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Aldo Bertolini

MASSA E CITTÀ

 


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"STRUTTURA IMPERFETTA" smalto su rame cm 150x200 (2007)

 


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"FRAMMENTO 1"smalto su rame cm 20X30 (2008)


 

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"COMPRESSIONI2" smalto su rame cm 35X50 (2007)


C ome mostrano anche alcune piccole opere di paesaggismo romanticamente drammatizzato, risalenti alla sua giovinez­za, Aldo Bertolini, emiliano concreto e vitale, nato a Salsomaggiore il 14 settembre del 1951, pur seguendo la via degli studi d'economia e del pensiero per così dire pragmatico, è stato da sempre attraversato dall'inquietudine della visione, dal richiamo a un produrre diverso, vale a dire dal fascino dell'enigmaticità tuttavia così sensibile dell'arte. La frequentazione del mondo tedesco non deve essere avvenuta, suppongo, nell'indipendenza da tali sue duplici inclinazioni. Ma giunto sui quarant'anni questo bisogno, fino ad allora tenuto da parte, si è imposto; e l'incontro a Roma con Bruno Aller risulterà decisivo sia per dare la spinta che forzi il peso delle cose già assestate sia per individuare l'orizzonte artistico verso cui indirizzarsi.Aller, di quasi dieci anni più giovane, rappresentava agli inizi degli anni Novanta un caso del tutto diverso, ma non meno singolare. Frequentatore degli studi degli artisti fin dall'adolescenza, subito attivo creativamente e diplomato all'Accademia di Belle Arti nel 1984, egli vuole sfuggire alla riduzione del linguaggio pittorico (intendo dire alla riduzione di quella com­plessità della ricerca basata sugli "elementari" del linguaggio cresciuta dalle avanguardie fino agli inizi degli anni Sessanta) che prima per iniziativa delle esperienze poveriste poi per quelle di segno opposto, anacroniste e transavanguardiste, tende a consolidarsi e a dettar legge nel "sistema dell'arte" in Italia negli anni Settanta e Ottanta.Dall'incontro con Aller, e insieme con Aller con un altro artista della pittura, Marisa Facchinetti, nasce non solo l'avvio dell'attività di Bertolini, ma anche della Galleria Arte e Pensieri nel 2002, che dell'orientamento dei tre a impegnarsi nell'essenziale del linguaggio visivo e a recuperare il filo di continuità con i maestri di questa tradizione moderna (o sarebbe meglio dire di questa modernità della tradizione), maestri ben presenti e attivi a Roma, costituisce la rappresentazione pratica.Le prime opere di Bertolini rivelano subito le sue peculiarità a fronte di quelle della Facchinetti e di Aller. In entrambi questi ultimi è il segno a dominare: un segno-colore per lei, un segno grafico per lui. Nei quadri di Bertolini osserviamo invece ampi piani di colore, forme irregolarmente geometriche, una stesura pittorica che segue la superficie del supporto senza mai tendere a effetti illusivi di profondità: l'esito è la suggestione di una realtà piena e opaca, tattilmente avvertibile.Erano immagini sporche e concrete quelle che istintivamente gli piacevano. Dietro a esse si leggevano indubbiamente i

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"MASSA" Installazione rame - 80 elementi (2007)


moduli del Suprematismo (che contavano anche nelle articolazioni di forme della ricerca di Aller), ma cosi riassorbiti nella densità sorda della pennellata da divenire qualcosa di diverso dalla spazialità caratteristica di quegli esempi storici: incastri, pesi e forze in tensione, ben dentro la solida materia.Ma questa non è che la grammatica visiva in cui prende corpo nei suoi tratti di fondo e si sviluppa nella sua prima fase la ricerca di Bertolini. Presto si forma un linguaggio; si riconosce un linguaggio con la sua tematica, i suoi contenuti.Il passaggio lo leggo in particolare in uno studio del 2005, nel quale qualcosa della morfologia suprematista permane, ma inglobato in una struttura di rapporti di stampo mondrianeo. Non si tratta di un recupero solo estetico, bensì funzionale. La pittura di rapporti nello spazio di Mondrian fu in effetti, in tutto il suo lungo e intensissimo percorso, la sperimentazione prefigurazione di un sistema di relazione che dal microcosmo della tela potesse passare al macrocosmo della città; ogni quadro già non si chiudeva in se stesso, si apriva invece alla continuità dello spazio e con ciò trasferiva il tema della propria articolazione allo spazio dell'ambiente, e dunque a quello della vita moderna: allo spazio della città.Ebbene in questo dipinto nulla della natura luminosa della pittura di Mondrian è conservato; il Monet che è dietro Mon­drian è scomparso. In un mio precedente scritto su Bertolini ho esclamato:«Immaginate un Mondrian dipinto con la spatola di Courbet!». Non volevo dire alla lettera che i quadri di Bertolini abbiano la densità di materia di quelli del grande realista, ma che quella rete di valori di luce, di colore e di non colore, quell'impalpabilità mondrianea, vi appare concretizzata nella materia, immersa in essa. Ed è quanto si vede in questo studio: il fondo rosso cupo steso sulla tela è stato risparmiato in al­cune zone dalla successiva stesura di un bianco sporco - il bianco di un vecchio intonaco di palazzo - divenendo un tracciato di rapporti secondo le funzioni del linguaggio di Mondrian; ma apparendo ben immerso piuttosto nella materia densa di cui la città è fatta che in uno spazio astratto.Questo passaggio conduce appunto la pittura di Bertolini al tema della città. Una sorta di rappresentazione planimetrica della città compare ora nei suoi dipinti; e l'"essere nella città" è in fondo il nucleo dal quale la presente mostra nasce.Se parliamo di rappresentazione planimetrica, tuttavia, tradiamo in sostanza il senso del lavoro che dal 2005 circa egli va sviluppando sia in dipinti su tela che su superfici murali o in ceramica e ora qui con grande uso del rame, sia come superficie

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di fondo della pittura sia come materia cui dar forma. Nulla infatti ha a che fare nel suo linguaggio con una "'rappresentazione", per quanto schematizzata e bidimensionale com'è una planimetria. I piani di Bertolini suggeriscono invece, lo abbiamo detto, la densità della cosa, il suo essere fisico, e sono sempre immersi in un continuum concreto con il quale interagiscono come corpi in contatto con altri corpi, come materie con altre materie.La città, dunque, non è rappresentata nel lavoro di Bertolini, ma sentita. Einfuhlung: immedesimazione, empatia; alla lettera: entrar dentro l'altro tramite il sentire; con un'espressione comune: mettersi nei panni dell'altro. Einfuhlung è la parola, tedesca, che meglio rende il senso di questo proiettarsi nell'altro che avviene attraverso la sensibilità psico-fisica. Uno storico dell'arte svizzero a cavallo tra Otto e Novecento, Heinrich Wolffiin, ha scritto uno studio di psicologia dell'ar­chitettura sulla base del principio che «forme fisiche possono risultare caratteristiche solo nella misura in cui noi stessi possediamo un corpo».In effetti Bertolini giunge all'ampio ed eterogeneo dispiegamento di segni di questa mostra anche grazie a una maturazione più consapevole dei contenuti della sua ricerca. Dietro all'amplificazione plastica e tridimensionale che egli ha sviluppato in quest'occasione c'è l'incontro con un testo straordinario di Elias Canetti, Massa e Potere, tra le cui analisi Bertolini ha riconosciuto i propri interessi, le sensazioni da cui è mosso. Il libro di Canetti, pubblicato nel 1960, aveva le sue radici nell'esperienza della massa urbana fatta da giovane negli anni Venti e da li partiva per una ricognizione che se seguiva le manifestazioni moderne, anche così drammaticamente presenti quando si pensi agli anni Lrenta in Europa, ritrovava la fe­nomenologia e il senso dell'esser massa nelle culture e nelle esperienze più diramate.Ora, in questa mostra, ciò che diviene più manifesto e potente è quanto già traspariva nei dipinti precedenti di Bertolini: il rapporto con la città trasmette la percezione dell'essere fisicamente in essa, dell'essere in uno spazio saturo, in una strati­ficazione di materie che si toccano e non nel vuoto libero entro cui si tendono i rapporti.Canetti così differenziava l'essere dell'individuo da quello da quello dell'individuo-massa: «Egli [l'individuo] sta come un mulino a vento in un'immensa pianura, pieno d'espressione e mobile:non c'è nulla fino al prossimo mulino. La vita intera, come egli la conosce, è impostata su distanze; la casa in cui egli rinserra se stesso e la sua proprietà, l'incarico che riveste,

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il rango cui aspira - tutti servono a creare, consolidare, ingrandire distacchi». E osservava: «Solo nella massa l'uomo può essere liberato dal timore di essere toccato. Essa è l'unica situazione in cui tale timore si capovolge nel suo opposto. E' ne­cessaria per questo la massa densa, in cui corpo si addossa a corpo, una massa densa anche nella sua costituzione psichica, proprio perché non si bada a chi "ci sta addosso". Dal momento in cui ci abbandoniamo alla massa, non temiamo d'essere toccati(...). D'improvviso, poi, sembra che tutto accada all'interno di un unico corpo. Forse è questa una delle ragioni per cui la massa cerca di stringersi così fitta: essa vuole liberarsi il più compiutamente possibile dal timore dei singoli di essere toccati».Ora, su un aspetto ancora del lavoro attuale di Bertolini vorrei richiamare l'attenzione. Da un lato, come abbiamo visto, la disseminazione di segni nello spazio tridimensionale dell'attuale esposizione rafforza questa ricerca dell'"esser dentro", dell'"esser tra"; dell'"essere" dunque sperimentabile nella condizione dell'uomo-massa. Ma se si fa caso anche al crescente uso dello smalto bianco steso sul rame, alla relazione - intendo dire - tra il rame con i suoi riflessi e la luminescenza dello smalto, ci si avvede che, pur rimanendo ben dentro quella densità delle materie osservata, Bertolini apre una nuova via: introduce la luce nell'opaco e contrasta con ciò il serrarsi concreto delle sue forme l'una contro l'altra.Vedremo cosa ne sarà nel seguito della sua attività di questa dialettica che si mette in movimento. Ma a me sembra al momento che con tale dialettica egli forse inizi a recuperare qualcosa della radice impressionista dell'arte contemporanea, alla quale sembrava chiuso, e con essa - dico nuovamente forse - di quella visione della massa cittadina, della folla, che Baudelaire aveva messo a fuoco in termini diversi da Canetti - in una fase storica molto precedente - con II pittore della vita moderna, testo celebre ma non passato, da ritenere ancora costitutivo della nostra esperienza: «Così l'innamorato della vita universale entra nella folla come in un'immensa centrale di elettricità. Lo si può magari paragonare a uno specchio immen­so quanto la folla; a un caleidoscopio provvisto di coscienza, che, ad ogni suo movimento, raffigura la vita molteplice e la grazia mutevole di tutti gli elementi della vita. E' un io insaziabile del non-io, il quale, ad ogni istante lo rende e lo esprime in immagini più vive della vita stessa, sempre instabile e fuggitiva».

Stefano Gallo

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Giovedì 17 gennaio 2008 ore 18.00

Fino al 9 febbraio 2008 orario Giovedì/Sabato 16.00 - 20.00 o su appuntamento

 

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