A PROPOSITO DI FARMACIE

di Tito Livio

La lotta di classe per la vittoria finale del proletariato è stata il leit motif che ha ufficialmente ispirato per settant'anni regimi e movimenti cosiddetti "marxisti". Laddove questi regimi si sono imposti, la distruzione sistematica dei mezzi di produzione ha creato situazioni di tale indigenza generalizzata che a tutt'oggi non si intaravvedono nemmeno dei segni di ripresa.
Così, se già negli anni 60 i proletari d'occidente cominciavano a disporre su larga scala di frigo, TV e 600, quelli d'oriente, alla fine degli anni 80 ancora facevano la fila per acquistare il poco pane disponibile.

Ci chiediamo quindi cosa si aspettassero quanti hanno votato e operato per portare al Governo una coalizione comprendente (e condizionata da) un movimento come Rifondazione Comunista che dichiaratamente si ispira alla gloriosa "rivoluzione cubana", e da frange di sedicenti cattolici che, dall'esaltazione evangelica della povertà, traggono spunto per imporre l'impoverimento di massa.

Queste banali riflessioni ci sono state ispirate dalla reazione del Ministro della Sanità, Rosi Bindi, alla protesta dei famacisti per la tassa aggiuntiva di circa 160 miliardi prevista dalla Finanziaria a loro carico. Si tratta di uno di quei provvedimenti che piano piano emergono dalle nebbie che circondano le cifre globali della Finanziaria e che rivelano la propria natura di provvedimenti "alla disperata" presi in fretta e furia per racimolare soldi, quindi tutt'altro che organici (esattamente quello che, dalla Bundesbank a Fazio, viene contestato al Governo).
I margini di guadagno del farmacista sui medicinali venduti verrebbe ridotto d'ufficio, e la differenza incamerata dallo Stato, senza quindi alcun beneficio per il malato/cliente.

Intendiamoci. I farmacisti guadagnano bene la loro vita, ma questo non è un buon motivo per rapinarli.

"Guadagnano già troppo" ha sentenziato l'ineffabile Ministro, stigmatizzando la protesta dei farmacisti, e aggiungendo, per la gioia degli ammalati di AIDS: "...e poi si rifaranno tra breve quando saranno posti in vendita nuovi medicinali per l'AIDS, che sono molto costosi...".

Forse la filosofia del bastone e della carota, evocata contro Berlusconi dal Presidente del Tribunale di Milano, sta già facendo scuola.

Resta il fatto che un ministro in carica, invece di razionalizzare gli sprechi e le inefficienze del proprio Ministero, si inventa il diritto di stabilire se qualcuno guadagna troppo, e di decidere di confiscargli una parte di quei guadagni (oltre beninteso alle tasse) per sopperire al proprio fabbisogno di cassa.

Ora, a parte il fatto che non si capisce perché dovrebbe essere "troppo" il 26% di margine del farmacista, mentre è "normale" il ricarico del 100% su altri generi, come ad es. l'abbigliamento, ciò che infastidisce è la supponenza della signorina Ministro che indica al pubblico disprezzo una categoria di cittadini, additandoli quasi come rapinatori e affamatori del popolo perché "guadagnano già troppo". E questo detto da chi si sta comportando davvero come un rapinatore, il quale, per sopperire ai propri bisogni, invece di cercare lavoro, punta una casa agiata ed effettua il furto dei beni che riesce a trovare.
Possiamo notare la differenza col blitz con cui il Governo Amato decise nel luglio 1992 l'esproprio proletario dello 0,6% dei depositi bancari degli indifesi cittadini. Anche in quell'occasione il Potere perpetrò una pura e semplice rapina, ma almeno si astenne da giustificazioni risibili e da paragoni a Robin Hood che toglie ai ricchi (ma questa volta per dare a sé, non ai poveri), e non si tratta solo di questione di maggior tatto e sensibilità.

No, ci sembra proprio il trionfo della cultura cattomarxista di cui è permeata certa gente, e che risulta impermeabile a qualunque evidenza.
Per essi, il dinamismo dell'universo resta ancorato alla mitica lotta di classe, con cui si riempivano la bocca in gioventù, alla spinta del mitico ceto proletario teso alla conquista dei mezzi di produzione. Scriviamo conquista ma in realtà intendiamo distruzione, in un anelito di pauperismo universale. Chi tenta di sollevarsi da questa condizione di ugualitarismo al livello minimo, diventa un nemico. Donde l'avversione per l'efficienza, il progresso tecnologico, l'intraprendenza e quindi il profitto. E sì che nella parabola dei talenti, il Signore loda e ricompensa i servi che hanno investito e moltiplicato i talenti loro affidati, mentre caccia con disprezzo il servo che ha messo al sicuro il suo unico talento senza farlo fruttare!

Sembrerebbe che con la Riforma, certi popoli europei hanno afferrato il senso della parabola, con la Controriforma (e senza, ahimé, aver avuto una Riforma) altri popoli lo hanno deformato. Quando poi questo senso deformato viene coniugato al passato marxista..., si comincia a capire l'atteggiamento della signorina Ministro. E si capisce vieppiù la necessità di sbarazzarsene d'urgenza.

Detto ciò, vorremmo attirare l'attenzione su un problema più strutturale che, se particolarmente vistoso nel caso delle farmacie, coinvolge però tutti i settori del commercio al dettaglio, quello della " licenza d'esercizio". E' noto che per aprire un negozio in Italia è necessario essere in possesso di una licenza, che quasi sempre deve essere acquistata presso qualcuno che ne sia già titolare, quando questi decida, bontà sua, di cedere l'attività: il rilascio di nuove licenze è infatti praticamente bloccato in quanto le corporazioni del commercio impongono una sorta di numero chiuso. Nel caso delle farmacie, l'acquisto è poi una possibilità solo virtuale, in quanto le licenze vengono tramandate di padre in figlio per generazioni, e quandanche si decidesse una vendita, i prezzi sono commensurati alla "rarità" del pezzo e quindi inaccessibili ai comuni mortali.

Ci sembra che questo sistema abbia un tale sapore di arcaico, di feudale, di corporativo, che stride decisamente con il dinamismo dei giorni nostri. Per evitare troppi commensali alla stessa tavola, con la forza della Legge viene impedito al cittadino di intraprendere una attività di sua scelta e di cimentarvisi.

Si è persa un'occasione all'epoca dei 20 referendum radicali, quando l'attenzione della gente venne convogliata unicamente sui tre referendum per la sopravvivenza delle televisioni commerciali, impedendo di fatto qualsiasi forma di analisi, di discussione e di chiarimento sul significato del quesito relativo all'abolizione delle licenze di esercizio.

Al fine di rispettare il diritto alla "par condicio" per tutti, eliminando anacronistiche discriminazioni, non sarebbe male che questo aspetto della vita civile entrasse esplicitamente nei programmi di riforma del "sistema Italia", anche a costo dell'impopolarità presso qualche categoria.
Certo non possiamo chiederlo agli attuali governanti, pervasi della cultura di cui sopra.

Da ultimo una curiosità, non ce ne vogliano i nostri amici farmacisti: ma perché per gestire una farmacia occorre una Laurea in Farmacia, mentre per gestire ad es. una macelleria non è richiesta, che so, la Laurea in Veterinaria?

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