Accademia dei Lincei riminesi

Iano Planco, la missione del dotto
I nuovi Lincei nascono dalla sua scuola privata

I Lincei riminesi di Giovanni Bianchi nascono da una costola della gratuita scuola privata che egli aveva aperto nel 1720, dopo aver conseguito il 7 luglio dell'anno precedente la laurea presso la Facoltà di Medicina e Filosofia a Bologna. Le lezioni si tenevano nella sua casa, posta all'inizio dell'attuale via Al Tempio Malatestiano, lato monte.
Vi s'insegnavano «Filosofia, Geometria, Medicina, Notomia, Botanica, Chirurgia, e Lingua Greca in vantaggio, e profitto della studiosa gioventù paesana, e forastiera», come scrisse un suo ex allievo, Giovanni Cristofano Amaduzzi. Una «pubblica Università», la definisce un altro antico discepolo, il sacerdote Giovanni Paolo Giovenardi. La Medicina era materia comune per tutti gli allievi. Bianchi aveva allestito pure un piccolo museo utile agli studi di Antiquaria a cui egli addestrava i discepoli.
Sia nella scuola sia nei Lincei, Bianchi svolge la sua missione di dotto, a cui si sentiva naturalmente vocato: «finché io avrò vita non cesserò giammai di animare la Gioventù, che mi frequenterà ai buoni studi», sostiene in un intervento accademico del 1761.
Bianchi aveva ricevuto la prima impronta scientifica frequentando dal 1715 al novembre 1717 (quando va a studiare a Bologna), l'Accademia «di scienze, e d'erudizione» voluta dal vescovo di Rimini, il bolognese Giovanni Antonio Davìa che era stato allievo di Marcello Malpighi, uno dei maestri della nuova Scienza sperimentale.
In quell'Accademia, Planco aveva recitato quattro dissertazioni sulle Odi di Pindaro, oltre a riassumere quelle altrui in qualità di segretario del consesso. Con monsignor Davìa, Bianchi s'era trovato meglio che con i Gesuiti, presso il cui collegio era stato mandato fanciullo, e dal quale era fuggito a soli undici anni, per non perder tempo nel seguire il normale corso degli studi nella Lingua latina, che a lui appariva troppo lento. Si era così messo a studiar Greco, scrisse G. P. Giovenardi, «senz'altra guida che quella di se stesso».
Monsignor Davìa aveva un fratello, Francesco, il quale aveva sposato Laura Bentivoglio che figura tra i primi allievi di Planco a Rimini. Laura, assieme al figlio Giuseppe, nato nel 1710, fu qui «relegata dal marito, noto per la sua vita sregolata e stravagante» (G. P. Brizzi). Donna «di profonda dottrina, e di grande erudizione», la definisce G. P. Giovenardi. Anche suo figlio Giuseppe fu alunno di Bianchi. Il 29 settembre 1722 Laura Bentivoglio scrive a Planco: «Il mal Animo de Riminesi contro di me ò per meglio dire contro al loro prossimo in generale, che per verità è tale; non mi giunge nuovo avendolo riconosciuto dal primo giorno, che la mala sorte qui mi portò».
Quando Bianchi va ad insegnare Anatomia a Siena (1741), trasferisce la sua scuola nella città toscana, dove lo segue Francesco Maria Pasini che diventerà vescovo di T e sarà noto quale educatore del giovane Aurelio De' Giorgi Bertòla (1753-1798). Olivetano e poeta, Bertòla fu più propenso alla licenza morale che alla pietà religiosa, vittima di una situazione famigliare per cui, contro il suo volere ed il suo temperamento, fu avviato alla vita monastica.
Al ritorno da Siena nel 1744, Planco riprende l'attività privata di docente. E nel 1751 pubblica un anonimo «catalogo» dei suoi alunni «che più si sono distinti, e che sono usciti dalla scuola fatta dal Bianchi in Rimino, tralasciandosi di mentovare quegli scolari, ch'ebbe in Siena, e che si distinguono». Sono 44 nomi che non corrispondono a tutti quelli dei giovani che passarono nella casa di Bianchi.
C'è il celebre naturalista Giovanni Antonio Battarra (1714-1789) che sarà pure suo collaboratore. C'è il futuro cardinale Giuseppe Garampi (1725 1792), a cui la Chiesa e la cultura italiana debbono tanto per capacità politica, sagacia diplomatica e solida dottrina. Manca però Lorenzo Ganganelli, il futuro papa Clemente XIV, eletto nel 1769 e morto nel 1774. Ganganelli, nato nel 1705, si trattenne a Rimini sino al diciottesimo anno, cioè sino al 1723 circa.
Il 30 settembre 1759 (dopo la sua nomina a cardinale), Ganganelli scriveva a Bianchi: «Ora conosco, che voi avevate ragione a sgridarmi, quando io non voleva studiare; adesso vi ringrazierei di quanto allora faceste per me». Un anno prima, il 7 giugno 1758, Ganganelli aveva ricordato a Planco con «affetto» la città di Rimini («sono uno de' suoi abitanti»), mentre il 15 settembre 1763 gli scrive: «non passa forestiere a Rimini, che non chiegga di vedere il Dottor Bianchi, e che non abbia il vostro nome registrato nel suo taccuino». Quando Bianchi gli invia le proprie felicitazioni per l'elezione papale, Ganganelli gli risponde con una lettera su cui il medico riminese annota nei propri «diari»: Clemente XIV «mi stimola a seguitare a promuovere li buoni studi di Filosofia, e di Lingua Greca nella Gioventù».
Per questioni anagrafiche, nel «catalogo» non sono presenti neppure i nomi del grande erudito santarcangiolese Gaetano Marini (1742-1815); del riminese Francesco Bonsi (1722-1803), studioso di Veterinaria; e del filosofo Giovanni Cristofano Amaduzzi (1740-1792), avviato da Bianchi a Roma verso una carriera che si svolse sotto la protezione prima di papa Ganganelli e poi del cesenate Pio VI. (Amaduzzi conservò gli svolgimenti di sette compiti, assegnati da Planco: in uno si chiedeva di spiegare che il sistema tolemaico non poteva essere difeso «nulla ratione»: ad oltre due secoli dall'opera di Copernico, significava discutere di argomenti polverosi, mentre la Nuova Scienza percorreva le strade d'Europa.)
Manca pure il nome di Antonio Maria Brunori, ricordato invece da G. P. Giovenardi, come «soggetto di merito, ed elegante Poeta» che «fu per molti anni valente Maestro di Belle Lettere in questo Seminario».
Nel 1751 Planco conta più di venticinque scolari fra cui ci sono «alcuni cospicui di ordine religioso, ed altri forestieri delle circonvicine città, che sono venuti a studiare sotto di lui». (Anche nel 1734 ha segnalato di avere venticinque allievi, «tra quali molti sono forastieri che si trattengono in Rimino per udirlo».)
Degli studenti planchiani, possediamo pure un elenco manoscritto, senza data, compilato da Bianchi in altro documento: sedici frequentavano le lezioni di Logica, tre di Greco e sei di Medicina. Tredici erano di Rimini (tra cui un «maestro di studi agostiniano di Napoli»), uno di Iesi, due di Santarcangelo di Romagna, tre di Montescudo, due di Coriano, uno di San Giovanni in Marignano, due di Pesaro ed uno di Cesena.
Nel 1751 Bianchi è proposto ma non nominato «Lettore pubblico di Logica». Dall'anonimo (ma forse autobiografico) Comentario della vita dell'Ab. Giovanni Antonio Battarra, apprendiamo che tale nomina non fu fatta perché Planco non rispondeva ai requisiti richiesti dalle disposizioni testamentarie che finanziavano quella Cattedra, cioè «non era prete».
I candidati erano due, Bianchi e Stefano Galli, altro suo ex allievo: entrambi furono fatti ritirare, anche se Galli aveva titolo a concorrere. Poi la scelta cadde su Battarra. Galli, che Bianchi definisce «uomo erudito specialmente nelle lingue de' dotti, Greca e Latina», era «probibliothecarius publicus» dopo esser stato nel 1748 per breve tempo «custode principale» provvisorio della Gambalunghiana. Il futuro cardinal Garampi si adoprò, spontaneamente, affinché Bianchi rinunciasse a favore di Galli, alla cui «povera famiglia» tornava utile «questo piccolo sussidio» della Cattedra. (Galli era stato in Biblioteca a fianco di Garampi che, nato nel 1725, a sedici anni ne era divenuto già «vicecustode».)
In un memoriale presentato alla Municipalità, Battarra dichiarava di avere tutti i requisiti richiesti per «avere studiata la Logica, con tutta la Filosofia, ed altre Scienze intorno dieci anni sotto del celebre Sig. Dott. Giovanni Bianchi, e di più avendo insegnata pubblicamente la Logica, e tutta la Filosofia nella Terra di Savignano per quattro anni continovi». Pure l'altro concorrente don Filippo Baldini citava Bianchi, al tempo suo docente di Lingua greca.
Il nucleo originario dei Lincei comprende dieci componenti, tutti provenienti dalla sua scuola. Oltre a Planco, «Restitutor perpetuus», ci sono: Stefano Galli, «Scriba perpetuus» (segretario); Francesco Maria Pasini, «Censor»; Giovanni Paolo Giovenardi, anch'egli «Censor»; Mattia Giovenardi, Giovanni Antonio Battarra, il conte Giuseppe Garampi, Gregorio Barbette, Lorenzo Antonio Santini e Giovanni Maria Cella.
Abbiamo già fatto conoscenza di Galli, Pasini (dottore di Legge e canonico della Cattedrale riminese), G. P. Giovenardi (dottore di Filosofia, materia della quale è pubblico professore a Santarcangelo), Battarra, e Garampi. Qualcosa va detto degli altri quattro. Mattia Giovenardi è professore di Lettere umane al Seminario di Bertinoro. Barbette e Santini, medici, esercitano la professione a Rimini. Barbette come Chirurgo Primario (passerà nel 1761 a Macerata); Santini (originario di Savignano) quale Medico dei Poveri. Cella è un matematico.
G. P. Giovenardi si adopererà, alla morte di Planco, per continuarne l'attività didattica, assieme al di lui nipote, dottor Girolamo Bianchi, e a don Filippo Zambelli: rivolgendosi «a' Studiosi Giovani Riminesi, ed amanti della soda letteratura», annunciava l'apertura di una «pubblica Scuola di Medicina, e lingua Greca» dotata dell'«ereditata sceltissima, e copiosissima Libreria in ogni genere di Scibile», e con «il comodo di potere fare le sezioni Anatomiche in quest'Ospedale», di cui Girolamo Bianchi era medico.

Antonio Montanari


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