TAIWAN

di Eros Capostagno

Nell'incontro di questa settimana, i Ministri delle Finanze dei Paesi UE hanno deciso di cancellare i finanziamenti già messi a budget per 14 grandi progetti di comunicazioni ferroviarie veloci. Le somme previste verranno redistribuite ai bilanci dei vari Paesi. Per la prima volta, anche i Paesi direttamente interessati alle opere, ed in precedenza fautori delle stesse (compresa l'Italia che è interessata a ben 3 progetti) si sono schierati per il "NO".

Questi Paesi hanno in sostanza preferito riacquisire al proprio bilancio delle somme supplementari (per altro di entità ridicola), onde aggiungere un granello ai risparmi imposti dalle scadenze dell'unione monetaria, piuttosto che rilanciare gli investimenti (quanto mai necessari almeno in quei Paesi dove la disoccupazione vola ormai oltre il 12%).

Questa decisione sembra porre una pietra sopra le linee guida del libro bianco di Jaques Delors che, puntando sugli investimenti, si riprometteva la creazione di qualche milione di posti di lavoro nel giro di qualche anno. Libro bianco che, come si ricorderà, ispirò le linee programmatiche del Governo Berlusconi, per la creazione di nuovi posti di lavoro in Italia.

Tralasciando per un momento l'Italia che, con la composizione attuale di Governo, non può che prediligere l'assistenzialismo agli investimenti, quello che colpisce è che anche i Governi dei Paesi che contano nell'UE -e che non sono (più) di sinistra-, si sono allineati su questa tendenza: segno evidente che gli impegni di Maastricht sono davvero severi. Ci dovremmo aspettare quindi che i benefici dell'unione monetaria e della susseguente moneta unica, siano talmente vistosi da giustificare gli attuali sacrifici (anche in termini di occupazione). Del resto è proprio quello che ci dice il Governo Prodi per giustificare tutte le nuove tasse previste dalla sua Finanziaria.

E qui cominciamo ad avere delle difficoltà di comprensione. Infatti, per quanti sforzi di memoria facciamo, non riusciamo a ricordare un solo episodio, in Italia o all'estero, ove qualcuno abbia citato concretamente almeno uno di questi benefici.
Che siano segreti? O non sarà che, come nella celebre favola, nessuno si azzarda a dire che "il Re è nudo"?

In effetti, a parlare di moneta unica sono essenzialmente Francia e Germania. La Francia sembra volersi aggrappare all'unione monetaria per alcune buone ragioni. Primo, la necessità di rispettarne i criteri dà al Governo l'autorità per procedere a quelle riforme strutturali che comunque da anni incancreniscono l'economia del Paese, in particolare la riforma del sistema pensionistico e assistenziale. Come non ammirare la determinazione con cui il Governo Juppé ha resistito lo scorso inverno al mese di scioperi e dimostrazioni contro quella riforma (e il pensiero non può non andare, con qualche rammarico, alle analoghe vicende dell'autunno 1994 in casa nostra...)?
Secondo, tenuto conto delle caratteristiche dell'industria francese, più simile a quella tedesca, priva della necessaria flessibilità, la moneta unica può servire a imbrigliare l'invadenza dell'industria italiana, altrimenti incontrollabile per la sua natura dinamica, flessibile, sfuggente. Non ci dilunghiamo sulle altre ragioni, quale quella del prestigio.
La volontà di essere in regola sembra tale da giustificare anche qualche artificio contabile che non sempre riesce a restare nascosto. Ma sono peccati veniali, la sostanza c'è.

Nel caso della Germania, l'unione monetaria non può che rafforzare l'area di controllo economico tedesco ed estenderla a quei Paesi che ancora le sfuggono, lèggi Italia (del Nord), dal momento che, esclusa la Gran Bretagna che non si lascia condizionare, e la Francia per ora associata nella leadership, gli altri Paesi sono tutti assoggettati al potere della Bundesbank. Compresa la Spagna, le cui principali attività industriali sono tutte cadute in mano a capitali tedeschi, e compresi i Paesi dell'Est ancora fuori dell'UE e che premono per entrarvi.
Inoltre, dal punto di vista della disoccupazione, i dati ufficiali tedeschi ci lasciano perplessi, visto che per tener dietro alle attività edilizie nell'ex Germania Est (é tutto un cantiere) si deve fare abbondantemente ricorso a imprese e lavoratori esteri. Un po' malignamente si potrebbe anche pensare che il rinvio sine-die dei progetti per le vie di comunicazione Veneto-Berlino va nella direzione di ostacolare la penetrazione commerciale del Nordest italiano in Germania.

E ci ritroviamo dunque alla questione di partenza: cosa guadagnano i cittadini europei da questa forzata omogeneizzazione, in cambio dei sacrifici oggi richiesti, ed in particolare cosa ci guadagna l'Italia?

Guardiamoci attorno. Gli Stati Uniti non si sono mai preoccupati del valore del dollaro, lasciandolo in balia dei mercati, eppure sono quello che sono.
Il Giappone, distrutto in tutti i sensi alla fine della guerra, con strutture fino a poco tempo fa ancora feudali, senza petrolio e con un numero di abitanti confrontabile con i Paesi europei, non ha avuto bisogno di accordi commerciali e monetari per arrivare dove é arrivato, anzi, li ha sempre ostacolati.
E che dire di Taiwan, Singapore, Hong Kong, Sud Korea, Malaysia? Paesi senza nessuna tradizione, senza petrolio, spesso minacciati nella loro stessa integrità territoriale, sono diventati autonomamente delle potenze commerciali ed economiche incredibili, senza mai aver sentito il bisogno di consociarsi o, peggio, di affidare ad altri il controllo delle proprie economie.
Per finire con la stessa Gran Bretagna che, ridotta ad uno straccio negli anni 80, si sta risollevando a ritmi impressionanti (5% di disoccupazione), grazie anche a vere privatizzazioni e all'apertura agli investimenti extracomunitari, in particolare all'industria automobilistica giapponese, proprio mentre l'Europa comunitaria preferiva il protezionismo e in Italia addirittura si impediva l'acquisto dell'Alfa Romeo da parte della Ford!

Ora, al di là dei progetti comunitari bloccati, e per i quali vorremmo chiedere ragione del voto contrario del Governo Italiano, ingenuamente ci domandiamo: conviene all'Italia seguire un "modello Germania" (legandoci ad essa), o non le converrebbe piuttosto seguire un qualche "esempio Taiwan" e giocare le proprie carte?

Utopie? Forse, ma ci piacerebbe comunque avere delle risposte ai quesiti di cui sopra.

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