LA VALLE DELLA BEKAA

di Tito Livio

Pochi mesi fa le autorità cinesi espulsero Wei Jingsheng, storico oppositore del regime, dopo avergli fatto scontare circa 30 anni di regime carcerario "cinese". Sopravvissuto incredibilmente a quest'esperienza, Wei è passato per Parigi, dove è stato ricevuto dal Presidente Chirac, per poi andare a vivere negli Stati Uniti, accolto dal Presidente Clinton.

Wei Jingsheng è passato anche a Roma, dove ha atteso ben tre giorni che il Presidente della Repubblica o il Presidente del Consiglio lo ricevessero. Niente. Il campione delle resistenza passiva e non violenta al regime torturatore cinese è ripartito senza essere stato degnato di un compassionevole sguardo da parte delle autorità italiane. Le quali nostre autorità avevano ricevuto con abbracci e grandi pacche sulle spalle dei campioni di autorità morale e libertaria come Fidel Castro e lo stesso premier cinese Li Peng (vedasi le foto pubblicate in L'Italia che cambia nel N.10 di questa rivista), per non parlare del sanguinario neo-dittatore del Congo, Desiré Kabila, in questi ultimi giorni.

Realismo politico, si dirà. Per un poveraccio, sopravvissuto miracolosamente alla persecuzione comunista, non si possono mettere in crisi le relazioni politiche, tanto meno quelle commerciali italiane, con un grande mercato come quello cinese.

Accade oggi che tale Abdullah Ocalan, leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Curdistan), di ispirazione comunista, inseguito da vari mandati di cattura internazionali e "indesiderato" da quasi tutti i Paesi dell'area medio-orientale, venga introdotto in Italia da alcuni "Pierini" della maggioranza ex-post-neo-paracomunista, con la promessa addirittura dell'asilo politico.

Come se non bastasse, il Ministro guardasigilli Diliberto interviene sulla Magistratura perché tale personaggio venga tirato fuori dalla custodia cautelare in carcere, cosa che puntualmente avviene.

Il fatto che questo gesto di fraternità tra sopravvissuti della Storia, getti alle ortiche decenni di politica estera italiana, e tagli le gambe agli interessi industriali e commerciali italiani in Turchia, non interessa più di tanto i nostri attuali governanti. Costoro non possono evidentemente sporcarsi le mani con vili interessi materiali, quando sono in ballo i sacri principi di solidarietà ecc. ecc.

Che poi esistano, oltre alla Turchia, anche altre organizzazioni curde (che rappresentano altrettante fazioni del martoriato popolo curdo) desiderose di regolare i conti con il PKK ed il suo leader, non sembra preoccupare i nostri Pierini, felici di aver compiuto la loro buona azione quotidiana.

Chissà perché, ci tornano alla mente quei "formidabili" anni che seguirono il 68. In particolare il 69 quando, a seguito della vittoria israeliana nella Guerra dei Sei Giorni, i Palestinesi di Al-Fatah e dell'OLP si ritrovarono senza patria, venendo rifiutata loro ospitalità persino dai paesi cosiddetti amici, come la Giordania, e si istallarono quindi a forza nel sud del Libano.

Si era verso la fine della presidenza di Charles Hélan in Libano, e l'OLP cominciò a scontrarsi sempre più spesso con le forze di sicurezza libanesi, fino a giungere, il 3 novembre 1969 al Cairo, ad un accordo in base al quale il governo libanese dava praticamente mano libera all'OLP per le sue attività anti-israeliane . In cambio l'OLP si impegnava a non interferire nella vita politica del Libano.

Naturalmente le cose andarono in maniera diversa. Di fronte alle ritorsioni israeliane per le attività dell'OLP, le varie fazioni etnico-religiose presenti a Beirut scesero in campo finché, nel maggio del 1975, crollò il potere del governo centrale ed iniziò "ufficialmente" la guerra civile libanese.

Se termini come Valle della Bekaa, Beiruth, Jumblatt, signori della guerra, Cantone autonomo dei Drusi, Sciiti, Cristiano-Maroniti, Sabra e Chatila non ci ricordano nulla, sarà bene andare a rinfrescarsi un po' la memoria. Un paradiso in terra, quale erano stati Beiruth ed il Libano, diventarono una terrificante fabbrica di morte e di macerie per più di un decennio.

Contemporaneamente, in un'altra parte del mondo, maturavano altre esperienze.

Salvador Allende, eletto nel 1970 Presidente del Cile col 36% dei voti, aveva subito impresso una svolta al Paese in direzione di un regime di stampo marxista. Cominciò col nazionalizzare banche, assicurazioni e risorse minerarie, seguitò riformando l'agricoltura, riuscendo a portare in breve tempo l'economia cilena ad un pauroso degrado (anche le massaie scesero in strada per reclamare il pane e i generi di prima necessità, divenuti introvabili). Si arrivò anche al collasso di tutti i servizi pubblici mentre, sul piano politico, Allende procedeva alla chiusura delle sedi della Democrazia Cristiana e dei giornali di opposizione con la solita accusa di "attività antigovernative". Finché l'11 settembre 1973 il generale Pinochet diede l'assalto al Palazzo Presidenziale della Moneda...

In vari numeri precedenti, questa rivista aveva tracciato dei paralleli tra l'Italia, caratterizzata dal crescente sfascio economico ed istituzionale (aggravatosi nel frattempo) e dalla persecuzione degli oppositori, con il Cile di Allende. Si concludeva però osservando che nel confronto tra le due situazioni non si poteva andare oltre un certo limite, esistendo una fondamentale differenza: nel Cile di allora anche il Grande Capitale e gli industriali erano schierati contro il governo marxista, mentre nell'Italia attuale sia la Confindustria che la Grande Finanza lo appoggiano con entusiasmo più o meno mascherato.

Ebbene, oggi, verso la fine della presidenza di O.L. Scalfaro in Italia, al PKK viene in pratica data mano libera sul territorio italiano per le sue attività anti-turche, in cambio dell'impegno verbale a rinunciare alla violenza.

Contemporaneamente, gli industriali cominciano ad accorgersi sulla loro pelle di cosa significhi affidarsi agli attuali Pierini, sia che trattino di economia o di politica estera.

Auguriamoci che gli Italiani non vengano pian piano, quanto irresponsabilmente, condotti a vivere tra il "Palazzo della Moneda" e la "Valle della Bekaa" .

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