Antonio Montanari
Il tempo del Tempio malatestiano
Indagine storica di Angelo Turchini in un libro di mille pagine
Riminilibri, aprile 2000
Mille pagine. Tante ne conta il nuovo libro che il prof. Angelo Turchini (docente di Storia moderna all'Università Cattolica di Milano) ha intitolato "Tempio Malatestiano, Sigismondo Pandolfo Malatesta e Leon Battista Alberti". Il volume, un monumento esso stesso come l'oggetto dell'indagine che sviluppa, è stato presentato venerdì 14 aprile al Museo della Città, con una riuscita manifestazione nel corso della quale hanno parlato i professori Giancarlo Ardenna, ordinario di Storia medievale all'Università Cattolica di Milano, Pier Luigi De Vecchi, preside della Facoltà di Lettere all'Università di Macerata, e Paolo Prodi, ordinario di Storia moderna all'Università di Bologna. Moderatore è stato Marco Ferrini.
Il testo è stato pubblicato da "Il Ponte Vecchio" di Cesena nella collana "Mirabilia Urbis" con il sostegno dell'Associazione Adiuncta, istituzione 'no profit' presieduta dal prof. Giampaolo Corabi, tra l'altro nota per aver depositato nel Museo cittadino, lo scorso anno, un prezioso piatto di maiolica riminese di metà Cinquecento. In tale collana Turchini è già presente con altri due titoli: "Il Trecento riminese in Sant'Agostino a Rimini" e "Il Tempio distrutto. Distruzione, restauro, anastilosi del Tempio Malatestiano, 1943-1950.
In occasione della presentazione, editore e sponsor hanno anche curato un 'libretto di sala' in edizione numerata (250 copie), contenente il saluto di Corabi, una lettera dell'Alberti a Matteo De' Pasti sul Tempio, un brano di Roberto Valturio su Sigismondo, lo spartito del mottetto attribuito a Lubdicus de Arimino su testo della petrarchesca "Epistola all'Italia" ("Salve cara Deo tellus…"): il brano (inedito in epoca contemporanea) è stato eseguito dal soprano Daniela Uccello, accompagnata da Gabriele Zoffoli, violoncello, e Massimo Ghetti, flauto in sol. Dietro il palco degli oratori risplendeva la facciata del Tempio, realizzata da Alessandro La Motta con una tecnica particolare di collage di legni, e già esposta in una recente mostra tenutasi a Palazzo Gambalunga.
Il saluto del 'libretto', che Corabi ha personalmente letto ad apertura della manifestazione, tratta di alcuni aspetti della società riminese contemporanea: "Troppo spesso assistiamo ad un tentativo di centralizzazione culturale e finanziaria, gestita più o meno segretamente, quasi a livello lobbistico, nella quale non sono benvenuti coloro che non rispettano le gerarchie del potere, non quello politico o giudiziario, ma piuttosto quello non scritto e segreto che da troppo tempo sta governando la sociologia riminese".
Gli oratori invitati a presentare l'opera di Turchini, ne hanno esaminato alcuni aspetti specifici. Ardenna ha parlato soprattutto del contributo di novità che questo ampio lavoro porta agli studi storici, sottolineando come da esso risulti la "dimensione evolutiva" del progetto del Tempio albertiano.
Se Ardenna definisce "immagine medievale" quella contenuta nell'affresco di Piero della Francesca con Sigismondo inginocchiato davanti a San Sigismondo, De Vecchi considera il linguaggio pittorico di quest'opera "d'una modernità strepitosa".
Paolo Prodi infine si è soffermato sull'interpretazione 'revisionistica' che Turchini dà della figura di Sigismondo Pandolfo, di cui non ricorderebbe a sufficienza, per un eccesso di simpatia umana, le cose compromettenti: ma, aggiunge Prodi, "dicendo ciò, so di esagerare, consapevole che questo è un libro su cui bisogna rimuginare, data la sua mole, un libro che è il più bello tra quelli scritti da Turchini".
Quali siano stati gli obiettivi principali che hanno guidato Turchini nella stesura dell'opera, lo ricaviamo dalla prefazione: "Ho rivolto il mio interesse alla storia del'edificio, con particolare riguardo alle funzioni e al contesto, al suo senso anche nel tempo lungo dei secoli, per attraversare la comprensione di un'epoca (signorile e rinascimentale) in un punto dello spazio (il Tempio e Rimini); e mi sono chiesto se è legittimo tentare una storia culturale di un monumento che, dopo l'Arco ed il ponte, assunti insieme quale simbolo della città nei sigilli comunali, è divenuto come il segno della città di Rimini".
Un capitolo che può esemplificare quanto ha scritto Turchini nella prefazione, è quello su gloria, morte ed eternità del Tempio come "chiesa sacello", dove sono approfonditi i temi fondamentali per la comprensione del progetto ideale di Sigismondo e della realizzazione concreta da parte dell'Alberti e di tutti i suoi collaboratori. In tale sezione, Turchini parte dal celebre brano contenuto nel "De re militari" di Roberto Valturio, su cui scrive: riminese di nascita (1405), Valturio fu "apprezzato consigliere di corte per tutta la durata della signoria sigismondea", tanto da essere poi sepolto in un'arca del Tempio; e rivestì "un ruolo politico di tutto rilievo nella corte riminese, essendo inserito nella cerchia dei più ristretti collaboratori del signore, ma risulta anche apprezzato e raffinato cultore di lettere ed arti".
Il brano di Valturio racconta anche la struttura 'ideologica' del Tempio, accennando alle immagini che "possono allettare gli osservatori eruditi e quasi del tutto estranei al volgo". In questo particolare sta uno dei segreti della costruzione albertiana, attorno alla quale si svolge l'indagine di Turchini che, per la prima volta, raccoglie tutte le fonti storiche e documentarie disponibili attualmente per 'leggere' il monumento riminese che è simbolo della cultura umanistica e proiezione autobiografica del Signore di Rimini.
Il lavoro di Turchini ha richiesto vari lustri di applicazione, studio e ricerca. L'autore lo ha voluto dedicare alle memoria del padre ("che sarebbe stato felice di sfogliarlo anche come geometra") e della madre recentemente scomparsa ("che lo aspettava, ma non ha fatto in tempo a vederlo"), agli amici ed anche "ai concittadini riminesi amanti della storia della città". Questi ultimi erano presenti numerosi nella Sala del Giudizio del Museo, al contrario delle autorità istituzionali.
Il nuovo libro di Angelo Turchini sul Tempo Malatestiano pone un piccolo problema che, se si vuole, può anche esser definito provinciale: perché un'opera così importante è uscita presso un editore cesenate, e perdippiù senza alcuno sponsor ufficiale della città di Rimini?
Onore al merito del "Ponte vecchio" di Cesena per l'idea, la collana, e tutto: ma occorrerebbe fare anche una piccola e non passeggera riflessione sul problema della gestione della cultura riminese.
Per quanto riguarda l'editoria stessa di Rimini, i risultati non sono sempre molto confortanti, perché anche certe iniziative 'clamorose', alla fine, non risultano sempre affidabili, sotto il profilo scientifico, in tutti i risultati particolari: cioè esistono alcune opere che proprio non meritavano la pubblicazione.

Antonio Montanari
il Rimino Riministoria. 0522/2417

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