Antonio Montanari

San Lorenzo in Strada, angolo d'Europa: don Giovanni Montali scrittore

Don Giovanni Montali è nato nel 1881 a Canonica, frazione del Comune di Santarcangelo di Romagna, in una famiglia povera e legata alla terra. A 18 anni è entrato in Seminario a Rimini dove, come lui stesso scriverà, fu "attirato subito dagli studi sociali: erano gli anni in cui si propagava in Italia l’ideale della Democrazia Cristiana", per opera soprattutto di don Romolo Murri.
Ordinato sacerdote il 22 settembre 1906, è stato cappellano a San Martino Montellabate per una ventina di mesi, poi il 18 luglio 1908 si è trasferito a San Lorenzo in Strada, in aiuto all’arciprete don Leonardo Leonardi, autore di varie opere teologiche, che scompare ottuagenario il 23 marzo 1912, dopo esser stato parroco di San Lorenzo per 53 anni. Gli succede lo stesso don Montali, in virtù della "promessa verbale" fattagli nel 1908.
Nel 1912, a San Lorenzo ci sono 305 famiglie, per un totale di 1.967 persone. È molto forte l’emigrazione, in questo piccolo borgo popolato da mezzadri, operai e qualche pescatore. Sul periodico cattolico riminese L’Ausa, nel 1903 si è scritto che quella "contrada" negli ultimi anni era stata funestata "da moltissimi fattacci di sangue con inaudite violenze e prepotenze".
Il primo incontro di Montali con il pensiero di Murri è avvenuto quando aveva 21 anni, nel 1902, attraverso le colonne dell’Ausa e l’insegnamento di due sacerdoti, don Gerolamo Mauri (protagonista di numerose battaglie in difesa di Murri), e don Pietro Polazzi. A Murri in Romagna hanno fatto capo, sin dalla fine del secolo scorso, intellettuali e sacerdoti impegnati contro l’"immobilismo" dei cattolici: essi si richiamavano alla Rerum Novarum (1891) di Leone XIII. Nel 1902 è stato organizzato a San Marino un incontro interregionale con don Murri, il cui discorso fu definito sull’Osservatore romano "riprovevole e degno di censura". Murri aveva spiegato che libertà e Cristianesimo sono inscindibili, parlando "in un vasto piazzale, sotto la seconda rocca", poiché il parroco della cattedrale, forte anche dell’appoggio dei Capitani reggenti, gli aveva impedito di leggere il discorso in chiesa.
La cultura sociale, rivista fondata da don Murri nel 1898, ha poi messo a contatto il giovane Montali con le nuove tendenze teologiche e bibliche, tanto diverse dalla mentalità che egli incontrava nei sacerdoti più anziani, tra cui il rettore del Seminario mons. Antonio Pallotta che lo aveva rimproverato per averlo scoperto con molte copie della Rerum Novarum da diffondere tra i compagni di studi. Mons. Pallotta in tono burbero gli aveva detto: "Questa non è lettura da seminaristi".
Nel 1905 don Murri ha fondato una Lega democratica nazionale, a cui aderisce anche don Montali. Nel 1906 Pio X condanna la Lega democratica, e L’Ausa non entra più in seminario a Rimini. L’anno successivo il papa sospende a divinis don Murri, poi scomunicato il 22 marzo 1909.
 
 
2. Le voci della Francia.
Quei lontani momenti giovanili di studi e letture pongono le basi del futuro lavoro intellettuale di don Montali che, negli anni Trenta, si getta con grande entusiasmo a tradurre i due grossi volumi del benedettino padre Paolo Delatte di Solesmes sulle Lettere di San Paolo, inquadrate nell’ambiente storico degli Atti degli Apostoli. L’opera è tradotta in due tempi: il primo volume apparve nel 1935, il secondo nel 1953.
Don Piergiorgio Terenzi, scrittore dalla vigile coscienza morale e parroco a San Lorenzo dal 1981 al 1994, ha sottolineato che don Montali si dedicò con "lunga e sofferta consuetudine" ad autori francesi (Delatte, Duperray, Montillet, Grimal, Amiot), appartenenti "tutti più o meno della corrente di pensiero biblico di Lagranges". Lagranges, "da pioniere del mondo cattolico, sosteneva che la Chiesa cattolica non aveva nulla da temere nei confronti dei nuovi metodi interpretativi della Sacra Scrittura particolarmente in auge nel mondo protestante. Pur con qualche richiamo alla prudenza, Lagranges non fu mai condannato, anzi con Pio XII le sue idee divennero dottrina ufficiale".
Aggiunge don Terenzi che un secondo ambito di interesse, in don Montali, è quello sociale: "Spiccano in proposito sia il Commento alla Rerum Novarum del Tiberghien, sia, ancora di più, il libro poi diventato un classico: La teologia delle realtà terrene di Gustavo Thils. Merita una nota a parte il libro del Philipon: I sacramenti nella vita della Chiesa, edito dalla Morcelliana". Infine c’è "il terzo settore, quello della spiritualità", assai vasto e vario: "Da un libro su La Madonna del Cordonnier si passa a Maria Maddalena del padre Désiré des Plaches".
La scuola biblica francese, spiega ancora don Terenzi, era "allora all’avanguardia e le traduzioni di tali opere portarono un rinnovamento biblico anche nell’ambiente culturale ecclesiastico italiano". L’attività di don Montali mira a collegare la realtà del nostro Paese con quella d’Oltralpe. Ciò è verificabile anche in alcune collaborazioni anonime, ma sicuramente dello stesso don Montali, apparse nell’Ausa all’inizio del secolo: il necrologio per don Leonardi e la notizia sugli esercizi spirituali del febbraio 1913. Entrambi gli articoli contengono idee caratteristiche del parroco di San Lorenzo, e riflettono le istanze presentate dalle nuove correnti del pensiero religioso europeo, soprattutto francese.
Il necrologio ricorda che don Leonardi non fu mai "straniero alla società che avanza". A proposito delle conferenze di don Diolaiti e don Tamburlani agli esercizi spirituali, si presenta della Chiesa un’immagine non statica ma dinamica, quando si dice che i due oratori hanno "illuminato il popolo su quello che ha fatto per l’umanità la religione cattolica", e si aggiunge che essa ha risposto "sempre ai bisogni nuovi" della società: senza la Chiesa non è "possibile quel progresso morale che deve camminare di paro col progresso materiale dei tempi nuovi".
San Paolo era sempre stato per don Montali "una "figura prediletta"". Il parroco di San Lorenzo, "vigoroso, dinamico, tenace, combattivo, sognava non di emularlo ma almeno di percorrere una, o due, o tre delle sue grandi orme": così scrisse nel 1953 un altro battagliero prete ed intellettuale di Rimini, don Domenico Calandrini, nel recensire il secondo volume della traduzione del libro di padre Delatte.
Purtroppo non possediamo molti documenti che ci permettano di indagare in tutti i dettagli la fatica di don Montali. Nella prefazione al primo volume (1935), egli stesso dichiara di aver lavorato "nella relativa tranquillità campestre di S. Lorenzo in Strada nei ritagli di tempo non impegnati nel ministero sacerdotale". Don Montali aggiunge una dedica al concittadino santarcangiolese padre Pasquale Tosi, nel centenario della sua nascita. Missionario nelle Montagne Rocciose e "nelle regioni più lontane dell’Alaska", padre Tosi fu anche un pregevole studioso: in lui, osserva don Montali, "ancora una volta la religione e la cultura si sono date l’abbraccio".
Quest’ultima affermazione la possiamo applicare anche al sacerdote di San Lorenzo. Succede spesso che nelle biografie altrui si riversino aspetti autobiografici dell’autore. Così è per don Montali. Per lui, religione e cultura debbono darsi l’abbraccio. E cultura, per il nostro sacerdote, significa chiarezza di linguaggio, certezza nella documentazione, sicurezza massima nella comprensione e nella spiegazione degli argomenti.
Tradurre significa compiere non una facile operazione meccanica, ma reinventare un testo in una lingua diversa, e ciò richiede delle qualità possedute soltanto da chi, in proprio, sa maneggiare la penna. Non si è veri ed onesti traduttori, se prima non si è consapevoli scrittori, non tanto per evitare gli ovvi tranelli della versione linguistica, quanto per non tradire lo spirito e le intenzioni dell’autore originale. Essere scrittori significa poi dominare la materia, oltre che per ricercare fonti e supporti da inserire come note al testo, proprio per dare anima alle idee, e farle vivere nella concreta ed autonoma realtà della pagina scritta.
Nella biblioteca parrocchiale di San Lorenzo esiste ancora l’originale francese del libro tradotto da don Montali: in esso, troviamo le annotazioni al margine della pagine che testimoniano la paziente ricerca di una padronanza espressiva a cui don Montali mirava con ammirevole tenacia, avvolto dalla nebbia dei suoi sigari.
In una lettera del 1934, la cui copia dattiloscritta si è salvata assieme a poche altre pagine di don Montali durante il furioso passaggio del fronte nel 1944, l’arciprete di San Lorenzo scrive in francese all’abate di Solesmes per avere notizie di padre Delatte, che chiama il suo "maestro di sacra Scrittura". Questa lettera documenta il rapporto culturale che don Montali intreccia con un ambiente europeo. Rapporto che dovette essere frequente, dato che nella missiva si accenna a precedenti corrispondenze e ad una traduzione fatta da don Montali di una lettera circolare inviatagli dallo stesso abate di Solesmes.
Questa lettera del 1934 contiene anche l’annuncio della stampa del primo volume della traduzione del San Paolo di padre Delatte, per il quale don Montali chiede "une copie des jugements plus importants donnees par la presse catholique sur ce travail: jugements qui sont très precieux pour orienter d’avance les ecrivains catholiques de ma nation". Don Montali riesce così ad allacciare ad un contesto internazionale la realtà italiana, costretta anche in campo culturale a vivere secondo i dettami nazionalistici del fascismo.
È qui che possiamo sottolineare un altro aspetto dello scrittore Montali. Cultura significa anche impegno politico. Ma ciò è meglio verificabile in un altro settore del lavoro del nostro sacerdote: in quelle collaborazioni apparse sul riminese Diario Cattolico tra 1933 e 1938.
 
 
3. Notizie della Germania.
La Chiesa domanda "che per evitare il più possibile i pericoli di una guerra, che condurrebbe su tutto l’universo un cataclisma spaventoso e forse il suicidio della civiltà cristiana, tutti gli uomini si uniscano per creare nel mondo una atmosfera di pace. Questo è il desiderio del nostro grande Papa Pio XI, tali sono le vere direttive pontificie". Così scrive don Montali nel 1933 sotto il titolo "Chiesa e Patriottismo".
Due anni dopo don Montali affronta il problema della Chiesa e del nazismo, con parole di fuoco: "È interessante sottolineare la correlazione insigne che sembra aver condotto la Provvidenza tra il pericolo spirituale del razzismo pagano e il XIX Centenario della Passione del Cristo, celebrata dalla Chiesa come rimedio ai mali del secolo e sorgente di rinascita del puro spirito cristiano. Tra l’azione secondo Hitler e l’azione secondo Pio XI regna un abisso insormontabile il cui punto di rottura è la Croce".
A questo punto, don Montali cita il Mein Kampf (La mia battaglia), opera pubblicata in due parti nel ’25 e nel ’27, ove Hitler "accondiscende a concedere al Cristo lottatore la stima che egli rifiuta al Cristo martire". A proposito di quest’affermazione, don Montali osserva: "Questa dissociazione mostruosa tra il Cristo vincitore e il Cristo sofferente, questo paradosso odioso di un cristianesimo in cui non sarebbero conservate che le parti eroiche", è stata ripresa da Alfred Rosemberg (il teorico della gerarchia tra le razze, che prelude alle leggi antisemite), posto dal führer "alla testa dell’educazione e della cultura in Germania".
L’attenzione di Montali verso il mondo tedesco è dimostrata da altri scritti: il 21 marzo ’35 appare l’articolo "I cattolici in Germania". Leggiamone qualche passo. Nel Paese del führer "è esplicitamente proibito appartenere nello stesso tempo alla "Gioventù hitleriana" e a una associazione della "Gioventù Cattolica"", e senza appartenere alle organizzazioni ufficiali, non si trova posto e non si fa carriera. L’articolo cita poi "commoventi episodi della fedeltà che i giovani manifestano verso le opere cattoliche", e ricorda "gli incidenti deplorevoli causati dai giovani hitleriani", definendoli come fatti che "non cambiano nulla" nella sostanza della fede, pur nella loro gravità. Ci sono stati anche omicidi, oltre a molte incarcerazioni. Viene poi rammentato il "massacro" del 30 giugno, dove ha perso la vita Adalberto Probst, presidente di un’associazione sportiva con 300 mila iscritti. Probst fu rapito. Alla sua famiglia, moglie ed un figlio neonato, dopo un silenzio di due settimane furono restituite le ceneri.
Il secondo articolo ("La posizione dei Cattolici in Germania", 21 settembre ’35), riprende la Lettera pastorale dei vescovi tedeschi in cui si sostiene che, quando le leggi "sono contrarie al diritto naturale e ai comandamenti di Dio, si deve obbedire a Dio prima che agli uomini". Scrive don Montali: "I Vescovi si soffermano con molta insistenza sui valori umani, sociali del cattolicismo, e mostrano con un vigore dialettico che colpisce profondamente le masse, le benemerenze della fede cattolica nella vita famigliare, sociale e nazionale".
Quando nel ’33 don Montali ricordava la condanna da parte della Chiesa degli "egoismi nazionalistici", immaginava già lo scenario internazionale che poi si sarebbe venuto a creare: quello del vecchio imperialismo (che appare pur sempre una teoria venata di razzismo, imperniato com’è sul principio della superiorità di determinate razze e nazioni nei confronti degli altri popoli; e che pertanto è sostanzialmente anticristiano).
L’attenzione che don Montali dedica al mondo tedesco si spiega con il ruolo che drammaticamente Hitler si accingeva a svolgere in Europa, nella distruzione del continente attraverso la guerra. Ma parlare di fatti che avvenivano al di là delle nostre frontiere, era pure un modo di aggirare gli ostacoli della censura nazionale e di trattare di problemi anche italiani.
Le difficoltà per i cattolici resistenti al fascismo erano notevoli. Abilmente, don Montali ripropone il pensiero di Leone XIII, considerato "socialista" dai benpensanti, in un momento in cui l’egualitarismo fascista del ’19 aveva ceduto il posto al trionfo del capitalismo agrario ed industriale nel regime che governava l’Italia. Questa prospettiva può trovare conferma dagli articoli sulla Gioventù Operaia Cattolica (definita "l’Evangelo per il mondo moderno dei giovani lavoratori"), che don Montali pubblica nel ’36, in occasione del congresso giubilare dell’associazione.
Nel 1937, il 16 aprile nel Diario cattolico esce un altro articolo di don Montali sui fatti tedeschi: ad Oldebourg il governatore è stato costretto dalla protesta dei cattolici a ritirare il decreto con cui aveva proibito l’esposizione del Crocefisso nei locali pubblici e nelle scuole. Ancora una volta, don Montali cita le teorie di Alfred Rosemberg, esposte nel Mito del secolo 20., secondo cui il segno della Croce doveva scomparire non solo dalle vie e dagli edifici aperti al pubblico, ma anche dalle stesse chiese.
Don Montali ricorda a questo punto la "magnifica" enciclica di Pio XI Mit Brennender Sorge (Con affannosa cura), pubblicata pochi giorni prima, il 17 marzo ’37. L’enciclica ha come tema la persecuzione religiosa in Germania, e dichiara il carattere anticristiano del razzismo: i comandamenti di Dio, vi si legge, sono "indipendenti da tempo e spazio, da regione e razza". Inoltre, essa denuncia le violazioni del Concordato con la Chiesa cattolica, firmato da Hitler il 20 luglio ’33.
Nello stesso numero del Diario cattolico, esce a pagina due una nota (siglata D. M. cioè don Montali), a proposito di un libro apparso in Germania, La guerra integrale. Ne è autore il generale Erich Ludendorff (1865-1937), che propone la teoria di un conflitto da scatenare all’improvviso, senza alcuna dichiarazione preventiva, ed adoperando tutti i più terribili mezzi a disposizione. Il risultato sarebbe quello di sterminare la popolazione civile oltre ai militari, scrive don Montali, aggiungendo che questa guerra integrale è quella "di Satana contro Dio". Ludendorff si è fatto anche sostenitore, si legge nell’articolo, di una "religione tedesca" in opposizione a Cattolicesimo e Luteranesimo. (Negli anni Quaranta in Germania, fu fondata una Chiesa nazionale del Reich, come una specie di neopaganesimo di Stato.)
Don Montali pagherà duramente, anche se in maniera indiretta, la sua opposizione alla politica del fascismo. In una lettera ad Andreotti del 1958, egli ricorda: "Debbo la mia salvezza a due operai di Riccione, i quali vennero da me per dirmi che se mi volevo salvare la vita dovevo scappare immediatamente: avevano saputo quello che si era ordito contro di me che non ebbi mai simpatia per il fascismo e i suoi alleati. E scappai". A San Marino, come altri centomila italiani. Era la sera del 20 giugno 1944. Nella stessa lettera, don Montali confida ad Andreotti: "Fin dalla mia giovinezza, ormai lontana, ho sempre combattuto per la libertà e per la democrazia, senza mai deviare, anche se ho incontrato giorni penosi".
Prima del passaggio del fronte (San Lorenzo è presa dai greci il mattino del 15 settembre 1944), i fratelli di don Montali, Giulia e Luigi, di 59 e 66 anni, sono uccisi e poi gettati in un pozzo nei pressi della canonica. Assente il parroco, si è rivolta contro i suoi fratelli la brutale violenza dei repubblichini e degli inseparabili camerati tedeschi, dei quali le camicie nere di Salò si servivano per compiere le proprie imprese. Don Montali fu informato a San Marino, ma poté far ritorno a casa soltanto ai primi di ottobre.
 
 
4. Un inedito su Romolo Murri.
Un’altra battaglia "per la libertà e la democrazia" fu, come si è visto, l’adesione al pensiero di don Romolo Murri su cui scrisse don Montali nel 1944: "A lui è toccata la sorte del soldato più coraggioso, più ardito che si lancia alla lotta contro il nemico e che gli vien fatto d’esser colpito dalle proprie artiglierie, le quali non hanno adeguato il tiro con giustezza; e anziché colpire l’avversario colpiscono il proprio soldato".
Dopo la scomunica, Murri ebbe contatti segreti con la Chiesa proprio per mezzo di don Montali. Stelvio Murri, figlio di Romolo, raccontava di sporte "di salami, farina e zucchero", portate nella sua abitazione di via Sant’Alessio a Roma da don Montali. Secondo Lorenzo Bedeschi, don Montali quando si recava a casa Murri, per "sfuggire i controlli della Curia ed evitare sanzioni ecclesiastiche, indossava la "saccona" da cacciatore". Ma da un altro nipote di don Montali, don Michele Bertozzi, sappiamo che Don Montali "aveva il permesso della Santa Sede, perché Murri era uno scomunicato". E che portò a Murri pure un aiuto economico inviato dal pontefice Pio XII.
Don Carlo Savoretti ci ha ricordato che se "Murri è morto nella comunione della Chiesa, è opera di don Montali, che preparò tutto e mantenne Murri sulla via della carità cristiana" e che, secondo don Montali, Murri era stato condannato non per questioni dottrinarie, ma soltanto dal "lato politico". Quando arrivò la lettera di Murri che annunciava il suo ritorno alla Chiesa, ci ha raccontato don Walter Bacchini, don Montali "scoppiò in un pianto da bambino".
In un suo memoriale del 1945, don Montali considerava la condanna di Murri "contraria allo spirito della carità cristiana se non anche della giustizia". Purtroppo delle lettere di Murri a don Montali, consegnate da quest’ultimo a Bedeschi, si è persa ufficialmente ogni traccia. Quelle di don Montali a Murri, possedute dallo stesso Bedeschi, attendono di essere pubblicate.
E proprio Murri è protagonista di una pagina che don Montali scrisse nel 1954 per IlPopolo. In essa don Montali rievoca gli incontri con Romolo Murri, sorvolando sul ruolo svolto nei suoi confronti e sui soccorsi non solo spirituali prestatigli. È l’ultima fatica del parroco-letterato che non ebbe però la soddisfazione di vedere pubblicato quello scritto che mirava a riabilitare, storicamente e politicamente, un personaggio ancora scomodo per tanti motivi.
Don Montali si spegne il 9 novembre 1959. Nell’Orazione funebre composta da don Carlo Savoretti, si legge questo efficace profilo del prete-scrittore: "Ingegno forte ed aperto, ebbe una spiccata passione per lo studio, specialmente delle scienze teologiche, ascetiche e sociologiche. Pur nell’intensa occupazione e preoccupazione delle cure pastorali, sapeva trovare il tempo per lo studio. Passava le sue notti a leggere, a scrivere, a tradurre".

NOTA.
Tutte le citazioni qui riportate, sono tratte dal volume: A. Montanari, Una cara "vecchia quercia". Don Giovanni Montali. Biografia, Il Ponte, Rimini 1993, pp. 304.

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Antonio Montanari
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Pagina 0299, creata 06.08.2000. Rev. grafica 23.05.2014