il Rimino Sottovoce 2019

In ricordo di Romano Bedetti

Ieri 1 giugno 2019 ha chiuso gli occhi il giornalista e scrittore Romano Bedetti, nato a Rimini nel luglio 1939.
Per ricordarlo, pubblico un mio articolo apparso sul "Ponte" di Rimini nell'anno 2000, n. 42.

Tesori e misteri della "Domus romana"
Bedetti scava nel passato romano di Rimini


Romano Bedetti ha indagato sui "tesori e i misteri" della cosiddetta casa del chirurgo (o del famacista), rinvenuta nel 1989 in piazza Ferrari, a Rimini, scrivendo questo libro, "Domus romana" (ed. Capitani, lire 20 mila), che ha un taglio particolare, da cui dovrebbe derivare la sua fortuna in una città come la nostra che legge pochi volumi di Storia ed ancor meno ne acquista. Il carattere specifico del lavoro di Bedetti, è già indicato dal prefatore Giorgio Tonelli il quale scrive: "è un libro inclassificabile. Non è un saggio, non è un romanzo, non è una guida turistica, non è un testo scolastico. (...) E' la commistione fra i generi ed i linguaggi che oggi sola può consentire l'uscita dalla separatezza e dall'esclusione".
Superando le preoccupazioni classificatorie di stampo un po' crociano dell'amico Giorgio, che crociano non è, va detto che il testo di Bedetti merita simpatia perché s'avventura nel territorio, assai nobile e difficile, della divulgazione, che gli esperti di mestiere talora disdegano e spesso temono come forma di annullamento della loro Sapienza, e che invece si dimostra assai utile per quanti desiderano essere avviati, con gradualità e completezza, a conoscere argomenti complessi.
Il libro si legge velocemente, perché l'autore si fa capire. Che poi lui abbia scelto di inserire, accanto alla ricostruzione esatta degli eventi che portarono alla scoperta della 'domus' di piazza Ferrari, anche la fantasia, per cercare di ipotizzare chi fosse il suo abitatore, questo è un intermezzo che, lungi dall'infastidire, testimonia invece il desiderio che abbiamo tutti, appena conosciamo una notizia, di vederne tutti i risvolti, ponendoci tante domande che restano spesso senza risposta. Ma il fatto che non si trovino le soluzioni ai quesiti, non significa che non dobbiamo affrontarli.
E' ovvio che, dietro tutto il processo di raccolta delle informazioni e di stesura del lavoro, ci deve essere una ben salda passione per l'archeologia che l'autore conferma e confessa nelle poche righe dei ringraziamenti finali che iniziano con queste parole: "Il libro è dedicato anche a tutti gli archeologi e le archeologhe che con la loro grande cultura, il loro entusiasmo e abnegazione, scavano, anche in questo momento, in ogni angolo più sperduto della Terra, per dare un senso alla vita e alle tradizioni di un popolo".
Quando avevo più tempo (e voglia, e meno anni), per occuparmi della collaborazione al "Ponte", proposi ad un esperto concittadino del settore, di scrivere qualcosa sulla "Rimini che abbiamo sotto i piedi". Il libro di Bedetti soddisfa in parte quelle curiosità. Credo che lui non conoscesse, stando ad un comune amico, che anche il nostro giornale si occupa di questi temi. Le mie righe possono essere l'occasione per invitarlo a comporre per il "Ponte" qualche nota di carattere archeologico, magari tenendoci aggiornati su quanto si ritrova negli scavi in una città come la nostra in cui il passato non cessa mai di essere presente. Ed all'editore auguro che il volume possa inaugurare una collana dove raccogliere altri contributi divulgativi sulla "storia di Rimini".
Antonio Montanari

Un altro mio articolo de "il Ponte", 2003, n. 24, dedicato a Romano Bedetti:
Il passato ritorna con Bedetti
in «Ariminum, la città sepolta»


In duecento pagine Romano Bedetti racconta «Ariminum, la città sepolta» (Raffaelli ed.), ovvero un'avventura tra cronaca e storia dell'archeologia cittadina, partendo dagli studi recenti di Lorenzo Braccesi che ipotizzano la presenza greca sin dal VI sec. prima di Cristo. Questa novità testimonia come la ricerca obblighi ad aggiornare le proprie conoscenze: e meritoria a tal fine risulta la fatica di Bedetti perché documenta le indagini da lui fatte con un'abbondanza di particolari che nascono dalle sue frequentazioni per un quotidiano locale.
Alle pagine di Bedetti s'intercalano quelle di vari specialisti che mettono a fuoco alcuni temi utili alla comprensione degli argomenti trattati. Per attirare la nostra attenzione l'autore proietta nel mondo antico il modello televisivo odierno allo scopo di raccontarci una Ariminum multietnica collegata con il cosiddetto transatlantico del Senato, prima di avviare il vero e proprio discorso storico.
Tra le curiosità, s'affaccia inquietante il titolo di un capitolo: «Per i meno abbienti non c'era posto ad Ariminum?». Una città, la nostra, che sembrava disegnata su misura per i ricchi: di qui l'interrogativo di Bedetti che ci offre lo spunto per vedere come, dietro le cose riaffioranti dal passato, ci siano sempre le vicende umane che l'archeologia aiuta a ricostruire.
E per i posteri Bedetti racconta pure il lungo giallo burocratico-politico della domus di piazza Ferrari. (a. m.)

Un retroscena del 2006: testo "privato" (si tratta di una lettera da me inviata ad una collega giornalista di Rimini), apparso qui, nella pagina di "Sottovoce" San Michelino in Foro, a Marzo 2019, e pubblicato nel 2015 in una pagina della sezione dedicata a Galeotto di Pietramala.



Nel libro «Riminesi perbene» di Romano Bedetti, che sarà presentato sabato prossimo, c'è in appendice un capitolo sui Templari, redatto da altro autore che si cela sotto lo pseudonimo di «Anonimo Riminese» e che è in realtà un cronista sportivo.
Come ho spiegato allo stesso Bedetti, l'esimio «Anonimo Riminese» non poteva firmarsi con il suo vero nome perché il materiale è «di dubbia provenienza». Che a me invece risulta molto chiara perché conosco il retroscena. Lo stesso Bedetti ha detto che la fonte di quel materiale è Nozzoli, morto sei anni fa.
Si dà infatti il caso che Guido Nozzoli fosse mio zio. Quindi conosco i suoi lavori e chi frequentava casa soprattutto negli ultimi tempi, quando la malattia (demenza senile) ha permesso a qualcuno di "sottrargli" silenziosamente il materiale storico di cui con assoluta buona fede parlava e scriveva.
Come ho detto a Bedetti, l'«Anonimo Riminese» non poteva rivelarsi a rischio di pubblico sputtanamento.
Fatto sta che a mio cugino non tornarono i conti delle carte presenti sulla scrivania di suo padre, al momento della scomparsa: mancava qualcosa che lui aveva sempre visto. Forse riappare ora grazie alla sagacia conservativa dell'«Anonimo Riminese»?
Una notizia impubblicabile, questa, come ho scritto all'inizio. Ma utile da conoscere per chi opera nel settore.



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2950, 04.06.2019