FIAT, VOLUNTAS TUA

di Eros Capostagno

E' innegabile che la crisi della FIAT nel settore auto abbia delle ripercussioni economiche e sociali che si propagano su tutto il Paese, non fosse altro che per le decine di migliaia di persone che ne vengono direttamente o indirettamente coinvolte. Ci sembra giusto quindi che tutta la societ� italiana se ne senta coinvolta e che il Governo se ne preoccupi.

Anche nel passato le occasionali crisi della FIAT hanno scosso opinione pubblica e Governi. Di fronte alla minaccia di decine di migliaia di cassintegrati, i Governi italiani hanno sempre trovato il modo di venire in soccorso al colosso torinese, con aiuti di vario tipo, come i finanziamenti mascherati da incentivi per l'istallazione di fabbriche al Sud e per lo sviluppo di sempre nuove mitiche auto rivoluzionarie.

Oltre ai soccorsi nei tempi duri, i Governi italiani si sono anche premurati di evitare alla FIAT potenziali rischi futuri, del tipo di una temibile concorrenza in casa, imponendo la vendita dell'Alfa Romeo alla FIAT stessa, malgrado i programmi di rilancio e sviluppo prospettati dalla Ford, primo candidato all'acquisto, ed impedendo l'accesso a fabbriche giapponesi. Altri tempi, si dir�, ora con l'UE e con i suoi arcigni Commissari alla Concorrenza, tali aiuti sarebbero pi� difficili, ma tant'�.

La buona disposizione dei Governi nei riguardi delle Grandi Famiglie del Capitalismo italiano, � sempre stata tale da far nascere addirittura il sospetto che i vari Ministri dell'Economia del passato altro non fossero che i guardiani degli interessi di tali Famiglie.

Come queste ultime abbiano utilizzato negli anni tali aiuti per consolidare l'industria italiana, pu� essere oggetto di discussione. Non siamo esperti n� appassionati di auto ma, nel caso della FIAT, quello che abbiamo potuto constatare in questi anni � che nessuna auto "rivoluzionaria" (elettrica, ad alcohol, ad aria fritta) � finora uscita dagli stabilimenti di Melfi n� da altri stabilimenti, la scelta dei modelli � stata talmente limitata da proporre praticamente un solo modello per fascia, per ognuno dei tre marchi (Fiat, Lancia, Alfa Romeo), spingendo una clientela sempre pi� esigente a cercarne altri presso la concorrenza. Cosa che � puntualmente avvenuta, come dimostrato dalla perdita progressiva di quote di mercato in Italia. Dell'estero non parliamo neppure.

Cattiva gestione delle strategie industriali? Probabilmente. Anche perch� chi gode troppo a lungo di un mercato protetto, finisce presto o tardi per essere sbaragliato, in particolare quando i mercati mondiali si aprono.

Anche l'isolamento, voluto o sub�to da parte dell'industria non solo automobilistica italiana, in un decennio in cui si sono visti accordi, fusioni e partenariati di tutti i tipi, certamente non ha giovato allo sviluppo di un forte tessuto industriale, in grado di competere nel mercato globale.

Detto ci�, dobbiamo dire che se anche tutto questo fosse vero, probabilmente non spiega completamente l'evoluzione del gruppo FIAT e dell'intera industria italiana nell'ultimo decennio, diciamo all'incirca dal '92 in poi.

Il fatto, che la propriet� FIAT abbia ripetutamente dichiarato negli ultimi tempi che l'auto non � (o non deve essere) pi� il settore strategico del Gruppo, non deve ingannare pi� di tanto. Questo mutamento di strategia non � nuovo n� tanto meno futuro, ma nasce appunto agli inizi degli anni '90, quando le Grandi Famiglie italiane decisero, e lo mostrarono chiaramente, che dedicarsi alla finanza piuttosto che all'industria, avrebbe consentito loro guadagni ben pi� lauti, senza le fastidiose incombenze delle fabbriche (tute blu, sindacati, concorrenza, cassintegrazione,...).

Tanto pi� che i Ministri di allora stavano per mettere in vendita l'argenteria dello Stato, e l'occasione di fare buoni affari comprando il patrimonio pubblico per ristrutturarlo e rivenderlo, era particolarmente ghiotta, con buona pace per l'industria "vera", abbandonata al suo destino. Tanto pi� se vi fosse stata la possibilit� di realizzare questi acquisti in condizioni di particolare favore.

Che questo orientamento strategico del Capitalismo italiano non fosse frutto del caso, lo abbiamo pi� volte ipotizzato su questa rivista, parlando della famosa crociera a bordo del panfilo "Britannia" (v. Britannia nel N� 3).

Nell'estate del '92, il panfilo Britannia, allora ancora propriet� della famiglia reale britannica, fu messso a disposizione per una "crociera di lavoro" nel mar Tirreno. Chi vi abbia effettivamente partecipato non � dato sapere. I giornali italiani (appartenenti alle Grandi Famiglie) non diedero all'epoca particolare risalto all'evento. Da quel poco che trapel�, sembra che tra gli altri ci fossero rappresentanti del Salotto Buono della finanza italiana e membri importanti del Governo italiano. Degli ospiti stranieri non sappiamo. Quello che fu deciso nel corso della crociera evidentemente nemmeno. Tuttavia, dagli avvenimenti successivi, qualcosa si pu� intuire.

Il punto pi� importante fu probabilmente la decisione di favorire la svalutazione della lira, il cui inutile tentativo di difesa cost� tra l'altro 30.000 miliardi in una sola notte! E' evidente che questa circostanza avrebbe consentito a capitali starnieri, o comunque in provenienza dall'estero, di acquistare per un tozzo di pane i beni che il Governo italiano avrebbe messo sul mercato, ove la parola "mercato" era nella realt� un soave eufemismo.

Da quel momento inizi� una girandola di scalate, OPA ostili, acquisti, vendite, passaggi di mano in cui ex ingegneri ed imprenditori (o sedicenti tali) si trovarono a giocare una gigantesca partita di Monopoli, del tutto svincolata da qualsiasi logica industriale. Fu cos� che chi produceva computers o auto o energia elettrica o tondini di ferro abbandon�, chi pi� chi meno, al suo destino l'azienda ed il relativo patrimonio di competenze, per dedicarsi alla gestione di "servizi", telefonici in particolare.

Partita di Monopoli in cui bastava possedere il 2% delle azioni della Telecom per esserne i padroni -� il caso della FIAT- o in cui si vendeva l'Omnitel ai tedeschi della Mannesmann al solo scopo di avere capitali con cui scalare l'azienda concorrente (Telecom) e liquidarne l'Amministratore Delegato. In uno scenario di questo tipo, � comprensibile come la definizione di concreti piani industriali fosse quanto meno problematica, anche ammesso che vi fosse un reale interesse dei giocatori di Monopoli alle esigenze industriali del Paese.

Come detto, il passaggio da logiche industriali a logiche di tipo finanziario non crediamo sia avvenuto per caso o per un capriccio del destino. Abbiamo l'impressione, e lo abbiamo pi� volte ripetuto su questa rivista, che la "deindustrializzazione" dell'Italia sia stata decisa proprio all'epoca del "Britannia", e che questa fosse la contropartita che il Capitalismo italiano dovesse o volesse dare a certi interessi stranieri per avere libert� di manovra in qualcosa che in quel momento gli stava a cuore pi� degli interessi generali del Paese (OK alla svalutazione della lira, mano libera nelle privatizzazioni, afflusso di capitali e chiss� cos'altro).

Per inciso, l'avvento al potere di Berlusconi nel 1994, imprevisto ed imprevedibile, mand� (temporaneamente) all'aria lo scenario concordato in quella specie di Yalta galleggiante sul Tirreno, e soltanto gli ingenui possono pensare che la caccia all'uomo innescatasi in quel momento contro il Cavaliere derivasse solo da motivazioni ideologiche. Ben altri interessi erano probabilmente celati dietro il circo mediatico-giudiziario che ne reclamava la testa. Non per niente, caduto il Governo Berlusconi a fine '94, la partita a Monopoli riprese alla grande.

Nel turbinio di capitali, sia veri che virtuali, che ha caratterizzato l'ultimo decennio, vecchi e nuovi finanzieri hanno disinvoltamente operato in Borsa, senza preoccuparsi degli interessi dei piccoli azionisti, cos� come hanno disposto delle proprie e altrui aziende indipendentemente dagli interessi dell'industria nazionale e del Paese nel suo complesso.

Visto con l'ottica dell'Italia uscita dalle elezioni del maggio 2001, il risultato di questo decennio � a dir poco disastroso, con l'ENEL che non produce energia, con gli Enti Acquedotti che non erogano acqua, con l'ANAS che non costruisce strade, con la Vodafone che dispone di met� della telefonia italiana, e... con la FIAT che non vende pi� automobili.

Insomma, la deindustrializzazione dell'Italia, disegnata all'epoca del Britannia, si � felicemente compiuta. Se il Capitalismo italiano ne abbia poi tratto i vantaggi sperati, � da vedere. Che il Paese sia stato ridotto a brandelli � purtroppo sotto gli occhi di chi vuol vedere.

Per tornare al caso FIAT, non ci sorprende che, come al solito, la propriet� lanci ora urla di dolore e tiri la giacca al Governo annunciando le solite decine di migliaia di esuberi. Quello che ci allarma piuttosto � sentire il Presidente del Consiglio annunciare pronti interventi a sostegno (Bruxelles permettendo), magari etichettati come "incentivi alle ricerche per un'auto di concezioni rivoluzionarie".

Ohib�! Esattamente quello che hanno detto (e fatto) tutti i Governi precedenti. E ci sorge spontanea la domanda: "Ma la Casa delle Libert� non � stata premiata degli elettori anche per dare un taglio a certi intrecci politico-economici del passato e reimpostare su basi pi� sane la struttura economico-industriale italiana?"

Sia chiaro, la sorte di decine di migliaia di lavoratori non pu� non interessare il Governo e la comunit� tutta, ma vorremmo che chi ha giocato con gli interessi del Paese o chi ha commesso errori di valutazione e di strategie (per incapacit� o interesse), fosse messo davanti alle proprie responsabilit�, senza che il Governo e la comunit� debbano farsi carico di questi "errori". Cosa piuttosto frequente nel passato, quando i Governi cedevano per debolezza o condiscendenza al ricatto dei fallimenti o dei licenziamenti massicci: come, tanto per citare un esempio, nel caso dei 1600 dipendenti dell'Olivetti assunti alle Poste.

La vendita di qualche bene di famiglia quando la situazione economica diventa drammatica, pone certamente dei problemi affettivi, ma pu� rivelarsi salutare se oculatamente gestita, per riassestare le proprie attivit� e ripartire su basi nuove. Pu� anche essere un bene per tutti, se chi acquista questi beni riesce a gestirli meglio dei vecchi proprietari, a valorizzarli e a renderli produttivi.

Non facciamoci prendere dal sentimentalismo quindi, se cominceranno Ferrari e Maserati a cambiare casacca. Capita anche nel calcio, quando si � costretti a vendere i giocatori migliori per risanare il bilancio, e poi si ricomincia con umilt� a ricostruire la squadra.

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