Finalmente ti ho rivisto, carissimo Maestro di vita ed Amico saggio per tanti anni. Ti ho rivisto però nella versione più seria dell'esistenza, quella del saluto da questa Terra, attraverso l'annuncio della tua scomparsa tra le ultime notizie giornalistiche locali della mattinata di oggi.

Viterbo Tamburini avrebbe potuto essermi padre per ragioni anagrafiche, aveva infatti 98 anni, ventidue più di me. Ma sempre è stato come un fratello maggiore negli incontri che avevamo per strada o sulla piazza Tre Martiri, lui a piedi ed io in bici: e sempre a raccontare del mondo giornalistico a cui appartenevo (non per colpa mia), degli scherzi che ricevevo o della altrui mancanza di volontà di rendere giustizia per il lavoro che mi chiedevano e che poi cercavano di cancellare per quegli effetti perversi che a qualcuno portano l'invidia e il gusto di privilegiare se stessi a danno degli altri.

Caro Viterbo, tu mi hai sempre ascoltato con pazienza e con le tue poche parole cercavi di connetterti al mio mondo, tu che avevi una grande e lunga esperienza di vita nel lavoro e nella comunità a cui entrambi ci rivolgevamo con i nostri discorsi.

Purtroppo non tutti sono persone serie come lo sei stato tu. Tu che cercavi ad ogni costo di convincermi a continuare nel mio lavoro, e tu che conoscevi alla perfezione tutta la pianta topografica che quel mio lavoro doveva percorrere.

Adesso, caro Viterbo, butta un'occhiata silenziosamente protettrice da dove ti trovi, ed accogli questo mio ricordo come un abbraccio per testimoniarti una gratitudine che non dovrò e non potrò mai dimenticare.