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il Rimino - Riministoria

Le ombre di Galileo
CAP. 5, ATOMISMO, DA NAPOLI A VENEZIA

Il «cristianizzare Democrito» di Marsili rimanda alla rivalutazione del filosofo di Abdera operata da Francesco Bacone (1561-1626) che lo riteneva ingiustamente dimenticato insieme agli altri presocratici, e che considerava il suo atomismo compatibile con il racconto biblico: la natura è la materia informe ed eterna su cui opera la creazione, non la negazione dell’intervento divino. Secondo Bacone, dopo la caduta e l’uscita dalla condizione originaria voluta da Dio, nelle cose prende il sopravvento la forza degli atomi.
Nella cultura italiana della seconda metà del Seicento l’atomismo ha suo sostenitori nel già ricordato Bonaventura Cavalieri, in Domenico Guglielmini (allievo non soltanto, come si è detto, di Lelio Trionfetti ma pure di Montanari e Malpighi), e in Giovanni Alfonso Borelli, figlio di Tommaso Campanella secondo una notizia leggendaria.
Nato a Napoli nel 1608, Borelli a ventidue anni è a Roma, scolaro di Benedetto Castelli, verso i trenta va a Messina dove insegna Matematica in quell’università. L’ipotesi atomistica si affaccia nel suo pensiero per la prima volta nel testo pubblicato a Cosenza nel 1649, riguardante un fenomeno non di sua competenza, ma indagato per ordine superiore: l’epidemia di febbri maligne diffusesi tre anni prima in tutta la Sicilia. Secondo Borelli, ne andava cercata la causa in particelle atomiche tossiche che producevano la malattia se esalate dalla terra al seguito di particolari condizioni ambientali, atmosferiche e igieniche. Estimatore in campo filosofico soltanto di Gassendi, ne introduce l’Opera omnia in Toscana dove soggiorna a partire dal 1656, insegnando Matematica a Pisa e soggiornando a Firenze in Palazzo Vecchio fino al 1667 quando torna a Messina.
Tra i suoi scolari pisani va ricordato Malpighi giunto da Bologna nel 1656 con una «formazione sostanzialmente peripatetica» che Borelli, come ha scritto Emanuele Zinato, in un triennio ha «instradato» al galileismo ed all’atomismo.
Nello stesso 1667 appare a Bologna una sua opera, il De vi percussionis in cui amplia le ricerche effettuate all’accademia fiorentina del Cimento. Ma il suo capolavoro è considerato il De motu animalium uscito nel 1680, cioè nell’anno successivo alla sua morte, e continuato nel 1681. Qui egli indaga il mondo degli esseri viventi usando il metodo della dimostrazione geometrico-deduttiva (a cui si richiamerà Malpighi), ed attribuendo cause fisico-meccaniche ai fenomeni organici e alle funzioni fisiologiche. Quando nel 1631 il Vesuvio ha con una delle manifestazioni eruttive più violente, Borelli respinge la tesi del fuoco centrale (corrispondente all'Inferno dei dannati), nel tentativo di ricondurre il fenomeno a un quadro razionale, secondo il metodo galileiano e cartesiano.
Sulla stessa linea si pose Tommaso Cornelio (1614-1684): originario di Roveto, presso Cosenza, studia Medicina a Roma, insegna dal 1653 a Napoli Matematica, e poi Medicina teoretica. Nel 1663 pubblica a Venezia i Progymnasmata physica, in cui si riconosce validità alla prospettiva del meccanicismo applicata allo studio della natura. Una sua copia si trova in Gambalunghiana. Toccherebbe a Tommaso Cornelio (che avrebbe conosciuto Bonaventura Cavalieri), il merito d’aver introdotto in Italia la conoscenza di Descartes, secondo una dichiarazione di Francesco D’Andrea riportata da Eugenio Garin nella sua Storia della Filosofia italiana (Einaudi, II, Torino 1966, p. 866): «fece venire in Napoli le opere di Renato delle Carte di cui sino a questo tempo n’era stato pressoché ignorato il nome presso noi». Garin ricorda anche che la «decisa forma di atomismo» unita all’inclinazione verso «talune ipotesi del Gassendi» accolta da Borelli, si ritrova nel suo scolaro Alessandro Marchetti, traduttore di Lucrezio.
Un esemplare del suo De rerum natura del 1583 sarà presente nella biblioteca personale del medico riminese Giovanni Bianchi (1693-1775) assieme alle Vite dei filosofi greci composte da Diogene Laerzio, commentate (1649) da Gassendi del quale egli possedeva pure i sei tomi dell’«Opera omnia» uscita nel 1658: su questi testi il rifondatore dei Lincei costruirà la propria dottrina scientifica, dopo aver studiato all’università di Bologna ed aver collaborato nel 1715 con il vescovo Davìa come segretario della sua accademia riminese «di scienze, e d’erudizione», dove pure recitò quattro dissertazioni sulle Odi di Pindaro.
Se Lucrezio e Gassendi sono accomunati dalla fisica atomistica, Gassendi rifiuta le dottrine degli occultisti, la cui diffusione a Rimini è documentabile attraverso opere gambalunghiane alle quali abbiamo accennato in conclusione del precedente capitolo. Possiamo ora accennarvi più distesamente.

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Antonio Montanari


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