Antonio Montanari,
Scienza e Carità

L'istituto San Giuseppe per l'Aiuto Materno e Infantile e l'ospedalino dei bambini di Rimini. Dalle origini al 1944.
Rimini, 1998

Premessa
Bambini. La retorica dei buoni sentimenti li vuole giustamente rispettati ed amati. La cronaca degli eventi quotidiani li vede invece di continuo protagonisti di vicende avvilenti, umiliati ed offesi, in ogni parte del mondo, e a volte non fa differenza che si tratti di Paesi ricchi o poveri, anche se in questi ultimi il degrado sociale è maggiore.
Le nostre pagine racconteranno la nascita e lo sviluppo di un’istituzione riminese legata alla vita del bambini, l’Aiuto Materno.
La storia di una città è come un piccolo torrente rispetto al gran fiume della Storia che narra altri argomenti, in un orizzonte più ampio e complesso. Rintracciare i rivoli che, come l’Aiuto materno, alimentano quel torrente cittadino, è impresa che potrebbe apparire superflua od accademica. Ma non è così. Le piccole azioni costruiscono, inosservate ma incancellabili, la grande Storia.
Delineare il profilo dell’Aiuto Materno significa pure rilevare i confini entro cui si è mossa e si muove la vita sociale ed economica di una comunità nel contesto nazionale.
Questa è l’intenzione che ci ha guidato nell’esporre i documenti che attestano l’attività dell’Aiuto Materno, iniziata nel 1910.

Abbreviazioni usate nel testo
AAM = Archivio Aiuto Materno [fino al 1971 esisteva un archivio unico presso l’USL di Rimini]
ADC = Archivio di Deposito Comunale, Archivio Generale del Municipio di Rimini
ASC = Archivio Storico del Comune di Rimini [in ASR]
ASR = Archivio di Stato di Rimini
BGR = Civica Biblioteca Gambalunghiana di Rimini
MRi = Municipio di Rimini

1. I problemi dell’infanzia. Breve viaggio nel passato di Rimini

Di bambini parla uno dei più antichi documenti riminesi sulla pubblica "assistenza", l’atto del 26 giugno 1486 con cui undici ospedali cittadini vengono uniti a quello di Santa Maria della Misericordia in contrada di Santa Maria in Corte, detto "de Arimino" per distinguerlo dall’omonimo "de Burgo S. Juliani". Il documento elenca le categorie alle cui necessità gli ospedali dovevano prestare soccorso: poveri, infermi, pellegrini, fanciulli, vedove ed altri miserabili.
Si è da poco chiusa l’età di Sigismondo Pandolfo Malatesti, scomparso il 9 ottobre 1468 a cinquantuno anni di età, e dopo trentacinque di governo. Signore di Rimini è Galeotto Malatesti. Nel 1482 è stato nominato da Sisto IV tutore di Pandolfo, figlio di Roberto il Magnifico, che aveva sette anni. Galeotto ha appena fortificato il Borgo del Porto e, per migliorare la pubblica igiene, ha fatto selciare di nuovo tutte le vie della città. La decisione di riorganizzare l’attività ospedaliera, egli la prende assieme ai personaggi più in vista di Rimini, al fine di eliminare quelle carenze che, soprattutto in occasione di pesti e di epidemie, danneggiano bisognosi od ammalati. Viene costituito un patrimonio collettivo, da utilizzare al meglio per il bene comune.
Galeotto prosegue una politica di sostegno delle opere pie già avviata da Malatesta da Verucchio (1212-1312), primo Signore di Rimini, che "largheggiò di legati" a favore "di ogni ospedale". La figlia di Malatesta da Verucchio, Simona, nel 1355 fa costruire ed ornare un’infermeria "ad usum fratrum infirmorum" di Sant’Agostino. Carlo Malatesti verso il 1404 riedifica alla Colonnellina in centro città l’ospedale di Santo Spirito (sorto all’inizio del XIII secolo fuori di Porta Romana), con annesso oratorio; e ne affida i possedimenti ai frati di San Lorenzo in Monte, "ai quali poco appresso [1420, n.d.r.] succedettero i Monaci Olivetani di Scolca".
L’Ospedale della Misericordia è sorto nel XIV secolo lungo il Corso d’Augusto, all’angolo con la strada tuttora detta di Santa Maria in Corte, davanti alla chiesa dei Servi. Del complesso edilizio fa parte anche la chiesa (attualmente sconsacrata) di Santa Maria ad Nives che, rinnovata nel XVIII secolo, chiusa nel 1809 e riaperta nel 1814, "ebbe sotto cura l’antico suo Spedale, oggi [1880, n.d.r.] ad uso delle invalide, le sale di maternità, le Esposte, che abitavano il locale oggi Lazzaretto presso la Chiesa di S. M. in Corte, ed altre adiacenze; non che l’Ospedale grande degli infermi, tuttoché posto nel luogo che fu de’ Gesuiti". [1]
Nel Sito Riminese, storia della nostra città apparsa nel 1616, Raffaele Adimari scrive: l’"Hospitale della Misericordia", pur avendo "buonissima intrata di molte possessioni […] nondimeno è aggravato di tanta spesa, che li bisogna fare, nel governare li poveri ammalati, e far nutrire a Balie tanta quantità di creature, che li sono portate non solo dalla Diocesi, e Territorio Riminese: ma fino dall’Alpe, e altri luochi lontani, che arrivano, e passano alle volte due centenera di creature havendone poi anco cura, e mantenendoli dopo, che sono grandi i Maschi, facendone imparar’arte, e le Femine maritandole con dote conveniente: sì che à pena quell’intrata grande, c’hanno, può supplire a sì grave spesa".
Aggiunge Adimari : "Ultimamente è stata introdotto da pie, e devote persone, la santa, e pia opera, di raccogliere li poveri Orfanelli, e Orfanelle della Città, e Diocesi, somministrandoli il vito, e Maestri, che nè abbino cura, e li è stata concessa l’Habitatione dall’Hospitale della Misericordia, à quali concorrono assai elemosine per la lor soventione". [2] Ancor oggi sulla facciata della chiesa di Santa Maria ad Nives, esiste la buca usata allora per introdurre, come dice l’iscrizione incisa su marmo, "Elemosine e Resti all’Hospitale M[isercordia]".
Adimari racconta una situazione sociale che troviamo documentata già nelle nuove Constitutioni dell’Hospitale della Misericordia della Città d’Arimino del 1584,che riformano, per opera del vescovo Giovanni Battista Castelli, quelle "antiche puoco osservate", come si legge nell’introduzione. Negli ultimi tre capitoli si parla dei putti e delle putte "che all’Hospitale dall’impietà o necessità de parenti" sono "giornalmente" esposti alla sua "rota". [3] I maschi, se hanno età inferiore a tre anni, vengono affidati alle balie. Giunti ad "età conveniente", sono avviati ad "imparare qualche essercitio" per uno o due anni.
Per le "putte" si prevedono lunghe preghiere al mattino ed alla sera. Mai esse potranno recarsi "nella casa dell’hospitale". A dodici anni, possono venir mandate a servizio, ricevendo un salario "per poterle maritare", a meno che non decidano di farsi monache. Comunque, "per maritarsi, o monacarsi", ogni giovane riceverà una dote in soldi e cose utili per la famiglia, in quantità che può variare da caso a caso, su delibera (con i tre quarti dei voti) della Congregatione dell’Hospitale. Se poi, sposatasi, la giovane dovesse rimanere vedova ed in povertà, potrebbe essere accolta "in una delle case dell’Hospitale", dove dovrà osservare vita "casta, e onesta". [4] Rigidamente separati debbono vivere le balie e gli altri uomini "se non quelli officiali", cioè gli addetti ai vari servizi.
Nel 1674 l’Ospedale della Misericordia è eretto in corpo morale. Nel 1762 il vescovo di Rimini card. Ludovico Valenti dà per ospiti soltanto "Figliuole", ipotizzando una futura presenza di maschi "se riguardo a questi si ritornasse al sistema antico". [5]
I "Soprintendenti alla Dispensa, e governo delle Figliuole della Casa" (che nello stesso 1762 sono i nobili Gaudenzo Zanotti e Cesare Agolanti), debbono avere "occhio, che la Maestra ne tenga buona cura, e loro insegni gli esercizj femminili, punendo quelle, che non saranno ubbidienti, e perciò procurino d’andar spesso alla visita delle medesime, osservando ancora, che non facciano vanità di ricci, balzi, o altre cose simili, ma vadino modeste, e secondo il loro povero stato". [6]
Il clima culturale e pedagogico che le "Figliuole" respirano a Rimini nell’Ospedale della Misericordia, non sembra aver nulla in comune con quello che, nello stesso secolo, caratterizza a Venezia l’Ospedale della Pietà dove, ad esempio, le orfanelle e le figlie naturali vengono educate anche alla musica con maestri come Antonio Vivaldi. [7]
Nelle pieghe delle questioni politiche e militari della prima metà del secolo XIX, scivolano inosservati i problemi sociali dell’infanzia (e delle fasce più deboli della popolazione), mentre ferve il dibattito pedagogico che ai temi illuministici oppone talora una restaurazione anche in campo filosofico e religioso, e talaltra una posizione più moderata di ispirazione cattolico-liberale. [8]
Nel 1805 proprio a Rimini viene edito un trattato di Domenico Antonio Mandini, dedicato ai problemi medico-pedagogici della fanciullezza, nella cui introduzione si legge: "L’Infanzia esser dovrebbe uno de’ più interessanti oggetti di qualunque Governo: su d’essa stendere si dovrebbero le provvide viste degli attenti Magistrati: dal trattamento di essa dipende l’oggetto principalissimo della popolazione, la quale poi determina il più, o il meno dell’industria, del commercio, e della sicurezza dello stato". [9]
Nella Costituzione della mazziniana Repubblica Romana del 1849, tra gli otto "principî fondamentali" c’è il terzo che stabilisce, come scrive lo storico Candeloro, "un generico impegno programmatico di carattere sociale": "La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini". "Un altro principio da aggiungere a questo, socialmente più impegnativo: "La Repubblica deve, secondo i limiti dei suoi mezzi, assicurare la sussistenza dei cittadini necessitosi procurando il lavoro a quelli che non hanno altro modo di procacciarsene e fornendo sussidi a coloro che non ne possono avere della loro famiglia e che sono impotenti al lavoro"", era stato proposto da Quirico Filopanti, ma non venne posto neppure in discussione perché considerato "socialista". [10]
Due anni prima, nel 1847, Antonio Rosmini ha pubblicato il Saggio sul comunismo e sul socialismo, in cui sosteneva che le nuove forme borghesi della libertà economica e del diritto di proprietà dovevano essere permeate del sentimento cristiano di carità nei confronti dei ceti più disagiati. [11]
Ha osservato il prof. Giorgio Cosmacini [12] in una interessante storia della Medicina italiana: "Alla clericalizzazione e legalizzazione della società civile corrispondeva simmetrica, ancora a metà Ottocento, una medicalizzazione che era altrettanto organica a un sistema sociale a suo modo ordinato ed equilibrato, fondato sull’etica del consenso disciplinato nel quale l’esigenza di salute, al pari dell’indigenza che spesso stava alla sua radice, era vista più come il prodotto inevitabile di una fisiologica disparità, assegnante al malato il posto che gli competeva nella scala gerarchica dei bisogni e dei beni, che come la conseguenza evitabile di una patologica disuguaglianza, che faceva scontare in termini di malattia tutta una serie di insufficienze -igieniche, alimentari, abitative, lavorative- che erano prima di tutto carenze di ordine economico".
Nel 1891 l’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII reca al cap. 11: "Certo, se qualche famiglia si trovi per avventura in sì gravi distrette che da se stessa non le sia affatto possibile uscirne, è giusto in tali frangenti l’intervento dei pubblici poteri, giacché ciascuna famiglia è parte del corpo sociale". [13] Leone XIII, come scriverà papa Roncalli, "parlò in anni di radicali trasformazioni, di accesi contrasti e di acerbe ribellioni". [14]
Durante il governo della Sinistra (1876-87), dopo il varo della legge Coppino (1877) sulla obbligatorietà dell’istruzione elementare per un biennio, viene abolita (1880) la tassa sul macinato introdotta dalla Destra nel ’69, e si allarga il suffragio elettorale (1882) dal due al sette per cento della popolazione. È deliberata nel 1877 l’inchiesta agraria (condotta poi dal conte Stefano Jacini), la quale "non diede l’avvio a quelle riforme che la particolare situazione critica della campagne italiane richiedeva". [15]
Le informazioni raccolte nel Riminese per l’inchiesta Jacini sulle "condizioni dell’agricoltura e della classe agricola", recano tra l’altro: "Non si creda che il lavoro sopportato dalle donne e dai fanciulli sia tanto grave da poter nuocere alla loro salute. […] Le donne e i ragazzi provveggono l’erba per le bestie, e fanno altri lavori ad essi convenienti". È la risposta al punto del "programma questionario" dove si chiede "se il lavoro sopportato dalle donne e dai fanciulli sia tanto grave da poter nuocere alla salute loro", e in "che ragione sta il lavoro femminile e quello dei ragazzi con quello esercitato dai maschi adulti".
Un altro punto si sofferma sul baliatico e sulla mortalità infantile: "Il baliatico è in uso nelle città e nei paesi, ove si cercano per lo più donne di campagna per far allevare i bambini. Rarissime sono le contadine che diano a balia i propri figliuoli. La mortalità dei bambini è maggiore almeno di un terzo e forse anche di metà a quella degli adulti". [16]
La contro-indagine di Agostino Bertani, deputato della Sinistra e vicepresidente della Giunta incaricata dell’inchiesta, si sofferma con maggiore attenzione sul problema infantile. Purtroppo disponiamo soltanto delle risposte del Comune di Scorticata, dove leggiamo tra le altre cose che i lattanti sono costretti nelle fasce per circa otto mesi, che non si usa allattamento artificiale, che esiste il baliatico mercenario (senza "disordine sia rispetto alla moralità, sia rispetto all’allevamento dei propri figli, sia per le malattie contratte"), e che i bambini cominciano a prestare le loro opere nei campi all’età di sette anni, astenendosi soltanto dal vangare e dal guidare l’aratro, soprattutto "nel seno delle proprie famiglie", essendo pochi quelli che vanno "fuori di casa per salario". [17]
Nel 1887 sale al potere Francesco Crispi che, mirando al rafforzamento dello Stato, attua una serie di riforme tra cui quella del 1888 sulla sanità pubblica e quella del 1890 "sulle istituzioni pubbliche di beneficenza o, come ancora comunemente si diceva, sulle opere pie, che sostituì la precedente del 1862". La legge del ’90 istituisce in ogni Comune una Congregazione di Carità, trasformata poi nel 1937 in Ente Comunale di Assistenza. [18]
All’indomani della proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, un’indagine statistica sulle Opere Pie aveva registrato per il Comune di Rimini dodici istituti, tra cui l’Ospizio degli esposti, l’Orfanotrofio Pio Felice (fondato nel 1819), le Sacre Stimmate (1826) per orfane miserabili e con scuola per figlie povere, le Orfane abbandonate (1827) per le "fanciulle esposte al pericolo della seduzione", e le Case di ricovero (1808) per fanciulle povere ed orfane. [19] Rimini nel 1861 ha in città 16.552 "anime".
Nel 1866 era stata tolta personalità giuridica ad ordini, corporazioni e congregazioni religiose, trasferendo allo Stato tutti i loro beni. Erano stati lasciati attivi soltanto gli istituti di educazione: a Rimini risultano esser quattro (le monache di San Vincenzo, quelle della Carità, il Seminario ed i Minori di San Francesco). Nel 1880 un’altra statistica aveva informato che a Rimini operavano tredici Opere Pie, delle quali tre sorte dopo il 1861, e riservate a poveri, infermi e zitelle. Nello stesso 1880, tra le spese sostenute dal Comune di Rimini, sono registrate quelle per i sussidi ad orfanotrofi ed asili infantili, e quelle per la "beneficenza" che comprendono i sussidi per baliatico, mentre nulla risulta alla voce "mantenimento esposti e fanciulli abbandonati fuori del brefotrofio". [20]
Sul finire del secolo XIX (il governo Crispi cade definitivamente nel ’96, dopo le parentesi con Di Rudinì e Giolitti tra ’91 e ’93), a Rimini le Opere Pie registrano un incremento del loro patrimonio: "la beneficenza ospedaliera ed elemosiniera e quella degli Orfanotrofi e dei Ricoveri" si è "andata sempre più accrescendo […] sia in estensione, sia in intensità". [21]

[1] Le notizie fin qui riportate e le citazioni testuali, sono tolte dalla Storia civile e sacra di Rimini in sei volumi (nove tomi), iniziata da Luigi Tonini nel 1848, e conclusa da suo figlio Carlo, con il completamento del quinto volume (1880) e la redazione del sesto (1888), ed. anast. Ghigi, Rimini 1971: cfr. il vol. III, p. 276, e pp. 339-341; il vol. IV, 1, p. 277, pp. 279-280, p. 454, p. 456, e p. 459; e il vol. V, 1, p. 96, pp. 301-309 e p. 321. (Cfr. pure V. Tamburini, Pietà e liberalità, La pubblica beneficenza a Rimini, Il Ponte, Rimini 1994, p. 14, e pp. 17-23.) La parte nosocomiale dell’Ospedale della Misericordia fu trasferita nell’ex Collegio dei Gesuiti nel settembre 1800, sotto la denominazione di Ospedale degli Infermi, per rimanervi sino al 1974, quando venne aperta la nuova sede alla Colonnella. Il Collegio dei Gesuiti, dopo la soppressione dell’Ordine (1773), venne concesso al Seminario, con la condizione che vi si dovessero tra l’altro esercitare le "opere pie"; poi fu venduto nel 1796 ai Padri di San Domenico, prima di diventare sede degli Infermi. (Cfr. Tonini, op. cit.,V, 2, p. 486; VI, 1, p. 699; V. Tamburini, op. cit.,p. 27, p. 37 e p. 86.) Sull’Ospedale della Misericordia del Borgo San Giuliano, cfr. il saggio omonimo di V. Cornacchia del 1957 [BGR, 13. MISC. CCLXXIX. 37]. Un ospedale "degli infermi" è attestato già nel 1215, mentre nel 1239, a proposito di quello di Santo Spirito, si parla di "pauperum infirmorum" (cfr. Tonini, op. cit., III, pp. 338-339). La chiesa detta Colonnellina (antico Monastero degli Angeli), si trovava all’incirca verso l’anfiteatro. Nel 1468 è ancora presente l’ospedale dei Crociferi alle Celle, documentato sin dal 1164 (Tonini, op. cit., II, 423-424).
[2] R. Adimari, Sito Riminese, Bozzòli, Brescia 1616, libro I, pp. 131-132, ed. anast. Forni, Bologna 1974. C. Clementini riprendeva l’argomento nel Trattato de’ Luoghi Pii e de’ Magistrati, Simbeni Rimini 1617, p. 14 [BGR, BQ 513]. Cfr. pure Tonini, op. cit., VI, 2, p. 562. All’inizio del 1600, esisteva in Rimini il "Podestà de i Pupilli", "salariato acciò non habbia pigliar sportole" [compensi]: cfr. R. Adimari, op. cit., II, p. 3.
[3] L’opuscolo fu edito da Giovanni Simbeni nello stesso 1584 [BGR, 7. B. V. 2]. Le citazioni sono tolte da p. 3 per l’introduzione, e dalle pp. 24-29 per la descrizione dell’assistenza ai fanciulli. (Cfr. V. Tamburini, op. cit., pp. 28-30.) Sulle Constitutioni osserva lo storico A. Turchini in Clero e fedeli a Rimini in età post-tridentina, Herder, Roma 1978, p. 148: "[…] si cercò di sottomettere completamente alla giurisdizione vescovile anche ciò che spettava all’amministrazione dei Comuni, suscitando una certa opposizione". All’Hospitale riminese venivano inviati anche i fanciulli esposti dai comuni vicini (ib., p. 150).
[4] Nel 1786 troviamo una Casa dello Spedale nella stessa parrocchia di S. Maria in Corte; e numerose "case di vedove" che ospitavano complessivamente 108 "anime". Cfr. la perizia di Giuseppe Valadier sul terremoto del 25 dicembre 1786 in ASR, AP 619, riportata in E. Guidoboni-G. Ferrari, Il terremoto di Rimini e della costa romagnola: 25 dicembre 1786, SGA, Bologna 1986, pp. 235-293. Sull’argomento per il XVI sec., cfr. Tonini, op. cit., VI, 2, p. 564.
[5] Cfr. Capitoli del venerabile spedale della Misericordia della città di Rimino, Albertini, 1762, p. 14 [BGR, 7. H. II. 73, op. 1]. Questo passo potrebbe spiegare una notizia di Tonini (op. cit., VI, 2, pp. 563), che parla dell’Ospedale delle Esposte che "fu nell’area Ducale di S. Maria in Corte dal 1577 al 1865", differenziandolo dal ricordato Ospedale degli Esposti. A proposito del titolo della Chiesa di Santa Maria ad Nives, Tonini (op. cit., IV, 1, p. 459), scrive che esso "pare esser stato proprio" di un Orfanotrofio S. Mariæ ad nives, citato dal bibliotecario Giuseppe Malatesta Garuffi nel 1708, "distintamente da quello S. Mariæ de Misericordia Hospitale Expositorum". In altra parte (op. cit., VI, 2, pp. 562-563), Tonini nomina Gli Orfanelli e L’Ospedale degli Esposti. Per gli Orfanelli rimanda al passo di Adimari, che abbiamo riportato ("la santa, e pia opera, di raccogliere li poveri Orfanelli, e Orfanelle" in abitazione concessa "dall’Hospitale della Misericordia"): quindi essi non sarebbero un’istituzione autonoma, ma rientrerebbero nella medesima struttura dell’Hospitale della Misericordia. Lo stesso può ritenersi per gli Esposti, in base a quanto si legge nelle parti sopra riprese dalle citt. Constitutioni del 1584.
[6] Cfr. p. 15 dei citt. Capitoli. I "balzi" sono guarnizioni dei vestiti.
[7] Antonio Vivaldi (1678-1741) nel 1703, anno in cui è ordinato sacerdote, inizia la sua attività di maestro di violino e compositore presso l’Ospedale della Pietà che lascerà definitivamente nel 1740 per recarsi a Vienna, dopo un’interruzione tra 1718 e 1720, quando fu a Mantova. A Venezia questa attività di educazione musicale verso le ragazze orfane o illegittime, caratterizza anche gli altri tre ospedali esistenti a quel tempo (l’Ospedaletto, gli Incurabili ed i Mendicanti). Tra le ragazze più dotate "venivano scelte le ‘figlie del choro’, che erano sottoposte a un’istruzione musicale intensa e severa, vocale e strumentale, e si esibivano poi in pubbliche esecuzioni nelle chiese annesse agli stessi Ospedali". Cfr. I maestri immortali della musica classica, Vivaldi e l’Ospedale della Pietà, De Agostini, Novara 1996, pp. 145-146.
[8] Cfr. E. Codignola, Il problema dell’educazione, III, La Nuova Italia, Firenze 1956, pp. 118-123; G. Candeloro, Dalla Restaurazione alla Rivoluzione nazionale, "Storia dell’Italia moderna", II, Feltrinelli, Milano 1958, pp. 135-144. Per le Opere Pie riminesi tra 1837 e 1859, cfr. V. Tamburini, op. cit., pp. 38-39.
[9] Cfr. D. A. Mandini, L’Infanzia, Marsoner, Rimino 1805, p. 3. Mandini è qualificato nel frontespizio come "pubblico professore, accademico dell’Instituto delle Scienze e medico dello Spedale Azzolini detto della Maddalena". La parte conclusiva del suo "trattato" (da p. 142), è dedicata alle "Riforme necessarie nel Governo Fisico e Morale dell’Infanzia", con ampi riferimenti di storia della pedagogia.
[10] Cfr. G. Candeloro, La Rivoluzione nazionale, "Storia dell’Italia moderna", III, Feltrinelli, Milano 1960, p. 457. Quirico Filopanti era lo pseudonimo dello scrittore bolognese Giuseppe Barilli (1812-1894).
[11] Antonio Rosmini (1797-1855) vide nel 1849 messe all’Indice due sue opere, La costituzione secondo la giustizia sociale e la più celebre Le cinque piaghe della Santa Chiesa. Nella Costituzione, Rosmini giustifica il principio secondo cui il diritto di voto spettava soltanto a coloro che avevano proprietà e pagavano imposte dirette allo Stato. Rosmini paragonava il suffragio universale al "pareggiamento di tutte le proprietà", cioè al comunismo. (Cfr. G. De Ruggiero-F. Canfora, Breve storia della filosofia, III, Laterza, Bari 1965, pp. 165-173.) D’altro canto, riconoscendo che tutte le persone sono portatrici di un valore etico-religioso, ogni uomo deve rispettare gli altri: in tale modo dal dovere deriva il diritto. (Cfr. G. Reale-D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, III, La Scuola, Brescia 1983, pp. 211-218.) Rosmini fondò una congregazione maschile (Istituto della Carità) ed una femminile (le Suore della Provvidenza, incaricate dell’educazione infantile in asili, scuole elementari, orfanotrofi).
[12] G. Cosmacini, Medici nella storia d’Italia, Laterza, Bari 1996, pp. 71-72.
[13] Cfr. Rerum Novarum, Sulla questione sociale, Lettera enciclica di S. S. Leone XIII, Ed. Paoline, Roma s. d., p. 8.
[14] Cfr. Mater et Magistra, Lettera enciclica di S. S. Giovanni XXIII sui recenti sviluppi della questione sociale, Ed. Paoline, Roma 1961, p. 4.
[15] Cfr. G. De Rosa, Storia e società, III, Minerva Italica, Bergamo 1985, p. 86.
[16] Cfr. in C. Catolfi, L’inchiesta Jacini in Romagna, I materiali inediti del Riminese, Maggioli, Rimini 1990, p. 208. È la relazione "Curio" del 26 dicembre 1879. ("Curio" è uno pseudonimo, forse di don Giovanni Trebbi, noto parroco di Spadarolo e "curione", cioè sacerdote della Curia di Rimini: cfr. ib., p. 23.) A proposito dell’Ospedale di Rimini, al questionario dell’inchiesta si risponde che esso "non esiste" (ib., p. 45, nota 86). Sul "programma questionario", cfr. ib., p. 274.
[17] Cfr. C. Catolfi, op. cit., p. 12 e p. 284. Bertani "l’uomo politico già intrinseco di Mazzini e Cattaneo, difensore della Repubblica romana, organizzatore della spedizione dei Mille e segretario del Dittatore a Napoli", come vicepresidente "della giunta incaricata dell’inchiesta agraria" si batté "per il risanamento igienico-sanitario delle plebi rurali" (cfr. G. Cosmacini, op. cit., p. 112).
[18] Cfr. G. Candeloro, Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio, "Storia dell’Italia moderna", VI, Feltrinelli, Milano 1970, p. 351. Per la legge del 1862, cfr. Id., La costruzione dello Stato unitario, "Storia dell’Italia moderna", V, Feltrinelli, Milano 1968, p. 217. La prima Congregazione di Carità a Rimini risale al 19 novembre 1859 (cfr. Il calendario della pietà pel 1931, p. 4)
[19] Cfr. A. Tonelli, Assistenza e promozione sociale, in "Economia e società a Rimini tra ’800 e ’900", Cassa di Risparmio di Rimini, 1992, pp. 365-366. (Della stessa autrice, si può vedere anche il saggio Condizioni di vita, alimentazione e salute a Rimini dopo l’Unità, in "Storie e storia", a. IV, n. 7, aprile 1982, pp. 157-167). Cfr. pure V. Tamburini, op. cit., p. 39.
[20] Cfr. A. Tonelli, op. cit., p. 351, pp. 413-414, p. 367. (Sulle monache di San Vincenzo, quelle della Carità, il Seminario ed i Minori di San Francesco, cfr. pure ib., p. 351, ove si riferiscono le risposte ad un’inchiesta del 1895.)
[21] Cfr. A. Tonelli, op. cit., p. 352. Sono parole del presidente della Congregazione di Carità Luigi Bianchini, relative al quadriennio 1899-1902.

2. Nasce l'Aiuto Materno, 9 settembre 1910

Nel 1901 appare in città un "opuscoletto" del dottor Antonio Del Piano, intitolato Pro Infanzia, in cui si espone "l’idea di creare in Rimini un Istituto di assistenza e di protezione della maternità e della prima infanzia", urtando "contro parecchie difficoltà, non escluso l’egoistico e pernicioso preconcetto che il benessere deriva dall’essere pochi a consumare piuttosto che molti a produrre!". [1]
Il 25 aprile 1910 L’Ausa dà notizia della pubblicazione a Rimini di un mensile intitolato Infanzia, dalla quale riporta il programma: "far trovare in queste serene e modeste pagine di rivista la buona parola che inviti a perseverare nell’opera seria di redenzione di tanti piccoli infelici, o la argomentazione scientifica che additi nuovi orizzonti o la discussione osservante i migliori mezzi di educazione e correzione; o l’esempio infine di quanto in altre regioni o nazioni più progredite si fa nell’interesse dell’uomo di domani". [2]
Scrive il settimanale cattolico: "Noi certo facciamo lealmente le nostre riserve sul pensiero di qualcuno degli scrittori egregi, ma lo scopo è innegabilmente buono e santo e salutiamo lieti la nobile iniziativa".
Nello stesso articolo, L’Ausa riferisce del discorso tenuto dal riminese avvocato Giuseppe Facchinetti a Pinerolo, ove è Procuratore del Re, per l’inaugurazione della "Società circondariale di patronato pei minorenni condannati condizionalmente". È un’iniziativa privata che, come "mano soccorritrice", si rivolgerà a "coloro che avranno avuto la disgrazia di una prima caduta e cui sarà accordato il beneficio della condanna condizionale". Commenta L’Ausa: "Quando queste ultime parole potranno essere pronunziate anche nella nostra Rimini, a denotare un’opera che integri quanto si è fatto o si farà a favore dell’infanzia?". Facchinetti è molto attento ai problemi dei minori. Nel 1901 ha tenuto a Rimini una conferenza su Gli abbandonati e la carità privata, in occasione di una Mostra di Beneficenza a vantaggio del Patronato per le Fanciulle Abbandonate. [3]
Alla fine del giugno 1910 si svolge a Rimini una prima riunione "per un’intesa" sull’Aiuto Materno. Ne parla ancora L’Ausa [4] in una lunga nota: "Da tempo era sentita in Rimini la necessità di una istituzione che mirasse ad assistere la primissima infanzia per la quale fin ora, da noi, nulla è stato fatto di veramente proficuo né dalla pubblica né dalla privata beneficenza". Il Baliatico della Congregazione di Carità, vi si legge poi, è "una forma di assistenza basata sopra criteri poco esatti, e mancante di ogni controllo", per cui "è ben lungi dal corrispondere adeguatamente allo scopo". A Bologna il Baliatico (non rispondente "ai postulati nuovi della scienza e della previdenza"), è stato soppresso perché al costo non faceva riscontro nessun beneficio in termini di salvaguardia di vite, essendo il tasso di mortalità degli assistiti uguale (23%) a quello dei non assistiti. Ed è stato sostituito da un Aiuto Materno presso la Pia Opera Hercolani, facendo scendere la mortalità degli assistiti al 7%. [5]
L’iniziativa di alcune "gentili signore" per creare un Aiuto Materno riminese, scrive L'Ausa riportando il pensiero espresso dal prof. Del Piano, è "più di ogni altra proficua, perché […] mira a conservare pure e feconde le sorgenti della vita, soccorrere il bambino nel periodo iniziale del suo sviluppo, quando più che mai lo insidiano le malattie e la morte per la speciale fragilità sua e per l’ignoranza e la miseria delle famiglie, per le condizioni pessime d’alimentazione e d’ambiente, e per l’abbandono in cui la primissima infanzia è destinata a languire". Segue un altro dato statistico: "da noi […] la mortalità dei bambini inferiori ai 5 anni rappresenta esattamente la metà della mortalità generale", ed "innumerevole è il contingente di rachitici, di tubercolosi e di deficienti che, sopravvivendo alla strage, sono destinati ad aumentare la parte passiva del computo dei valori umani". Il programma dell’Aiuto Materno viene così riassunto nella nota dell'Ausa: fornire razioni alimentari alle "madri povere cui l’insufficienza di alimentazione rende impossibile o difettoso l’allattamento, medicinali per loro e corredini per i neonati"; distribuire "del buon latte sterilizzato" in piccole bottiglie "alle madri parzialmente e totalmente inabili ad allattare""; "sorvegliare l’allattamento naturale, artificiale e misto, mediante consultazioni gratuite", con visita ai bambini e consigli alle madri.
Il programma prevede anche una créche [nido d’infanzia], "dove dalla mattina alla sera le madri povere possano depositare le loro creature, sottraendole così all’influenza nefasta di quelle così dette scuole per piccoli bambini, veri centri dove le malattie della prima infanzia si contraggono e si propagano, in ambienti umili e malsani nella più vieta promiscuità e nell’agglomeramento più pericoloso, sotto gli occhi indifferenti della legge che non ha sentito ancora il dovere di sopprimere questi centri morbigeni".
Sul problema delle balie, ha detto Del Piano: è "effettivamente una grande vergogna che la prima donnicciola disoccupata possa, in mancanza d’altro, farsi liberamente la custode del corpo e dell’anima di tante creature senza rendere conto a nessuno dell’essere suo o delle sue opere e senza che nessuno s’incarichi di chiedere a lei nell’interesse sociale, quelle garanzie materiali e morali che al delicatissimo ufficio debbano imprescindibilmente andare congiunte".
Quell’adunanza di fine giugno 1910 permette di raccogliere "una larga sottoscrizione di azioni di lire tre annue", che vanno ad aggiungersi ai contributi promessi da vari enti pubblici.
L’articolo dell’Ausa si conclude annunciando l’assemblea di luglio per l’approvazione dello Statuto e del Regolamento, e per la distribuzione delle cariche. Alla raccolta delle adesioni sono incaricate Fanny Malvezzi Pugliesi, Maria Fagnani Rasatelli, Luisa Spina, Gaetano Montebelli, con recapito presso la sede del Piccolo Credito Romagnolo, telefono 90.
Il 9 settembre 1910 viene infine "costituita in Rimini, per iniziativa privata un’istituzione che s’intitola Aiuto Materno per l’assistenza delle madri povere e la protezione della primissima infanzia". Così leggiamo nell’art. 1 dello Statuto, deliberato quel giorno dall’Assemblea Generale di azionisti e di oblatori. [6]
Le tre Signore sopra ricordate (Fanny Malvezzi Pugliesi, Maria Fagnani Rasatelli e Luisa Spina), sono elette nel Consiglio di Presidenza, mentre la carica di direttore sanitario è affidata allo stesso prof. Del Piano, "docente di clinica pediatrica all’Università di Roma". [7]
Per "rendere più efficace l’opera dell’Aiuto Materno" si crea poi un "Comitato di Signore Ispettrici", le cui competenze sono suddivise per quattro zone urbane: Rione Patara e Borgo XX settembre (Maria Negro Gattei, Maria Guiducci Massani, Ernesta Ricciotti), Rione Montecavallo e Borgo Mazzini (Maria Vizzardelli, Cesira Sabatini Sapignoli, Maria Martinini Stambazzi), Rione Cittadella e Borgo San Giuliano (Virginia Ghinelli Cervesi, Maria Rosetti Baldini, Stamura Tonti ved. Turchi), Rione Clodio e Borgo Marina (Virginia Fagnani Cardi, Orsolina Montani Magnani, Rina Zignani Arlotti, Maria Campedelli Rossi).
Le "Ispettrici" debbono assistere alle consultazioni settimanali, "visitando le madri e i bambini, vigilando sulle condizioni di ambiente e prendendo visione di eventuali bisogni per poter dare opportuni consigli alle madri e per poter fare opportune proposte al Consiglio di Presidenza". Le consultazioni del prof. Del Piano si tengono al giovedì pomeriggio, mentre ogni mattina viene "impartita alle madri la refezione nei locali dell’istituzione e fatta la distribuzione dei sussidi in latte od altri generi agli assistiti". Per l’ammissione si richiede "solamente il certificato di povertà e di residenza nel Comune di Rimini".
L’articolo dell'Ausa sottolinea che l’istituzione riminese è una delle prime in Italia: "tutti dobbiamo comprendere il dovere sociale di togliere tanti piccoli esseri dalla morte o da quelle debolezze, le imperfezioni che lasciano delle tristi stigmate, trasmissibili anche alle generazioni future". Quasi sempre, prosegue la nota, sono "la miseria e l’ignoranza che fanno queste vittime e noi dobbiamo voler sollevata la miseria e dissipata l’ignoranza". [8]
Il 24 dicembre 1910, l’Ausa pubblica un primo resoconto dell’attività dell’Aiuto Materno: "Vedemmo le madri e i bimbi venuti per le consultazioni, ma dinanzi a questa gente pur povera e malata non ci sentimmo presi dalla tristezza, perché ci penetrava l’animo il sentimento che la scienza e la carità si davano operosamente la mano per essere vittoriose anche sul dolore". [9]

[1] Cfr. A. Del Piano, L’Aiuto Materno di Rimini (1910-1928), in "Rimini", anno I, n. 3, giugno 1928-VI, p. 29. L’articolo è la prima, breve storia organica dell’Istituto.
[2] Cfr. L’Ausa, anno XV, n. 17, 25 aprile 1910. L’articolo, intitolato Infanzia, è firmato Ellado. Del mensile Infanzia cit. dall’Ausa, non abbiamo trovato traccia nella BGR.
[3] Cfr. Gli abbandonati e la carità privata, Conferenza detta il 14 aprile 1901 in Rimini, per la inaugurazione dellaMostra di Beneficenza a vantaggio del Patronato per le Fanciulle Abbandonate, Cappelli già Malvolti, Rimini 1901 [BGR, 13 MISC. XLIV, 21]. Giuseppe Facchinetti (1862-1952) è figlio di Giovanni (1832-1924) il quale sarà presidente dell’Aiuto Materno dal 1916 al ’24: gli subentrerà (fino al ’27) l’altro figlio Gaetano (1863-1954), di cui diremo al prossimo capitolo, alla nota 14. Giuseppe Facchinetti si laureò in Giurisprudenza nel 1883 e divenne avvocato due anni dopo. Entrato in magistratura nel 1886, divenne vice-pretore di Rimini e poi magistrato a Firenze. Nel 1912 ebbe l’incarico di procuratore generale della Corte d’Appello in Libia e quindi Procuratore generale onorario della Corte di Cassazione. Nel ’28 fu nominato senatore. Cfr. F. Lombardini, Riminesi nel Parlamento italiano 1848-1972, Cosmi, Rimini 1972, p. 18. Su Giovanni Facchinetti, cfr. i cenni biografici alla nota 12 del cap. 4., L’Istituto San Giuseppe, Ente Morale (1915).
[4] Cfr. L’Ausa, anno XV, n. 27, 2 luglio 1910.
[5] L’impianto rigorosamente scientifico di questa osservazione, permette di ipotizzare che autore della nota sia lo stesso prof. Del Piano, intervenuto a quella riunione per spiegare il "concetto moderno" di assistenza alla primissima infanzia.
[6] In base all’art. 5 del Regolamento, fanno parte dell’Assemblea generale "gli azionisti e gli oblatori che hanno versato non meno di L. 50". Le azioni hanno valore di tre lire, "con impegno triennale".
[7] Cfr. L’Ausa, anno XV, n. 51, 17 dicembre 1910
[8] Ib. (In A. Tonelli, op. cit., p. 395, si ricorda che nel 1822 era stato creato a Rimini l’istituto Elimosiniero, al quale potevano rivolgersi anche "le madri impotenti all’allattamento" e le puerpere non assistite altrimenti.)
[9] Cfr. L’Ausa, anno XV, n. 52, 24 dicembre 1910.

3. Suor Isabella Soleri: dal Ricovero San Giuseppe all’Aiuto Materno

Il 17 luglio 1911 viene approvato il Regolamento dell’Aiuto Materno, firmato dal presidente marchesa Fanny Malvezzi Pugliesi, dal vicepresidente Maria Rastelli Fagnani, dal consigliere Luigi Bianchini (rappresentante la Cassa di Risparmio), dal consigliere Alfredo Mangini (rappresentante la Congregazione di Carità, di cui è segretario), dal Medico Direttore prof. Antonio Del Piano e dalla Segretaria Luisa Nunziante Soci. In calce al Regolamento appare l’elenco [1] dei 358 fondatori, tra cui otto sacerdoti [2] e 277 donne.
Tra tutti questi nomi manca però il più importante, quello di "una benemerita concittadina, la Nobile Signora Isabella del fu Giacomo Soleri, Suora di Carità". [3] È merito suo, infatti, se è sorto l’Aiuto Materno, "di cui fu l’anima vigile ed operosa nel suo primo inizio". [4]
Nata a Rimini il 20 dicembre 1859 dal conte Giacomo Soleri Giamagli e dalla contessa Caterina Misturi [5], Isabella Soleri è entrata nella famiglia delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli nel 1895, con il nome di suor Giuseppina. Dopo aver ricoperto dal 1906 al 1909 la carica di "ufficiale della provincia" del suo Ordine a Siena (dove aveva svolto postulato e noviziato), è stata mandata a Rimini quale superiora all’ospedale civile: qui rimarrà sino al 1911, quando verrà trasferita nella capitale come superiora della Casa di Sant’Agata. [6] Nel ’16 sarà nominata economa provinciale a Napoli; nel ’26 superiora a Giulianova, restando in carica sino al ’46. Si spegnerà nella stessa Giulianova il 7 febbraio 1953.
Dal 21 novembre 1900 suor Isabella Soleri ha trasformato il Palazzo di famiglia in Ricovero San Giuseppe, accogliendovi sei "povere vecchie". Il palazzo sorge a poca distanza dall’ex Ospedale della Misericordia, sul corso d’Augusto (allora Strada Maestra), all’angolo con via Ducale (a quel tempo Castellaccia), al civico numero 35.
L’assistenza alle ricoverate, leggiamo sull’Ausa, è affidata alla cura della madre superiore suor Collastrini e di altre due Sorelle figlie della Carità, coadiuvate dall’"antico domestico di casa Soleri": il buon Santino Righetti, il ministro rag. Succi ed i fattori Zangheri i quali "continuano verso il Ricovero quell’affettuosa fedeltà per cui erano così cari a quell’anima retta e gentile che fu il compianto Giacomo Soleri ed alle nobili sue figlie, specialmente Isabella". [7] Nel 1902, quando nel Ricovero San Giuseppe viene inaugurata "la nuova elegantissima cappella" dedicata al SS. Cuore di Gesù, sulla quale si sofferma la cronaca dell’Ausa, le "vecchie" ospitate sono ventiquattro. [8 ]
È in quello stesso palazzo che ospitava il Ricovero San Giuseppe, che sul finire del 1910 inizia ufficialmente la sua attività l’Aiuto Materno: "due sole erano le madri assistite, e solamente quattro i bambini". Ben presto il loro numero aumenta.
Nel 1912 "gli iscritti alle varie forme di associazione sommano a circa quattrocento", come scrive L’Ausa in un resoconto per la cerimonia natalizia di quell’anno, durante la quale avviene la consegna di un corredino a tutti i duecento bambini assistiti, e di venti premi in denaro assegnati "ai migliori". [9]
Circa la premiazione, dice Del Piano che "la sua ragione di essere deriva dal fatto che la Società deve essere grata alle madri del popolo dell’amore e delle cure onde meglio esse sanno circondare le culle, perché, in fondo, i loro figliuoli esse li nutrono e li fanno grandi non per loro soltanto, ma per tutti". "E qui", scrive L’Ausa, Del Piano "ha toccato opportunamente i recenti fatti d’armi dimostrando come fossero appunto, in massima parte, figli del popolo" quelli "che la Patria ha pur ora seguito trepidamente sui campi di battaglia e che pur ieri attendeva col cuore palpitante sui mari dove approdavano le navi della Croce Rossa coi martiri delle gesta d’oltre mare". L’accenno era a quella guerra di Libia con cui l’Italia aveva voluto inserirsi nell’espansionismo coloniale europeo, dopo l’eccidio di Dogali (1887) e la sconfitta di Adua (1896).
Su come venivano raccolti i fondi per l’Aiuto Materno, esiste una nota dell’Ausa dello stesso 1912, ove si parla di una fiera di beneficenza allestita anche a favore dell’Istituto Vecchie Abbandonate, rappresentato da Anna Maccolini. La cifra netta raccolta fu di 960 lire, divise a metà fra le due opere assistenziali. [10]
Del Piano, dopo il primo anno di vita dell’istituto (1911), compila un’accurata statistica sull’Aiuto Materno. Le madri lattanti ammesse alla refezione furono 65 e le razioni dispensate nell’annata 5.788, con massimi e minimi giornalieri rispettivamente di 23 e di 8 razioni. "Il sussidio ebbe la durata massima di 6 mesi e minima di un mese a seconda dei casi, ma gli esiti furono i più confortanti come si può arguire dalle statistiche della mortalità e da alcuni esempi che emergono dai diari delle consultazioni". [11] Furono distribuiti 104 corredini, forma di assistenza che "è propriamente un complemento necessario agli effetti dell’alimentazione". Infatti un vestiario insufficiente provoca una dispersione calorica negativa nel bilancio nutritivo del bambino. [12]
Nel corso del 1913 i bambini iscritti sono stati 305, mentre le madri ammesse alla refezione furono 73. Le refezioni distribuite nell’arco dell’intero anno furono 7.679, con una media giornaliera di 21. "Le razioni di latte distribuite ai bambini furono 10.952, ed i capi di vestiario 810. Le visite ambulatoriali gratuite nelle consultazioni del giovedì 1.054". "Il prof. Del Piano fece notare come di 305 iscritti solo 56 ebbero bisogno di sussidi di medicinali e che la mortalità in tutto gli iscritti fu del 7% ossia i due terzi inferiore alla mortalità che emerge dai registri di anagrafe del Comune di Rimini per i bambini durante il primo anno di vita ed appartenenti a tutte le classi sociali". Le entrate di bilancio per il 1913 sono state pari a 8.113,04 lire, la rimanenza attiva di 117,26 lire. [13]
All’inizio di marzo 1914 si tengono due riunioni degli azionisti dell’Aiuto Materno: la prima serve all’approvazione del bilancio ed al rinnovo del Consiglio; la seconda all’approvazione dello Statuto formulato da suor Soleri. [14]
Alla seconda assemblea è presente il deputato comm. Gaetano Facchinetti "che si rese interprete della gratitudine sentita da tutti per il Prof. Del Piano, a cui si deve la riuscita dell’opera in quanto egli ad essa profuse e profonde non soltanto la mente dello scienziato, ma il cuore del cittadino". [15]Non mancarono poi, scrisse L’Ausa, "belle parole di riconoscenza per Suor Giuseppina Soleri che, votando la sua vita ad un’umile carità, ne donava" il fiore più bello all’infanzia di Rimini, in quella casa che "aveva visti gli agi della sua famiglia come della sua infanzia e della sua giovinezza". All’omaggio a suor Soleri si associava lo stesso prof. Del Piano, augurandosi "che come la nobiltà dello scopo aveva fatto trovare uniti nella medesima opera Suor Soleri e lui, così tutti unisse quel dovere che consiste nella paternità sociale a pro dell’infanzia". L’on. Facchinetti garantiva tutto il suo "zelo nelle pratiche necessarie all’erezione dell’Aiuto Materno in Ente Morale", condizione indispensabile per il riconoscimento pubblico dell’istituto. La Presidente veniva autorizzata all’unanimità dall’assemblea dei soci ad iniziare tali pratiche. [16]

[1] Cfr. Statuto e Regolamento dell’opera "Aiuto Materno" in Rimini, Benzi, Rimini [1911], AAM. Lo Statuto consta di 11 articoli. Il Regolamento di 24. L’elenco dei soci fondatori è da noi riprodotto nella sezione Documenti, n. 1. [2] I sacerdoti sono Belli don Gianmaria, Benedettini don Antonio, Berlini don Vittorio, Campana don Giovanni, Ghigi don Carlo, Paoletti don Alessandro, Renzi don Angelo e Venturini don Germano. [3] Cfr. l’istanza al re del 24 marzo 1914, di cui riferiamo in seguito. [4] Cfr. Corriere Riminese, anno IV, n. 10, 11 marzo 1914. [5] In un documento a stampa conservato in BGR [11.MISC.RIM.CLIX], si legge il nome di "Soleri Caterina nata Contessa Misturi" tra gli azionisti della "Società per l’Istituto di Educazione gratuita pei figli del povero in Rimini". [6] Cfr. N. Matteini, Rimini negli ultimi due secoli, I, Maggioli, Rimini 1977, p. 322. [7] Cfr. L’Ausa, anno VII, n. 25, 21 giugno 1902. [8] Nel soffitto della cappella esisteva (ed esiste tuttora) un dipinto attribuito dallo storico Pier Giorgio Pasini a Marco Capizucchi (1784-1844), che illustra il Passaggio del Rubicone da parte di Giulio Cesare. Quando venne realizzata la cappella il dipinto fu coperto "da una tela con angioletti", tolta soltanto durante i restauri del 1970: cfr. P. G. Pasini, L’arte e il patrimonio artistico e archeologico, in "Storia di Rimini dal 1800 ai nostri giorni" III", Ghigi, Rimini, p. 26. [9] Cfr. L’Ausa, anno XVII, n. 51, 21 dicembre 1912. [10] Cfr. L’Ausa, anno XII, n. 4, 27 gennaio 1912. [11] Cfr. A. Del Piano, Le opere moderne della Puericultura sociale e l’Aiuto Materno di Rimini, Artigianelli, Rimini 1912, pp. 16-17 [BGR, 13. MISC. XII. 23]. [12] Ib., p. 24. [13] Cfr. Corriere Riminese, anno IV, n. 10, 11 marzo 1914. Il Corriere era un foglio di ispirazione liberale. [14] Il testo di questo Statuto è quello inserito nella Donazione di suor Soleri, di cui si dirà nel prossimo capitolo. Cfr. i verbali delle Adunanze Generali dell’8 e del 12 marzo 1914, AAM. Alla riunione del giorno 8, essendo presenti soltanto 48 dei 334 soci (e non il quinto del totale, come previsto dallo Statuto vigente, art. 10), non si può procedere alla votazione della "proposta di erezione in Ente Morale dell’Istituto e Statuto relativo", che avverrà in seconda chiamata il 12 marzo, assieme a quella relativa alla "Proposta di donazione fatta all’Istituto da Suor Isabella Soleri". Le due votazioni approvano le proposte all’unanimità. Erano presenti 64 azionisti, i cui nomi sono elencati nel verbale. L’8 marzo, nel nuovo Consiglio, risultano elette la prof. Ester Fabbri (46 voti su 48 votanti), Vittoria Pagliacci (44), la contessa Luisa Spina (37) e la marchesa Malvezzi Pugliesi (35). [15] Cfr. L’Ausa, anno XIX, n. 11, 14 marzo 1914. Gaetano Facchinetti (1863-1954) fu avvocato, sindaco di Rimini (1911-13) e deputato (1913-19). Per 35 anni diresse la Cassa di Risparmio di Rimini. "Uomo di elevata cultura e rettitudine, avvertì i bisogni della sua città ed operò al suo sviluppo" (F. Lombardini, op. cit., p. 19). Fu eletto con 7.965 voti (contro i 6.183 dell’altro candidato al ballottaggio, il socialista forlivese Aurelio Valmaggi), nelle prime elezioni a suffragio universale, per cui nel Circondario di Rimini gli elettori salirono da seimila a quasi ventiduemila (ib., p. 6). Ma soltanto meno di quindicimila furono i votanti. Già nelle elezioni del 1909 (quando fu battuto dal garibaldino genovese Federico Gattorno [1829-1913], repubblicano), il liberale Facchinetti era stato appoggiato dai cattolici: "Cattolico-praticante, proprietario terriero, abile amministratore, Facchinetti possedeva tutti i requisiti per essere ben accetto ai cattolici e ai proprietari terrieri": cfr. P. Grassi, Il movimento cattolico (1870-1926), in "Storia di Rimini dal 1800 ai nostri giorni, I., La storia politica", Ghigi, Rimini 1978, p. 330.
[16] Cfr. il verbale del 12 marzo 1914, p. 7.

4. L’Istituto San Giuseppe, Ente Morale (1915)

Il 24 marzo 1914 il presidente dell’Aiuto Materno, Fanny Malvezzi Pugliesi, scrive al re d’Italia per ottenere il riconoscimento dell’Aiuto Materno come Ente Morale "a’ sensi degli articoli 51 della Legge 17 Luglio 1890, e 94 del relativo Regolamento 5 Febbraio 1891". [1]
Nella petizione si spiega che suor Isabella Soleri, nel "lodevole intendimento di assicurare alla sua patria l’esistenza dell’Aiuto Materno, ampliando l’opera con la custodia dei Bambini fino all’età di anni tre, e con un piccolo ospedale per bambini infermi", si apprestava ad assegnare all’Opera Pia "in proprietà il Palazzo in Rimini che apparteneva al di lei Genitore" morto nel 1895, nonché il fabbricato attiguo in via Ducale, da lei acquistato nel 1897. Quest’ultimo fabbricato (casa con orto) era stato intestato "fin dall’anno 1865 all’Ospedale Infermi amministrato dalla Congregazione di Carità di Rimini". Sia il palazzo (4 piani e 29 vani) sia la casa (3 piani e 26 vani), erano già allora "destinati a questa stessa beneficenza che di fatto" esisteva, pur senza pubblico riconoscimento. La donazione era necessaria "per ottenere l’erezione in Ente Morale". [2]
L’Aiuto Materno, nel decreto del Regno d’Italia dell’8 novembre 1915 che lo costituisce appunto in Ente Morale, viene definito "Opera Pia San Giuseppe" [3], con una dizione che non appare nella domanda stilata dalla marchesa Malvezzi Pugliesi, ma che ingloba il nome del Ricovero per vecchie già attivo da tre lustri. Forse l’opera di assistenza infantile è stata realizzata prima dello redazione dello Statuto del 1910, come attività parallela a quella di soccorso per le "povere vecchie". Lo statuto sarebbe nato poi, per sancire legalmente una situazione esistente de facto.
Del Piano ha scritto che vide "il 15 Dicembre del 1910 nelle stanze bianche dell’Aiuto Materno questa buona e caritatevole signora", cioè suor Isabella Soleri, "preparare la prima volta la refezione a due povere madri lattanti estenuate dai patimenti". [4] L’affermazione sulla "prima volta" dell’attività dell’Aiuto Materno, va messa in relazione al passo che la precede, e in cui Del Piano rimanda a quel suo "opuscoletto" Pro Infanzia del 1901, già ricordato, quasi a rivendicare un diritto di primogenitura (esistente senza dubbio dal punto scientifico), per l’istituto riminese.
L’iter burocratico che porta al decreto luogotenenziale dell’8 novembre 1915, era iniziato il 12 marzo 1914, quando gli azionisti dell’Aiuto Materno stabilirono di accettare la cospicua donazione annunciata da suor Soleri. [5]
Dopo l’invio della petizione al re, la Prefettura "rilevava che prima di dar corso alla pratica, era indispensabile il legale atto di donazione accettato dalla locale Congregazione di Carità nel nome ed interesse dell’Ente erigendo". Il 15 agosto 1914 la Congregazione di Carità deliberava in tal senso, ottenendo quindi il 13 ottobre successivo l’approvazione della Commissione Provinciale di Beneficenza. [6]
Il 6 dicembre 1914, nella residenza della Congregazione di Carità in corso d’Augusto 90, il notaio pubblico Alberto Ricci stende l’atto della donazione, trascrivendo il mandato di procura del 25 novembre, redatto a Roma dal notaio Severino Urbani per conto della Nobile Donna Signora Isabella Soleri "ora Figlia della Carità". Esso contiene l’elenco dei beni mobili ed immobili donati con il vincolo "che l’Opera erigenda abbia gli scopi tassativamente indicati nello schema di Statuto" allegato, fatte salve le varianti di forma richieste dall’Autorità Governativa, senza però che se ne alteri la sostanza. E con la condizione che tale Opera sia riconosciuta come Ente Morale dallo Stato. [7]
La donazione di suor Isabella Soleri, oltre ai due edifici, comprende anche titoli di credito dal valore nominale di centomila lire ed effetti mobili per 1.375 lire. In essa si precisa che "alcune povere vecchie, mantenute dalla stessa Signora Soleri", si trovavano "ricoverate in quei Fabbricati". Per volontà di suor Isabella, esse sarebbero rimaste ospiti, vita durante, dell’Aiuto Materno, ricevendo "il vitto e l’assistenza necessaria": se la spesa a ciò destinata avesse sorpassato "le assegnazioni fatte dalla Signora Soleri", l’eccedenza sarebbe stata da lei rimborsata annualmente. [8]
Il 13 gennaio 1915 la Giunta Comunale di Rimini, "convinta di rendersi interprete dell’unanime sentimento del Consiglio, propone di esprimere i sensi della più alta gratitudine alla Nobil Donna Suor Isabella Soleri per l’atto munifico di donazione", con il quale "ha voluto legare il suo nome alla nostra Città", e propone di dare il parere favorevole richiesto dalla legge per erigere in Ente Morale l’Aiuto Materno. Il Consiglio Comunale approva all’unanimità la proposta della Giunta, al cui plauso si associa il consigliere dott. Angelo Lazzari. [9]
La Giunta delibera di conseguenza il 9 febbraio 1915. Analoga decisione positiva è presa dalla Congregazione di Carità il 3 marzo. Finalmente, il 16 marzo la Commissione provinciale, non trovando nulla da eccepire, "esprime parere favorevole tanto sulla proposta della erezione in Ente Morale dell’Istituto "Aiuto Materno"", quanto sul suo Statuto redatto da suor Soleri. [10]
Il 24 settembre 1915 l’assemblea dell’Aiuto Materno redige un nuovo Statuto Organico, inviato a Roma per la definizione della pratica. [11] Il decreto luogotenenziale viene iscritto all’Ufficio del Registro di Rimini il 9 gennaio 1916. Esso consta di due articoli: il primo è relativo al riconoscimento dell’Aiuto Materno come Ente Morale, il secondo approva lo Statuto Organico del 24 settembre.
In base all’art. 22, "la Direzione e l’economia dell’Opera è affidata alla Figlie della Carità di S. Vincenzo de Paoli, in quel numero che sarà stabilito dal Regolamento": esse "avranno abitazione e vitto nel fabbricato in cui ha sede l’Opera oltre all’assegno stabilito per le Figlie della Carità in casi simili. Le Suore potranno attendere alla visita dei poveri a domicilio, in aiuto delle Dame di Carità come ora si pratica".
Dall’inizio del 1916 il nuovo presidente del Consiglio d’Amministrazione è l’avv. Giovanni Facchinetti. [12] La contessa Luisa Spina, Gina Del Piano, Vittoria Pagliacci, Luisa Nunziante Soci e Giuseppina Ravaglioli sono le Patronesse dell’istituto. [13]
Il decreto dell’8 novembre 1915 che attribuisce all’Aiuto Materno la qualifica di Ente Morale, giunge in un momento particolare della storia italiana. Dal 24 maggio dello stesso anno, il nostro Paese è in guerra con l’Austria. Leggiamo il racconto di quei giorni in un altro scritto di Antonio Del Piano: "E le sale di custodia iniziarono la loro funzione nel periodo bellico (1916) con speciale riguardo ai figli dei combattenti e col concorso del locale Comitato per l’assistenza civile con annesso uno speciale servizio estivo sulla spiaggia per la cura marina ai bambini dell’età prescolare, i quali per le attuali disposizioni di limiti d’età e deficienze ambientali restano esclusi dai benefici delle cure marine, mentre è indiscutibile che proprio nell’età prescolastica sono particolarmente evidenti le indicazioni e la maggiore efficacia della terapia marittima integrata". [14]

[1] L’originale è conservato in AAM.
[2] Cfr. Donazione dalla Nobile Donna Soleri Isabella allo Erigendo Istituto per "Aiuto materno ed infantile" in Rimini" del 6 dicembre 1914, di cui elenchiamo in seguito gli atti che la costituiscono [AAM].
[3] Cfr. nella terza parte il documento [AAM], a firma di Tomaso di Savoia Duca di Genova e Luogotenente generale di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, e con controfirma del Primo ministro Antonio Salandra.
[4] Cfr. A. Del Piano, Le opere moderne della Puericultura sociale e l’Aiuto Materno di Rimini, cit., p. 7.
[5] Cfr. Deliberazione della Commissione Provinciale di Beneficenza, adunanza del 16 marzo 1915.
[6] Cfr. Atti del Consiglio Comunale di Rimini, 1915 (pp. 10-11, ASC); e la Delibera della Congregazione di Carità del 15 agosto 1914.
[7] Cfr. alla p. 5 della stessa Donazione, il cui testo completo è riprodotto nella sezione Documenti, n. 2. Il cit. atto notarile Urbani del 25 novembre 1914 è nell’allegato A, alle pp. 7-11, contenente in calce il cit. Progetto di Statuto per l’erigendo Istituto,redatto da suor Soleri (pp. 11-14). L’allegato B è il certificato catastale dei fabbricati donati (pp. 14-16). L’allegato C è la Nota degli oggetti mobili, mobilia e mobiliari compresi fra i capitali donati (pp. 16-18). L’allegato D è il verbale della Congregazione di Carità nella adunanza del 15 agosto 1914, a cui risulta assente il dott. Antonio Del Piano, avente per oggetto: "Donazione all’Aiuto Materno di Rimini. Provvedimenti della Congregazione in base all’art. 7 della Legge 17 Agosto 1890, n. 6972" (pp. 19-21). La Donazione consta in tutto di 23 pagine.
[8] Questo si legge nella Donazione e nelle "Disposizioni transitorie" che chiudono il Progetto di Statuto per l’erigendo Istituto, redatto il 25 Novembre 1914. La clausola viene ripetuta all’art. 28 dello Statuto approvato con il decreto luogotenenziale che erige in Ente Morale l’Opera Pia San Giuseppe. Di tale Statuto esiste un’edizione a stampa (Garattoni, Rimini 1931) in 100 copie.
[9] Cfr. i citt. Atti del Consiglio Comunale di Rimini, 1915.
[10] Cfr. la cit. Deliberazione della Commissione Provinciale di Beneficenza, 16 marzo 1915.
[11] La data del 24 settembre 1915 si ricava dal decreto luogotenenziale dell’8 novembre 1915. Questo Statuto Organico sostituiva il Progetto di Statuto per l’erigendo Istituto composto da suor Soleri e che, come abbiamo già scritto, si trova nell’allegato A della Donazione. Il decreto luogotenenziale apporta due piccole modifiche all’art. 6, relativo al Consiglio di Amministrazione. Il nuovo testo dell’art. 6 è nella cit. edizione a stampa dello Statuto del 1931.
[12] Nella Relazione (bozza senza data, ma del dicembre 1920, AAM), p. 1, si legge che "ai primi del 1916 fu nominato" il nuovo Consiglio d’Amministrazione. Giovanni Facchinetti (1832-1924) è il padre di Giuseppe e Gaetano, dei quali abbiamo già parlato. Laureatosi in legge a Perugia nel 1853, Giovanni Facchinetti si dedicò all’attività forense e alla politica: "Di fede liberale, fu tra i delegati che presentarono a Vittorio Emanuele II il plebiscito delle Romagne e appartenne alla nuova magistratura locale". Fu anche presidente dell’Amministrazione provinciale e "ricoprì altri pubblici uffici" nella municipalità riminese. (Cfr. N. Matteini, op. cit., pp. 951-952.)
[13] Cfr. Atti AAM, 26 aprile 1916, prot. n. 28. In tale data viene anche accettato il legato di lire 500 del defunto Giuseppe Morri (cfr. lettera a Bianca Biondi ved. Morri, prot. n. 30). La contessa Spina sarà confermata Patronessa per il quinquennio 1919-23: nella lettera di accettazione dell’incarico onorifico, la contessa Spina comunicava di offrire, "a prova dell’affetto" che nutriva per l’Aiuto Materno, la somma di lire 125 "per l’acquisto di una culla per il nuovo Ospedalino", del quale si augurava la "prossima l’apertura": cfr. lettera del 29 maggio 1919, e risposta del presidente Facchinetti in data 2 giugno 1919, AAM. Nel precedente Consiglio, la contessa Spina era stata Cassiera.
[14] Cfr. A. Del Piano, L’Aiuto Materno di Rimini (1910-1928), cit., p. 30.

5. Il soccorso della Scienza: Antonio Del Piano, medico

Antonio Del Piano (1870-1954) dopo aver frequentato gli studi classici presso i Padri Somaschi a Spello, si è prima laureato alla facoltà di Medicina di Bologna, ove è stato allievo di Augusto Murri [1], e poi si è specializzato in Clinica pediatrica a Parigi. Nel 1902 vince il concorso bandito dalla Cooperativa Farmaceutica di Milano con un lavoro intitolato Sull’igiene della prima infanzia, che assieme ad altre opere ne fa un antesignano della Pediatria moderna. Nel 1915 tiene all Università di Roma una serie di lezioni su "Patologia infantile e terapia marittima". [2] Scriverà, come vedremo più avanti, anche di talassoterapia. Durante la guerra 1915-18 sarà capitano medico in un ospedale militare, e dal 1923 al ’26 svolgerà la funzione di Sindaco della città di Rimini. [3]
La formazione universitaria di Del Piano è avvenuta proprio negli anni in cui la Pediatria si stava rendendo autonoma dalla ostetricia e ginecologia: "Era il tempo in cui accanto al "dottore delle donne" veniva affermandosi come figura professionale indipendente il "dottore dei bambini". Le vittorie della batteriologia, dell’immunologia nascente e dell’igiene, trionfando sulla mortalità infantile, conferivano a questa nuova figura potere e prestigio. La vaccinazione, il siero antidifterico, le pratiche di puericoltura erano risorse curative preziose tanto quanto la capacità acquisita di fare diagnosi precoci e precise, come quella di svelare, con il microscopio e i raggi X, una tubercolosi infantile all’esordio". [4]
Sin dai suoi primi studi, in Del Piano si nota una mentalità legata alla nuova Medicina ed attestata dalla metodologia di analisi dei risultati conseguiti, che egli applica nei suoi scritti. C’è poi in lui una passione di divulgatore della prevenzione sanitaria, che dimostra ed applica in continuazione. Dopo la pubblicazione nel 1901 dell’"opuscoletto" intitolato Pro Infanzia, tiene a Rimini varie conferenze che hanno per oggetto l’assistenza infantile.
Ce ne fornisce cronache interessanti L’Ausa. Il 4 marzo 1903 in una prima conversazione all’Università popolare, Del Piano tratta di questi argomenti: l’importanza e gli effetti dell’igiene in generale e specialmente dell’igiene infantile che "deve cominciare prima della procreazione"; la protezione dell’infanzia durante la gestazione; e l’igiene del neonato soprattutto in rapporto all’allattamento materno. Nella stessa sede, in un’altra occasione, Del Piano riferisce del valore dell’allattamento materno e dei problemi legati all’igiene dell’alimentazione.
Nella prima conferenza Del Piano ha trattato pure delle "leggi universali della ereditarietà" e delle "cause che inducono degenerazione nel germe e nella razza", esponendo "i rimedi" relativi e facendo notare "l’importanza della selezione dei procreatori o del contratto di salute nel matrimonio": "Bisogna", sostiene, "che il principio morale della selezione nel matrimonio, e dico morale perché rispetta e favorisce il diritto alla vita, entri nella coscienza del popolo e nella convinzione generale". [5]
Per comprendere meglio l’accenno alla "selezione nel matrimonio", ci aiuta un altro passo della cronaca dell’Ausa, in cui si legge che Del Piano ha detto che "il diritto alla vita non deve essere un privilegio dei forti", e che la dottrina "di Darwin sulla lotta per l’esistenza non è in opposizione con le dottrine umanitarie perché ogni specie deve servirsi dei mezzi che gli vengono dal suo grado di evoluzione e perché l’uomo ha la facoltà di aumentare la produzione in rapporto ai propri bisogni". L’uomo dovrebbe avere, a differenza di tutti gli altri esseri, "la tendenza ad affermarsi nella vita razionalmente e onestamente", ha detto testualmente Del Piano, "col lavoro e con l’intelligenza; e non brutalmente con la forza o bassamente con l’intrigo".
In conclusione del suo discorso, Del Piano poi "ha combattuto" le dottrine dei "filosofi aristocratici individualisti germanici", di cui è caposcuola Friedrich Nietzsche (1844-1900), autore allora in voga in Italia, grazie anche alle affrettate letture di D’Annunzio che travasò il mito del superuomo niciano in pagine a larga diffusione come Le vergini delle rocce (1895). Questi filosofi, dichiara Del Piano, "sostengono il principio immorale del diritto della forza", a cui egli contrappone le dottrine umanitarie "del più glorioso degli uomini viventi", Leone Tolstoi.
Un altro passaggio importante di questo discorso di Del Piano, è nel richiamo alla necessità di una legislazione sociale a tutela delle lavoratrici madri, con il divieto al lavoro "per un tempo più o meno lungo a seconda del lavoro cui attendono".
Un nuovo argomento viene affrontato da Del Piano nel 1905, con La rigenerazione fisica nelle scuole: l’"evoluzione collettiva degli esseri" viene proiettata "come in una sintesi rapida, nell’evoluzione che l’individuo compie nei nove mesi della sua vita fetale". Basandosi su ricerche americane ed inglesi, Del Piano sostiene che non soltanto all’età "ma al grado maggiore di sviluppo fisico corrisponde un grado maggiore di sviluppo intellettuale nei fanciulli".
Questa la regola, egli scrive, aggiungendo: "Vi furono, è vero, cervelli prodigiosi anche in soggetti fiacchi e malati: si cita sempre il Leopardi, ma fu un’eccezione", oltre tutto "nefasta" al pari "dei prodotti di simili intelligenze", che provocano "depressione sulla razza umana". "Chi di noi abbia letto il Leopardi, non è stato un po’ vittima del Leopardismo?", si chiede Del Piano, definendo l’interesse verso le opere del poeta di Recanati una "triste infermità che trasmessa per contagio ai giovani del nostro tempo ne crea dei pessimisti precoci, degli sfiduciati nell’avvenire, degli scoraggiati nella lotta sognanti l’ideale oscuro della negazione dell’essere tosto che abbiano aperto gli occhi alla realtà della vita". [6]
Nel 1908 Del Piano, a proposito di assistenza infantile, denuncia la disattenzione italiana verso i "problemi dell’igiene sociale" e nei confronti della necessità di superare le "vecchie forme della pubblica e privata beneficenza". [7] Non ci si vuol render conto, dice Del Piano "che ogni bambino che si ammala o muore rappresenta una perdita di capitale […]; e che ogni bambino nel quale la malattia abbia indotto un’infermità permanente è un elemento produttivo di meno e un parassita di più che la società con ingente sacrificio, deve provvedere di tutto il necessario alla vita".
Ogni anno muoiono in Italia 210 mila bambini dalla nascita ad un anno, 155 mila da uno a cinque anni, 30 mila da cinque a dieci anni. Se, aggiunge Del Piano, dalla nascita a dieci anni è di 350 mila il numero dei morti, quello della malattie è di oltre tre milioni, equivalente a quasi 66 milioni di giorni di malattia (con una media di venti giorni per ogni singola malattia).
Il costo sociale delle morti e delle malattie infantili è calcolato in 170 milioni annui: "Evidentemente il danno è maggiore in quanto a conti non fatti, possa apparire; ma quando si scende alla quistione pratica di opporsi cioè in modo utile a questa ecatombe di vite, che si risolve in un vero disastro per l’economia sociale e per la forza espansiva di una nazione giovane come la nostra, gli enti pubblici e privati, che, in Italia specialmente, non conoscono o mostrano di non apprezzare altre risorse all’infuori dell’Ospedale contro le malattie e contro alla morte, si arrestano spaventati e si trincerano ancora dietro i vecchi regolamenti che escludono dall’assistenza ospedaliera il fanciullo fino al 5°-6° ed anche 7° anno, dichiarando assolutamente impossibile fronteggiare gli oneri della spedalità infantile".
Ciò avviene mentre la Medicina moderna "tende sempre più ad affermarsi nel campo profilattico come medicina sociale". Il problema principale dell’infanzia è l’alimentazione. In Francia esiste per legge una sorveglianza medica sui lattanti, che ha una funzione preventiva, svolta pure da analoghe istituzioni nate su quel modello in "tutto il mondo civile". E qui Del Piano cita le esperienze di Torino, Firenze e di altre città, dove si è constatato che, con il sistema delle consultazioni o del dispensario, si è ridotta la mortalità e sono diminuite le spese per le terapie.
Passando alla realtà riminese, Del Piano comunica che, secondo le statistiche del nostro stato civile, muoiono ogni anno nel Comune circa 600 bambini, fra zero e dieci anni con una perdita sociale quantificabile in 158 mila lire. Ipotizzando, secondo un normale rapporto statistico che ai 600 morti corrispondano 500 malattie annue, se ne può calcolare la perdita sociale in altre 100 mila lire. Il totale è di 257 mila lire "che gravano ogni anno passivamente nell’economia sociale del Comune di Rimini", mentre con meno di duemila lire si curerebbero ogni anno un migliaio di bambini: il calcolo non è teorico, ma fatto in base alle spese sostenute da due dispensari romani che operano nel campo dell’assistenza infantile. [8]
Sull’argomento Del Piano ritorna in un articolo preparato appositamente per L’Ausa, incui ricorda come il legislatore francese, nel predisporre oggi i dispensari per i fanciulli, si sia ispirato alle infermerie pubbliche del tempo di Augusto; e sottolinea che in Italia, poteri pubblici ed enti di assistenza pubblica o privata, "sono rimasti finora completamente estranei ed impenetrabili al grande movimento scientifico" dell’ultimo mezzo secolo, relativamente al problema infantile. [9]
Del Piano, ora come in passato, critica il baliatico che considera, in base a dati statistici, una delle cause dell’alta mortalità infantile, assieme ai disordini alimentari e all’allattamento artificiale. [10] Per una nuova assistenza ai fanciulli, Del Piano delinea questo programma: "1. favorire con ogni mezzo possibile l’allattamento materno; 2. guidare ed istruire le madri o le nutrici nell’adempimento del loro fondamentale dovere; 3. attenuare gli inconvenienti dell’allattamento artificiale (quando per necessità vi si debba ricorrere) con somministrazione di latte sterilizzato ed un’igiene razionale dell’alimentazione". Poi Del Piano ritorna sul tema della profilassi, da realizzare in un consultorio-dispensario come in effetti sarà l’Aiuto Materno, facendo accedere i bambini malati in giorni diversi da quelli in cui si tengono le visite per i lattanti sani. [11]
Per realizzare questo programma, sarebbe occorso un locale che Del Piano sperava di ottenere dal Comune. Fu invece suor Isabella Soleri ad aprire nel 1910 le porte del suo palazzo ai bambini dell’Aiuto Materno, in quell’incontro fra "scienza e carità" (per usare l’espressione dell’Ausa), che doveva preludere ad un nuovo concetto di assistenza sociale. Soltanto allora Del Piano poté concretare le idee espresse nei suoi scritti, cominciando a raccogliere i frutti nei quali aveva sperato.
In dieci anni di attività dell’Aiuto Materno, come dimostra il confronto fra i dati del 1911 e quelli del 1920, la mortalità dei bambini assistiti ebbe una notevole diminuzione. Diciotto erano stati i decessi registrati nel corso del 1911, su 128 bambini assistiti. Nel 1920, furono soltanto tredici, su 238 assistiti. Si scese cioè dal 14 al 5,4%. [12]

[1] Su Augusto Murri rimandiamo al nostro cap. 8, Augusto Murri e Rimini.
[2] "L’egregio Prof. Antonio Del Piano mercoledì scorso ha iniziato a l’Università di Roma le sue lezioni di Patologia infantile e terapia marittima annesse al corso di perfezionamento per medici e studenti, trattando in una sintesi piena ed elegante la Patologia delle malattie dell’infanzia. I Giornali di Roma sono stati unanimi nel tessere amplissime lodi al valoroso concittadino Prof. Del Piano per la dotta lezione detta in forma smagliante": cfr. Corriere Riminese del 3 febbraio 1915.
[3] Cfr. N. Matteini, op. cit., II, p. 927; G. Gattei, Bagni e guerra (1914-1944), nel vol. II della "Storia di Rimini dal 1800 ai giorni nostri", Ghigi, Rimini, 1977, p. 107 e p. 109; e L’Ausa, anno VII, n. 22, 31/5/1902. In BGR si conserva la quarta edizione riveduta ed aumentata de L’allevamento umano, Igiene della prima infanzia, Cooperativa Farmaceutica, Milano, senza data: è il lavoro vincitore del concorso del 1902.
[4] Cfr. G. Cosmacini, op. cit., p. 127.
[5] Di questa prima conferenza esistono "appunti stenografati" intitolati La Protezione e l’Igiene nell’Infanzia, editi a Rimini nello stesso anno da Pozzi e Tagliati succ. Renzetti [BGR, 13. MISC. CCL. 40], dai quali riprendiamo le citazioni testuali. Per la prima conferenza, cfr. L’Ausa, anno VIII, n. 9, 7 marzo 1903. Per la seconda, L’Ausa, anno VIII, n. 13, 4 aprile 1903.
[6] Cfr. A. Del Piano, La rigenerazione fisica nelle scuole, Capelli già Malvolti, Rimini 1905, pp. 13-16 [BGR, 13. MISC. LVI. 67].
[7] Questo tema è stato affrontato anche sulla Nuova Antologia che, nel numero del 16 agosto 1907, ha pubblicato un articolo di Francesco Ciccotti, intitolato La trasformazione della filantropia, Dalla carità privata all’assistenza sociale.
[8] Cfr. L’Ausa, anno XIII, n. 4, 25 gennaio 1908: è il testo di una conferenza di Del Piano, riprodotto dall’Unione Riminese, dal titolo: L’assistenza infantile nei suoi rapporti con l’economia sociale.
[9] L’articolo intitolato Le opere dell’assistenza infantile, è apparso sul n. 6, anno XIII, dell’8 febbraio 1908.
[10] Contro l’allattamento mercenario, Del Piano si è già espresso nel 1903; cfr. la cit. conferenza La Protezione e l’Igiene nell’Infanzia, p. 3: su "44 bambini dati a balia in campagna", 41 sono morti senza raggiungere i venti mesi di vita. Per "una più efficace tutela della prima infanzia resa più necessaria dall’alta mortalità che essa ci presenta", il 4 agosto 1918 viene emanato un decreto luogotenenziale sulla "tutela igienica del baliatico", cui segue l’ordinanza ministeriale applicativa del gennaio 1919: cfr. la circolare del sottoprefetto Solmi inviata ai sindaci del circondario riminese il 17 aprile 1919 [AAM]. In seguito a tale circolare, Del Piano il 27 aprile 1919 [AAM] scrive al presidente dell’Aiuto Materno perché si attivi al fine di ottenere per il servizio di baliatico, svolto fino ad allora dall’Aiuto Materno "senza compensi", "gli speciali sussidi o premi" previsti dal decreto del 4 agosto 1918. (Sui controlli relativi al baliatico, come esempio, cfr. questo passo in Rimini, Bollettino mensile di Statistica, Riassunto anno 1938-XVI e relazioni varie, p. XXI: "Sono state praticate, per il rilascio della autorizzazione ad esercitare il baliatico mercenario, N° 21 visite; furono rilasciate N° 19 autorizzazioni. A seconda del caso, furono eseguite ricerche di accertamento diagnostico (tubercolosi e sifilide), e sul latte stesso".
[11] Del Piano non parla di consultorio, ma di "consultazione".
[12] Analogo risultato, circa la diminuzione dei decessi, sarà rilevato nel 1921 per gli infanti illegittimi: cfr. il nostro cap. 6, Gli "esposti" all’Aiuto Materno (1920). Per i dati del 1911 (in parte già riportati nel nostro cap. 3. Suor Isabella Soleri: dal Ricovero San Giuseppe all’Aiuto Materno), cfr. A. Del Piano, Le opere moderne della Puericultura sociale e l’Aiuto Materno di Rimini, cit., p. 16, p. 19 e p. 24 e tabella B, a fine volume, che riporta una particolareggiata statistica delle morti avvenute nel 1911, con età degli infanti, epoca del decesso, malattia causa mortis, genere di alimentazione e osservazioni anche sulle malattie famigliari. I dati del 1920 sono in calce al testo Assistenza Provinciale alle madri ed ai bambini illegittimi nel Circondario di Rimini, Relazione Sanitaria per l’anno 1920 del Dott. Prof. A. Del Piano, Unione Tipografica Riminese, Rimini 1921, pp. 16-17 [BGR, 13. MISC. CLXIX. 26]. Nello stesso periodo, le madri lattanti ammesse alla refezione passarono dalle 65 del 1911 alle 40 del 1920. Le refezioni erogate, da 5.788 (per 65 madri) a 3.300 (per 40 madri). Nello stesso 1920, sono 45 i corredini distribuiti contro i 104 del 1911.

6. Gli "esposti" all’Aiuto Materno (1920)

Nel corso della premiazione natalizia del 1912, Del Piano ha parlato anche delle "deficienze della tutela di Stato sugli Esposti": l’opera dell’Aiuto Materno, egli ha detto, "sarà più armonicamente completa quando anche a questi incolpevoli rejetti possa estendersi il patrocinio morale" dell’istituzione. [1]
Ciò avviene nel 1920, mediante una convenzione con la Deputazione Provinciale "in base alla quale il servizio degli esposti e l’assistenza alle madri illegittime del Circondario di Rimini passava dal Civico Ospedale all’Aiuto materno che per la sua particolare affinità di funzioni e per il suo carattere di istituto specializzato poteva dare affidamento di più profonda gestione". [2] Nell’"aprile del 1920 il Brefotrofio Provinciale trovava sede nei locali dell’Aiuto Materno". [3]
Quale fosse nei tempi andati l’entità del problema degli illegittimi, ce lo rivelano alcune cifre. Cominciamo dal secolo scorso. Nei "registri de’ fanciulli esposti in questo spedale", scriveva Antonio Bianchi, storico e bibliotecario civico di Rimini, in sedici anni, dal 1816 al ’32, si è passati da 262 casi a 530. [4]
Il primo gennaio 1890 gli illegittimi assistiti nel Brefotrofio di Rimini sono in tutto 305. Di loro, soltanto 48 (15,7%) hanno età inferiore all’anno. Sul totale di 305 assistiti, i maschi sono 153, le femmine 152.
Gli illegittimi ammessi nel triennio 1890-92, tutti "sotto l’anno" di età, sono 188. Quelli che nel medesimo triennio cessano di essere assistiti per morte, sono complessivamente 137, dei quali 98 sotto l’anno e 39 sopra l’anno di età. In prevalenza sono maschi: 75 (di cui 56 sotto l’anno e 19 sopra l’anno di età), contro 62 femmine (rispettivamente 42 sotto l’anno e 20 sopra). Altri 58 non sono più assistiti per compimento di età, ed infine 9 per riconoscimento.
Al 3 dicembre 1892, gli assistiti del Brefotrofio erano 289. Nel decennio 1887-96 sono 25 (contro i 109 totali dei tre Comuni di Rimini, Cesena e Forlì). [5]
A Rimini nel triennio 1897-99 i riconoscimenti, le legittimazioni e le adozioni complessive (con sussidio triennale alla madre), sono 34 (sul totale di 148 che comprende anche i Comuni di Cesena e Forlì). Disaggregando il dato, si nota che nel ’97 sono 18 (6,6% degli assistiti), nel ’98 sono 11 (4,6%), nel ’99 sono 5 (11,3%). Per il decennio 1887-96, i casi registrati sono complessivamente 109, di cui 75 a Forlì, 9 a Cesena e 25 a Rimini. La cifra di Rimini corrisponde a circa l’11% degli assistiti. [6]
Il sussidio triennale concesso alle madri che si riprendono i loro figli, a patto che esse siano povere e con buona condotta, "determina un risparmio nelle spese di mantenimento a carico del Comune". Gli amministratori riminesi attuano un attento esame del grado di affidabilità delle nutrici incaricate di allattare i bambini abbandonati. Nel primo decennio del nuovo secolo viene nominata una nuova Commissione con il compito di vigilare in modo continuativo sui bambini, e di controllare il Padrino degli esposti, un impiegato della Congregazione di Carità incaricato della sorveglianza dei trovatelli. [7]
Nel 1907 si costituisce a Forlì il Consorzio provinciale per l’infanzia abbandonata, che ha lo scopo di "provvedere al mantenimento di fanciulli poveri comunque abbandonati o maltrattati, per i quali manchino o non siano sufficienti i sussidi concessi dagli enti locali". Il Consorzio, sorto per iniziativa del prefetto De Nava, eroga sussidi a domicilio e promuove "specialmente" il ricovero dei "piccoli infelici", in accordo con gli Orfanotrofi di Forlì e Rimini, "i quali hanno concesso una retta di favore per tale ricovero".
Nel 1908 il Consorzio riceve un sussidio di 400 lire dal ministero dell’Interno, e di 200 dall’Amministrazione Provinciale. Gli assistiti in maniera continuativa nel 1907 sono stati cinque, e dodici nell’anno successivo. Nel 1908 sono stati poi erogati sussidi una tantum. Nel Consiglio direttivo del Consorzio sono stati chiamati, per il Circondario di Rimini, l’avv. Luigi Bianchini e l’ing. Achille Renzi. [8]
Gli esposti accolti nel brefotrofio dell’Ospedale tra 1910 e 1914 sono complessivamente 409. In questi anni, l’assistenza ed il relativo sussidio pagato a custodi esterni, cessano al dodicesimo anno per i maschi ed al quattordicesimo per le femmine. Circa i riconoscimenti materni, si cerca di facilitarli "quanto è più possibile accordando un premio speciale" che viene pagato nei primi cinque anni di età del bambino: "per conseguire tale premio è necessario che la madre oltre essere povera, abbia anche una buona condotta e non viva in concubinato". Raggiunti i vent’anni, l’esposto riceve la cosiddetta "benedizione, consistente in un premio straordinario di lire 40, e le esposte all’atto del matrimonio hanno diritto ad una dote di lire 150". [9]
In occasione della convezione del 1920, e su proposta dello stesso Del Piano, la Deputazione Provinciale "deliberò alcune riforme del vecchio regolamento": si poneva alle madri illegittime l’obbligo dell’allattamento per almeno sei mesi "con retribuzione, se trattenute in Istituto, di L. 15 mensili, vitto e alloggio"; si elevava a 50 lire "l’assegno mensile alle madri nutrici a domicilio nel primo anno di vita", ed a 40 lire l’assegno "alle nutrici esterne e alle madri che non avessero riconosciuto ma che allattassero il proprio bambino"; e si elargiva infine "un premio dalle 100 alle 200 lire per il riconoscimento alla madre, ed un premio alla levatrice ogni qualvolta risultasse che avesse esplicato opera di persuasione presso la gestante e presso le famiglie per il riconoscimento materno degli illegittimi".
Così lo stesso Del Piano riassume le novità introdotta da quella convenzione nella Relazione Sanitaria apparsa nel 1927, di cui riportiamo ora i punti principali. [10] Nel 1920, anno in cui l’Aiuto Materno inizia "l’esperimento nuovo di accumunare la maternità e l’infanzia legittima ed illegittima in un solo ordine di assistenza", i riconoscimenti salgono dal 27 all’86%. L’allattamento materno è possibile per il 90% delle gestanti assistite. La mortalità nel corso dei primi due anni di vita del bambino si abbassa dal 43 al 20%. Nel corso del 1924, si registra a Rimini il più basso indice provinciale degli esposti, pari allo 0,09 per mille contro lo 0,62 di Forlì e lo 0,30 di Cesena. [11]
Del Piano, per far illustrare gli esiti conseguiti nell’assistenza degli esposti nell’Aiuto Materno, confronta l’ultimo esercizio presso l’Ospedale civile (1919) e l’esercizio presso il suo istituto nel 1926. Gli assistiti del 1919 furono 65, di cui 22 nati nell’anno precedente. Su 65, ne erano stati riconosciuti 33. Gli assistiti nel 1926 sono 47, e tutti riconosciuti. Tra loro, i nati nel ’25 erano 20.
I morti nel 1919 furono 28 (di cui 4 nati nell’anno precedente, contro i 24 dello stesso 1919). Nel ’26 furono 4, e soltanto tra i nati dello stesso anno. Si passa così da una mortalità pari al 43,07% del 1919, all’8,17% per il 1926.
Mentre i riconoscimenti all’inizio costituivano soltanto il 27%, divennero infine la totalità dei casi. Su 27 gestanti assistite, "14 sgravarono a domicilio presso le rispettive famiglie dove restarono unitamente al bambino e furono sussidiate come madri nutrici; e 13 furono accolte in maternità dove sgravarono e permasero per un tempo cumulativamente breve per tornare poi tutte in famiglia col proprio bambino sussidiate come madri nutrici".
Un’altra statistica sull’andamento generale del servizio, permette di notare che, in sette anni, le iscrizioni annuali di illegittimi sono discese da 43 a 27, mentre il numero totale degli assistiti gravanti sul bilancio della Deputazione Provinciale è sceso da 188 a 120.
Lo scritto di Del Piano contiene anche alcuni suggerimenti di ordine giuridico: "Il vecchio Brefotrofio è istituzione troppo anacronistica perché debba essere perpetuata, ma è anche troppo profondamente radicata nella nostra tradizione latina per poter essere abolita senz’altro". L’abolizione "del Brefotrofio è, e deve necessariamente essere nel programma del nuovo ordinamento sociale". Ma ciò anzitutto "presuppone la riforma di alcuni articoli del codice civile e del codice penale, specie in ordine alla ricerca della paternità istituita ormai presso tutti i paesi più civili". Occorrono poi "quelle opere moderne della puericultura sociale che informate ai postulati della scienza e della civiltà ed erette in ogni capoluogo del Circondario e in diretto rapporto con le istituzioni affini, con i medici e le levatrici nei comuni minori dipendenti, possono, coi benefici del decentramento, fattore non trascurabile della diminuzione della mortalità infantile, realizzare il più diretto contatto scientifico e morale con gli assistiti nelle consultazioni ebdomadarie, l’assistenza a domicilio e la propaganda per l’allattamento ed il riconoscimento materno".
Infine, si deve realizzare "una più larga ed adeguata organizzazione da parte della società di quella assistenza integrale igienica educativa e culturale che consente di valorizzare meglio la vita promuovendo, senza pregiudizi di origine e senza privilegi di casta, fino al più utile rendimento tutte le energie fisiche intellettuali e morali onde è costituita la personalità umana". [12]
Nella Relazione Sanitaria apparsa nel 1921 sul primo anno della convenzione tra Aiuto Materno e Deputazione Provinciale, Del Piano aveva osservato che "già con la ricerca amministrativa della maternità, introdotta da qualche tempo nel regolamento dell’On. Deputazione Provinciale, il servizio di assistenza agli illegittimi nella Provincia di Forlì, purificato dall’onta della Ruota, aveva assunto una forma meno regressiva". L’esposizione, aveva aggiunto, "avveniva tuttavia in proporzioni elevate ed assai limitata era l’estensione agli assistiti del diritto naturale che ogni bambino ha di essere allattato dalla propria madre". Ciò perché "col licenziamento della madre dalle sale di maternità nel termine di dieci giorni dopo il parto venivano troppo spesso e troppo brutalmente spezzati quei vincoli sentimentali che si fanno tanto più indissolubili tra la madre e il bambino per quanto più dura la loro intima unione".
"Solamente mediante questa intima unione", aveva concluso Del Piano, "il diritto di ogni figlio al latte della propria madre può essere realizzato e […] l’infanzia illegittima può essere sottratta alla strage dell’allattamento artificiale ed agli infortuni ed alle incognite dell’allattamento mercenario, per essere avviata poi, con una più efficace assistenza prodigata alla madre a domicilio, verso le condizioni più favorevoli dell’ambiente famigliare".[13]
Nel Circondario di Rimini, tra 1920 e 1926, il numero complessivo degli illegittimi è passato da 188 a 120. [14]
Nel 1923 il nuovo Regolamento generale del 16 dicembre, n. 2900, uniforma il servizio di assistenza degli esposti in tutto il Regno "abolendo definitivamente l’anacronistico sistema della ruota". Nel 1927 il regio decreto-legge n. 798 dell’8 maggio rende "obbligatoria l’assistenza di tutti i fanciulli illegittimi riconosciuti da madre bisognosa". [15]
Dal gennaio 1931 "il Servizio Esposti già disimpegnato per l’ex Circondario di Rimini, per conto dell’Amministrazione Provinciale, dall’Aiuto Materno", viene "accentrato per tutta la Provincia di Forlì presso il Brefotrofio Provinciale". Il servizio subisce "alcune modifiche": la principale consiste nel fatto che le madri non saranno più a carico della Provincia ma dei Comuni o dell’ONMI.
Il Consiglio di Amministrazione dell’Aiuto Materno il 22 febbraio 1931, in attesa della nuova convenzione, delibera "di accettare per il servizio il compenso annuo a ‘forfait’ di lire 22.000", e di proporre all’Amministrazione Provinciale "che le spese vive di viaggio per le visite a domicilio vengano rimborsate integralmente". [16]
La nuova convenzione è approvata il 3 maggio 1931. Essa prevede che, "per tutti i minori abbandonati o esposti all’abbandono" nei Comuni dell’ex Circondario di Rimini, il servizio venga affidato all’Aiuto Materno il cui direttore sanitario dovrà comunicare ogni notizia all’Amministrazione Provinciale, alla quale spettano "l’unità di direzione ed amministrazione del servizio", e le "concessioni di premi o sussidi di carattere straordinario o facoltativo ed ogni altro provvedimento relativo a spese". [17]
Per i minori illegittimi fino ai sei anni "che per deficenza di locali nell’Istituto Provinciale, venissero ricoverati presso l’Aiuto Materno, la Provincia corrisponderà la retta giornaliera" di lire cinque al dì. Stabilito nelle citate 22.000 lire annue (comprensive di "qualsiasi spesa", tra cui quelle per "la fornitura dei corredini per i neonati e la provvista di casse da morto"), il pagamento forfettario delle prestazioni, la convenzione prevede infine il "rimborso delle sole effettive spese di viaggio" per le visite mediche fuori del Comune. [18]
Il 7 settembre dello stesso 1931 l’Amministrazione Provinciale disdice la convenzione, "in considerazione del fatto che il Servizio degli illegittimi riconosciuti è stato assunto direttamente" dall’ONMI, e si riserva di elaborarne una nuova. L’8 settembre il Consiglio d’Amministrazione dell’Aiuto Materno, prendendo atti della comunicazione dell’Amministrazione Provinciale, ascolta una relazione del prof. Del Piano, suo direttore sanitario, che è pure presidente della Federazione provinciale dell’ONMI: la Federazione, egli dichiara, vuol dare "una sistemazione scientificamente e praticamente organica" al servizio degli illegittimi, con speciale riguardo all’ex Circondario di Rimini, "nel quale da anni l’Aiuto Materno funziona da centro di raccolta". [19]

[1] Cfr. il cit. resoconto dell’Ausa del 21 dicembre 1912.
[2] Cfr. A. Del Piano, L’Opera dell’Aiuto Materno in Rimini dal 1910 al 1926, cit, p. 9. Alla convenzione si giunge in due tempi. Il 31 ottobre 1919, il Consiglio d’Amministrazione dell’Aiuto Materno, dopo "verbali scambi di idee fra la Presidenza, la Direzione dell’Aiuto Materno e la Presidenza della Congregazione di Carità", delibera di "accogliere nei locali dell’Aiuto Materno i bambini attualmente ricoverati nel brefotrofio alle stesse condizioni fissate o da modificarsi dalla Provincia di Forlì" (cfr. Verbale del Consiglio d’Amministrazione, 31 ottobre 1919, AAM). Su tale delibera, la Commissione Provinciale di Beneficenza richiede "qualche schiarimento", a cui l’Aiuto Materno "ritardò di dare evasione", poiché nel frattempo erano iniziate le trattative per ottenere "l’intero servizio Esposti, compresa la Sala di Maternità; servizio che presenta affinità cogli scopi dell’Aiuto Materno" (cfr. Verbale del Consiglio d’Amministrazione, 1. aprile 1920, AAM). Le trattative si concludono positivamente, con un accordo, approvato dall’Amministrazione Provinciale, in quanto l’Aiuto Materno "ha dovuto assumere prontamente tale servizio poiché alla Congregazione di Carità necessitava abbattere i locali che essa adibiva a tale scopo" (ib.). Sull’argomento, cfr. pure la cit. Relazione (dicembre 1920), p. 4: "La Provincia di Forlì [cancellato, e a margine: accogliendo una vecchia proposta fatta dal prof. Del Piano], d’accordo con la locale Congregazione di Carità, offriva a questo Istituto, come il più adatto allo scopo, l’intero servizio Esposti, compresa la Sala di Maternità". Nel Verbale del 10 marzo si precisava che l’Aiuto Materno era "costretto ad assumere l’intero servizio o rinunziarvi completamente".
[3] Cfr. la cit. Relazione del dicembre 1920, p. 4. Il prof. Del Piano viene nominato il 10 marzo 1920 direttore sanitario del brefotrofio dal Consiglio d’Amministrazione dell’Aiuto Materno, il cui segretario rag. G. S. Beltramelli si vede affidata la parte amministrativa del servizio (cfr. Atti AMM, 10 marzo 1920).
[4] Cfr. M. Zuffa, Pensieri politici di un bibliotecario gambalunghiano, in "Studi Romagnoli, X (1959)", pp. 389-496. Il passo è ora riprodotto in A. Bianchi, Storia di Rimino dalle origini al 1832, a cura di A. Montanari, Ghigi, Rimini 1997, p. 203; cfr. pure ivi l’ introduzione di A. Montanari, Antonio Bianchi scrittore, p. XLI.
[5] I dati sono rielaborati in base alla tabella 9 pubblicata da A. Tonelli nell’op. cit., p. 388, e ricavata da Statistica dell’infanzia abbandonata. Anni 1890-91-92, Roma 1894, pp. 87-88.
[6] Cfr. tab. 10 in A. Tonelli, op. cit., p. 389, ricavata da Relazione sugli esposti nell’anno 1899, in Archivio Stato Forlì, Archivio Esposti, 1899, n. 540.
[7] Cfr. A. Tonelli, op. cit., pp. 389-390
[8] Cfr. L’Ausa,anno XIII, n. 34, 15 agosto 1908. Nell’articolo si precisa che il Consorzio "cominciò a funzionare dal maggio dell’anno scorso" [1907].
[9] Cfr. A. Mangini, La Pubblica Beneficenza del Comune di Rimini, L’Ospedale Infermi, Rimini 1915, pp. 17-18. La cifra di 409 unità, non presente nelle statistiche riportate da Mangini, la ricaviamo dai dati pubblicati a p. 18 sul "movimento" degli esposti: partendo dalla cifra iniziale di 250 bambini registrati al 1° gennaio 1914, abbiamo aggiunto i dati sui nuovi accolti del quinquennio (159), e sottratto quelli relativi ai dimessi nello stesso periodo (150) ed ai morti complessivi del quinquennio (64). Gli esposti presenti nel brefotrofio dell’Ospedale all’inizio del 1910 sono 250, alla fine dello stesso anno 237: i nuovi accolti sono stati 35, i dimessi 31, i morti 17. Nel 1911 nuovi accolti 23, dimessi 33, morti 13. Nel 1912 nuovi accolti 30, dimessi 32, morti 9. Nel 1913 nuovi accolti 45, dimessi 24, morti 18. Infine al 31 dicembre 1914, con 26 nuovi accolti, 30 dimessi e 7 morti, restano 195 ospiti. Le legittimazioni nello stesso periodo (1910-14) sono state 5. I riconoscimenti con sussidio, 40; senza sussidio, 14. Le gestanti illegittime accolte in sala di maternità, 66. La media percentuale della mortalità, 5,04. Il "premio speciale" per il riconoscimento materno corrisponde alle mensilità pagate ai custodi per lo stesso periodo di tempo (14 lire nel primo anno, 9 nel secondo, 6 nel terzo, e 5 nel quarto e quinto anno).
[10] È il già cit. lavoro intitolato L’Opera dell’Aiuto Materno in Rimini dal 1910 al 1926, Relazione Sanitaria. Le notizie che riprendiamo qui di seguito sono tolte dalle pp. 9-15.
[11] A pag. 12, ib., si legge che Rimini ha 125.277 abitanti: il dato riportato da Del Piano si riferisce evidentemente all’intero circondario riminese; infatti, per il solo Comune di Rimini, al 31 dicembre dello stesso 1924, è registrata ufficialmente una popolazione di 58.063 unità: cfr. i dati dei bollettini statistici del Comune di Rimini, usciti dal 1931 al ’39, una cui copia rilegata in due volumi è conservata nella BGR, sezione periodici, e precisamente nei riassunti annui del 1935 e del ’36. Dai dati dei censimenti (pubblicati in tali bollettini), ricaviamo queste cifre sugli illegittimi, ottenuti sottraendo dal numero dei nati vivi quello dei figli legittimi: 1871, 210; 1881, 297; 1891, 385; 1901, 257; 1911, 192; 1921, 150. Dai dati sul "movimento naturale della popolazione" dei singoli anni dal 1925 al 1931, si desumono, con lo stesso sistema, queste cifre relative agli illegittimi: 1925, 136; 1926, 129; 1927, 113; 1928, 121; 1929, 116; 1930, 110; 1931, 111. Per gli anni dal 1932 al ’36 disponiamo di statistiche che disaggregano dal numero totale degli illegittimi quello degli esposti che indichiamo tra parentesi: 1932, 97 (12); 1933, 64 (11); 1934, 75 (10); 1935, 61 (14); 1936, 64 (17). Come esempio statistico indicativo del fenomeno degli illegittimi in quest’ultimo periodo (1932-’36), prendendo i due anni di massima e di minima rilevanza del fenomeno, osserviamo che essi nel 1932 sono 97 (di cui 12 esposti) su 1.257 nati vivi, pari cioè al 7,71%. Nel 1935, i 61 illegittimi (di cui 14 esposti) su 1.227 nati vivi, costituiscono il 4,97%. I valori minimi e massimi di quest’ultimo periodo (1932-’36), relativi ai soli esposti, si registrano nel 1934 (10 casi su 1.312 nati vivi, pari allo 0,76%), e nel 1936 (17 casi su 1.227 nati vivi, pari all’1,38%). Mentre per gli illegittimi (non esposti) il fenomeno si dimezzava (passando da 85 a 47 casi nel periodo esaminato), quello degli esposti aumentava (+81%). I legittimati e riconosciuti nel 1933 furono 83; nel 1934, 95; nel 1935, 59; nel 1936, 21. Nel 1938, "i ricoveri di fanciulli esposti presso l’Aiuto Materno sono stati 590 e dimessi 508; alla fine dell’anno risultavano 58 ricoverati": cfr. Riassunto annuo 1938-XVI in Rimini,Bollettino Mensile di Statistica del Comune di Rimini, Garattoni, Rimini [1939], BGR. (I dati del 1926 e del ’27, pubblicati nel Popolo di Romagna del 18 marzo 1928, contengono vari errori, rispetto a quelli desunti dai bollettini comunali: si parla di un aumento della popolazione del 15,92% anziché dell’1,90, e di un calo degli illegittimi di 26 casi, invece che di 16; circa i 113 illegittimi del 1927, si legge in quell’articolo che tale numero è "ancora molto alto, anche se confrontato con quello dei maggiori centri italiani ed esteri". I legittimati del ’27 sono indicati in 96.) Sui brefotrofi e sull’assistenza ai minori a Rimini, cfr. V. Tamburini, op. cit., pp. 115-122.
[12] Cfr. L’Opera dell’Aiuto Materno in Rimini dal 1910 al 1926, Relazione Sanitaria, cit., pp. 15-16.
[13] Cfr. Assistenza Provinciale alle madri ed ai bambini illegittimi nel Circondario di Rimini, Relazione Sanitaria per l’anno 1920, cit. pp. 4-5. La convenzione del 1920, come vedremo in seguito, cessa con il 31 dicembre 1930.
[14] Cfr. L’Opera dell’Aiuto Materno in Rimini dal 1910 al 1926, Relazione Sanitaria, cit., p. 18. Circa il dato del 1926, dal cit. bollettino comunale di statistica risulta di 129 unità e non di 120 come nello scritto di Del Piano. Il dato del 1920 è invece inedito rispetto a quelli riportati in una precedente nota.
[15] Cfr. A. Lo Monaco-Aprile, La protezione della maternità e dell’infanzia, Istituto Nazionale Fascista di Cultura, Roma 1934-XII, p. 8 [BGR]. Nel 1932 furono assistiti in Italia dall’OMNI "70.956 gestanti abbandonate e bisognose"; "174.317 madri abbandonate e bisognose con bambini minori di tre anni"; "130.620 bambini minori di tre anni senza la madre"; "47.426 fanciulli illegittimi riconosciuti dalla sola madre" e "172.917 fanciulli maggiori di tre anni e adolescenti": cfr. ib., p. 45. "L’attuazione della legge 8 maggio 1927 […] ha creato all’Opera una situazione finanziaria insostenibile"; "Annualmente ben 15.000 figli illegittimi vengono assistiti dall’Opera": cfr. S. Fabbri, L’assistenza della maternità e dell’infanzia in Italia (Problemi vecchi e nuovi), Chiurazzi, 1933, p. 127 e p. 135. Fabbri ricorda che, con tale legge, "si è abolita l’espressione dispregiativa di "ignoto", sostituendola con quella più generosa di "illegittimo"" (p. 134). E sottolinea che in virtù di tale legge l’ONMI "ha l’obbligo di assistere l’infanzia illegittima riconosciuta", mentre non è carico né dell’Opera né di altri enti pubblici "lo stesso obbligo a favore delle madri legittime" (p. 127): infatti, secondo la legge del 1925, l’assistenza dei fanciulli legittimi abbandonati "ha carattere meramente facoltativo" (p. 148). In altra parte del libro, si legge: "Oggidì per la difesa della razza e per l’incremento demografico si conclama da ogni parte la necessità di proteggere l’infanzia senza distinzioni fra quella legittima e quella illegittima" (p. 107).
[16] Cfr. Atti 1931, delibera n. 9, Servizio Esposti, Convezione con l’Amministrazione Provinciale (AAM). Sull’ONMI, cfr. nel nostro cap. 11, L’infanzia, "problema politico" del fascismo (1925-1940). In lettera all’Aiuto Materno dell’Amministrazione provinciale di Forlì del 1° ottobre 1930-VIII (AAM), si precisa che la stessa, "in vista soprattutto dell’ottimo andamento" dell’Aiuto Materno medesimo, "è intenzionata di affidare a quest’ultimo parte delle sue attribuzioni in tale materia", dopo l’apertura a Forlì dell’Istituto provinciale Vittorio Emanuele III, prevista per il 1° gennaio 1931. La vecchia convenzione sarebbe stata "sostituita da un’altra da concretarsi" nel frattempo.
[17] All’inizio di ogni anno, l’Amministrazione Provinciale anticiperà all’Aiuto Materno "i fondi presumibilmente occorrenti per un quadrimestre". L’Aiuto Materno, entro trenta giorni dalla scadenza di ogni quadrimestre rimetterà un "rendiconto documentato" a cui, dopo l’accertamento di regolarità, farà seguito il rimborso delle spese. A fine anno si provvederà al conguaglio delle eventuali eccedenze attive o passive.
[18] Cfr. Atti 1931, delibera n. 15, Convenzione con l’Amministrazione Provinciale di Forlì per il Servizio Esposti, AAM. Il presidente dell’Aiuto Materno era allora il dott. Alessandro Bonora, segretario il rag. Guido Salvioni.
[19] Cfr. Verbale dell’Adunanza dell’8 settembre 1931, n. 24. Del Piano poi "rende noto che le difficoltà di prima applicazione" della convenzione appena disdetta, si incontrarono "perché il servizio non avrebbe potuto procedere, secondo i principi da lui riconosciuti inderogabili, nella sua doppia qualifica di Direttore Sanitario dell’Aiuto Materno di Rimini, e Presidente della Federazione Provinciale" dell’ONMI di Forlì. Del Piano poi sottolinea che ormai si era raggiunto un accordo con l’Amministrazione Provinciale per la "separazione dei compiti spettanti per legge" alla Provincia e all’ONMI. Dalla delibera comunale del 9 gennaio 1932 (cfr. Atti del Podestà 1932, pp. 4-5, ASC), si apprende che la revoca del servizio degli esposti decisa dall’Amministrazione provinciale aveva avuto effetto dal 1° marzo 1931; e che, in seguito a tale revoca l’Aiuto materno aveva richiesto al Comune di Rimini, per i mesi aprile-dicembre 1931, il pagamento della somma di lire 6.015, che viene liquidata con la cit. delibera, rifiutandosi l’ONMI di assumere tale onere "trattandosi di ricoveri eseguiti dopo l’ottavo mese di gravidanza".

7. Le cure marine per l’infanzia

Abbiamo già visto che nel 1916 viene istituito all’Aiuto Materno "uno speciale servizio estivo sulla spiaggia per la cura marina ai bambini dell’età prescolare, i quali per le attuali disposizioni di limiti d’età e deficienze ambientali restano esclusi dai benefici delle cure marine". [1]
Sull’argomento delle cure marine, Del Piano si era soffermato già in precedenza. Nel 1902, in occasione delle onoranze bolognesi al prof. Augusto Murri per il suo giubileo magistrale, aveva letto "una pregiata comunicazione sulla "Terapia del mare", che riuscì di speciale gradimento all’illustre Maestro". [2] La terapia del mare s’intitola anche un volume pubblicato da Del Piano nello stesso anno, con dedica all’"illustre ed amato maestro Professor Augusto Murri, cittadino onorario riminese e direttore onorario della stazione balneo-clima-terapica di Rimini". [3]
Nel 1903, aveva ribadito la sua radicata convinzione circa la necessità di "Ospizi Marini permanenti" per curare "i bambini pretubercolosi, deboli e rachitici": l’insegnamento veniva non solo dalla Francia ma anche dall’"iniziativa del Municipio di Lucca nella pineta di Viareggio", risalente al 1842. [4]
Nel 1907 Del Piano ha poi dedicato al tema un volume intitolato Indirizzo e valore delle cure marittime nei bambini, Funzione sociale dei sanatori marittimi infantili, con prefazione del prof. Luigi Concetti, direttore della Clinica pediatrica dell’Università di Roma. [5] Da questa introduzione citiamo un breve passo: "Fatte pochissime eccezioni, i nostri ospizi marini sono rimasti fossilizzati nella loro azione temporanea, aprendo le porte ai poveri bambini solo per un periodo limitatissimo di tempo, incapaci di giovare seriamente e talora riuscendo anche più dannosi che utili. Anzi direi che sono andati peggiorando, come avviene sempre delle opere di beneficenza, quando degenerano in speculazione privata". A tale speculazione, aggiunge il prof. Concetti debbono essere sottratte le cure marittime, disciplinandole ed indirizzandole "con criteri scientifici". [6]
Il tema ritorna nella Relazione Sanitaria scritta da Del Piano nel 1926 [7]: "Per le cure Marine de’ suoi assistiti nelle sale di custodia l’Aiuto Materno ha due baracche sul mare esenti per concessione Municipale della tassa di posteggio, e conformemente alle sue finalità di Istituto specializzato per l’assistenza della maternità e della prima infanzia deve limitarsi ad accogliere solo i bambini inferiori ai 6 anni".
È stato dimostrato, aggiunge, "il beneficio delle cure Marine per le madri nutrici che si trovino in particolare condizione di depressione fisica ed è parimenti oggi universalmente riconosciuto il valore della cura Marina integrale nella prima infanzia per l’adenopatia, per le dermiti linfatiche, per l’atrepsia [8], per la tubercolosi latente e particolarmente per il rachitismo".
Lo spirito del tempo aleggia in un passaggio successivo: "E ciò è bene riaffermare oggi che per espressa volontà del Duce si passa finalmente, con più larghi criteri e più adeguati mezzi, all’attuazione pratica di quei voti che da un ventennio hanno costituito la conclusione platonica di tutti i congressi Nazionali ed internazionali di talassoterapia e di profilassi antitubercolare".
In una breve guida ai Bagni di Rimini, Del Piano inseriva un capitolo proprio sulla "cura del mare", riservando la parte terminale del suo testo ai benèfici effetti prodotti nei fanciulli sofferenti di "manifestazioni linfatiche, anemiche, rachitiche e pretubercolari". [9]
Diventato sindaco nel febbraio del 1923, Del Piano "non dimenticava il fattore sanitario del quale era stato un fervente assertore". Al congresso internazionale del Comitato internazionale di Talassoterapia a Venezia, legge in aprile "una relazione illustrativa del lido di Rimini e delle cure che vi si compivano, che venne molto apprezzata". Qualche mese dopo Rimini ospita un Convegno interregionale di Talassoterapia "ove furono discussi vari argomenti", fra cui una relazione del prof. Guglielmo Bilancioni su "Tubercolosi laringea e cure marine". Nel ’25 all’Ospizio Murri si riunisce la Società Medico-Chirurgica Romagnola "per intensificare colle cure marine la profilassi antitubercolare e la lotta contro la tubercolosi chirurgica". [10] Nel ’26 sorge la Colonia marina del patronato scolastico, prima costruzione attrezzata per cure estive con scopo "eminentemente profilattico". [11]
Nel 1929 viene "completamente demolito" l’Idroterapico perché, "sotto il peso dei suoi cinquant’anni", era stato giudicato "irrecuperabile per ammodernamento dell’ambiente e della sua attrezzatura". Inaugurato "solennemente" nel 1876, l’Idroterapico riminese è stato il primo in Italia. Suo direttore all’inizio fu Paolo Mantegazza, "il celebrato Igienista" che vi "portò il contributo della sua intelligenza, della sua vasta cultura, della sua larga esperienza ed anche il prestigio del suo nome". Due giorni alla settimana, egli teneva consulti gratuiti. Nel ’79, Mantegazza lasciò la direzione dell’Idroterapico, dove lo sostituì Augusto Murri. Oltre che di sale per docce e bagni, l’Idroterapico era dotato di sale per inalazioni (terebintiche e solforose) e per polverizzazioni. [12]
Nel 1870 era stato aperto il primo Ospizio marino per bimbi scrofolosi, che "segnò presso di noi l’inizio di quel movimento che doveva condurre in alcuni decenni alla istituzione delle Colonie marine", destinate a rappresentare tanta parte "nello sviluppo sanitario, edilizio ed anche economico del nostro lido". L’Ospizio era nato per iniziativa del riminese dott. Carlo Matteucci. Nel primo anno ospitò 141 femmine e 136 maschi. [13] Dal 1893 l’Ospizio rimase funzionante tutto l’anno. Cessa la sua attività nel 1918.
L’iniziativa promossa da Del Piano nel ’16 con il "servizio estivo" dell’Aiuto Materno, rientra nella tradizione e nella storia più recente di Rimini: il mare vi è considerato come una fonte di benessere fisico oltre che economico, dopo la nascita del primo stabilimento balneare, avvenuta nel luglio 1843. La scienza moderna ha poi portato il suo contributo: "è il lungo soggiorno sui litorali atto in ispecie ad operare miracolosamente sulla salute", scrive lo stesso Del Piano [14] nella guida ai Bagni, che si chiudeva con una frase ‘pubblicitaria’ di Mantegazza: "…Rimini può vantare, senza superbia, di occupare il primato fra tutti i bagni d’Italia".

[1] Cfr. A. Del Piano, L’Aiuto Materno di Rimini (1910-1928), cit., p. 30.
[2] Cfr. L. Silvestrini, Un secolo di vita balneare al Lido di Rimini, II ed., Garattoni, Rimini 1965, p. 93. Il prof. Luigi Silvestrini (1882-1974) fu primario chirurgo agli Infermi e senatore della Repubblica.
[3] Cfr. A. Del Piano, La terapia del mare, Azzoguidi, Bologna 1902 [BGR, 13. MISC. CCXXVIII. 53].
[4] Cfr. i citt. "appunti stenografati" intitolati La Protezione e l’Igiene nell’Infanzia; e L. Silvestrini, op. cit., p. 14. Silvestrini scrive (op. cit., p. 14) che l’Ospizio di Viareggio è del 1842; in una nota successiva (n. 18, p. 53) la data è invece 1856.
[5] Il volume, edito dalla Tipografia Artigianelli di Rimini, consta di 107 pp. di testo ed è diviso in cinque parti: "Importanza biochimica dell’elemento minerale marino", "Le cure di mare e il problema preventivo della tubercolosi", "La cernita dei malati", "Il regime alimentare in rapporto alle cure di mare nella scrofola e negli stati protopatici della tubercolosi", "Gli stati ipopnoici e la ginnastica polmonare nei Sanatori marittimi infantili". Segue uno specimen del Foglio personale di osservazione clinica.
[6] Ib. pp. V-VI.
[7] Cfr. A. Del Piano, L’Opera dell’Aiuto Materno in Rimini dal 1910 al 1926, Relazione Sanitaria, Benzi, Rimini 1927, pp. 21-22 [BGR, 13. MISC. CXXXI. 21].
[8] L’atrepsia è una malattia dei lattanti, dovuta a denutrizione, e caratterizzata da grave deperimento.
[9] Si tratta di un "opuscolo edito per cura della Azienda comunale dei Bagni", Zamorani e Albertazzi, Bologna [BGR, 13. MISC. XIV. 49]. Cfr. p. 12. Riportiamo la frase che conclude l’opuscolo: "E però il positivismo moderno parla ancora come l’allegoria greca: Nel mare è il misterioso principio dell’essere, nel mare è la bellezza e la forza. E la forza e la bellezza, armonizzate negli organismi viventi, sono la manifestazione sensibile della salute" (p. 13). L’opuscolo apparve (senza data) nel 1926, anno in cui il Comune assunse direttamente la Società Anonima Bagni (sorta nel ’25 come trasformazione societaria di una precedente Società Bagni), prima che la legge 1° luglio 1926 istituisse l’Azienda di Cura, Soggiorno e Turismo: cfr. L. Silvestrini, op. cit., p. 138 e 146.
[10] Cfr. L. Silvestrini, op. cit., pp. 143-144. Al Congresso del 1923, tenutosi il 22 e 23 luglio in occasione del conferimento della Cittadinanza onoraria all’"illustre chirurgo" prof. Lodovico Vincini, il Comune concede un contributo di 1.000 lire, mentre 600 lire furono spese per le onoranze a Vincini: cfr. Atti del Consiglio Comunale di Rimini, 1923 (pp. 254-255, ASC in ASR).
[11] Cfr. G. Nanni, Le Colonie marine di Rimini, 1933, ricordato da Silvestrini, op. cit., p. 144.
[12] Cfr. Silvestrini, op. cit., p. 280 e pp. 58-59. Sulle vicende dell’Idroterapico, cfr. pure alle pp. 83-84.
[13] Cfr. L. Silvestrini, op. cit., pp. 52-54.
[14] Cfr. A. Del Piano, Bagni di Rimini, cit., p. 13; Id., La terapia del mare, cit., cap. II, "La terapia del mare", pp. 13-16. Il cap. X è dedicato alla "Ospitalizzazione marittima dei bambini in rapporto alla profilassi della tubercolosi", pp. 61-74.

8. Augusto Murri e Rimini

La figura di Augusto Murri, sia per l’influenza esercitata sulla formazione scientifica di Antonio Del Piano, sia per il ruolo svolto nella storia del turismo riminese, merita una breve illustrazione, anche nel segno di quella riconoscenza che dovremmo dimostrare, a livello cittadino, nei suoi riguardi.
Nato a Fermo nel 1841 e laureatosi a Camerino nel ’65, Murri è prima borsista a Parigi e a Berlino; poi, fatto il tirocinio come medico condotto, diventa assistente universitario a Roma nel ’70. Cinque anni dopo, è comandato a Bologna quale professore straordinario di clinica medica. [1]
In uno scritto apparso nel ’91, Murri riassume il significato della sua professione: "Medico vero non può essere chi non sente imperioso nel cuore l’amore per gli uomini; e quando uno di noi con questo sentimento nell’animo è condannato per tutta la vita a contemplare impotente di quante calamità gli ordinamenti sociali e politici son fecondi per tanti sventurati, egli diventa nemico di questo che pomposamente si suole chiamare ordine. Col comodo pretesto del fato o della natura umana, altri si rassegni pure a mirare, spettatore egoista, tanto dolore, tanto sconcio della propria specie; ma il medico, fidando nelle evoluzioni benefiche, chiede rimedi morali, invoca giustizia sociale, anela ad un ordine meno mendace. Chi più di lui è persuaso delle strettissime relazioni che corrono tra lo stato economico ed igienico, tra le condizioni fisiche e morali dell’uomo? Chi meglio di lui comprende come il germe degli alti e nobili sentimenti debba rimanere assiderato dove non spira che il gelido soffio della miseria? Per questo noi ci schieriamo tra coloro che combattono più ardentemente per un ordine nuovo". [2]
Il motto programmatico di Murri era: "non la scienza per la scienza, ma la scienza tutta per l’umanità". L’impegno del medico, secondo lui, doveva essere rivolto al paziente ed alla società della quale entrambi (medico e paziente) sono parte integrante.
È stato detto che "la Scuola di Murri non si insediò nelle cattedre, non vestì robboni ed ermellini, ma si propagò nelle più remote condotte di campagna, in quelle delle città, negli spedali civili e in quelli psichiatrici; continuò la sua tradizione di onestà professionale negli Ordini dei Medici".
Questo succinto profilo del magistero scientifico e morale di Augusto Murri aiuta anche a comprendere l’impegno umanitario profuso da Antonio Del Piano nell’attività quotidiana dell’Aiuto Materno. Ed illumina di una luce particolare alcune affermazioni di Del Piano che leggiamo in una pagina a proposito della legge del 1925 sulla protezione della maternità e dell’infanzia. In lui furono forse più forti i richiami all’insegnamento di Murri che alle linee politiche del regime fascista, quando osservava che tale legge consentiva di realizzare "quella assistenza integrale, igienica, economica, educativa e colturale che consente di valorizzare meglio la vita, senza pregiudizi di origine e senza privilegi di casta, promuovendo fino al più utile rendimento tutte le energie fisiche intellettuali e morali onde è costituita la personalità umana". [3]
La nuova cultura affacciatasi in Italia nel finire dell’Ottocento e testimoniata dall’insegnamento di Murri, si proietta anche su Del Piano. Nel suo articolo dell’Ausa dedicato alle Opere dell’assistenza sociale (8 febbraio 1908), egli ad esempio richiama un pensiero del filosofo inglese Herbert Spencer, tratto da L’educazione (1861): "Sarebbe tempo che i nostri bambini usufruissero una parte dei benefici che derivarono ai nostri armenti ed ai nostri buoi dalle scoperte scientifiche moderne". [4] Spencer era uno degli autori che sembravano offrire "il nuovo verbo della scienza" positiva, e che venivano letti "con avidità" da molti giovani studenti di medicina di inizio secolo. [5]

[1] Le notizie su Murri e le citazioni (di scritti suoi oppure su di lui) che riportiamo di seguito, sono tolti da G. Cosmacini, op. cit., p. 101-105. Sul rapporto tra Rimini e Murri, restano tuttora fondamentale le osservazioni di L. Silvestrini, op. cit., p. 280: "Augusto Murri, con la sua indiscussa autorità intratteneva Medici e pubblico sugli effetti salutari delle cure marine, anticipando tante verità oggi universalmente riconosciute". Murri era considerato il "principe dei clinici italiani".
[2] La pagina di Murri è in un opuscolo di Scritti politici e sociali, pubblicato dagli studenti dell’Associazione radicale universitaria.
[3] Cfr. A. Del Piano, L’Opera dell’Aiuto Materno in Rimini dal 1910 al 1926, cit, pp. 16-17. Questo concetto ritorna in un passo del discorso pronunciato da Del Piano nel 1929, in un (diverso) contesto di esaltazione politica del regime, quando venne nominato presidente della Federazione provinciale maternità e infanzia: "[…] noi dobbiamo essere gli esecutori della legge fascistissima, di quella legge che la mente chiara ed equilibrata di un uomo pieno di bontà, Luigi Federzoni, ha dettato, ma che il Duce ha ispirato e voluto a base della rigenerazione fisica, intellettuale e morale della Nazione traducendo finalmente in pratica attualità, con l’intuito mirabile della sua mente sintetica, tutti i postulati scientifico-sociali che per più di un cinquantennio si sono trascinati nella sterile continuità di voti platonici per tutti i congressi Nazionali ed Internazionali di Pediatria […]" (cfr. Il Popolo di Romagna, 17 marzo 1929).
[4] Spencer (1820-1903) aveva elaborato una particolare teoria filosofica dell’evoluzionismo, che non escludeva la conciliazione con la religione, e che nelle sue conclusioni arrivava però a posizioni diverse da quelle di Murri e di Del Piano: "l’assistenza dei bisognosi da parte dello Stato è per Spencer un rimedio peggiore del male", perché la gente "priva dei mezzi di sostentamento" era messa in grado "di mantenersi a spese dei più abili ed attivi" (cfr. De Ruggiero-Canfora, Breve storia della filosofia, III, Laterza, Bari 1965, p. 295, nota 28).
[5] L’osservazione su Spencer appartiene ad Edoardo Gemelli, il futuro padre Agostino, fondatore nel 1921 (con Ludovico Necchi) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e si legge in G. Cosmacini, op. cit., p. 114. Gemelli era più giovane di otto anni, rispetto a Del Piano, essendo nato nel 1878. Formatosi in ambito positivistico, dopo la conversione si fece frate minore francescano: alla Cattolica creò un modernissimo Istituto di Psicologia ed una rivista, Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria. Si interessò in modo particolare alle ricerche sulla percezione, sul linguaggio, sulla personalità, ed alle applicazioni della psicologia nell’orientamento professionale. È scomparso nel ’59. Al suo nome è stata intitolata la facoltà di Medicina creata a Roma dalla stessa Università Cattolica.

9. L’Ospedalino Regina Elena (1925)

Già auspicato da suor Isabella Soleri sin dall’istituzione dell’Aiuto Materno [1], e previsto per il 1920, il "piccolo ospedale per bambini infermi" può iniziare la sua attività soltanto il 29 luglio 1925. [2]
Il ritardo nella sua realizzazione è dovuto alla mancanza di fondi per la gestione. Nel dicembre 1920 il Consiglio dell’Aiuto Materno, tracciando un bilancio della propria attività negli ultimi cinque anni, scrive: "Nei primi tempi l’opera che svolgeva il nostro Istituto era delle più modeste e pari alle entrate ordinarie e straordinarie di cui poteva disporre". [3] Le numerose offerte raccolte non sono riuscite però a soddisfare le necessità di bilancio. [4] Il Comune di Rimini ha versato un contributo straordinario di 300 lire soltanto nel 1911. [5]
Il costo "sempre crescente dei generi di vitto e l’aumento di tutte le altre spese", leggiamo nella Relazione del dicembre 1920, "hanno consigliato ad allargare la sfera dell’Opera che altrimenti avrebbe inevitabilmente vissuta una vita troppo anemica e forse sarebbe stata assorbita da qualche Ente maggiore per l’impossibilità assoluta di funzionare coi mezzi di cui poteva disporre".
Fu così che il Consiglio d’Amministrazione "aderì alla richiesta del locale Comitato di Assistenza Civile, di ricoverare e mantenere" alcuni figli di combattenti. Dal 1916 al ’19, l’Assistenza Civile versa all’Aiuto Materno la somma complessiva di 20.617,26 lire.
Cessato tale servizio, l’istituto "si trovò in gravi preoccupazioni, poiché le entrate previste non erano sufficienti a coprire le spese più che triplicate, e l’accresciuto concorso della pubblica beneficenza non avrebbe potuto che in minima parte sopperire al disavanzo che si andava creando, molto più che una spesa di circa lire 10.000 era necessaria per le riparazioni al fabbricato danneggiato dal terremoto del 1916". [6]
Per rimediare tale cifra, nel 1919, il Consiglio d’Amministrazione decise di vendere allo Stato due ‘gioielli di famiglia’, ricevuti con la donazione di suor Soleri: un quadro trecentesco di scuola riminese ed un bassorilievo rappresentante la Pietà. [7] Lo Stato però ha offerto soltanto novemila lire, settemila per il polittico e duemila per il bassorilievo. [8]
Il Consiglio d’Amministrazione, nell’aprile 1920, ha chiesto (ed ottenuto) che il valore delle due opere fosse elevato a 10.000 lire, da destinare al pagamento dei "lavori in parte eseguiti e in parte da eseguirsi", decidendo all’unanimità anche "di soprassedere per il momento all’impianto dell’Ospedalino, ferma la massima di effettuarlo quanto prima possibile". [9]
Il 9 febbraio 1921 il Ministero della Pubblica Istruzione emette un mandato per il pagamento all’Aiuto Materno della cifra pattuita, a condizione che le due opere d’arte vengano trasferite a Ravenna, in attesa che a Rimini sia sistemato un locale della Pinacoteca per accoglierle. L’Aiuto Materno, a marzo, scrive alla Soprintendenza delle Gallerie e dei Musei di Bologna, che appariva del tutto inutile spedire a Ravenna i due pezzi, per farli rientrare successivamente a Rimini: la procedura, inoltre, avrebbe ritardato il pagamento del mandato, mentre l’istituto "aveva urgenza di esigere le 10.000 lire per soddisfare alle spese dei lavori già eseguiti". [10]
Il 4 agosto 1921 "la Soprintendenza dei Monumenti di Ravenna, per conto della Direzione Generale delle Belle Arti (Ministero della Pubblica Istruzione), prende in consegna dalla Presidenza dell’Istituto "San Giuseppe" per Aiuto Materno e Infantile in Rimini: 1) Un polittico del secolo XIV in cinque scomparti, di scuola riminese, e 2) un bassorilievo del secolo XV rappresentante la Pietà; e li affida in deposito alla Civica Biblioteca Gambalunga e Museo annesso in Rimini". [11] Allegata all’Atto di consegna, si trova la Descrizione del polittico e del pannello, grazie alla quale è possibile identificare le due opere. Il polittico raffigura una Crocefissione centrale, con ai lati i Santi Barbara e Damiano (alla destra), Apollonia e Cosma (alla sinistra). Esso è attualmente esposto al Museo della città. [12] Il "pannello marmoreo del secolo XV, con busto di Cristo in medaglione, due angeli e due profeti nei pennacchi" è invece conservato nei magazzini dello stesso Museo.
Ottenuti i fondi, l’Aiuto Materno riesce a realizzare l’Ospedalino che, dotato di quattordici letti per bambini inferiori ai sei anni, è "destinato a colmare una grave lacuna nell’assistenza sanitaria locale". [13] In occasione del giubileo reale, esso viene intitolato "al nome augusto di S. M. la Regina Elena".
Privati ed enti diversi dalla Deputazione Provinciale e dal Comune (che godono di una speciale convenzione), pagano per i ricoveri dei bambini una retta di 12 lire, pari a quella per il ricovero delle gestanti in sala di maternità. [14]
Nel primo anno di attività, il 1926, le giornate di presenza all’Ospedalino furono 93. Negli altri settori dell’Aiuto Materno, "le gestanti legittime ricoverate in sala di Maternità per il parto furono 53", con una presenza media individuale di quindici giorni pro capite. Le giornate di presenza dei bambini in Sala di Custodia "per malattia della madre o per ragioni del suo lavoro o per provvedere all’isolamento del bambino e sottrarlo all’infezione tubercolare dell’ambiente famigliare furono 3.060". [15]
Dalle statistiche del bollettino comunale pubblicate da Ariminum sull’intero anno 1930 [16], si rilevano questi dati: 3 degenze esistenti già al primo gennaio, 27 degenze nuove per complessive 30 degenze annuali. Usciti nell’anno 28 bambini, dei quali 8 morti. Al 31 dicembre restano 2 degenze.
Per il 1938, dalla stessa fonte, ricaviamo: 2 degenze esistenti già al primo gennaio, 108 ingressi durante l’anno; usciti 103 (di cui 26 per morte), sette presenze a fine anno. [17]

[1] Cfr. nel cap. 4. L’Istituto San Giuseppe, Ente Morale (1915), la petizione al re scritta da Fanny Malvezzi Pugliesi. Cfr. pure A. Del Piano, L’Aiuto Materno di Rimini (1910-1928), cit., p. 31.
[2] La lapide, esistente tuttora nel palazzo Soleri, ricorda la data dell’inaugurazione, al termine dell’epigrafe che riporta i nomi di suora Isabella Soleri, Giovanni Facchinetti e di Antonio Del Piano. Cfr. pure la delibera del 31 ottobre 1919 (AAM), ove si legge che l’apertura dell’Ospedalino era prevista "col nuovo anno 1920".
[3] È la cit. Relazione (dicembre 1920).
[4] In tale Relazione si legge che le offerte furono di lire 1.579,75 nel 1916; 1.868,30 nel 1917; 4.782,85 nel 1918; 4.304,35 nel 1919; 5.407,60 nel 1920 (cfr. pp. 1-2). Circa le necessità di bilancio dell’Aiuto Materno, va ricordato che la crisi economica post-bellica aveva provocato una svalutazione della lira, e quindi anche dei titoli ricevuti dall’Istituto con la donazione di suor Soleri. Si noti che un capitale di centomila lire del 1914 (a tale cifra assommavano quei titoli), si era ridotto nominalmente nel 1921 a 18.200 lire.
[5] Cfr. Atti del Consiglio Comunale di Rimini, 1911 (pp. 66-67, ASC in ASR), seduta del 22 aprile 1911: "Vi è noto che da diversi mesi, per nobile e generosa iniziativa di un Comitato di gentili signore, è sorta a funzionare nella nostra Città l’istituzione dell’"Aiuto Materno" i cui fini rispondono ad un vero bisogno cittadino e la forma si concreta in una azione pratica di bene intesa carità". Con il contributo di 300 lire, il Comune aveva il diritto di nominare un proprio rappresentante in seno al Consiglio di presidenza dell’Aiuto Materno. La deliberazione è confermata in seconda lettura il 22 aprile (ib., p. 147). Il consigliere dott. Angelo Lazzari, nella prima seduta, aveva rilevato che "il Comune avrebbe anche potuto stabilire un contributo maggiore se il R[egi]o Commissario non avesse" in precedenza diminuito il dazio sul latte, che egli proponeva di riportare all’antica quota per dare in futuro un sussidio maggiore all’Aiuto Materno. Il rappresentante del Comune (e della Congregazione di Carità), nel 1924-26 è il cav. Vittorio Semprini, sostituito (per sue dimissioni) il 25 novembre 1926 dal dott. Alessandro Bonora che successivamente diverrà presidente dell’Aiuto Materno. Il 23 ottobre dello stesso anno si era dimessa la Giunta comunale Del Piano, ed il 28 ottobre si era insediato il Commissario Prefettizio Francesco Militello (Cfr. Atti del Consiglio Comunale di Rimini, 1924 (p. 30) e 1926 (pp. 242-243, ASC in ASR).
[6] Per le "urgenti riparazioni al fabbricato dell’Aiuto Materno, danneggiato dal terremoto del 1916", era stata iscritta nel bilancio preventivo del ’19 una somma di lire tremila. Iniziati i lavori di riparazione, se ne presentarono urgenti altri, "per destinare i locali al servizio Esposti", con una spesa totale di 8.857,95 lire, mentre ne restavano da eseguire ancora per 7.642,95. Calcolando "il contributo che si spera di ottenere dallo Stato di circa lire 3.400, e la somma stanziata nel preventivo 1919 di lire 3.000", nel 1920 rimaneva "a provvedersi per completare i lavori" della somma di 10.000 lire, "ricavabile dalla vendita dei due oggetti d’arte". Cfr. il Verbale della riunione del Consiglio d’Amministrazione del 1° aprile 1920, con oggetto "Riparazione al fabbricato e vendita di quadri" (AAM).
[7] Cfr. Relazione (dicembre 1920), cit., pp. 2-3.
[8] Cfr. il verbale della riunione del Consiglio d’Amministrazione del 31 ottobre 1919 (AAM).
[9] Cfr. il cit. verbale del 31 ottobre 1919.
[10] Cfr. la lettera del 17 marzo 1921 (AAM).
[11] Seguono le firme di F. S. Beltrami, Presidente dell’Aiuto Materno, A. F. Massera per la Biblioteca Civica e dell’arch. A. Annoni, Soprintendente.
[12] Cfr. P. G. Pasini, Museo della città, Rimini 1995, pp. 28-29. Dell’Atto di Consegna, inedito, che citiamo dall’esemplare in AAM, non abbiamo trovato traccia negli Atti d’Ufficio della BGR. Secondo Pasini (op. cit., p. 29), il polittico potrebbe esser stato in origine nella chiesa riminese della Crocina. Per C. Volpe, La pittura riminese del 300, Spagnol, Milano 1965, esso proveniva dal "Convitto di Rimini" (p. 89).
[13] Circa l’età massima per l’ammissione all’Ospedalino, si legge nel verbale del 12 marzo 1914 che, su proposta del dott. Domenico Pierelli, la dizione originaria (contenuta nel Progetto di Statuto, cfr. Donazione cit.: "per ricoverare un determinato numero di fanciulli poveri bisognosi di cura, fino all’età di cinque anni"), veniva modificata in "fino ai cinque anni compiuti", "per togliere ogni dubbio" perché soltanto ai bambini dall’età di sei anni in poi era "offerto il beneficio della spedalità gratuita nel civico ospedale". Il prof. Del Piano aveva spiegato che "appunto è intenzione di sr. Soleri provvedere a tale lacuna". Lo Statuto del 1915 reca soltanto "fino all’età dei cinque anni". In un testo a stampa, senza data (ma successiva al regolamento 13 aprile 1926 della legge 10 dicembre 1925), intitolato Norme per l’ammissione ai reparti di Assistenza presso l’Aiuto Materno di Rimini, si legge che all’Ospedalino sono accolti bambini "fino all’età di sei anni su ordinativi di ricovero di Comuni o Enti vari". Lo stesso testo ("fino all’età di sei anni"), è all’art. 36 del nuovo Regolamento interno del 1931.
[14] Cfr. le citt. Norme. Del Piano, nel suo articolo L’Aiuto Materno di Rimini (1910-1928), cit., precisa che nel 1928 la quota era salita a lire 15.
[15] Cfr. A. Del Piano, L’Opera dell’Aiuto Materno in Rimini dal 1910 al 1926, cit, pp. 18-19. Qui (a p. 9) Del Piano ricorda "l’assidua cura" del consigliere cav. Vittorio Semprini (rappresentante, come si è già visto, del Comune e della Congregazione di Carità), che "amorevolmente" si adoprò per l’allestimento dell’Ospedalino.
[16] Dal confronto dei dati, abbiamo rilevato incongruenze tra i numeri riportati nei prospetti mensili di aprile e maggio ed il totale annuale, correggendo le quali si ottengono le cifre (esatte nel saldo tra le varie voci), che riportiamo nel testo. Ariminum era la rassegna ufficiale del Comune. All’inizio di giugno e luglio, le degenze erano zero.
[17] Cfr. Comune di Rimini, Bollettino Mensile di Statistica, Riassunto anno 1938 - XVI, cit.

10. I rapporti con il Comune di Rimini (1928-44)

"Il funzionamento dell’Ospedale infantile e quello per le puerpere, istituiti dalla generosità della benemerita Contessa Soleri Elisabetta, aveva dato luogo in passato ad inconvenienti specialmente nei riflessi dei rapporti economici tra Aiuto Materno e Comune, tanto più che trattandosi di spese di carattere facoltativo non era nemmeno possibile un richiamo alle disposizioni legislative vigenti in tema di spedalità": così su Ariminum del 1928 inizia l’articolo che riferisce della prima convenzione con l’Aiuto Materno "in merito al ricovero dei poveri pertinenti al Comune per domicilio di soccorso". [1]
"Tale deficienza", prosegue la nota, "aveva ripercussioni sul bilancio del Comune e sul funzionamento" dell’Aiuto Materno, "in modo che fu riconosciuta la opportunità di disciplinare i rapporti dei due Enti ovviando così ad ogni ragione di contrasto per l’avvenire". Dopo "laboriose discussioni" si giunse all’accordo che definiva i rapporti del passato e disciplinava "le ammissioni degli aventi diritto nei due spedali", fissando pure "i capisaldi per il futuro" nella collaborazione tra Comune ed Aiuto Materno.
Anche la premessa della delibera podestarile relativa alla convenzione, parla di "trattative laboriose" che avevano "pienamente conseguito il loro fine", quello cioè di "eliminare ogni ragione d’incertezza per l’avvenire", e di saldare il credito dell’Aiuto Materno, "accertato al 31 dicembre 1927 in lire 28.497", ma "transatto in lire 20.000". [2]
Nell’Ospedalino e nell’Aiuto Materno, l’ammissione dei bambini malati e delle puerpere munite di tessera di povertà, deve avvenire "sempre in base ad ordinanza rilasciata dall’Ufficio di Igiene su referto del medico condotto". Solo in casi eccezionali, i ricoveri possono aver luogo in deroga a tale principio, ma con regolarizzazione entro 24 ore, pena la decadenza del diritto al rimborso della diaria. Le rette vengono stabilite in lire 15 per la sala di maternità e in lire 12 per l’Ospedalino.
La convenzione, dalla durata di un anno, "si rinnoverà tacitamente anno per anno non intervenendo disdetta da una delle Parti entro il I. Ottobre". Ariminum commenta: "Col nuovo atto si è […] anche contribuito ad assicurare normalità di gestione ad un Ente altamente benefico quale è la Istituzione della Contessa Soleri e ciò senza diminuire l’attività e le benemerenze dell’ospedale Maggiore verso il quale vanno gli sforzi principali del Comune e della beneficenza cittadina". [3]
Dato che la convenzione si riferisce a "puerpere munite di tessera di povertà", ricordiamo che l’elenco dei poveri del Comune di Rimini per l’anno 1928 comprende 6.960 persone, cioè 2.124 in meno rispetto a quello del 1927. Nel 1938 saranno invece 11.351. [4]
Questa prima convezione del 1928, si rivela "del tutto inadeguata e insufficiente", per cui viene modificata l’anno successivo "onde contenere e circoscrivere la progrediente spesa relativa". La seconda convenzione (deliberata dal Podestà il 17 dicembre 1929), viene approvata il 5 marzo 1930 dal Consiglio di Amministrazione dell’Aiuto Materno, con il fine di "evitare le continue controversie col Comune di Rimini originate dai ricoveri d’urgenza".
Essa contiene un’importante novità nel primo articolo, che riguarda l’obbligo di "provvedere al ricovero, all’assistenza e alla cura delle donne povere e bisognose" del Comune di Rimini, "indipendentemente dallo Stato Civile delle medesime": "Per donne povere e bisognose s’intendono oltre a quelle comprese nell’elenco dei poveri anche le donne le quali, versando in condizioni economiche di particolare e grave disagio che impediscano loro le cure indispensabili inerenti al loro stato di partorienti, siano prive di assistenza o di persone atte e obbligate per legge a fornirla sia direttamente che indirettamente, ovvero siano mancanti di abitazione ovvero provviste di abitazione assolutamente inidonea al parto, o infine trovansi in condizioni tali che, per gravi motivi di ambiente o per ragioni di moralità, non sia da consentirsi il parto nelle condizioni medesime".
Il compenso annuo forfettario è stabilito in lire 25.000, "anche se il numero dei ricoverati e la durata delle degenze […] dovessero importare una spesa maggiore". I ricoveri debbono essere disposti "con ordinanza del Podestà su proposta motivata e documentata dall’Ufficiale Sanitario" o dal direttore dello stesso Aiuto Materno o dal presidente locale dell’ONMI. Soltanto per le urgenze può decidere il direttore dell’istituto. [5]
Sempre nel 1930 l’Aiuto Materno invia al Comune un conto di 65.760 lire per ricoveri avvenuti nel biennio ’28-29. Il Podestà rimborsa soltanto 64.092 lire, considerando la differenza di 1.668 detraibile in quanto riferentesi a "ricoveri ordinati nel 1927". [6]
Nel 1932 il Comune di Rimini eleva il contributo forfettario a 30.000 lire, "comprendendo fra i ricoveri stessi anche quelli -in un primo tempo non preveduti perché non a carico del Comune- delle madri illegittime" povere, oltre l’ottavo mese di gravidanza e con domicilio di soccorso in Rimini. [7]
Nello stesso 1932, il 7 dicembre, viene stipulata la terza convenzione. L’Aiuto Materno ha proposto che il contributo annuo di lire 30.000 sia da intendersi come compenso per 2.500 degenze annue a lire 12 giornaliere. Il Comune invece stabilisce che la cifra di 30.000 lire sia relativa a 3.000 degenze annue, con retta quotidiana di lire 10. [8] Le degenze "eccedenti a tale cifra saranno pagate dal Comune sulla base di una diaria di lire 12 per le partorienti, e di lire 10 per i bambini". [9]
Nella Relazione Sanitaria per l’anno 1932 dell’Ufficio d’Igiene del Comune di Rimini, si legge: "In vista dell’opera preziosa esplicata dall’Aiuto Materno nell’assistenza alle partorienti povere, l’Ufficio ha proposto una riduzione del numero delle condotte ostetriche, che è in corso e che farà realizzare al Comune delle economie senza detrimento dell’assistenza stessa". [10]
Una "Variante alla convenzione" è deliberata dal Comune il 3 giugno 1935: essa porta a 40.000 lire annue il compenso corrisposto all’Aiuto Materno, innalzando però a 4.500 le degenze annue previste. Si riduce ad otto lire la diaria per il "supero" di tale numero di degenze, sia delle partorienti sia del bambini, nonché a tre lire il supplemento per i ricoverati nel reparto di malattie infettive. Le spese sostenute dal Comune per le 5.108 degenze del 1934 assommano a 55.042 lire. Con lo stesso numero di degenze del ’34, in base alla "Variante" la spesa scenderebbe nel ’35 a 43.648 lire, calcolate in 40.000 del compenso forfettario, più 3.648 lire derivanti da 608 degenze ad otto lire. [11]
Con delibera del 22 giugno 1938 l’Aiuto Materno accetta "la concessione gratuita [da parte del Comune] di un locale nella adiacente Caserma Ducale per adattarlo a reparto gestanti tubercolotiche", con la decisione però di "adibirlo temporaneamente a dormitorio per bambini durante la stagione estiva". [12]
Nella stessa riunione, il Consiglio di Amministrazione dell’Aiuto Materno affronta il problema dell’insufficienza del canone corrisposto dal Comune "per i ricoveri di gestanti e bambini malati", decidendo di "insistere nuovamente presso il Comune perché sia aumentato". Esso, reca la delibera, costituisce "il motivo maggiore del deficit" nel bilancio dell’istituto. [13]
1939: il Commissario prefettizio dell’Aiuto Materno accerta nella gestione dell’istituto un disavanzo di 120 mila lire. [14] Il Podestà, in una delibera intitolata "Patti speciali tra Comune e Aiuto Materno", precisa che la parte di disavanzo imputabile al Comune stesso, è di lire 64 mila. [15] Nel corso del primo semestre dello stesso 1939, "di comune accordo" fra le parti, viene disdetta la terza convenzione, sostituita da "un accordo provvisorio": all’Aiuto Materno viene corrisposta una retta di lire 12 per i bambini e di lire 16 per le gestanti. L’accordo si dimostra "di reciproca convenienza", e si decide di trasformarlo "in regolare convenzione", il cui schema verrà approvato dal Consiglio d’Amministrazione dell’istituto il 29 aprile 1940. [16]
È la quarta convezione, deliberata dal Commissario Prefettizio del Comune di Rimini il 17 maggio 1940. Essa ha lo scopo di "adeguare le tariffe delle degenze praticate a favore del Comune all’effettivo costo", e di evitare all’Aiuto Materno "maggiori oneri ai quali esso non potrebbe altrimenti far fronte e che ne paralizzerebbero completamente quello che è, invece, il suo indispensabile funzionamento". [17]
Con decorrenza dal 1° gennaio 1939, si stabiliscono le nuove tariffe in lire 16 per le degenze in sala di maternità, e in lire 12 per quelle all’Ospedalino. L’onere annuo del Comune è determinato in lire 62.500, corrispondente a 3.000 degenze in sala maternità, e a 1.200 degenze all’Ospedalino, con possibile compensazione tra i due tipi di ricovero.
Nel 1940 le degenze effettive, corrispondenti ad una spesa di 77.668 lire, sono 5.400. Cioè superano di 1.200 unità il numero previsto dall’ultima convenzione (4.200). Il Comune giustifica la situazione venutasi a creare, con l’"assenza dei rispettivi Capi famiglia richiamati alle armi". [18]
Nello stesso anno l’Aiuto Materno ammette la permanenza gratuita in istituto delle madri dei lattanti ricoverati all’Ospedalino a carico del Comune. Per le madri dei ricoverati a carico delle mutue, si stabilisce una retta (a carico delle famiglie) di lire una per solo alloggio, e di lire dieci per vitto ed alloggio. Per i paganti in proprio, sono ammesse due categorie di alloggio (rispettivamente lire due e lire una), e di vitto (lire dieci, lire otto). [19]
Nell’ottobre 1941 l’Aiuto Materno chiede al Comune una revisione delle rette, in seguito al "forte rincaro verificatosi sul costo generale di tutti i generi ed articoli". Ritenuta l’"assoluta necessità di accogliere la richiesta", il Commissario prefettizio delibera il 13 aprile 1942 di elevare le rette della sala di maternità da 16 a 20 lire, e da 12 a 15 lire quelle per l’Ospedalino. Però, riduce le degenze relative alla sala di maternità da 3.000 a 2.500 sino a concorrere ad una spesa annua di 50.000 lire. La diminuzione prevista tiene conto che nel 1941 ci sono state meno di 2.100 degenze. Per l’Ospedalino è confermato in 1.200 il numero massimo di degenze, corrispondente ad una spesa annua complessiva di 18.000 lire. La spesa totale sarà quindi di 68.000 lire anziché di 62.500 come stabilito dalla precedente convenzione del 17 maggio 1940. [20]
Il Comune non costituisce più l’unico interlocutore dell’Aiuto Materno, il quale ora deve trattare anche con lo Stato fascista e con la sua nuova organizzazione politico-burocratica.

[1] Cfr. Ariminum, Rassegna di vita cittadina, luglio-agosto 1928-VI, p. 69, BGR.
[2] Cfr. Atti del Podestà, 1928, delibera del 20 agosto, pp. 981-983, ASC. Anche nella convenzione si ricorda che l’Ospedalino è sorto e funziona "per lascito della benefica Contessa Soleri". Il 26 dicembre 1927 (cfr. Atti del Podestà, p. 617, ASC), il Comune ha concesso un sussidio natalizio di lire 100 all’Aiuto Materno. (Con decreto-legge del 3 settembre 1926 si estende a tutti i Comuni la riforma della legge 4 febbraio 1926 che attribuiva al podestà dei Comuni con meno di 5.000 abitanti le funzioni di sindaci, Giunte e Consigli comunali.)
[3] Soltanto nell’Ospedale civile del Comune erano ammesse le cure chirurgiche e ginecologiche, come spiega Ariminum, cit., rimandando al "disciplinare per le ammissioni deliberato" dall’Aiuto Materno, richiamato dalla convenzione.
[4] Cfr. Atti del Podestà, 1928, II, pp. 617-618, ASC. Per il 1938, cfr. il cit. Bollettino Mensile di Statistica, Riassunto anno 1938 - XVI. Gli 11.351 poveri del ’38 rappresentavano quasi il 17% dell’intera popolazione, composta da 67.414 abitanti.
[5] Il testo è negli Atti del Podestà, 1929, pp. 836-839, ASC. Cfr. pure Atti, 5 marzo 1930, AAM. La spesa globale dell’"ultimo quadriennio" è stata di lire 89.513. Dalle 24.265 lire del 1927, si è passati a 27.000 lire previste per il 1929.
[6] Cfr. la Atti del Podestà, delibera del 12 febbraio 1930, pp. 162-163, ASC: la cifra di 65.760 lire risulta dalla somma di 14.745 lire per ricoveri senza la prescritta ordinanza, in base soltanto alla tessera di povertà; e di 51.015 lire per ricoveri regolarmente autorizzati. Nello stesso 1930 (delibera 1° marzo, ib., p. 237, ASC), il Comune cede gratuitamente all’Aiuto Materno alcuni "mobili giacenti nel magazzino": un tavolo, due credenze, sei attaccapanni e due scanni vecchi (del teatro) da riparare. Infine, il 27 maggio 1930 (ib., pp. 517-519, ASC), il Podestà liquida lire 4.188 per i ricoveri di puerpere e bambini esistenti al 1° gennaio 1930, e disposti dal Municipio nel 1929: in un primo tempo il Comune ha rifiutato di pagare tale cifra, poi, in seguito a nuova richiesta dell’Aiuto Materno, il Podestà riconosce che, per tali ricoveri, non era applicabile la convenzione entrata in vigore al 1° gennaio 1930, e che quindi l’istituto aveva diritto al rimborso. Nel 1931, un nuovo contenzioso per 7.000 lire di contributi non pagati dal Comune nel 1925, porta alla delibera del 23 agosto (Atti del Podestà, p. 629, ASC), che fa versare all’istituto soltanto la metà della cifra reclamata.
[7] Cfr. Delibera del 7 aprile 1932 (cfr. anche quella del 6 gennaio 1932), Atti AAM. La Delibera comunale è del 6 febbraio 1932 (Atti del Podestà, pp. 97-99, ASC): è la cosiddetta Aggiunta alla seconda convenzione.
[8] Cfr. Atti del Podestà 1932, pp. 1100-1106, ASC. Cfr. pure in Rimini, novembre-dicembre 1932, a. I, n. 2-3, p. 6. L’art. 7 della convenzione dice che l’Aiuto Materno ha l’obbligo per l’assistenza "per un numero di degenze annuali non superiore a tremila".
[9] Nel 1930, con Delibera dell’8 novembre, AAM, l’Aiuto Materno si era trovato costretto ad aumentare la retta per la Sala di maternità ("compresa l’assistenza ai parti e quella chirurgica"), da 18 a 20 lire: era stata di 15 lire fino al 19 maggio 1928, cfr. delibera n. 16, AAM. Nel verbale della stessa adunanza del 19 maggio 1928, si legge che il numero delle "Suore addette all’Istituzione, per il continuo aumento dei ricoverati e dei servizi inerenti" appariva "insufficiente", per cui emergeva la "necessità di provvedere alla nomina" di un’altra religiosa. Dalla tabella organica del personale dell’Aiuto Materno, redatta il 14 gennaio 1930 secondo il regolamento del 2 dicembre 1928, il personale in servizio era il seguente: direttore, segretario, Suora Superiora, tre Suore, tre infermiere (una ciascuna per ogni reparto: Ospedalino, Maternità e Custodia), quattro inservienti (cuciniera, lavandaia, portinaia ed inserviente). La convezione del 1932 è in AAM, Delibera del 29 dicembre, che fa seguito alla cit. Delibera del Podestà del 7 dicembre dello stesso anno. Dal testo di tale convenzione risulta esistente nell’Ospedalino anche uno "speciale reparto di isolamento", per i cui ricoveri il Comune si impegna a versare un supplemento giornaliero di lire 5. In delibera podestarile del 14 aprile 1933 (Atti, vol. I, p. 395, ASC) si legge che le spese suppletive per ricoveri in locali di isolamento nel 1932 sono state di lire 1.280. La nuova convenzione del 1932 ha durata quinquennale. Nella convenzione troviamo anche queste cifre: 1.780 ricoveri nel 1930 (1.602 partorienti e 178 bambini), 2.200 ricoveri nel 1931 (1.593 partorienti e 607 bambini). Nel primo semestre del ’32, sono registrati 1.104 ricoveri di partorienti e 568 di bambini.
[10] Cfr. a p. 18 del n. di Rimini di maggio-giugno 1933, a. II nn. 5-6. In altra nota del 1933, apparsa sullo stesso Rimini (settembre-ottobre, a. II, nn. 8-10, p. 20), dopo aver ricordato che "le direttive del Regime a favore delle classi bisognose e le difficoltà economiche accentuatesi negli ultimi anni hanno posto in primo piano l’obbligo dei Comuni nel campo dell’assistenza sociale e della beneficenza", si dichiara che "il Comune si è sforzato nei limiti delle sue possibilità finanziarie, di estendere il suo raggio d’azione con molteplici provvidenze, sia nei confronti degli Enti locali di beneficenza, sia nei riguardi dei bisognosi di assistenza e di aiuto".
[11] Cfr. Atti del Podestà 1935, I, pp. 564-569, ASC; ed Atti ufficiali in Rimini, giugno-luglio 1935, a. IV, n. 6-7, p. 32. La "Variante" proroga peraltro la convenzione in vigore al 31 dicembre 1940.
[12] Cfr. Atti AAM. La delibera comunale "Concessione in uso di locali all’Aiuto Materno e contributo nella spesa di adattamento" del 24 ottobre 1938 (in Atti del Podestà 1938, pp. 878-879, ADC), è cit. in Rimini, Riassunto anno 1938, p. V. I locali in questione si trovavano al piano superiore della caserma. Il Comune concorreva con 6.000 lire alla spesa di sistemazione, prevista in lire 11.000. Nella ex caserma di via Ducale, ora sede dell’Ausl di Rimini, "il 14 agosto 1944" vengono catturati Mario Capelli (23 anni), Luigi Nicolò (22) ed Adelio Pagliarni (19), i Tre Martiri impiccati dai nazi-fascisti il giorno 16 agosto nella piazza Giulio Cesare. Circa la data della loro cattura, altre fonti storiche (abbiamo riportato il testo della lapide commemorativa, ripristinata nel 1995), parlano del 13 agosto.
[13] Il Comune in maggio ha offerto cento lire al Comitato dell’Aiuto Materno, per una "pesca di beneficenza", "ritenuta la necessità" di non figurare "secondo ad alcuno nel dare appoggio ed incoraggiamento in tali circostanze, verso una così importante istituzione del Regime" fascista, la quale giornalmente persegue "finalità altissime" e "scopi veramente benefici". Cfr. delibera del 16 maggio 1938, Atti del Podestà 1938, p. 368, ADC. Analoga è la delibera del 16 gennaio 1939, Atti del Podestà 1939, p. 52, ADC, sempre con offerta di lire 100.
[14] Cfr. la delibera comunale n. 580 del 24 luglio 1939 con cui si concede un contributo annuo per ammortizzare il mutuo decennale dell’Aiuto Materno con il Credito Romagnolo: cfr. Atti del Podestà 1939, pp. 562-566, ADC.
[15] La cifra di 64 mila lire corrisponde ai 64/120 dell’intero disavanzo, per cui la spesa annua di ammortizzazione del mutuo di cui alla delibera n. 580 del 24 luglio 1939, è ripartita per 64/120 per il Comune, e per i restanti 56/120 per l’Aiuto Materno: cfr. altra delibera (n. 581) dello stesso 24 luglio 1939. Il Comune si assume l’obbligo di garanzia totale sul mutuo con il Credito Romagnolo "avendo facoltà di rivalersi dei 56/120 del costo annuo sull’importo delle rette" da pagarsi all’istituto (Atti del Podestà 1939, pp. 566-568, ADC).
[16] Nel Verbale (AAM) si legge che il presidente è il rag. Pier Alberto Boldrini, mentre il prof. Manlio Monticelli è il direttore sanitario. Nel Verbale del 23 luglio (ib.), al punto 2, si trova un’aggiunta all’art. 2 della convenzione in vigore. Boldrini era stato nominato rappresentante del Comune con delibera del 26 luglio 1939 (cfr. Atti del Podestà 1939, p. 577, ADC). Il 2 marzo 1943, in seguito al suo richiamo alle armi, viene ufficialmente sostituito da Mario Gessaroli: cfr. Atti del Commissario prefettizio, pp. 107-108. Ma in Atti AAM troviamo delibere successive al 2 marzo 1943 con lo stesso Boldrini presidente. Cfr. qui al cap. 13, La guerra a Rimini (1943-44).
[17] Cfr. Atti del Commissario prefettizio 1940, pp. 375-380, ADC. La convenzione ha durata quinquennale. L’art. 4 prevede che siano a carico del Comune anche i ricoveri dei bambini malati "che non abbiano ancora compiuto i 5 anni di età".
[18] Questo si legge nella delibera del Commissario prefettizio del 9 maggio 1941, p. 351 degli Atti relativi in ADC, con la quale si approva il pagamento della cifra richiesta di lire 77.668. Nello stesso 1941, l’Aiuto Materno ottiene due prestiti dalla Cassa di Risparmio, di 25 e 35 mila lire: cfr. in Atti del Commissario prefettizio 1941, ADC, le delibere del 6 febbraio e del 14 maggio 1941 (p. 9 e pp. 368-369). Nel 1942 l’Aiuto Materno assume un altro prestito di 80 mila lire presso la Cassa di Risparmio di Rimini, con garanzia del Comune: cfr. delibera del 28 marzo, Atti del Commissario prefettizio, pp. 193-195, ADC.
[19] Cfr. Verbale del 22 marzo 1940 (AAM).
[20] Cfr. Atti Commissario prefettizio 1942, pp. 232-234, ADC. La revisione decorre dal 1° gennaio 1942. Questa convenzione viene confermata il 21 maggio 1943, "giusta richiesta da tempo presentata dall’Aiuto Materno", sempre per un impegno annuo di 68.000 lire: cfr. Atti del Commissario prefettizio, pp. 304-305.

11. L’infanzia, "problema politico" del fascismo (1925-1940)

Con l’Opera Nazionale di protezione ed assistenza della maternità e dell’infanzia [ONMI], istituita dalla legge 10 dicembre 1925, n. 2.277, il fascismo intende dimostrare che il problema dell’infanzia è "squisitamente politico, di eugenetica, demografia, igiene e difesa sociale, di progresso morale, economico e culturale". [1]
L’ONMI nasce dopo l’Opera Nazionale del Dopolavoro (1° maggio 1925) che ha "lo scopo di promuovere il sano e proficuo impiego delle ore libere dei lavoratori", dopo il Patronato nazionale per l’assistenza sociale (26 giugno 1925), e prima dell’Opera Nazionale Balilla (3 aprile 1926), "destinata a preparare i giovani fisicamente e moralmente". [2] L’ONMI è la risposta alla "decadenza demografica" dell’Italia, provocata da tre fattori: anzitutto l’urbanesimo che, "diretta filiazione dell’industrialismo", a sua volta produce atteggiamenti di "nuovo egoismo" i quali fanno dimenticare il "supremo orgoglio della paternità e della maternità"; poi l’emigrazione verso l’estero, ed infine l’insufficiente organizzazione sanitaria. [3]
Il rimedio fondamentale alla "decadenza demografica" della nazione, viene indicato in un’"educazione dell’anima" attraverso la religione, da attuare nella famiglia la quale deve vivere in un’"Italia rurale" pensata come "nerbo dello Stato in pace e in guerra". [4] Per ottenere questo risultato, Mussolini ha ideato la "conciliazione" tra Stato e Chiesa; ha preso misure "per la difesa della razza" che anticipano le leggi del ’38 [5]; ha creato lo "Stato Corporativo"; ed ha iniziato la "battaglia del grano" e le bonifiche integrali onde evitare l’emigrazione e favorire lo sviluppo delle campagne. [6] Il principio ispiratore della politica demografica dello "Stato etico" che il fascismo si prefigge di realizzare, è di mirare non solo alla quantità ma anche alla qualità. [7]
Le "finalità sociali" dell’ONMI, definita "grande organo della politica sociale e nazionale fascista", sono anzitutto quelle di trasformare la beneficenza in assistenza "come forma della politica sociale". [8] Per modificare la realtà esistente, il 15 aprile 1926 è emanato un Regolamento applicativo della legge del ’25, che detta le norme relative ai "compiti d’integrazione e coordinamento delle attività svolte da altri Enti o istituti e dai privati", e per la vigilanza ed il controllo sulle singole istituzioni di assistenza da parte dell’ONMI. [9]
Il prezioso lavoro di queste "singole istituzioni" viene inevitabilmente oscurato dalla politica del regime. Ne abbiamo una prova nella Relazione Sanitaria per l’anno 1938 del nostro Comune, dove si osserva, genericamente, che per l’infanzia e la maternità "pur tanto si fa a Rimini con mezzi sinora modestissimi". Nessun riferimento sottolinea l’azione particolare dell’Aiuto Materno. [10] L’ONMI a Rimini non disponeva di una propria sede, ed era ospitata presso lo stesso Aiuto Materno. [11]
A tutto il 31 dicembre 1930, in Italia esistevano "211 Istituti per la Maternità di cui 131 di ricovero, indipendentemente dalle private iniziative che non sono facilmente controllabili". Il problema dei rapporti con gli istituti preesistenti alla legge del 1925, non tocca soltanto gli aspetti igienici o terapeutici, ma riguarda (soprattutto) le "deviazioni educative" dalla linea politica del regime fascista, e le "resistenze passive dei singoli enti" [12] che immaginiamo gelosi della loro autonomia di gestione e d’indirizzo.
La legge del ’25 riserva all’ONMI il potere di elargire contributi e sussidi: "Tali sovvenzioni sono, di regola concesse, per mettere in grado le istituzioni stesse di sopperire a spese necessarie e indilazionabili pel loro normale finanziamento, alle quali non possono far fronte con le ordinarie entrate. Hanno la preferenza le istituzioni che, per ristrettezza di mezzi disponibili in relazione all’assistenza esercitata, versino in condizioni di maggior bisogno, e a parità di condizioni quelle che risultino meglio amministrate e dirette". [13]
L’ONMI "provvede alla protezione ed alla assistenza: a) delle gestanti e delle madri bisognose od abbandonate; b) dei bambini lattanti o divezzi fino al quinto anno, appartenenti a famiglie bisognose e dei minorenni fisicamente o psichicamente anormali, oppure materialmente o moralmente abbandonati, traviati o delinquenti, fino all’età di anni 18". Altre sue funzioni sono "la diffusione delle norme igieniche, la profilassi contro la tubercolosi e le malattie infantili, la vigilanza sulle istituzioni che assistono i minori, il coordinamento con la Provincia per l’assistenza ai fanciulli abbandonati. L’ONMI aveva anche compiti di assistenza economica alle madri sprovviste di mezzi". [14]
Il programma fascista in tema di assistenza infantile, raccoglie le istanze [15] della nuova cultura scientifica sviluppatasi tra Ottocento e Novecento, che il duce inserisce però in una diversa prospettiva politica, attribuendovi finalità opposte rispetto a quelle con cui erano state formulate. Tale mutamento è un aspetto che non riguarda soltanto la questione dell’assistenza infantile, ma rimanda al più ampio discorso sull’ideologia mussoliniana, nata nel segno del verbo socialista rivoluzionario, sviluppatasi con il programma sansepolcrista del 1919, ed approdata alla dittatura.
I cambiamenti storici successivi, dal ’25 al ’40, condizionano l’attività dell’ONMI. Basta scorrere alcuni titoli dei giornali di quegli anni, per rendersene conto. Come esempio prendiamo le cronache locali de Il Popolo di Romagna. [16] Nel 1932 un breve titolo ("Fasci femminili") è sormontato da tre righe di ‘occhiello’ con una citazione mussoliniana: "Ci siamo già sganciati dal concetto troppo limitato di filantropia per arrivare al concetto più profondo di assistenza. Dobbiamo fare un passo avanti: dall’assistenza, dobbiamo arrivare all’attuazione piena della solidarietà nazionale". [17] Nel testo si ricorda: "Ogni Fascio Femminile ha costituito un piccolo centro di assistenza materna ed infantile". Non si citano ovviamente gli istituti ‘privati’ come il nostro Aiuto Materno.
Nel 1933 un breve servizio (intitolato "L’Opera Maternità nell’anno XI realizzerà il comandamento del Duce"), ricorda che Mussolini "nel discorso dell’Ascensione e nella prefazione del libro del Korherr, Regresso della nascite morte dei popoli", ha lanciato la parola d’ordine: "Massimo di natalità, minimo di mortalità". A fianco, appare un’altra massima mussoliniana da mandare a memoria: "Fra tutte le insurrezioni dei tempi moderni, quella più sanguinosa è stata la nostra". [18]
Annunciando l’edizione dello stesso 1933 della tradizionale Giornata della Madre e del Fanciullo che si celebra ogni 24 dicembre, il foglio fascista scrive: "E il Natale, festa della Cristianità, esaltazione della Natività e della Divina figura di Maria, è dedicato a celebrare, in forma suggestiva e poetica il valore politico e sociale della famiglia, elemento essenziale della Nazione". [19] La cronaca della manifestazione è introdotta a piena pagina da un altro motto di regime: "Bisogna onorare la madre e il bambino perché ciò significa onorare i valori supremi della stirpe". [20]
Le cerimonie riminesi vedono presente il prof. Del Piano, primario dell’ONMI cittadina e presidente della Federazione provinciale dell’Opera stessa: "Durante la distribuzione dei premi in denaro, delle culle, dei regali e giochi i bambini del Brefotrofio cantavano gli inni della Patria". In "tutte le chiese della Diocesi, d quattro anni prima, veniva definito "figlio di una stirpe immortale, padre a sua volta di giovani robuste gemme d’una razza imperitura". [23]
Anche il Refettorio come l’ONMI [24], ha sede presso l’Aiuto Materno, dove ogni anno iniziano le cerimonie fasciste della Giornata della Madre e del Fanciullo con una Messa celebrata nella cappella dell’istituto, per proseguire in municipio con la distribuzione dei premi in denaro dell’ONMI, la consegna di diplomi e l’assegnazione "dei corredi dell’Aiuto Materno" stesso. [25].
Per la Giornata del 1938, campeggia sul Popolo di Romagna l’affermazione che "il NUMERO è POTENZA", mentre in due brani di Mussolini (uno dei quali con firma autografa), si ribadisce che anche quella manifestazione concorre alla "difesa della razza"; e che "bisogna essere forti, bisogna essere sempre più forti, essere tanto forti da fronteggiare tutte le eventualità e guardare negli occhi fermamente qualunque destino". [26]
L’8 settembre del 1940, appare un articolo ("Tempo di guerra, Bimbi d’Italia"), che spiega: "La fanciullezza nella sua immaginazione fantasiosa ha bisogno di simboli: il più alto, il più significativo è per essa il Condottiero del popolo italiano, il DUCE […]". [27] Il 10 giugno Mussolini ha dichiarato guerra ad Inghilterra e Francia. "Dopo quel giorno sono cambiate molte abitudini: privazioni, paure, tesseramento dei generi alimentari." [28] Anche la vita dei bambini è destinata a risentirne. L’entusiasmo, "il tono e l’impeto del delirio" di cui parla l’articolista del Popolo di Romagna, non riempiono però la pancia.
La cronaca della Giornata del 1940 martella: "Politica demografica e difesa della razza". In un lungo articolo che esalta "le coppie che hanno meglio contribuito a rendere vitale la stirpe", ci si illude con il mito dell’impero come "possente realtà". A fianco, appaiono le notizie dal fronte con le "Voci dagli avamposti", portate nelle case dalle "onde di Marconi" che "rinnovano il consueto prodigio"; e sotto, si leggono i bollettini del Quartier Generale delle Forze Armate. Vita e morte si contendono lo spazio nella stessa pagina.
Una breve recensione pubblicata sull’ultima colonna, dice che J. Huizinga autore dell’Autunno del Medioevo edito da Sansoni, nel suo "amplesso storico" abbraccia "anche la nostra terra. Il legittimo orgoglio patrio è soddisfatto: né poteva accadere diversamente, considerato che l’Europa, o nello splendore del progresso o nelle tenebre della decadenza, è stata sempre debitrice all’Italia. L’Italia è madre di tutti anche se non è parente di nessuno". [29]
Intanto i suoi figli andavano a morire sui vari fronti. La politica del regime privilegiava le belle notizie dei premi alle famiglie prolifiche. La realtà si incaricava di smentire i tragici sogni di dominio con gli elenchi dei caduti.
"A parte l’enfasi e le strumentalizzazioni del regime fascista", dichiara Benito Lombardi, "l’ONMI ha costituito un avanzamento rilevante nella protezione sanitaria e sociale della maternità e dell’infanzia, sia per la sua porta di prevenzione sia per la sua ampia diffusione territoriale. L’attività dell’ONMI, che è proseguita sino al 1974, è stata elemento di trascinamento per gli interventi di medicina scolastica, affermatisi nei primi anni ’50 ad opera delle amministrazioni comunali. L’uno e l’altro settore hanno fatto da matrice (nonostante le polemiche anti-OMNI ed il dibattito rovente sui temi del divorzio e dell’aborto), alla struttura dei servizi MIEE (maternità-infanzia-età evolutiva), che la legge 23 dicembre 1978, n. 833 ha previsto in tutte le USL con l’avvio della Riforma sanitaria".

[1] Cfr. A. Lo Monaco-Aprile, op. cit., p. 7. L’ONMI viene modificata con la legge 13 aprile 1933, n. 298 e con il R. D. 24 dicembre 1934, n. 2316, Testo Unico delle leggi sulla protezione della maternità ed infanzia. Sarà soppressa nel 1975: cfr. B. Lombardi, La spesa sanitaria pubblica nel Circondario di Rimini, Analisi del periodo 1977-1985, pp. 83-84.
[2] Ib., p. 8.
[3] Cfr. S. Fabbri, op. cit., pp. 4-7.
[4] La definizione dell’"Italia rurale" come "nerbo dello Stato in pace e in guerra", è nel cit. volume di S. Fabbri, tolta da un discorso di Francesco Coletti, "eminente giurista sociologo" (cfr. pp. 13-14). Osserva G. Candeloro (Il fascismo e le sue guerre, "Storia dell’Italia moderna", IX, Feltrinelli, Milano 1981, p. 298): "Gli anni dal ’29 al ’35, soprattutto dal ’33 in poi, furono decisivi anche per il sostanziale fallimento delle due battaglie tra loro collegate, cominciate dal fascismo negli anni 1927-28: quella per la bonifica integrale e quella per la ruralizzazione".
[5] Il libro di Fabbri è, come si è visto, pubblicato nel 1933. Sui provvedimenti antisemiti del 1938, cfr. G. Candeloro, Il fascismo e le sue guerre, cit., pp. 450-452.
[6] S. Fabbri, L’assistenza della maternità e dell’infanzia in Italia , cit., pp. 9-12.
[7] Ib., p. 132.
[8] Ib., p. 64, pp. 86-88, e pp. 20-21.
[9] Ib., p. 24. Il Regolamento è nel R. D. n. 718.
[10] Cfr. il cit. Rimini, Bollettino mensile di Statistica, Riassunto anno 1938-XVI e relazioni varie, p. XVI.
[11] Nel Bilancio preventivo per l’anno 1927 (p. 83, Atti, AAM), si legge di un sussidio di lire 25.000 accordato dall’ONMI "per adattamento locali". In lettera dell’Aiuto Materno alla società telefonica TIMO del 20 maggio 1928, si ricorda "il servizio assistenziale di donne gestanti", organizzato "col concorso dell’Opera Nazionale per la Protezione della Maternità e dell’Infanzia" (AAM).
[12] Ib., pp. 122-126.
[13] Così leggiamo nella pagina riminese de Il Popolo di Romagna del 13 febbraio 1927, nella breve nota intitolata "Protezione della maternità e dell’infanzia". Come esempio, dallo stesso giornale, riprendiamo un comunicato dell’8 giugno 1929 in cui si annunciano un contributo di lire 700 all’Istituto Maestre Pie di Coriano "a titolo di concorso lavori di restauro del locale adibito ad uso di refettorio e consultorio materno", e l’accoglimento "in via di massima" della domanda dell’Asilo Sacra Famiglia di Santarcangelo "per concessione di sussidio". Alla fine del 1929 vengono censiti nella provincia di Forlì 15 refettori, di cui 12 istituiti nel luglio dello stesso anno, mentre erano tre "quelli preesistenti di Forlì, Cesena e Rimini, gestiti da istituzioni locali col contributo della Federazione": cfr. Il Popolo di Romagna del 6 gennaio 1930.
[14] Cfr. B. Lombardi, La spesa sanitaria pubblica nel Circondario di Rimini, cit., p. 83.
[15] Di queste istanze ci siamo già occupati nelle nostre pagine precedenti. Si veda soprattutto, nel cap. 5, quanto è stato sostenuto da Del Piano, a proposito della disattenzione italiana verso i "problemi dell’igiene sociale", e della necessità di superare le "vecchie forme della pubblica e privata beneficenza". Per gli interventi del fascismo relativi alle cure marine, cfr. nel Popolo di Romagna i nn. del 18 marzo 1928 ("Come nacque l’Ospizio Marino"), del 6 luglio 1929 ("Duemila fanciulli al mare"), e del 31 agosto 1929 ("Il vasto esperimento dell’assistenza ai fanciulli della nostra Provincia", ove si parla di "oltre duemila bimbi al mare").
[16] La raccolta del Popolo di Romagna è in BGR. Sul foglio forlivese, appaiono alcune notizie relative all’Aiuto Materno, tra cui quelle riguardanti la visita del podestà (9 giugno 1928); il sussidio del duce di lire 15.000 (2 settembre 1933); e la visita del prefetto a "questa benefica istituzione che da 30 anni profonde tanto bene nella città" (16 marzo 1940).
[17] È un’intera pagina del 30 ottobre 1932, dedicata all’argomento.
[18] Cfr. il n. dell’11 febbraio 1933.
[19] Cfr. il n. del 9 dicembre 1933. L’articolo è a firma Renato Semprini.
[20] Cfr. il n. del 22 dicembre 1933, dove si riporta da Forlì l’elenco dei vari premi assegnati a cittadini riminesi, tra cui le famiglie Giuseppe Ghinelli (con 10 figli), Giuseppe Tarassi, Antonio Muratori, Ester Ciavatti ved. Masini, Bruna Palazzi Rossi, Sante Succi. Un premio di natalità è andato a Giuffrida Platania (fratello di Luigi Platania, ex anarchico ed uno dei fondatori nel ’19 del primo nucleo dei fasci di combattimento a Rimini, ucciso nel 1921). Analoghe cronache si trovano anche negli anni successivi.
[21] Cfr. nel numero del 30 dicembre 1933 i servizi intitolati: Solenni riti di glorificazione della Maternità e dell’Infanzia, e Le celebrazioni a Forlì e nella provincia. I legami tra fede cristiana e fascismo sono ribaditi in un altro articolo dedicato alla "Befana fascista" (cfr. Il Regime e l’infanzia, 6 gennaio 1934). Nel numero del 16 gennaio 1935 si ricorda che anche i bimbi dell’Aiuto Materno riminese hanno ricevuto il dono per la Befana, sotto il titolo a piena pagina: "Manifestazioni al DUCE e giocondità". Del Piano figura presidente provinciale già dal 1929 (cfr. Popolo di Romagna, 31 agosto 1929).
[22] Cfr. il n. del 28 gennaio 1933: "Il Refettorio resterà aperto fino al 20 aprile". In base alla legge 13 aprile 1933 n. 298 che modifica la legge del ’25, n. 2277, le spese per il funzionamento del locale comitato ONMI passano a carico del Comune: cfr. Atti del Podestà 1934, 18 gennaio, pp. 19-20. La cifra stanziata è di 2.000 lire, elevate a 5.000 con delibera n. 433 dell’8 giugno 1943, ib., pp. 520-521. Presidente del Comitato cittadino dell’ONMI è il vice podestà cav. avv. Eugenio Bianchini (cfr. delibera n. 365 del 16 maggio 1934, ib., pp. 447-448).
[23] Cfr. il n. del 17 agosto 1929.
[24] Cfr. il n. del 17 dicembre 1938. Qui si precisa che a Rimini non esisteva ancora una sede dell’ONMI, data "in progetto". Nel 1936, a tale scopo, il Comune ha ceduto all’ONMI a titolo gratuito un appezzamento di terreno nel Quartiere Ippodromo (ora Stadio comunale): cfr. delibera del 24 settembre 1936, Atti del Podestà, pp. 649-650. Nel 1941, poiché l’area concessa si è rivelata "insufficiente alle necessità", la delibera del ’36 viene revocata, e sostituita da un’altra (n. 592, 21 ottobre 1941, Atti del Commissario prefettizio, pp. 703-704, ADC), che cede, sempre a titolo gratuito, un terreno nella zona del Borgo San Giuliano, in zona posta tra l’attuale via Matteotti (allora XXVIII Ottobre) e la via Trai. Tale sede è stata realizzata soltanto nel Dopoguerra in area ancora diversa.
[25] Sull’Aiuto Materno come luogo delle cerimonie, cfr. i nn. del 31 dicembre 1938 e del 30 dicembre 1939. La citazione è tolta dal n. del 30 dicembre 1939.
[26] Cfr. il cit. n. del 17 dicembre 1938, ove si riportano i dati provinciali dell’attività dell’ONMI, senza notizie sull’Aiuto Materno.
[27] Cfr. B. Masotti, Bimbi d’Italia, 8 settembre 1940.
[28] Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, Dalla caduta del fascismo alla Repubblica, 1943-1946, Il Ponte, Rimini 1989, p. 12.
[29] La recensione, firmata "N. M." appare nella rubrica Cose lette e da leggere.

12. In povertà per la malattia. Due storie (1926-29)

All’inizio del 1927, una bambina bellariese di sei anni è ricoverata all’Aiuto Materno. Colpita da paralisi infantile, in precedenza è stata curata all’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna con sussidio dell’Amministrazione comunale di Rimini. Al ritorno a casa, le condizioni della sua famiglia ("miserevoli, tanto che vive di elemosina"), non le permettono di ricevere le necessarie prestazioni sanitarie.
Suo padre è un bracciante disoccupato da parecchio tempo. La madre si rivolge per un soccorso al Commissario prefettizio di Rimini che, il 30 dicembre 1926, delibera di contribuire a metà delle spese per l’assistenza presso l’Aiuto Materno, assieme alla locale Congregazione di carità. Viene riconosciuta la necessità di ricovero della bambina, per completare la terapia, e anche per fornirle "una super-alimentazione che non può ricevere dalla famiglia", al fine di "non rendere infruttuosi e nulli i benefici ricavati dalle cure precedenti". [1]
Prima della decisione, il Commissario prefettizio ha esaminato "i riferimenti del Parroco e del Segretario Politico del Fascio di Bellaria entrambi concordi nel raccomandare la richiedente perché bisognosa di soccorso".
Nello stesso 1927, un sussidio di 200 lire è concesso dall’Amministrazione comunale ad una delle fondatrici dell’Aiuto Materno, Maria Negro, "costretta al letto da undici anni". Nella delibera del 14 ottobre si legge che per quarant’anni (di cui trentuno come direttrice didattica), la Negro è stata una benemerita dell’istruzione elementare nella scuola pubblica di Rimini, e che "si prodigò costantemente con intelligenza, zelo ed encomiabile attività ad opere filantropiche e patriottiche, riscuotendo onori, grande estimazione e generale benevolenza". Nell’istanza, presentata dal marito Odoardo Gattei, si fa presente che la famiglia, a causa di quella malattia, versava in "sventurate condizioni". [2]
Nel 1929 è nuovamente deliberato un sussidio straordinario per la signora Negro, questa volta di 500 lire. [3]

[1] Cfr. Atti del Podestà 1926, pp. 259-260, ASR.
[2] Cfr. Atti del Podestà 1927, pp. 454-455, ASR.
[3] Cfr. Atti del Podestà 1929, delibera del 19 febbraio, pp. 56/57, ASR.

13. La guerra a Rimini (1943-44)

Nel giorno di Ognissanti del 1943, alle ore 11.50 arrivano dal cielo le prime bombe. Tre squadriglie di caccia inglesi (diciotto in tutto), rovesciano il loro carico di distruzione. Bilancio, 92 morti e 142 feriti. La gente viene colta di sorpresa, la città è praticamente indifesa e priva di rifugi efficienti. Rimini è ormai in prima linea. Il 13 settembre sono giunti in forze i soldati tedeschi. Il 18 settembre, da Radio Monaco, Mussolini ha annunciato la nascita della Repubblica sociale. Dal 13 ottobre l’Italia è in guerra con la Germania nazista. [1]
Il futuro promette soltanto distruzione. Il 7 novembre 1943 si riuniscono "d’urgenza" all’Aiuto Materno il presidente Boldrini ed i consiglieri Michele Gamberini ed Ivo Farneti. Sono assenti giustificati la contessa Anna Maria Cassoli, discendente di Suor Soleri, e il dott. Francesco Morri, altro consigliere. All’ordine del giorno c’è lo sfollamento dell’Aiuto Materno e del reparto infantile dell’Ospedalino nelle scuole comunali di Verucchio. Un altro argomento riguarda il licenziamento del personale straordinario che diverrebbe sovrabbondante rispetto alle necessità nella nuova prevista sistemazione .
Lo sfollamento, leggiamo nel verbale relativo, si rende necessario "in seguito alle offese aeree sulla città e del continuo stato d’allarme", per "porre in riparo di probabili pericoli i ricoverati e le ricoverate ed onde evitare agli stessi disagi materiali e morali derivanti dalla situazione determinatasi a seguito del bombardamento del 1° Novembre 1943". [2]
Il 27 novembre ’43 lascia la città anche l’Ospedale civile, trasferendosi al Covignano nella villa Casati, di fianco alla chiesa di San Fortunato. [3] È qui che viene ospitata a dicembre la Sala maternità dell’Aiuto Materno, in seguito a convenzione con l’Ospedale stesso, che regola i rapporti tecnici ed amministrativi tra le due strutture. [4] Chirurgo ostetrico dell’Aiuto Materno, è il dottor Adolfo Fochessati. [5] Il primario medico dell’Ospedale, è il prof. Achille Sega. Il primario chirurgo dell’Ospedale, è il prof. Luigi Silvestrini.
La vita a San Fortunato ai primi di settembre 1944, quando gli alleati si avvicinano ed il Covignano diventa un caposaldo tedesco, è stata raccontata da Silvestrini. Per "ben dieci giorni la modesta Cittadella bianca resistette sotto i colpi ininterrotti delle granate e delle bombe aeree che, nonostante i numerosi ed evidenti segni di distinzione, Croce Rossa di Ginevra, raggiungevano il fabbricato". "Mano mano che i proiettili raggiungevano le stanze superiori dell’edificio, infermieri, medici e personale si raccoglievano in ambienti sempre più ristretti e più in basso, finché si fu costretti a riunirci in un rude e squallido scantinato, un tempo cucina del convento, ove insieme si trascorrevano le interminabili giornate, si consumava la scarsa razione alimentare ed alla sera ci si coricava su giacigli improvvisati, dopo la preghiera recitata dalla Madre Superiora e la benedizione impartita, fra la più viva commozione dei presenti, dal padre cappuccino; in un angolo il posto di medicazione e di pronto soccorso pei feriti civili e militari che continuamente affluivano (vi furono praticati numerosi interventi chirurgici d’urgenza). […] Due bimbi videro la luce in quelle giornate tra i fragori degli scoppi delle granate ed il divampare degli incendi: fu posto a loro, come auspicio, il nome di Fortunato, il protettore della parrocchia". La notte del 12 settembre "in un momento di tregua, feriti e malati furono trasferiti in camion alla Repubblica di San Marino: medici e personale di assistenza rimasti li raggiunsero nelle ore pomeridiane seguenti". [6] Il 20 settembre gli alleati occupano il Covignano, ed il giorno dopo liberano Rimini.
Nel corso del ’44 si registrano a Rimini 1.059 nascite contro 1.460 decessi, trentotto dei quali dovuti ad un’epidemia di tifo che, fra ottobre ’44 ed aprile ’45, fa registrare 469 casi denunciati ed accertati. [7]

[1] Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., passim.
[2] Il Verbale è in Atti AAM. Vedi anche il Verbale del 16 dicembre 1943, ib., che citiamo in seguito. Il personale licenziato è composto da due levatrici, un’infermiera un’aiuto infermiera ed un inserviente.
[3] Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., p. 39; V. Tamburini, op. cit., p. 75.
[4] Cfr. Verbale del 16 dicembre 1943, AAM. Qui si legge che "il Segretario del Fascio Repubblicano ha invitato le amministrazioni degli Istituti Ospedalieri e di Ricovero e dell’Aiuto materno ad istituire presso la sede di sfollamento dell’Ospedale Civile in S. Fortunato una Sala di maternità alle dirette dipendenze dell’Aiuto Materno stesso". Fatta salva la loro reciproca autonomia di gestione, l’Ospedale consente "al collocamento di un Reparto Maternità presso" la sede di sfollamento, fornendo i locali "strettamente indispensabili". All’Aiuto Materno tocca l’obbligo di provvedere al personale necessario, mentre l’Ospedale conserva la competenza della sezione chirurgica su "ginecologia e parti distocici" [che si svolgono cioè in modo diverso da quello normale e fisiologico].
[5] Sul dott. Fochessati, cfr. la scheda a lui dedicata nella parte seconda.
[6] L. Silvestrini, op. cit., p. 262. Per una cronistoria del 1944, rimandiamo al nostro Rimini ieri, cit. pp. 43-74.
[7] L. Silvestrini, op. cit., p. 267.

14. Profilo di un pediatra, Ugo Gobbi

Come nasce un grande medico pediatra. Il professor Ugo Gobbi racconta la sua vita di scienziato con il distacco di chi, pur consapevole di aver raggiunto importanti risultati nella propria attività, guarda il passato con occhio mai ambizioso e con una forte dose di ironia con cui confezionare il discorso. All’inizio del nostro colloquio, infatti egli cerca cordialmente di depistarci, parlando dei suoi interessi giovanili per i francobolli e per il teatro dei burattini, saltando poi a quelli attuali riguardanti la maiolica di Faenza del ’700, materia in cui è esperto di grande livello. Poi finalmente ci accompagna in un percorso della memoria nel quale ogni tappa ed ogni particolare rivivono con vivezza e passioni quasi fossero fatti del giorno.
È la passione chi a diciotto anni, nel 1939, quando inizia la seconda guerra mondiale, s’iscrive alla facoltà di Medicina dell’Università di Bologna, e nel tempo libero, anziché andare al mare o al caffè, inizia subito ad esercitarsi presso l’Ospedale Civile di Rimini, dove trascorre almeno sei mesi di vita all’anno: "Svolgevo tante ricerche di laboratorio. A fare gli esami delle urine, a colorare gli strisci di sangue, a cercare i parassiti microscopici nelle feci, naturalmente maneggiando pappagalli e padelle, imparai da Enrico, l’infermiere generico addetto al laboratorio (allora non c’erano tecnici diplomati…). Una volta ho acchiappato diciotto topi al Mulino Canaletti. C’erano stati in Ospedale due casi mortali di leptospirosi ittero-emorragica. I malati urinavano sangue ed avevano un’itterizia grave. Comprai di tasca mia una gran gabbia che portai a casa, e vi misi i topi. Per potere eseguire l’autopsia, li affogavo nella vasca dove mia mamma lavava i panni (e lei si lamentava, come penso faccia ancora, poveretta, dalla tomba). Passai tutta l’estate a colorare fegato, milza e reni di questi topi per guardarli al microscopio e per cercare la leptospira ittero-emorragica. Ne trovai una dubbia, su… tremila vetrini o più".
A ventiquattr’anni, la laurea. Siamo nel 1945. Gobbi si è sposato nel ’41 ed ha già due figli. La guerra gli ha distrutto la casa di via Marco Minghetti 48. Quando inizia a frequentare il corso di specializzazione in Clinica pediatrica, egli sa "fare già tutto quello che doveva saper fare un assistente universitario", grazie all’esperienza acquisita al nostro nosocomio. Svolge da solo l’attività di laboratorio, consapevole dell’importanza della lettura da parte del medico dei risultati di un’indagine: "Per diagnosticare una leucemia, è inutile mandare i vetrini in laboratorio. Bisogna che uno se li veda da solo, così può fare tante cose… Ho dovuto imparare da solo, e spontaneamente, anche il mestiere di radiologo".
Il 30 giugno ’47 Gobbi si specializza a Bologna. Il giorno dopo ritorna a Rimini, dove cerca di "aprire un buco di ambulatorio". Per quattro anni esercita la libera professione come Pediatra, "però continuando a stare attaccato un po’ a Bologna" (dove nei momenti liberi frequenta la Clinica universitaria), e scrivendo pubblicazioni, per mantenersi aggiornato e per non distaccarsi dal "filone dello studio".
In questi anni Gobbi si dedica ad una ricerca particolare, su cui non ha mai pubblicato nulla, pur avendone parlato in numerosi congressi medici [1], riguardante l’alimentazione degli adulti e gli effetti positivi delle diete ricche di pesce azzurro per la prevenzione delle malattie circolatorie. Egli precorre i risultati scientifici apparsi quasi mezzo secolo dopo sulle riviste scientifiche, a proposito dell’uso dell’olio di pesce a difesa del cuore.
Nel ’52 alla morte del professor Manlio Monticelli, primario Pediatra dell’Aiuto Materno, Gobbi viene chiamato a sostituirlo, "appoggiato dai colleghi Adolfo Fochessati (che era il primario ginecologo), Luigi Guerrieri, Sergio Lazzari e Walter Montanari: i medici volevano me! Anche il dottor Bongiorno, presidente dell’Istituto, mi appoggiava. Andai a ripescare il microscopio e tutto quello che era in cantina per il laboratorio. Se c’era qualche cosa, la si mandava all’Ospedale per le verifiche necessarie, e del laboratorio non si parlava".
Gobbi resta all’Aiuto Materno dal ’52 al gennaio ’60 quando riceve l’incarico di Primario nel nuovo reparto pediatrico "Vincini" del nostro Ospedale Civile: "Siccome era un incarico e siccome annusavo arie poco buone per me, ho conservato il posto come consulente dell’Aiuto Materno, e dirigente (non retribuito) della sezione immaturi e neonati".
Prima del reparto "Vincini", a Rimini non esisteva Pediatria: "La facevamo soltanto noi all’Aiuto Materno. Ma era inadeguata per mille motivi. Chiamarono me all’Ospedale Civile perché avevo già allestito Pediatria a Cesena nel ’59". Il reparto deriva il suo nome dal lascito del professor Lodovico Vincini, "grande figura di filantropo che fu primario chirurgo per oltre un trentennio nella nostra città, alla quale offrì il suo cospicuo patrimonio per far sorgere la divisione pediatrica, intestata alla madre Adelaide Carrara Vincini. Egli aveva donato all’Ospedale civile anche il gabinetto radiologico con i più moderni apparecchi".
Dunque, l’attività all’Aiuto Materno. I suoi collaboratori, Gobbi li ricorda con stima ed affetto. La dottoressa Caterina Riganelli, quando la conosce, nel suo tempo libero "lavorava con i ferri a maglia, ed era bravissima. All’inizio avemmo qualche incontro anche un po’ duro, perché io volevo che lei si aggiornasse. Poi prese tanta passione che nel tempo libero faceva ancora ai ferri, ma contemporaneamente leggeva le riviste e i libri di Medicina. E mi accettò, pur avendo lei venti anni più di me. Era stata sempre lì, soltanto che vedeva che c’era uno spirito nuovo nell’Ospedalino". A proposito del laboratorio interno all’Aiuto Materno: "Le urine, il liquor, il sangue per gli esami, li ‘facevo’ io, e molto bravi erano anche Francini e sua moglie, Maria Luisa Scoccianti che andò in Svizzera con una piccola borsa di studio, per imparare la Neuropsichiatria infantile: stette un semestre a Mendrisio e a Bellinzona".
L’ambiente dell’Aiuto Materno è piccolo, ma il suo raggio d’azione si estende. Gobbi apre ambulatori nel Montefeltro, a Novafeltria, Pennabilli e Perticara: "Andavo a fare l’ambulatorio per l’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia con un motorino che mi procurava forti mal di schiena perché la strada era tutta una buca".
Ospedale Civile di Rimini, gennaio 1960, si è detto. L’incarico ricevuto da Gobbi può diventare il posto di primario? Il concorso dura due anni: "una nefandezza in tutto", così lo definì il prof. Massimo Severo Giannini.
Così nel ’62 Gobbi ritorna all’Aiuto Materno, "con la disperazione di trovare un ambiente assolutamente inadeguato: avevo lasciato un Ospedalino che era bello, ordinato, che avevo fatto pezzo per pezzo, e mi trovo in quella disperazione". Ma in quello stesso ’62 accade un fatto che Gobbi chiama "provvidenziale". Teresa Bronzetti, un’amica di sua madre, alla quale spesso portava uova e galline dal proprio ‘fondo’ sulla via Flaminia, vuol "fare qualcosa" per ricordare il proprio fratello Guglielmo, morto due anni prima. Teresa Bronzetti si confida con la madre del professor Gobbi, la quale le suggerisce di "aiutare l’Ospedalino" dove lavora il figlio. Detto, fatto. Teresa Bronzetti si dichiara disposta a donare "tutto" perché si costruisca un "Ospedale per bambini", dedicato alle memoria di suo fratello Guglielmo, che era stato commerciante, con negozio di scarpe lungo il corso d’Augusto.
Il professor Bruno Marabini, primario di Medicina all’Ospedale Civile di Rimini ed artista di larga fama, scolpisce un bronzo con il ritratto di Guglielmo Bronzetti, che viene collocato all’ingresso dell’Ospedalino. Quel bronzo è poi sparito: "Possibile che sia stato rubato? Assieme al ritratto è sparito anche ogni segno che il locale è stato donato dai Bronzetti". Lì, adesso, ci sono gli uffici dell’Azienda sanitaria pubblica.
L’Ospedale Bronzetti è stato costruito "con un’economia da spilorci", bisognava non superare gli ottantacinque milioni dati da Teresa Bronzetti in contanti. Gobbi controlla che l’intonaco sia dello spessore previsto dal capitolato, che il ferro delle porte non sia ‘normale’ ma della qualità concordata, e quando vede che le cose non vanno, fa rifare. L’Ospedale Bronzetti è aperto nell’ottobre ’66: "C’erano delle innovazioni rispetto agli standard universitari, come le nove camere che ospitavano gli immaturi e le loro mamme, cunicoli di due metri per due, con pressione atmosferica superiore di mezzo grado a quella del corridoio, per creare un flusso laminare grazie al quale l’aria poteva uscire ma non entrare, così rimanevano fuori germi e polvere, con un ricambio di circolo ventitré volte superiore a quello delle incubatrici".
L’Ospedalino ha ottanta posti letto, ma nell’estate del ’67 raggiunge anche punte di cento presenze. Il reparto di Neonatologia, al pari di quello per gli immaturi, ha box singoli ove soggiorna anche la mamma. "Pediatria ha quattro camere singole per l’osservazione del paziente dal momento del ricovero fino al chiarimento della patologie. Nelle camere a due letti si ospitano pazienti con patologie compatibili. Quelle a quattro letti sono per bambini convalescenti, della stessa fascia di età, ai quali le due assistenti sociali allietavano la degenza. Particolari poltrone-letto per la madre o un congiunto permettevano un’affettuosa assistenza 24 ore su 24, senza creare superaffollamento o disordine".
Tra gli studi effettuati dopo il ritorno all’Aiuto Materno, Gobbi ricorda quello sul colostro, il primo latte: "Nei primi due o tre giorni il latte della donna ha una densità particolare, un colore giallognolo. È il proseguimento del corpo della mamma che viene trasmesso al figlio. L’ho già scritto da allora, metà anni ’60. Adesso sono tutti d’accordo che il colostro sia indispensabile, ma non perché l’ho scritto io, ma perché se ne sono accorti…".
Allora c’erano molte ostetriche che prelevavano il colostro "e prendevano la percentuale dalle ditte del latte: secondo loro non era necessario che la donna allattasse subito, "tanto che cosa fa", dicevano". Il colostro "è ricchissimo di proteine alimentari, ed è scarso di glucosio (che farebbe soltanto male in questa fase). E poi contiene anticorpi ed enzimi. E il bambino, più piccolo è, più ne ha bisogno per la sua immunità primaria contro le infezioni, soprattutto a livello intestinale". Allora con il prof. Maggioni dell’Università di Roma, Gobbi scrive "L’alimentazione del bambino sano e malato": "Mi sono trovato quasi ad accapigliarmi con le ditte farmaceutiche: negli anni ’60 sembrava che il latte di donna facesse male. Andava bene soltanto il latte artificiale. Pazzia". In una conferenza a Bologna, Gobbi spiega che "il colostro è un latte in cui la stagnazione provoca l’infiammazione. Un ostetrico dell’Università non avendo capito niente di questi concetti, commenta: ‘Quindi dobbiamo dare gli antibiotici’".
In quegli anni Gobbi stringe "la grande alleanza" con il professor Giorgio Perazzo, primario chirurgo del nostro Ospedale Civile: "Studiavo il caso, glielo esponevo e gli dicevo: "Domani professore le porto questo bambino…". Se era titubante, aggiungevo che mi ero già compromesso con i genitori dicendo che lui lo avrebbe operato, "se non lo fa lei, lo portano a Bologna…". Sentendo il nome di Bologna, cessavano i dubbi, e la risposta era subito affermativa. Perazzo operava, e la degenza proseguiva all’Ospedalino. Per altri casi intervenne come chirurgo, presso la Casa di Cura Contarini, il professor Giorgio Montanari, altro ottimo chirurgo. Con lui salvammo la vita del figlio di un nostro collega operato al pancreas che aveva quattro giorni di vita".
"Abbiamo fatto tanta chirurgia. Direi che un po’ di buon nome me lo sono fatto perché così ho salvato tanti bambini che altrimenti sarebbero morti. Ci stavo su le notti intere a studiare i singoli casi, la mattina dopo se ero convinto, mi assumevo tutte le responsabilità. Non pensavo ai rischi che correvo ("Se mi va male mi saltano addosso, se mi va bene al massimo mi dicono grazie"). Questo è il dato importante. Che il medico si assuma le responsabilità, allora il chirurgo può procedere. Specialmente in malattie che non erano note, abbiamo eseguito interventi ‘stranissimi’. Al prof. Conti (un riminese, allora era a Modena, adesso a Bologna), ho fatto operare quattro casi con difficoltà respiratorie che hanno sempre esito letale. Bisogna intervenire al primo o secondo giorno di vita. Tutti i quattro casi si sono risolti felicemente. Avevo visto che i bambini respiravano male, e mi sono messo a ricercare la causa del disturbo. Una volta il prof. Massera era in studio con me, e vedeva che mi tenevo la testa tra le mani, e mi davo i pugni sul capo… Volevo risolvere il caso, e a forza di studiarci sopra ci sono riuscito".
Come ricorda, il professor Gobbi, la Rimini della sua giovinezza, negli anni ’40? "La gran parte della gioventù studiosa riminese non prese parte alla lotta politica ed il dissenso lo manifestava con goliardici sbeffeggi a personaggi come Storace, ed a manifestazioni del regime. Soltanto Guido Nozzoli e Gino Pagliarani hanno realmente cospirato contro il regime fascista. Diverso era il sentire fra i giovani lavoratori dei borghi ove era tradizionalmente operante un diffuso sentimento antifascista, con padri anarchici, comunisti o cattolici popolari. Capelli, Nicolò e Pagliarani, i tre martiri riminesi, non erano studenti".
Sulla vita che si svolgeva all’Ospedale Civile, Gobbi dice: "Il primario di Medicina era il professor Achille Sega, aristocratica figura di medico e di studioso, di lunga carriera universitaria, meno interessato per pazienti routinari, del resto ben seguiti dall’aiuto dottor Armando Fonti Gabici, che praticamente viveva in ospedale, si impegnava con tutta la sua notevolissima cultura a risolvere problemi diagnostici che si presentavano in malattie estremamente rare o mai descritte".
Medicina di ieri: "Augusto Murri è, al di sopra di epoche e scoperte, il Maestro a cui ogni medico deve riferirsi se vuole arrivare alla diagnosi. Il metodo induttivo è quello che porta dal sintomo alla diagnosi. Oggi purtroppo si crede che far eseguire un gran numero di esami sia il modo migliore per arrivare alla conclusione, senza cogliere una rigorosa storia del paziente, recente e remota, delle sua abitudini alimentari, dei suoi viaggi, delle malattie sofferte e dei disturbi accusati, nonché delle malattie famigliari e anche degli avi; e senza un’accurata visita del paziente".
Fra i tanti colleghi nella professione, chi desidera ancora ricordare? "Non posso dimenticare il dottor Alfonso Jorio, direttore del Dispensario antitubercolare, medico di notevole valore e di grande umanità, morto purtroppo giovane, e che volle lo seguissi come medico di fiducia durante la non breve e spietata malattia. Suo figlio Domenico, valente ricercatore, alla carriera ha preferito la famiglia, per stare vicino a sua madre ed alle sue radici, per vivere in campagna: oggi è primario medico all’Ospedale di Santarcangelo. Poi, c’è Antonio Bortolotti, medico condotto in Rimini, che esercitava la professione con grande onestà intellettuale oltreché pecuniaria".
Medicina di oggi. Quali suggerimenti potrebbe dare il professor Gobbi ad un giovane medico perché si appassioni alla ricerca scientifica? "Panta rei, tutto scorre e tutto cambia. Oggi l’Università ha assunto l’aspetto di un liceo. Gli studenti vengono indottrinati di tanta cultura, istruiti ma non educati. Un giovane si laurea con lode, senza saper distinguere nel malato una polmonite da una pleurite, senza saper palpare un addome. Non so proprio dove si andrà a finire, pertanto non so dare suggerimenti. Altra cosa è la ricerca scientifica. Se un giovane non ha problemi economici oppure ha capacità di sopravvivere con pochi spiccioli, se ha molta curiosità ed interesse per il sapere, se si sente di fare una vita eroica, cerchi di entrare come interno in un Istituto di buon nome e rimanga a sgobbare per anni, fino ad avere una borsa di studio e poi vincere un concorso per ricercatore, ricevendo uno stipendio inferiore a quello di un netturbino. Chi voglia far coincidere benessere economico ed una decorosa professionalità può fare il dermatologo, il dentista o una di quelle nuove specialità di moda: il dietologo, lo psicologo, il reumatologo o il fisiatra. Tuttavia ad un giovane, prima di iscriversi a medicina, consiglierei di leggere La cittadella e Le stelle stanno a guardare, e poi riflettere bene per capire con chi vuol stare."

[1] Cfr. R. Bulgarelli, Puericultura, quinta ed. 1984, p. 514: "Riguardo al contenuto in grassi, è da ricordare però (come ha sottolineato recentemente Gobbi: 1982) che i "pesci azzurri" contengono in notevole quantità acidi grassi poli-insaturi; si tratta delle sardine, delle acciughe, delle alacce (chiamate anche "sardoni"), degli sgombri, delle aguglie, ecc.".

Antonio Montanari


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