il Rimino Sottovoce 2018

La scuola dell'altro ieri

La scuola italiana va male, scrivono i giornali, affrontando vari aspetti del problema.
Nel 2010, il 4 febbraio, sul blog della Stampa scrissi questo post, intitolato "Meno ore di insegnamento? Peggiora la didattica". Il post fu segnalato dalla redazione il giorno successivo.


La ministra Gelmini ha rispettosamente osservato la linea dei suoi predecessori di qualsiasi colore politico. Quella di rovinare tranquillamente la scuola.
Ha detto che non conta il numero delle ore di insegnamento di una materia, ma la qualità della didattica. Balle. Prendete una classe di trenta alunni, dovete svolgere il programma in due anziché tre ore (facciamo un esempio), potrete fare le stesse interrogazioni che fareste con il vecchio calendario? Anche la verifica è didattica. Quindi per favore raccontiamoci cose serie, non balle, signora ministro. Due ore alla settimane sono un trenta e passa per cento in meno, e questo lei me lo chiama un invito a migliorare la didattica.
Per cortesia, torni a fare l'avvocato, avendo lei sostenuto gli esami fuori sede, in quel profondo Sud che, come le scrissi pubblicamente, non le piace troppo.

Mi riferivo qui ad un precedente post del 16 settembre 2008, che riproduco.

Signora Ministra Gelmini.
Ha avuto l'onore di un'intera pagina sul "Corriere della Sera" (4. 9), scritta dallo specialista in caste politiche Gian Antonio Stella. Lei appartiene ad una delle più potenti caste dell'Italia (non so che cosa accada all'estero), quella degli avvocati. Talmente potente che mezzo secolo fa un avvocato poteva insegnare anche Filosofia nei Licei, pur avendola studiata soltanto al Liceo. Non mi dica che non era una posizione di privilegio.
Anche oggi voi avvocati godete di tante posizioni di privilegio. Tutte cose legittime, beninteso, legittime perché siamo un po' gli eredi dell'Azzeccagarbugli ed un po' i nipotini di don Rodrigo. Stretti in questa morsa fatale, noi semplici cittadini che non contiamo nulla dobbiamo restare sempre con la bandiera bianca della resa davanti a voi potenti che prima fatte le vostre giuste cose, e poi le giustificate sapendo bene che ciò che conta non è la verità ma il modo con cui la si racconta. (Se dovessimo stilare una graduatoria della pericolosità sociale, proprio per questo, rischiereste di finire in testa a tutti, anche a quelli che difendete...)
Tanto scandalo per avere lei sostenuto certi esami professionali in quel profondo Sud che non le piace troppo, è forse l'inevitabile gioco delle parti in una società in cui non cambia nulla. In cui Cristo si è fermato ad Eboli, e chi aspetta giustizia sta sempre una stazione troppo in là. In cui, mezzo secolo fa, noi studenti del Nord sapevamo che le lauree al Sud erano talora qualcosa di più leggero da conseguire.
Quindi gli scandali odierni (o presunti tali) in noi che abbiamo una certa età non destano alcuna sorpresa. Anche perché sappiamo che poi la famiglia politica, o quella sindacale o quella ecclesiastica o quella massonica sono i luoghi deputati alla promozione ed alla sorte delle carriere negli ospedali, nella scuola, nella magistratura. Insomma là dove c'è una sedia, la scelta del deretano che vi si deve posare delicatamente per diritto naturale o soprannaturale è sempre qualcosa che in molti casi, in moltissimi casi, in troppi casi, è addirittura deciso prima della pubblicazione dei bandi di concorso.
All'università, si è letto poco tempo fa, mancano soltanto i nomi dei vincitori in quei bandi.
Caro Ministra, lei risponda alle critiche con una modesta constatazione: "Rappresento quest'Italia alla quale pochi si rivoltano...". La maggioranza è quella che conta in democrazia, lo sanno tutti. Vada orgogliosa dei suoi esami professionali nel profondo Sud. Sarà un motivo in più per tanti a cui nessuna carriera arrise, per dire che fatta l'Italia tanto tempo fa, vanno ancora fatti gli italiani, e forse sarà sempre un traguardo irraggiungibile. Sarà così, lei, proprio il ritratto perfetto delle imperfezioni italiane che hanno reso grande la sua parte politica. Che di lei andrà gloriosa ora e sempre. E così sia.


Nel giugno del 2008 avevo pubblicato un post, sullo stesso blog della Stampa, intitolato:
Cuesta squola
Triste è il destino dei ministri della Pubblica (d)istruzione in Italia. Non per colpa loro. Gli dei non li assistono. Ancor meno la buona volontà dei politici che li circondano e li sovrastano.
Se c'è un campo in cui non si acquistano meriti ma soltanto colpe eterne presso la memoria dei posteri, questo è il settore della Scuola e dell'Università.
Non ne conosciamo le cause, ma il fenomeno esiste. Da decenni assistiamo ad un progressivo, inesorabile logoramento della cultura scolastica ad ogni livello, per cui soltanto lamenti circolano tra gli specialisti ingenui ed onesti. Mentre quelli furbi e politicamente impegnati tacciono od al massimo sorridono: non per non compromettersi, ma perché spesso, troppo spesso si considerano depositari della ricetta miracolosa.
Una volta questa ricetta miracolosa si chiamava spirito del '68, del sei politico, della contestazione globale, della cultura che non doveva essere serva del potere, ma liberare gli uomini e le donne di tutto il mondo dai bisogni primari e dalle schiavitù politiche.
Molti di quei profeti portavano i baffi alla Mao, chissà poi perché si diceva così, ma non rifiutarono mai gli agi delle comode carriere garantite dal potente di turno.
Più di recente, la "privatizzazione" doveva salvare capra e cavoli, ma i suoi benintenzionati sostenitori hanno prodotto un risultato all'incontrario: hanno privato la Cultura e la Scuola della loro essenza. Ed in assenza di essa, alle fanciulle si offre il sogno mediatico delle "veline" sculettanti, come racconta seriamente la scenetta comica che appare sullo Zelig in onda in questi mesi.
Dove un padre ed una madre si disperano perché la loro figlia, anziché seguire la pratica pedagogia di chi vede nella presenza sul teleschermo un viatico per consistenti fortune, s'intestardisce a voler studiare all'università, sgobbando giorno e notte sui libri.
C'è poco da ridere. Signora Ministro della P. I., lei che vuole ripristinare gli esami di riparazione, aspetti e speri. Le daranno di morso a parole, e forse le tireranno anche qualche cancellino. Le faranno terribili caricature con i baffi sulle lavagne. Ma non se la prenda.
Sia che riesca sia che non riesca ad attuare i suoi progetti, non si illuda: non potrà ulteriormente aggravare lo stato di salute di "cuesta squola".
Forse soltanto non producendo nulla, avrà qualche debole speranza di non far peggiorare le cose.
Tanto, i buoni cervelli debbono fuggire all'estero, gli studenti meritevoli se vogliono trovare un posto debbono farsi raccomandare, come sfacciatamente prefigura anche uno show "leggero" della Rai, per non dire dei tanti asini che siedono nelle cattedre a tutti i livelli: di essi si fa garante la burocrazia dei partiti politici e delle organizzazioni extrascolastiche che hanno tante etichette ma un solo scopo. Sistemare i loro pupilli.
E con tutto quello che ci succede attorno nella Cultura, nella Scuola e nell'Università, lei signora Ministro avrebbe anche il coraggio di far pagare i debiti ai debitori?
"Rimetti a noi i nostri debiti..." è una preghiera che molti in Italia non indirizzano al Padreterno, ma al potente di turno. Chissà perché hanno sempre trovato ascolto, sia che il potente fosse di destra sia che fosse di sinistra.


Sempre nel giugno 2008, sullo stesso blog della Stampa, era apparso questo altro mio altro post:
Carta canta
Le cronache odierne che annunciano la scomparsa di François Fejtö, mi rimandano nella memoria a quando i suoi articoli cominciarono ad apparire in Italia. Se non erro sul "Carlino" diretto da Giovanni Spadolini (1955-68).
Allora i quotidiani storici come il foglio bolognese, avevano la dignità di fare un prodotto eccellente sotto tutti i punti di vista. Oggi sono pagine colorate e strillate che allontanano dalla lettura.
Fejtö con uno stile non abbordabile facilmente da parte di noi imberbi ragazzini, insegnava a decifrare la storia, ad avere confidenza con certi problemi che la scuola neppure lontanamente toccava.
In terza e quarta magistrale ho avuto due ottimi insegnanti di Lettere. Tutti presi dalla Letteratura trascuravano con spaventosa impudicizia l'insegnamento della Storia.
Conservo ancora i libri di quest'ultima materia: il volume del glorioso Saitta di terza, in certi capitoli ha l'annotazione di mano mia (e volontà del docente), "Saltare".
Riaprendoli adesso mi vergogno non di quella scritta ma del taglio, che ci privava di antefatti e punti di collegamento.
A quello che la scuola non poteva o non voleva dire, cercavo timidamente di porre riparo leggendo libri e giornali. La domenica era il giorno sacro, con il pomeriggio tutto dedicato a sfogliare carta.
Non mi piaceva andare a ballare come facevano molti compagni di scuola, preferivo leggere. Non so se sia servito a qualcosa. Se è servito, il merito va soltanto a chi scriveva su quei giornali, a chi li cucinava bene o male secondo gusti e tendenze dell'epoca, a chi tutto sommato ci apriva la mente per capire qualcosa del mondo.
Tra quelle antiche firme, c'è appunto Fejtö morto quasi a cent'anni, a rappresentare con la sua vita quasi una sintesi dei drammi di un secolo.
Per chi come me ha "il mal della carta", non andava dimenticata la notizia della sua scomparsa. Anche per dirgli timidamente un grazie per quanto la sua lettura può averci insegnato. Non erano giorni facili. Il muro di Berlino si allungava nelle piazze delle città e dei paesi, persino nelle famiglie. Su "Candido" Giovannino Guareschi metteva in solenne e seria caricatura le contrapposizioni in una celebre rubrica "Visto da destra, visto da sinistra". Ancora oggi quei testi potrebbero insegnare qualcosa, soprattutto il fatto che l'odio politico aveva prodotto il dramma del conflitto mondiale, la persecuzione contro gli ebrei, le vendette del dopoguerra...
Poi qualcuno negli anni Settanta si divertì a giocare alla rivoluzione, e furono altri morti ed altri drammi.
Ma anche la politica ci mise del suo. Ieri sera su Iris hanno trasmesso "Un eroe borghese", un film che ha tradotto sullo schermo la tragedia dell'avvocato Giorgio Ambrosoli già narrata da un bel libro (omonimo) di Corrado Stajano (1995). Il volume nel titolo recava questa frase: "Il caso dell'avvocato Ambrosoli assassinato dalla mafia politica". Dove non sai se sia più terribile il sostantivo mafia o l'aggettivo che l'accompagna. Il loro incontro è uno di quei temi ricorrenti dei quali si parla ancora oggi.

Per altri amarcord scolastici, vedere alla pagina sulla "Scuola degli anni Sessanta".



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