VINCENZ
O ARENA
Galleria "Arte e Pensieri"
Via Ostilia, 3/a - 00184 Roma
3 - 26 maggio 2007
Opera 2 - 2007
cm. 90x90
Opera 3 - 2004 cm. 60x60
Testo di Stefano Gallo
...
Vincenzo Arena
Nato in Calabria nel 1932, ma formatosi a Roma, dove vive, Vincenzo
Arena, dopo aver fatto studi di carattere tecnico-scientifico e a lato
dell'attività di project engineer" per una
società di
ingegneria, avviava negli anni Cinquanta le sue ricerche sulla
pittura. Le opere di quel primo periodo si inscrivono nei modi e nelle
tecniche dell'Informale, ma guardandole oggi esse rivelano anzitutto la
sperimentazione della "concretezza" del linguaggio. Non a
caso,
quando Arena si imbatte nel 1960 in un'esposizione di dipinti di
Mondrian alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, e ne viene in un
attimo segnato, dà inizio a una fase di passaggio, dai
risultati
molto interessanti, nella quale accogliendo le istanze razionali -
anche di metodo -del Neoplasticismo, le riversa tuttavia su materiali e
tecniche precedenti, vedi la corrosione con solvente del polistirolo:
non certo per inerzia, quanto per l'adesione profonda a quei
trattamenti affatto "concreti" del linguaggio.
Nel giro di qualche anno il suo lavoro si conforma in tutti gli aspetti
alla strutturalità della lezione di Mondrian, nutrendosi
anche
di un'informazione molto attenta riguardo alle diverse esperienze
dell'astrazione, orientata non solo al passato del primo
Novecento, ma alle nuove tendenze d'arte costruttivae programmata che
negli anni Sessanta si vanno sviluppando in Europa.
Dal 1965, anno al quale risale il suo primo soggiorno a Bruxelles,
stringe importanti rapporti con l'ambiente artistico belga: alla
galleria Angle Aigu tiene la sua prima mostra di "Strutture seriali
modulari"; incontra artisti astratti che adoperano la tecnica
dell'allucro-mia (la colorazione dell'alluminio), tecnica che
assimila e fa propria; conosce il critico d'arte Henry van
Lier. A
Parigi è del 1968 la sua prima personale alla galleria
Vercamer
e prende parte alla fondazione del gruppo CO.MO (Constructivism et
Mouvement) con Michel Seuphor, Lue Peire, Mattia Romano Zanetti, Leo
Bruner, Nino Calos, Ivan Contreras-Brunet, Louis Deledicq.
Una tappa importante nell'evoluzione del suo linguaggio di
nuovo
si colloca a Bruxelles, nel 1972, quando conosce Jean Guiraud,
professore di colorimetria, che lo metterà al corrente dello
studio di Charles Paul Bru, Les éléments
picturaux,
pubblicato nel 1975. Dall'anno successivo, infatti, lo strutturalismo
di Arena si dota di un modello matematico per progettare
l'equilibrio cromatico del quadro.
Ma veniamo più direttamente a contatto con la sua ricerca.
Quando si entra tra le opere e i materiali di lavoro di Arena non
c'è dubbio che da due aspetti, strettamente connessi, si
è subito impressionati: dalla profondità delle
soluzioni
visivo-formali dei suoi testi artistici e insieme dalla sistematica
analiticità del loro progetto, predisposto con calcoli
numerici
di assoluta precisione. Il suo percorso dalla metà degli
anni
Sessanta ad oggi si segnala chiaramente come passaggio da una
prevalenza iniziale dell'indagine sul rapporto bianco-nero a
una
prevalenza successiva di quella sulle relazioni tra i colori; comune
però è la progettazione strutturale dei
rapporti tra
forme elementari regolari. Egli sembra realizzare il dipinto come un
musicista compone, con un calcolo necessariamente matematico. L'opera
di Arena è in sostanza la costruzione di un pensiero visivo.
I
processi di percezione e rappresentazione visiva dell'uomo sono
indagati ed elaborati in un ordine pittorico di relazioni che appunto
costruisce un testo stabile, solido e autonomo nel quale chi legge
l'opera è chiamato a cogliere la formazione di un senso
logico
di matrice del tutto visiva.
Se non ci si vuole restringere alle fonti teoriche più
vicine di
questa ricerca, quelle più attive nel secondo Novecento che
sono
alla base dei diversi orientamenti dell'arte costruttiva e
programmata, il riferimento da fare è alla prima ampia
riflessione filosofica moderna sull'autonomia del linguaggio artistico
in rapporto al senso della vista, quella contenuta negli scritti degli
anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento del tedesco Konrad Fiedler,
dalla quale emergevano il valore del processo artistico rispetto alla
sola centralità dell'opera compiuta, il nesso tra
il vedere
naturale e il testo artistico in quanto questo si rivela ricerca sulla
visibilità, infine il linguaggio figurativo come vera e
propria
costruzione di pensiero visivo.
Perché fare tanti passi indietro nel tempo?
Perché
tornare alla fine dell'Ottocento, quando l'astrazione -non ancora
l'astrattismo - faceva i suoi primi passi? Non certamente per un
interesse storico-filologico. Bensì per rendere merito ad
una
qualità di fondo del lavoro di Arena: è una
ricerca sulla
pittura. Il risultato, nella qualità estetica che ogni sua
opera
consegue, dimostra che il programma, il progetto, il numero, la serie,
il modulo sono mezzi per reinterrogare e far vivere ancora l'antico
linguaggio.
E mi ricordo di quel che scriveva Matisse nel 1908 in Note di un
pittore su "La Grande Revue": «Sogno un'arte di equilibrio,
di
purezza, di tranquillità, senza soggetti inquietanti o
preoccupanti. Un'arte che sia (...) un calmante cerebrale, qualcosa di
analogo a una buona poltrona dove riposarsi dalle fatiche
fisiche». Sì, le opere di Arena sono come un
calmante
cerebrale, grazie all'interessante bellezza delle loro scoperte; e
chiedono di essere osservate a lungo, al meglio se, assorti, ci siamo
adagiati su una buona poltrona.
Opera 1 - 2007
cm. 30x30
Opera 2 - 2006
cm. 90x90
Orario di apertura galleria
dal mercoledì al sabato
ore 16.00/20.00