il Rimino Sottovoce 2022



Rimini "moderna"/3
La carestia serve a far soldi
"il Ponte", 24.07.2022, n. 27


Nel 1500 anche a Rimini comanda chi è ricco. I nobili vivono con le rendite agrarie. Artigiani e mercanti sono in crisi. Sotto i nobili in questa piramide, scrive G. Angelozzi (2009), ci sono i benestanti, detti pure "gentiluomini privati" che badano soltanto agli affari propri. Poi vengono i liberi professionisti, ricchi di soldi e forti per prestigio sociale. Alla base, con i piedi di tutti gli altri sulla testa, stanno i lavoratori delle campagne e delle città. Tra di loro si annidano i poveri, tali non per colpa loro, ma a causa del sistema politico che li emargina nella miseria.
Spesso succede, conclude Angelozzi, che il povero si trasformi in bandito o vada ad alimentare il mondo vario ed inquietante dei cosiddetti vagabondi. I quali sono il terreno su cui sbocciano periodiche sommosse per il pane. Per le rivolte sociali, dormono sonni poco tranquilli quanti hanno qualcosa da perdere.
G. Tocci (1977) definisce indecifrabile il mondo degli oziosi, dei vagabondi e degli emarginati, sui quali potevano piovere gli aiuti della pubblica carità, ma per i quali non si adoperava nessuno al fine di recuperarli ed inserirli nella vita sociale attraverso il lavoro. Infine, osserva Tocci, ci sono le voci del dissenso che si fanno rare e prendono la via dell'esilio. Esse mugugnano per due secoli, colpite infine da accuse di eresia.
In una società sostanzialmente immobile come quella romagnola, conclude Tocci, risulta bloccata sino alla fine del Settecento pure la vita economica, nonostante una lunga serie di interventi pubblici per migliorare terreni, corsi di fiumi, traffici marittimi. Come osserva M. Dall'Aglio (2004), nel Ravennate dal 1578 inizia la bonifica per colmata delle valli di Mezzano e di San Vitale. Tra 1550 e 1580, "tutta la bassa pianura emiliano-romagnola è un immenso cantiere".
Il contesto politico-economico della Romagna è fondamentale per comprendere nella loro verità certi fatti accaduti a Rimini, ed ai quali è stata sempre dedicata un'attenzione molto superficiale, per cui il discorso storico si riduce ad elenchi di cose o persone, aridi come un listino di commercio.
Al proposito Carlo Tonini ci offre un esempio illuminante. Nel secondo volume del suo "Compendio della Storia di Rimini" (1896), parlando della carestia che colpisce la città ed il suo territorio nel 1569, egli ricorda il pubblico intervento "per togliere il pericolo che i poveri morissero di fame". A questo episodio non aggiunge neppure dieci parole per riassumere quanto distesamente invece ricorda nel sesto volume, parte prima, della "Storia di Rimini" che egli pubblica nel 1887 per completare l'opera avviata da suo padre Luigi nel 1848. Qui, dunque, Carlo Tonini s'indigna nel raccontare la carestia del 1569.

Mentre il Consiglio cittadino il 25 luglio 1569 prende quei provvedimenti per evitare una sorte tragica ai poveri, si ripete la solita storia "di quelli, che dalle calamità pubbliche trassero profitto per arricchire", scrive il Nostro. La corruzione era talmente diffusa che pure "tra i moderatori della cosa pubblica trovavasi il mal seme": i Consoli non facevano il loro dovere e tuttavia volevano tutto il compenso stabilito. Sino al maggio 1570, ogni domenica ai poveri si offre pane cotto per il peso di uno stajo. (Secondo il "Vocabolario romagnolo-italiano" di Libero Ercolani, uno stajo equivale in Romagna a 12,5 kg.)
Nel racconto del "Compendio" tengono banco le preoccupazioni internazionali. Per le minacce ottomane si fortificano i porti, obbligando al lavoro gli uomini dai 16 ai 60 anni, ed alle collette consuete (ovvero tributi) che invece riguardano tutti dai 14 anni in su, esclusi i miserabili e le donne. Le collette si rendono necessarie pure per aiutare il re di Francia che deve combattere contro la setta degli Ugonotti. I quali sono di tendenza calvinista ed organizzati militarmente. Tutta la Romagna è chiamata a sborsare 50 mila scudi d'oro. Scrive Carlo Tonini: "Non doveva parere ingiusto ai nostri il concorrere a tali spese, trattandosi di cose di religione; ma certo è che troppo frequenti erano le domande di denaro per tale effetto".
Le carestie passano, la corruzione resta. Ma in secondo piano. Come quando Carlo Tonini racconta che nel 1573 ci si dedica a combattere "contro la perniciosa peste del lusso nelle donne". Quel lusso era l'effetto e non la causa dell'ingiustizia politica e sociale.
Antonio Montanari



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