il Rimino Sottovoce 2022



1622: aiuto ai poveri contro la fame
"il Ponte", 17.04.2022, n. 15.

Per il 1622 Luigi Tonini (1887) ricorda la decisione presa in aprile di distribuire ai poveri della città scudi 300 al mese sino al giugno successivo perché "non perissero di fame". La crisi che s'annuncia colpisce tutta l'Europa, soprattutto dopo il triennio 1619-22. Per l'Emilia Romagna a partire dal 1618-19 si fanno sentire le ripercussioni della congiuntura europea. Per gli anni Venti del secolo si parla di una crisi che riguarda l'agricoltura, l'artigianato ed il commercio. Nel 1628 si avrà la carestia, nel 1630 la peste.
Attorno al 1620 "si ha il punto di svolta della congiuntura economica italiana e l'inizio della depressione seicentesca" (F. Cazzola, 1977).
Ezio Raimondi, in un saggio del 1960 dedicato alla cultura del Seicento, osserva: sull'Italia "grava l'ombra del declino economico che contribuisce a frenare o a ritardare la formazione di una classe borghese e mercantile".
Allora l'Italia "si chiude in un processo di ruralizzazione conservatrice" che l'allontana dall'Europa "ed irrigidisce le forze vive della sua società sottosviluppata".
Il "silenzio" che incontriamo nelle pagine dei grandi studiosi locali del 1800, illustra il contesto culturale da cui essi provengono. Quegli autori illustri tacciono per restare fedeli all'ambiente in cui operano.
Il potere è dalla parte della ragione per il solo fatto di avere tutte le autorità riconosciute dagli accordi internazionali, anche quando sono fantasmi capaci soltanto di produrre guasti e distruzioni. La miseria colpisce soltanto se coinvolge anche chi detiene il potere. L'idea di popolo, di gente comune o di cittadino non esiste come principio giuridico.
Un personaggio importate è ricordato da Tonini per il 1622. Arriva a Rimini il principe di Condé, accompagnato dal cavalier Orsini, fratello del cardinale Alessandro, Legato di Romagna eletto nel 1621 ed entrato a Rimini nel luglio dello stesso anno.
Per il 1621, anno di "poco pane, tanta miseria", abbiamo visto che il cronista Giacomo Antonio Pedroni, dopo alcune considerazioni sulla carestia che imperversava e sul micidiale rincaro dei prezzi dei generi alimentari, annotava che "più persone facevano delle piadine di sarmenti e fave macinati insieme, per mangiarle in così gran bisogno".
In tutta la regione, abbiamo pure scritto, "attorno al 1620 si ha il punto di svolta della congiuntura economica italiana e l'inizio della depressione seicentesca", come osserva F. Cazzola (1977).
A Rimini nel 1621 a causa della penuria dei raccolti si era dovuto pensare al sostentamento dei poveri "trovando a censo ingenti somme" (C. Tonini, 1896). Tra 1618 e 1621 esplode una carestia che coincide con un periodo di guerre nella nostra regione che ne compromettono l'economia per molti decenni. Gravi carestie infatti si ritrovano poi alla fine degli anni 40.
I politici che governano non sanno prendere le giuste decisioni. Come scrive G. Tocci (2004), lo scontro tra i poteri locali e quello centrale provoca situazioni in cui sono precluse possibilità di sviluppo e di progresso. Nelle singole città tornano le rivalità tra le fazioni locali. Il governo romano è incapace di assorbire le differenze fra le singole situazioni dello Stato pontificio. Nel 1558 Rimini è stata obbligata a partecipare alle riparazioni del porto di Ancona.
La crisi del Seicento nasce in quel Cinquecento nel quale si forma una struttura sociale a piramide, "in cui il ricco tende a divenire sempre più ricco ed il povero sempre più povero" (G. Angelozzi, 1990). La solidità della piramide è garantita dal ferreo controllo che una ristretta nobiltà esercita attraverso la gestione del potere politico. Secondo Tocci in Romagna l'età della decadenza è più lunga che altrove.
Al patriziato, sempre più chiuso nel ruolo di percettore di rendite agrarie, s'oppone il mondo in crisi di artigiani e mercanti. Quanti stanno al centro (come gli ufficiali e gli uomini di legge) preferiscono guardare con simpatia ai nobili ricchi ed ai potenti rappresentanti del potere romano.
Sotto i nobili in questa piramide, scrive Angelozzi, ci sono i benestanti. Sul loro piano, si pongono i liberi professionisti, ricchi di soldi e forti per prestigio sociale. Alla base della piramide, con i piedi di tutti gli altri sulla testa, sono i lavoratori delle campagne e delle città. Tra di loro si annidano gli emarginati nella miseria. E spesso, conclude Angelozzi, il povero si trasforma in bandito.
Antonio Montanari



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