il Rimino Sottovoce 2022



1522. Quel potere intriso di sangue
"il Ponte", 10.04.2022, n. 14.

Sullo sfondo di tutte le storie delle città italiane tra la fine del 1400 e l'inizio del 1500, si proiettano progetti politici europei. Essi mirano non solo a dominare l'Italia, ma anche a farne totale bottino. Così leggiamo a conclusione di un saggio di Franco Gaeta (1926-84), che ricostruisce il quadro delle "guerre d'Italia" iniziate nel 1492 e concluse nel 1516.
Per la situazione di Rimini, apriamo le pagine pubblicate da Benedetta Baroni nella "Storia" cittadina per iniziativa di Bruno Ghigi editore (2004). La città nel secolo XVI passa dal dominio malatestiano a quello dello Stato della Chiesa: "I vecchi signori non si rassegnano facilmente alla perdita del governo". Ne seguono ripetuti tentativi di entrarne ancora in possesso, e conseguenti assedi da parte delle armate pontificie (p. 173).
All'inizio del 1500 Venezia si espande nella pianura padana ed in Romagna. Il protettorato su Rimini diventa più aggressivo, "mentre il malgoverno dei Malatesta provocava la ribellione dei sudditi, esasperati dai soprusi del giovane signore Pandolfo, in particolare dalle violenze contro le donne", leggiamo nel pregevole saggio di Cesarina Casanova (2013) in "Storia della Chiesa riminese, III" (p. 121).
Nel 1503 Pandolfo raccoglie "aderenti nel contado" e solleva "gli elementi più turbolenti e marginali della popolazione urbana" (p. 123). Appoggiato da Venezia egli riprende Rimini, ma le opposizioni interne gli fanno vendere Rimini alla stessa Venezia che la tiene sino al 1509. Nel 1522 suo figlio Sigismondo rioccupa la città ma soltanto per pochi mesi. I suoi alleati hanno le case distrutte. E Rimini perde anche la parziale autonomia dal potere papale, che era riuscita a mantenere. Gennaio 1523: le armate pontificie cingono d'assedio le porte di Rimini. E la Rocca torna nelle mani dei ministri pontifici.
Per comprendere meglio il clima che caratterizza tutta l'Italia di inizio 1500, apriamo un saggio (1967) di Ezio Raimondi (1924-2014), riproposto nel primo volume dei suoi scritti (1994). Esso è dedicato a Nicolò Machiavelli: dalle "Istorie fiorentine" si cita un passo (VIII, V) in cui si parla di "uomini nelle armi esperti e nel sangue intrisi". Questi uomini educati nel sangue sono l'immagine piena di un realismo di folgorante esperienza quotidiana, osserva Raimondi: l'immagine meno convenzionale e più drammatica di quel tempo. Di essa noi lettori non teniamo talora conto pensando alle vicende politiche e militari degli anni in cui l'Italia è moneta di scambio dell'equilibrio europeo, come leggiamo a conclusione del cit. saggio di Franco Gaeta.
Nel 1526 si sparge la voce che i Malatesti "pretendevano (ed era vero) di tornare in Rimini", racconta lo storico Cesare Clementini (1561-1624). Nel 1523, quando Rimini è restituita alla Chiesa, Pandolfaccio l'abbandona. Suo figlio Sigismondo II vi rientra nel 1527, e lascia il governo al padre che l'8 aprile 1528 riceve l'investitura da papa Clemente VII (Giulio dei Medici). Nessuno è contento. Sigismondo si lamenta della condotta militare ricevuta dal papa. I cittadini accusano i Malatesti per "la solita tirannica crudeltà" (C. Clementini). A supplizio atroce è sottoposto il papalino Pandolfo Belmonti: fiaccole accendono il lardo porcino cosparso sul suo corpo, poi appeso ad un palo tra il Castelsismondo e la cattedrale di Santa Colomba. Alla fine Roma manda i suoi soldati. Il 17 giugno 1528 termina il potere malatestiano, con gli ultimi rappresentanti inetti e disgraziati (A. Campana).
A proposito di torture: in un testo dedicato al "Sacco di Roma" (pubblicato a Parigi nel 1664), il gonfaloniere fiorentino Luigi Guicciardini (1478-1551) annota di "non poter ritenere le lacrime, considerando quanti tormenti, e quanti danni l'huomo solamente dall'huomo riceue", e non dalla fortuna come spesso si dice. Quel testo fu attribuito a suo fratello Francesco (1483-1540) nell'edizione del 1758.
Nel frattempo Roma ha vissuto i giorni terribili del sacco compiuto dal 6 maggio 1527 sino al febbraio 1528, da 15 mila soldati imperiali, per la maggior parte mercenari tedeschi di fede luterana, scrive Miguel Gotor, definendolo "un episodio clamoroso, destinato a scuotere l'Europa tutta". La fede luterana nel 1525 ha segnato già la tragica repressione dei contadini sollevatisi dal 1524 nella Selva Nera, massacrati ferocemente dal duca di Sassonia. (Ne abbiamo scritto sul "Ponte" del 2.12.2012, "Sacco di Roma, Europa scossa".)
Nelle storie di Rimini se ne parla poco. Luigi Tonini considera il sacco come una delle tumultuose vicende delle quali i Malatesti profittano per riaffacciarsi a Rimini. Più attento il suo maestro Antonio Bianchi (1784-1840), che rimanda al parere di "alcuni storici" che lo definiscono frutto della politica ambigua del papa che faceva paci o guerre "secondo la speranza d'ingrandire lo Stato proprio e quello de parenti".
Antonio Montanari



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