LA SESTA BOLGIA

di Tito Livio

"Il Comunismo è incompatibile con la libertà" ha sentenziato ultimamente il segretario del partito dei DS, ultima etichetta dell'ex Partito Comunista Italiano.

"Bella scoperta!" penserete voi e penseranno tutti quegli italiani che, col loro voto, dal '48 in poi hanno impedito che gli italiani venissero privati della libertà, ad opera appunto del Partito Comunista e dei suoi manovratori sovietici.

In effetti, anche se i mezzi di comunicazione di allora non consentivano l'odierna capillare diffusione delle informazioni, tuttavia ce n'era abbastanza perché chi volesse aprire gli occhi sulla realtà, potesse farlo. E fortunatamente la maggioranza degli italiani, per generazioni successive, lo ha fatto.

Negli anni seguenti comunque, anche l'alibi del "non potevo immaginare..." progressivamente cadeva. Nell'immediato dopoguerra, piccole minoranze comuniste si impadronirono del potere nelle repubbliche centro-europee occupate dall'Armata Rossa, con l'eliminazione fisica dei leaders dei partiti che costituivano la maggioranza parlamentare regolarmente eletta, condannati con processi farsa all'impiccagione o alla fucilazione, quale preludio all'instaurazione del partito unico ed alla messa al bando di ogni opposizione (come già visto in Corsi e ricorsi, nel primo numero di questa rivista).

Chi si fosse distratto avrebbe comunque avuto occasione di ravvedersi poco dopo, di fronte alla repressione a suon di carri armati dell'anelito di libertà della popolazione di Budapest. In effetti, alcune personalità della cultura italiana lo fecero. Oltretutto, in quello stesso anno, in occasione del XX congresso del PCUS, Krushov fece una buona panoramica sulle atrocità dei suoi predecessori nei decenni del paradiso comunista.

Per i più distratti, ci pensarono cinque anni dopo i compagni della Germania Est a mostrare l'incompatibilità tra comunismo e libertà, con la costruzione del muro di Berlino e la posa di mine lungo tutto il confine Est-Ovest. Il tutto per togliere ai propri sudditi la libertà di andarsene. Oltre che di fatto, l'area geografica del comunismo diventava da quel momento, anche di diritto, un'immensa prigione, come testimoniato da tutti coloro che pagarono con la vita il tentativo di evaderne.

Ce ne sarebbe stato abbastanza per aprire finalmente gli occhi, o per porsi qualche domanda sulle proprie convinzioni ideologiche, anche per i più refrattari all'evidenza. I quali ebbero anche a disposizione qualche anno più tardi, l'invasione della Cecoslovacchia e la repressione dei sia pur timidissimi tentativi di instaurarvi un "socialismo dal volto umano", se solo avessero voluto vedere.
Invano.

In quegli anni cominciarono a diffondersi i viaggi degli italiani nei paesi dell'Est, in ragione del basso costo degli stessi (grazie al cambio nero che vi si praticava) e dello sfruttamento senza restrizioni, al solo costo di un paio di calze di nylon o di jeans usati, dell'unica libertà di cui godevano le popolazioni femminili in quei paesi, quella sessuale. Toccare con mano quale fosse la condizione reale di vita in quei regimi, e quali restrizioni financo alla libertà di parola e di pensiero vi fossero, era diventato alla portata di tutti.

Contemporaneamente cominciarono a circolare in Occidente le opere clandestine di quegli scrittori russi che, per aver rivelato le atrocità istituzionalizzate del regime, si ritrovavano a misurare la propria libertà all'interno dei gulag e/o degli ospedali psichiatrici.

Ma non bastò, anzi.

Proprio in quegli anni la rivoluzione cino-comunista di Mao infiammò tanti giovanotti occidentali, nonostante l'insensatezza di avvenimenti che, se non fossero costati tragicamente la vita a milioni di cinesi, non esiteremmo a definire comici. Giovanotti che, di quella rivoluzione, pretendevano l'estensione planetaria. Quegli stessi giovanotti che, di fronte all'invasione (e successiva annessione) del Vietnam del Sud da parte delle truppe comuniste di Hanoi, inneggiavano ai "liberatori" dall'aggressione americana (manifestando con bottiglie Molotov contro l'ambasciata americana)!

Insomma, alla fine di questa sintetica carrellata, ci sembra di poter concludere che chi, come la maggioranza degli italiani, avesse voluto aprire gli occhi sull'incompatibilità tra comunismo e libertà, avrebbe avuto tutto il tampo per farlo nei decenni trascorsi, magari approfittando dell'ultimo tram offerto dalla Storia, quello della caduta del muro di Berlino nel 1989. Ed in effetti, negli altri Paesi dell'Europa occidentale la consistenza dei Partiti Comunisti è andata progressivamente scemando, sino a rimanere una presenza quasi folkloristica.

Ma l'Italia, si sa, è sempre un po' speciale. Così oggi ci ritroviamo al Governo proprio questi giovanotti, che hanno dovuto attendere il 1999 per arrivare a convincersi, o quantomeno a dichiarare, che "il Comunismo è incompatibile con la libertà".

Dovremmo ralllegrarcene, così come il Padre al ritorno del figliuol prodigo, anche se l'improvvisa scoperta dell'acqua calda, non può che far sorridere chi quell'acqua calda l'ha sempre usata. Eppure non riusciamo a rallegrarcene. Oscuri presagi ce lo impediscono.

Essi sono arrivati ad occupare il Potere per via non-elettorale, utilizzando gli stessi metodi usati allora nell'Europa centro-orientale, con giochi di palazzo e servendosi degli "utili idioti" che li hanno inizialmente associati al Potere per esserne poi fagocitati. Hanno eliiminato i loro avversari politici servendosi disinvoltamente e impropriamente di certi magistrati, come tutte le attuali assoluzioni (in secondo e terzo grado) dei "loro" condannati stanno a dimostrare.

Hanno subdolamente tolto la libertà di stampa imponendo, sempre grazie a certi magistrati, multe miliardarie (le chiamano "risarcimenti per diffamazione") ai giornalisti che non si piegano all'adulazione. Ora tentano di sopprimere la libertà di istruzione, strozzando le scuole private ed imponendo testi di (cosiddetta) Storia in cui si esalta, nonostante tutto, il valore del comunismo, o la benemerenza di uno Scalfaro che ha rovesciato il "pericoloso" Governo Berlusconi, o altre simili idiozie (contemporaneamente vanno in Piazza S. Pietro ed applaudono il Papa mentre li attacca per queste loro riforme...).

Stanno tentando ridicolmente da un pezzo di sopprimere la libertà di informazione elettorale dell'opposizione, correndo a tamponare tutte le falle che la loro immaginazione non riesce a prevedere: così prima hanno vietato i cartelli pubblicitari del Polo sugli autobus di Bologna, poi hanno vietato le apparizioni televisive dell'opposizioe (chiamandola "par-condicio" ed occupando nel frattempo, totalmente, le reti pubbliche pagate obbligatoriamente dai cittadini), poi cercano di sopprimere Rete4 pur di togliere il microfono ad un giornalista che non si piega, poi vietano gli spot dell'opposizione ( lanciando in cambio quelli del Governo), poi pensano a come controllare la pubblicità politica sui telefonini. Poi magari sogneranno come controllare le e-mail su Internet, non si sa mai, e via delirando ed inseguendo i loro fantasmi.

Insomma, continuano a trattare la democrazia e la libertà con lo stesso spirito con cui le trattava, e le tratta, il comunismo di ogni latitudine. Che contemporaneamente ne affermino l'incompatibilità, lascia alquanto sconcertati. Lasciamo agli psicanalisti decidere se si tratti di dissociazione schizofrenica o sdoppiamento della personalità dovuto alla perdita di valori di riferimento, o altro.

Per quel che ci riguarda, noi ci limitiamo ad osservare che, se vivesse ai giorni nostri, Dante non avrebbe esitazioni nel collocarli nella Sesta Bolgia, in quella lunga processione di anime coperte di pesanti cappe di piombo rivestite all'esterno di oro:

"Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta"
(*).

Sepolcri imbiancati insomma. Si tratta infatti del girone degli ipocriti.


(*) Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto XXIII

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