per il giovane Nessuno ucciso in Cina o un qualsiasi altro luogo clima razza condizione. Piet� per chi muore all'impiedi dentro una camera d'affitto. Piet� per chi cade piet� per chi si lascia cadere. Piet�, piet� cuori duri voi che siete sempre seduti e apprendete dai giornali la morte degli altri.
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Da Canzoniere amoroso (1958) | |
Ancora la morte mi confonde. Lapillo o fuscello io sono quello che muta spola e spoglia al sangue che veglia. Ancora la morte mi confonde alle coste, alle sponde dove non sono: alla rondine che di me muore chiedo perdono. Qualcuno che mi somiglia Una sera qui sul Quai Voltaire qualcuno che mi somiglia verr� a ricominciare l'intesa delle ciglia. Qualcuno che mi somiglia fuggiasco come me t'inganner� coi suoni rochi del fiume. Qualcuno che mi somiglia ti piegher� a giunchiglia. Socchiuso ti sto a guardare Socchiuso ti sto a guardare fare lega col mare. T'investe, ti scioglie con spade e coppe ti coglie. Rovinoso prestigio dell'indaco: interrompo il giuoco apro l'occhio e ti faccio entrare. Arpa d'acqua. Che attenzione: l'udito, l'orecchio. Che divertimento distinguere, confondere l'acqua l'arpa e il campanello della brina che si rompe in aria. Accoccolata ridi del faceto muro che ci divide. |
Quanti sguardi alle balaustre e trapani nell'aria: pi� nuda non potevi essere. Da siepi e feritoie spiavano i caprai, ti tagliavano con gli occhi. Pi� nuda non potevi essere del pesce spada controvento.
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Se le mani intrecci nel sonno e fai un cestino io so che vai al bosco negro per fragole e fuori mi lasci, solo mi lasci fino al mattino. |
Non dire al poeta
(a Ezra Pound nel Manicomio criminale di Washington)
Non dire al poeta che il pane � pi� bianco del sale. Non chiamare la guardia se il poeta brucia. Non dire quel che deve fare se il mare � in tempesta. Lascia che il poeta pianga il cristallo ferito nell'oscura trincea della miniera. |
La testa piena d'icone e di spine vado con le spade fuori Porta della Visagra. Vado a Santa Maria la Blanca vado sul ponte d'Alc�ntara. Vado al fiume coi cani ciechi vado con tutte le pietre e il Conte muore, il conte muore in tutte le ore. |
Maestra � Manola a Valencia e i cuori smaglia al mercato delle selle. L'antica arte degli occhi qui � pregiata. Con gli sguardi lavora Manola come il sellaio col trincetto e fa con tanti agnelli una sola sella. |
Lascia pinze e pinzette e le matite che riscrivono l'occhio. Mia bella, lascia il rosso che tinge il bicchiere. Lascia scorrere la voce come un liquore insensato e non correggere il tempo con l'ora tetra dell'orologiaio. Mia bella, non aggiungere non sottrarre: lascia al pettine il divagare e volgiti dalla mia parte. |
Quella che vedi tra le frasche, incappucciata di rosa viola, la susina � di San Martino. All'albore d'ottobre matura e se devi coglierla non attendere l'inverno. |
Una mi slega l'altra mi lega, funaiole chi � che mi salva? Mano forte fa lunga la corda e forte stringe quello che ama. Funaiole non fate pi� nodi che niente ho da annodare: tirando la canapa ai chiodi, funaiole non fatemi male. |
Da La giornata � finita (1963) | |
Se in tre sai dividere un capello non fai per me. Se meno stimo il prato del cancello non fai per me. Se l'acqua discacci con l'ombrello non fai per me.
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Quello che sono e sono stato domandatelo alle strade dei paesi della sete. Tufi lucertole spine, bell'uva sulle colline dove fui ladro di galline. Strade di cenere e pomice lavorate dallo scorpione. Dove ramingo io vissi la cicala ancora muore. Quello che sono e sono stato domandatelo alle strade. Una dice, scatenato! E mostra le ferite che fuggendo ho lasciato. Dalle braccia di mia madre dalle mani dell'amata sempre fuggiasco sono stato. Da me solo inseguito braccato, colpito. Re per un giorno per cent'anni povero. Soldato bracciante gabelliere: su ogni nuova strada nuovo mestiere. Domandate ai sentieri della neve alle doline alle cordigliere quello che sono e sono stato. Domandatelo alle strade. Alla malora carte cartigli e scartoffie che potevano darmi gloria. La vita ho consumato su carta e inchiostro. Mio Dio quanto ho limato notte e giorno. Mio Dio quanto ho penato. |
(a Domenico Cantatore)
Il falegname che batte il legno nulla sa di ci� che duole e non duole e ha cura della sua mano quando forte percuote. Nessun legno ha mai detto: ahi! falegname, mi fai male! La pietra si lascia rompere dal tagliapietre, l'asino del padrone. Questo povero animale poggiato come un arnese l'asino � di Gerona. |
Il silenzio non mi salva la parola non mi aiuta. Muri aggiungo muri tolgo. Pi� mi scopro pi� mi nascondo. |
Fra la gente vivo e ballo da solo. Di ragione privo un poco mi consolo di ci� che manca. musica, musica! |
Le parole che dice non dicono niente. Ma quando ride, e ride sovente, il silenzio splende la morte si diverte. |
A secco ho tirato la mia barca e l'acqua mi ha compianto, ha compianto il vecchio marinaio. Nella bonaccia nella tempesta fedele sono stato alla mia barca. Lontano va il mare e non si stanza. |
Adoro la donna pesce dal riflesso sfuggente. Quella io adoro che all'oscuro fa luce e subito dispare. |
Da Io che sono cicala (1967) | |
Io che sono cicala per te canto. Per te canto che stai zitta, sola in ombra nella casa grande. |
Si addice al mio verso l'andamento leggiero e l'odore bruciato del fuggiasco. Si addice il vento caldo che fa spuntare astri all'aglio nella fornace di sabbia. Nasce per la rabbia lo spinoso cardo e la capra consola col suo fiore. |
(a Roberto Scalabrini)
Nel meriggio di fuoco dava cornate il sole e mi strappava senza sangue il cuore. Fuggevole un'ombra, una sola colomba muovendo appena le ali fresco rifece amore coi suoi aliti.
Arlecchino mio buon principe Arlecchino mio buon principe delfino primo del salto mortale, stanca � l'arpa per tanto suonare. Alla fine di ogni vita stringe polvere la calamita. |
Da La formica Maria (1967) | |
In vita meno pesava d'ogni cosa la formica Maria. Per trattenersi ancora nella cucina della fattoria il tempo ferm� con l'ombra sua. In vita pesava meno d'una piuma la formica Maria. E quando divenne muta, per non lasciarmi solo il silenzio col piombo rifuse. In vita pesava meno d'una foglia la formica Maria. E quando divenne pietra in sei furono a sollevarla per portarsela via. |
(a Francesco Messina)
Ora che se n'� andata non voglio spezzare il pane sulla sua tovaglia, sciupare non voglio le pieghe alle sue tele bianche. Ora che se n'� andata non voglio, non voglio sentire il rumore delle stoviglie: l'argento era suo, il lucore di crete e caffettiere. Spegnete la carbonella, fuochi e lumi spegnete perch� la mia maestra se n'� andata in una stella. |
Da Stellacuore (1970) |
Dimesso l'affanno; quieto, distante, separato e infine perdonato da quelli che mi amarono. Questo mucchietto di cenere in mezzo alla foschia sono io; l'erba che sopra vi cresce, ancora verde la mia poesia. |
Ho perduto vecchi amici che sembravano fedeli, e altri pi� giovani e leggieri sono usciti dai muri come ladruncoli svaniti. Se ne sono andati quasi tutti in punta di piedi, ballerini incapaci che fingevano volare verso frontiere assicurate. Nessuno si volt� a guardare dalla mia parte informe dove, dopo le rovine, la musica ricominciava.
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Fra poco
Consumato l'ultimo inchiostro, fra poco fra poco sar� pronto |