SEMO LI MEJO...

di Tito Livio

Il lunedì di Pasqua é il giorno in cui tradizionalmente inizia la stagione delle scampagnate "fuori porta" a Roma e dintorni, quelle per intenderci, dove tra lupini, abbacchio e vino dei castelli, si cantano in coro tradizionali "stornellate".
In una delle più celebri tra queste, dei baldi giovanotti si autocelebrano spavaldi: "...semo...li-mejo- fusti...de-Roma-nostra...".

Questa stornellata ci é ritornata in mente la settimana scorsa, in occasione del convegno organizzato a Roma dall'Associazione Magistrati col (non) dichiarato proposito di contestare la bozza di accordo raggiunto in seno alla Bicamerale sulla riforma della Magistratura.

Come noto, uno dei Sostituti Procuratori di Milano ha affermato, convinto, che "in quest'Italia a scatafascio, noi (Magistrati) siamo il meglio che c'è!"

Ne prendiamo volentieri atto. Del resto sarà proprio per questo che essi si sentono investiti della missione di "rivoltare l'Italia come un calzino" e si dichiararono "pronti, se il Paese ci chiama!"

Il fatto che l'Italia abbia bisogno di essere rivoltata come un calzino ed abbia bisogno di buoni magistrati, ci trova pienamente d'accordo: vivendo in Europa occidentale, veniamo infatti colpiti da certi assurdi "andazzi" italiani, caratterizzati per di più dall'indifferenza (o assuefazione) con cui vengono percepiti dall'opinione pubblica italiana.

Da più di vent'anni, bande criminali ben localizzate sul territorio, sequestrano persone a scopo di riscatto, le tengono segregate come bestie per anni (ANNI, non settimane o mesi), spesso le uccidono, in barba a poliziotti e magistrati. E quando, molto raramente, qualche elemento di una banda viene interpellato a proposito di un sequestro, si sente dire al Telegiornale: "...interrogato Tizio, già condannato in primo grado per il rapimento di Caio...", senza che alcuno si chieda perché Tizio, condannato per la partecipazione ad un precedente sequestro, debba trovarsi a piede libero, libero appunto di dedicarsi ad ulteriori sequestri.

Sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria, neanche fosse la pista Topeca-Santa Fé del Far West, due banditi assaltano un'auto in corsa e uccidono un bambino. Vengono presi due pregiudicati del luogo, i quali purtroppo NON si confessano colpevoli: grazie alle indagini effettuate, i due vengono comunque processati, ma le prove raccolte non sono convincenti ed i due vengono (giustamente) assolti.
I colpevoli? Boh!

Nel centro di un paese viene ucciso un giudice ed una coraggiosa ragazza sfida la n'drangheta e rompe il muro di omertà, testimoniando contro due pregiudicati, che vengono quindi arrestati e condannati, malgrado si proclamino innocenti.
Per il suo coraggio la ragazza riceve una medaglia d'oro e non ricordiamo cos'altro. Due anni dopo viene fuori che la ragazza si è inventato tutto, per vendetta verso uno dei due pregiudicati, suo ex fidanzato, ed i due vengono rimessi in libertà. Ci chiediamo: ma su quali prove oggettive erano stati condannati? Boh!

Un gruppo di ragazzotti viene individuato come responsabile del lancio di sassi omicidi dal cavalcavia e, imprigionati, confessano, con grande soddisfazione del Magistrato inquirente che ritiene praticamente conclusa l'inchiesta.
Poi ci ripensano, e prendendosi allegramente gioco degli inquirenti, ritrattano tutte le precedenti ammissioni di colpevolezza: uno dopo l'altro vengono rimessi in libertà e adesso, a distanza di cinque mesi, il delitto non ha ancora colpevoli.

Certo, non possiamo pretendere miracoli in soli cinque mesi d'indagine: ci sono magistrati che ancora girano in tondo indagando sulla caduta di Argo 16 nel 1974, sulla caduta del DC9 Itavia nel 1981, sul bacio di Andreotti a Totò Riina...

Per nostra fortuna, la moglie diabolica di Capriolo, dopo aver fornito agli inquirenti gli identikit di due presunti albanesi che avevano tentato di stuprarla e di uccidere il marito, nel giro di poche ore ha confessato di aver inventato il tutto, inventandosi inesistenti albanesi e relativi identikit. Per fortuna dicevamo, visto che un detenuto in non-so-quale-carcere, già aveva fatto sapere al magistrato inquirente di aver riconosciuto gli identikit e di essere disposto a collaborare...!

La settimana scorsa, difronte alla chiesa di S. Giovanni degli Eremiti a Palermo, un turista tedesco é stato ucciso davanti alla moglie e agli altri turisti del gruppo, per aver tentato di resistere allo scippo della sua telecamera da parte dei soliti due ragazzi in motorino.

Nel napoletano è ormai consuetudine che ragazzi di 14 anni uccidano i loro coetanei che rifiutino di farsi rubare il motorino.

Tutti questi criminali sono e restano liberi di continuare ad agire perché i magistrati, schedatili una prima volta, non li perseguono più, lasciandoli in libertà e nella più completa impunità, forse per la buona ragione che le carceri sono troppo piene (di gente in attesa di giudizio). Con la conseguenza che Polizia e Carabinieri rinunciano a perseguirli, visto che é del tutto inutile.

Sarà forse per questo che, avendo rinunciato a farlo in Italia, andiamo a fare i poliziotti in Albania.

Ci sono poi i processi e maxiprocessi, le cui sentenze vengono annullate in Cassazione per errori commessi dai magistrati in fase istruttoria, senza che alcuno si interroghi sulle responsabilità di questi errori, speriamo involontari, che consentono a fior di gaglioffi di tornare in libertà.

La sintesi di tutto ciò, come ripetutamente sottolineato da questa rivista, è che dall'80 al 98% dei crimini commessi in Italia restano impuniti.

Per obiettività, dobbiamo però riconoscere che ci sono anche magistrati efficienti e rapidi nelle loro inchieste, come quelli che ordinano blitz nelle sedi dei Partiti per sequestrare gli elenchi dei candidati alle elezioni politiche (elenchi già disponibili al pubblico presso il Ministero dell'Interno), o sbattono in galera al primo supposto indizio un indagato (col trascurabile dettaglio che il 60% dei detenuti in attesa di giudizio viene poi -molto poi- riconosciuto innocente).
Come pure quelli che spingono al patteggiamento, in particolare per i reati tangentizi, con il quale l'imputato "ammette le sue colpe", paga un minimo e tutto finisce con soddisfazione: per l'imputato, che si toglie dalle rogne limitando i danni, e per il magistrato che si libera dal fastidio di dover cercare le prove alle sue accuse !

Difronte a questi scenari, ci rallegra immaginare gli spensierati Magistrati di Milano che, durante una scampagnata primaverile a Roma, intonino in coro un "...semo li mejo..." e aspettiamo che il Paese effettivamente e finalmente li chiami.

Uno ad uno. Magari per dire loro, assieme a Totò: "Ma mi faccia il piacere!...".

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