CORSI E RICORSI

di Al Carpsan

Con l'intervista rilasciata dal presidente della Commissione UE Romano Prodi al Corriere della Sera all'inizio di giugno è iniziata la sua ridiscesa in campo in vista delle elezioni politiche che si terranno in Italia fra tre anni, al termine naturale di questa legislatura. nel 2005, e la sua sfida da portare a chi sarà l'esponente di punta del centrodestra, presumibilmente Silvio Berlusconi.

Nei due anni che ancora rimangono prima della scadenza del mandato di Prodi nel 2004 molto sarà fatto dal (centro)sinistra per preparare il terreno in vista della campagna elettorale, sicuramente lunga e logorante, soprattutto per quelli che non hanno un programma politico propositivo e con contenuti vicini alle esigenze degli elettori.

Le speranze di Rutelli, che di Prodi si era troppo frettolosamente autodefinito unico erede, sia come sfidante di Silvio Berlusconi sia come leader dell'Ulivo, sono ormai ridotte ai minimi termini e non sembrano in nessun modo poter essere sostenute e resuscitate né dagli altri esponenti del (centro)sinistra né dallo stesso Rutelli, che da successore si vedrà presto trasformato in un'insignificante figura esanime più scomoda che utile.

In questo contesto dai lineamenti chiari e apparentemente da qualche tempo prestabiliti, non poteva assolutamente mancare l'inserimento dell'elemento del sindacalista che ha sempre fatto politica, Sergio Cofferati, che per molti dovrebbe costituire con Prodi, che in parte per avere in questi anni visto le cose in un'ottica europea ed in parte per formazione personale, predica un riformismo socialdemocratico in netto contrasto con quello della CGIL, una combinazione energica e indissociabile, come se fosse possibile risolvere la questione insolubile di armonizzare il proprio tradizionalismo associazionistico sindacale con la "terza via" e l'apertura al nuovo desiderata dal presidente dell'UE.

La forte tensione legata alle deroghe all'articolo 18 e la riforma del lavoro, lavoro che oggi vede l'Italia all'ultimo posto in Europa con solo il 53% dei possibili occupati, che si è tragicamente esasperata con l'assassinio preciso e feroce del Professor Biagi, nella Bologna tanto cara a Prodi, non può allentarsi nemmeno adesso che finalmente si è aperta una trattativa tra Governo ed una parte dei sindacati, alla quale la CGIL di Cofferati non vuol prendere parte e che, minacciando ininterrottamente scioperi generali, accusa le altre unioni sindacali, CISL e UIL, di accordi sottobanco e tradimento. È noto a tutti che l'idea del professor Biagi fosse aspramente osteggiata dai sindacati, in particolare dalla CGIL di Cofferati.

Il clima va in ogni caso rasserenato non solo per rimuovere l'ambiguità dissonante fra chi ieri metteva in discussione Biagi, chiedendo la soppressione della sua riforma all'articolo 18, ed oggi ha visto le Brigate Rosse Comuniste Combattenti eliminarlo addirittura fisicamente, ma anche per scoraggiare altri "aspiranti brigatisti", come un sindacalista FIOM-CGIL di Lecco, munito chiaramente della tessera di Rifondazione Comunista, che ha minacciato di morte il Ministro Castelli.

Senza modificare alcunché per chi un'occupazione l'ha già, la riforma Biagi conta di dare occasione a chi svolge un lavoro in nero o con contratti mensili di pochi euro e rapida interruzione, in modo particolare al Sud e trasforma sperimentalmente questa provvisorietà in contratti a tempo indeterminato in modo tale che, dopo quattro anni, all'imprenditore conviene portare avanti per evitare di dover pagare una ponderosa indennità in denaro.

Sembra che la soluzione sulla quale CISL, UIL e Governo sarebbero in grado di appianare le loro controversie riuscendo ad arrivare ad un accordo possa presentarsi nel modello in uso in Germania, che prevede che sia un arbitrato a stabilire se debba esserci reintegro o risarcimento, anche per mezzo di un'intesa fra le parti; questo modello combina flessibilità e preservazione dei diritti dei lavoratori, un'esigenza anche di imparzialità della quale in Italia si sente la necessità, in modo particolare in questo momento che la pressoché totalità dei nuovi assunti inizia la vita lavorativa con contratti precari.

Ed e' per questa ragione che alcune figure rappresentative della Margherita, fra i più vicini a Prodi, deplorando la rinuncia della contrattazione da parte della CGIL, la valutano la più opportuna e pragmatica via d'uscita per un problema che rischia di incagliarsi nelle secche dell'ideologia sindacale tanto desuete quando a questo punto superate.

Uno dei risultati delle battaglie portate avanti da Cofferati è la più bassa rappresentatività ed accostamento fra la maggiore delle unioni sindacali e le fasce nuove, e sotto l'aspetto politico meno dottrinali, del mondo del lavoro, osservando che, pur rappresentando percentuali abbondanti di lavoratori, la maggioranza assoluta degli iscritti alla CGIL è formata da pensionati.

Dopo che Cofferati ha giocato l'ormai sciupata carta dello sciopero generale il 23 marzo, che difficilmente avrà le stesse conseguenze della mobilitazione del 1994 contro la riforma delle pensioni (che tutti poi definirono giusta), dopo tanti congressi, girotondi, psicodrammi, polemiche e indignazioni, sembra che finalmente si sia trovata una coppia di nomi alla testa del (centro)sinistra, ma riempire le piazze è una cosa, tutt'altra riempire le urne.

Ci sono due precedenti che dovrebbero indurre la sinistra a riflettere sul nome di Cofferati ed il suo ruolo nella disputa sull'articolo 18: nel 1986 Luciano Lama se ne andò dalla CGIL per entrare in politica con l'allora Partito Comunista, contando di raccogliere l'eredità di Enrico Berlinguer scomparso due anni prima. Pur essendo stato un importante dirigente del sindacato, in politica non combinò nulla.

Alcuni mesi prima, ed ecco il secondo precedente, il sindacato uscì dalla riforma della scala mobile portata a termine dal Governo con l'accordo di CISL, UIL e dell'ala socialista della CGIL diviso e battuto, dopo uno sciopero generale, mesi di proteste sindacali ed il successivo referendum promosso da CGIL e PCI, e per riprendersi ci impiegò anni.

È difficile immaginare come potrà essere sopita quell'ondata d'odio che fin dalla precedente campagna elettorale si era sollevata contro i moderati della Casa delle Libertà ed il suo capofila. Ondata proseguita nella distruzione pilotata di Genova ad opera dei cosiddetti no-global, poi su certa stampa estera manovrata ed in competizione per screditare il nostro Paese danneggiando la reputazione del suo Governo. E ancora nelle aule di alcuni palazzi di giustizia, divenuti meccanismi ad orologeria che con la puntualità e precisione dei loro provvedimenti legal-politici competono con gli orologi svizzeri, fino alle insinuazioni, le falsità, i girotondi cinematografico-salottieri di Moretti e le calunnie.

Tutte manifestazioni queste, tanto vicine alla cosiddetta "cultura" della sinistra che si sono dimostrate non solo riprovevoli ed imbarazzanti, ma allo stesso tempo inadeguate ed insufficienti ad osteggiare ogni provvedimento legislativo, su scuola, fisco o sanità dove la sinistra è unita solo nella contrapposizione e divisa o addirittura colpevolmente assente su proposte alternative da presentare agli italiani.

Queste prepotenti scorciatoie illiberali non fermeranno la democrazia e quelle riforme che anche l'Europa dello stesso Prodi ci chiede e sottoscritte da Silvio Berlusconi nel contratto con gli elettori.

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