L'incipit del romanzo

Il famoso curatore della Hall of Fame del Paladozza, Saint De la Palette, raggiunse a fatica l'ingresso della Grande Galleria e corse verso il quadro più vicino, la gigantografia di Vrankovic che brandisce una tibia di Marconato. Afferrata la cornice, il vecchio tirò il capolavoro verso di sé fino a staccarlo dalla parete, poi cadde all'indietro sotto il suo peso. Una pesante saracinesca calò nel punto da cui era passato poco prima, bloccando l'ingresso al corridoio. Il pavimento d'acero albino tremò, la sirena dei 24" cominciò a suonare. Per un momento, ansimando profondamente. De la Palette rimase immobile. "Sono ancora a referto". Uscì da sotto la gigantografia, strisciando, e si guardò attorno per cercare un nascondiglio. Si udì una voce, spaventosamente vicina. "Non si muova".
Il curatore, che era riuscito a mettersi carponi nella classica posizione-Fortitudo, si immobilizzò e voltò lentamente la testa. A pochi metri da lui, dietro la saracinesca, si scorgeva attraverso le sbarre l'enorme silhouette del suo assalitore. Era alto e grosso come Bagaric, dalla pelle pallida come quella di uno spettro (Fucka? NdCBN), i capelli bianchi radi come Palumbi. Aveva le iridi rosa e le pupille rosso scuro come Mancinelli dopo un'uscita serale con McCaskill.

L'albino (il killer, non l'acero ndCBN) prese una pistola dalla tasca e infilò la canna in mezzo alle sbarre, puntandola contro De la Palette. "Non doveva fuggire" parlava con un accento difficile da individuare, un po' come Basile.

"Adesso mi dica dov'è".

De la Palette era intrappolato all'interno della Grande Galleria ed esisteva solo una persona al mondo a cui passare la paletta. Il Capitano, il Cuore Biancoblù. Guardò le pareti della sua ricchissima prigione. La collezione dei più famosi scarsoni del basket pareva sorridergli come un gruppo di vecchi amici. Stringendo i denti per il dolore, fece appello a tutte le sue forze. Sapeva che il compito disperato che lo attendeva avrebbe richiesto fino all'ultimo istante in quel poco di vita che ancora gli rimaneva.


Il Capitano è stato oggetto tra i Fedeli
di un vero e proprio culto: proteggeva i
 raccolti di pomodori ed era patrono
degli studenti che non studiano


Basta, compratevi il libro, non vogliamo cause per danni dalla Mondadori.

Sappiate solo che, colpito a morte e orrendamente sbrodolato di sangue, Saint De la Palette si dispone sul pavimento come l'uomo di Vitruvio, il celebre disegno di Leonardo da Vinci, col braccio teso, in pugno la fedele paletta, come a indicare una misteriosa direzione. La scena che si presenta agli occhi dei primi soccorritori è agghiacciante: un leone spelacchiato veglia il cadavere, il vecchio disteso per terra è riuscito, prima di morire a scrivere col sangue il numero ("2") e qualche sillaba: "ba-ba-ba-ba"...

E' stato il libro dell'estate 2023 e ancora adesso è in cima alla classifica delle vendite.
Stiamo parlando de "Il Codice non Vinci", che, oltre ad appassionare milioni di lettori, ha sollevato un autentico polverone tra i fortitudini. L'autore ipotizza che buona parte della storia fortitudina sia stata modificata ed in parte soppressa.
Perché? L'autore denuncia giochi di potere molto intensi in seno alla Fortitudo, autentiche faide che spesso sfociavano in vere e proprie tragedie.
Realtà? Finzione? Un abile mix delle due cose? Si tratta di un romanzo e quindi inevitabilmente ci saranno delle licenze -come dire- poetiche, ma sicuramente c'è anche un fondo di verità.
Ecco la trama.

Il Codice non Vinci mette in scena una caccia al Santo Graal

La leggenda del Graal, la coppa utilizzata da Gesù durante l'Ultima Cena, affascina la cultura occidentale da un migliaio di anni, dal Parsifal alla saga cavalleresca di Re Artù, da Wagner ad Indiana Jones. Alla sacra coppa sono associate incredibili virtù, il suo possesso dà sapienza e immortalità, è capace di infondere energia negli eserciti crociati che salpano per la Terra Santa e potrebbe persino permettere di vincere in trasferta a casa del Maccabi.
La leggenda del Graal incrocia il basket fin dalle origini: la palla al cesto di Naismith non è che una rivisitazione moderna del calderone di Dagda, il dio celtico grande come Shaq e dagli appetiti robusti come Prandi: centrandolo si conquista l'immortalità, come Ginobili, altrimenti virgola, come Delfino.
Ma il Graal è anche il simbolo per antonomasia di tutto ciò che è desiderabile ma difficile da conseguire, nella cui ricerca bisogna comunque impegnarsi, affrontando un lungo viaggio costellato da prove sempre più ardue da superare, specie in trasferta. I cavalieri che si accingono all'impresa e affermano di "cercare il calice" parlano in codice: cercano una Coppa, l'Eurolega. Questo, almeno, fino al Codice non Vinci, che ribalta la tradizione popolare.

                        
I cavalieri che si accingevano all'impresa spesso non sapevano cosa cercavano: 
una coppa, una pietra preziosa, una spada miracolosa, il vassoio d'argento che resse 
la testa di Battista, l'arca dell'alleanza.



Secondo il Codice  non Vinci, il Graal è una persona, Zoran Savic, la vera "coppa" che ha tenuto in sé il "sang réal" (sangue reale), cioè la fiducia e i pieni  poteri affidatigli da Re Giorgio I, il leggendario sovrano dell'età dell'oro (speso) della Fortitudo, quello che dall'ascensore la portò al piano attico.

Dopo una spaventosa serie di traversie e persecuzioni, prevalentemente arbitrali, Re Giorgio I avrebbe affidato a Zoran Savic (detto il Maddaleno) i suoi fedeli, con il compito di guidarne la rinascita. Giorgio I non aveva mai preteso di essere Dio (per quanto talvolta, alla mattina presto, un pensierino ce lo facesse), ma ambiva almeno a un Primo Posto nell'Olimpo europeo, prima di mollare la Fortitudo al suo destino e di dedicarsi esclusivamente a pratiche new age con un'altra F, più appagante e di gran lunga meno cara da mantenere.

 Perché "Maddaleno"? Perchè Zoran era stato un peccatore, aveva militato nelle file della chiesa rivale e non aveva mancato, sotto quelle insegne (la Vu di "In hoc signo Vinces"), di infliggere ogni sorta di umiliazioni alla F e ai ministri del suo culto. Era stato, insomma, un vincente. E Giorgio I voleva assicurarsi, con lui, il Graal della vittoria.

Giunto in età avanzata e abbandonata l'attività agonistica, Zoran aveva visto la luce sulla via di Istanbul (che non è poi lontano da Damasco), aiutato dall'apparizione inaspettata di robusti bonifici bancari: come la manna sui maccheroni. Con due movimenti spalle a canestro, il gomito alla gola degli avversari e qualche pugno sul petto, Zoran era entrato presto nel cuore dei Fedeli, inizialmente diffidenti. Pochi mesi dopo era riuscito a far credere di essere il più grande general manager d'Europa e già questo possiamo annoverarlo tra i suoi miracoli (la cosiddetta "pesca miracolosa").


Zoran sonda il mercato alla ricerca del nuovo pivot dominante e trova Bagaric


Rapidamente ne erano arrivati altri, tra i quali ricordiamo, oltre al già citato episodio "dei leoni domati", le nozze con i fichi secchi, la moltiplicazione dei pivot (in prova) e la scoperta dell'acqua calda.

Con il budget ridotto all'osso, fatta eccezione per il proprio compenso, e con l'assistenza di fidati agenti slavi di fede retta, cioè ortodossa ("la via più diritta al soprannaturale è la sopravvenienza attiva"), il Maddaleno costruisce in tre anni una squadra che raggiunge ben tre finali e che "funziona come un orologino" (Giorgio I nell'intervallo di Fortitudo-Roma, 5 febbraio 2005).

Poi, altrettanto rapidamente, il tracollo. Qualcuno rema contro, qualcuno tradisce, altri mugugnano sempre più apertamente. I cavalieri dell'ordine modaiolo del Parterre, guidati da un non meglio identificato "testa di ferro" ("faccia di bronzo", secondo altra fonte), tramano contro di lui. Giorgio I, che alla parabola dei fichi secchi non aveva mai creduto perché continuavano a costargli come tartufi, comincia ad innervosirsi.

Sentendosi minacciato anche da chi credeva amico, il Graal della F si vede costretto a fuggire lontano. Secondo alcune fonti, ricompare qualche tempo dopo nel sud della Spagna, in una regione che abbonda di Graano, altri lo danno transitante per la Catalogna, dove pare abbia cercato di convertire la folla della ramblas al suo verbo ("McCaskill non è un cliente", ndCBN)... tutto quanto è, però, molto nebuloso.

Il suo posto, nonostante il Grande Elemosiniere Lefebre cerchi fino all'ultimo di ostacolarne l'ascesa, viene preso da "testa di ferro", dimostrandosi "testa di cazzo" in qualità di responsabile dell'apostolato tra i giovani ma ritornato nelle grazie di Giorgio I in quanto grande conoscitore delle marchette dell'est.

Certo è che a Bologna il culto di Zoran rapidamente viene smantellato e i suoi seguaci perseguitati o dispersi (ci sono tracce di uno scambio tra fratel Belinelli e un impianto di riscaldamento delle pizzette per la sala Vip).


I sette argenti dell'Emiro
(sulla sinistra, i tre dell'era Savic)

Si procede addirittura all'annientamento della verità storica sull'operato di Zoran, per mezzo di ben quattro vangeli che vengono proclamati come "ufficiali": quello di Forino quello di Calamai, quello di Pungetti (il più commovente) e quello di Angelo Costa (il più stronzo).

In questi testi la figura di Zoran è marginalizzata quando non vilipesa: si racconta che fumava insieme a McCaskill che percuoteva Bagaric con uno scalpello urlandogli "Perché non ti muovi?" (episodio che poi verrà attribuito a Michelangelo con il suo Mosè), che non conosceva il mercato americano, che aveva contrastato la meritoria opera di proselitismo di Pozzecco tra le peccatrici della Pineta romagnola.

La Fortitudo, nel frattempo, completa la liquidazione dell'operato del Maddaleno con la lotta alle streghe e la caccia al pivot, in cui vengono bruciati milioni di dollari.

Ma è tutto vano: grazie ad un manipolo di fedeli seguaci, l'opera di Zoran sopravvive e con essa i suoi segreti, arrivati finalmente fino a noi.

Infatti, nell'anno 2014, un pastorello di Ruvo di Ruglia rinviene in una caverna sotto via San Felice un antico baule pieno di libri. Spaventato dall'idea che potessero essere libri di scuola, richiude il baule, ma alla fine la curiosità ha il sopravvento. Il baule contiene i vangeli gnostici ritenuti persi nel tempo e nella storia.


L'unico Libro di Aron 
giunto fino a noi

Tra questi libri sacri, che ancora oggi ci narrano la vera storia del Maddaleno, spiccano: l'apocalisse di Sasha, la Genesi (come dipendente), il Salmo sul Budget, Numeri e Percentuali, i due Libri e i 44 Punti dei Maccabei, i Salmi della Fossa, le Lamentazioni di Forino, i Libri di Amos, Abdia e Aron, le Lettere di Sollecito agli Efesini (per i pagamenti del 2000), le Lettere ai Romani e le Telefonate a Tosi ed infine l'Esodo col fuoristrada.


L'unico libro letto da Mancinelli


L'ultima cena

Uno dei misteri più avvincenti della storia del Maddaleno è quello del siluramento di Boniciolli. Il buon Matteo aveva appena vinto il derby e stava consumando in un noto cenacolo bolognese un piatto di "pasta con carne" (quadratini di pane azzimo all'uovo ripieni di carne trita aromatizzata, ripiegati a triangolo e poi annodati). 

Ignorava che il Maddaleno, oltre che ostinarsi a chiamare i tortellini in quel modo barbaro, l'aveva già sostituito con Jasmin Repesa.

Il "Codice non Vinci" analizza a tal proposito una delle più popolari rappresentazioni pittoriche dell'Ultima cena di Matteo, considerata un messaggio in codice che rivela la verità su una delle più grosse castronerie del Maddaleno all'apice del potere.
Intanto, nel quadro manca la rappresentazione del calice al centro della tavola: e questo significa che Boniciolli non beveva, anche se le sue conferenze stampa e i suoi starting five sembravano all'epoca ispirati dalla bottiglia. Poi, nel quadro è rappresentata una misteriosa mano, che non sembra appartenere ad alcuno dei commensali. Che sia la mano che gli stava segando il pino? (NdCBN: "Uno di voi mi tradirà").

Nel quadro, inoltre, i commensali sono disposti in modo da formare una V, tradizionale simbolo delle sofferenze terrene dei Fedeli.

Il motivo della Mano misteriosa ritorna in un altro quadro coevo, che la rappresenta artigliata e minacciosa. Il Maddaleno pare si fosse poi pentito dalla chiamata a sé della mano, che credeva di liquidare al più presto sostituendola con una profeta balcanico di propria fiducia e dall'altissimo compenso. Ma non vi riuscì: la "Mano senza proprietario" piaceva al Proprietario, costava poco e stava sulle balle al Maddaleno, che stava diventando ingombrante: per questo dovette conviverci a lungo, secondo alcune fonti addirittura gli sopravvisse.

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