il Rimino - Riministoria

LETTERA 81/giugno 2002

di Ettore Masina

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Lo chiamavamo "il gioco della verità", lo giocavamo a 13-14 anni e sono sicuro che a molti di noi (a me certamente) sembrava ai limiti del peccato, una specie di rischio della sincerità che poteva portarti chissà dove. Bisognava solennemente giurare di non mentire e poi rispondere a una serie di domande che i compagni ti ponevano.. I primi a essere proposti erano gli interrogativi cosiddetti erotici. "Ti piace di più Teresa o Jole.?"; e ad essi, in genere, spudoratamente mentivamo, scoprendoci piegati da un attacco di timidezza irresistibile oppure in base a strategie amorose (al cuore tutto è concesso) minuziosamente preparate. Ma poi, su altri argomenti, sentivamo una specie di assoluto bisogno di lealtà e così le domande ci sfidavano a difficili scelte. Per esempio: "C'è un uomo, in qualche parte della Cina, che tu non conosci, non ne sai neppure il nome. Schiacciando un bottone, puoi ucciderlo all'istante. Se lo fai, ti viene consegnato un enorme tesoro. Ci stai?". Naturalmente no, dicevi con forza. "Aspetta, aspetta" diceva un Tentatore. "Non vedrai il suo cadavere, come non hai mai visto la sua faccia. Sino ad oggi non sapevi neppure che esistesse. Che ti importa se non esisterà più? Nessuno saprà mai che cosa hai fatto. In compenso, diventerai ricchissimo". Continuare a dire sinceramente di no si faceva più difficile. E il Tentatore incalzava: "Guarda: quel cinese non è una persona importante, non uno statista né un artista né un filosofo: soltanto un tizio qualsiasi che quasi nessuno conosce. Allora?".

(Credo che negli anni '50 ne abbiano fatto un musical intitolato "Un mandarino per Teo").

Ripenso a quel gioco mentre nel televisore scorrono le immagini dell'ennesimo massacro di civili perpetrato dagli aviatori americani in Afganistan, questo paese consegnato alla devastazione, ieri dai sovietici, oggi dalla mente malata di Dobliù Bush e dei suoi servi-padroni. Piccoli morti che non hanno nome per noi e di cui contempliamo, per la prima e l'ultima volta, e per un solo secondo, i visini diventati di cera; piccoli feriti immersi in un lago di sofferenza: ce n'è uno (lo avete visto anche voi?), il cui corpicino è tutto ricoperto di bende, solo un braccio si muove, forse per cercare la madre, per supplicarla di portarlo via da tanto dolore. E penso agli aviatori che lo hanno colpito senza sapere neppure che esistesse; e forse, questa sera, andando a dormire, terranno vicino al loro letto la fotografia di bambini dei quali sono padri amorosissimi. Temo che chiedergli di pensare alle loro piccole vittime susciterebbe più sorpresa che irritazione: la guerra è guerra, non è vero? E chi e dove bombardare lo hanno deciso gli alti gradi.



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C'era una volta una guerra che rivelava ai combattenti tutti i suoi orrori. Se contempli i capolavori di Goya o, tanto per dire, le stampe popolari messicane dell'Ottocento, ti colpisce l'esiguità dello spazio che separa i condannati a morte dai fucili dei soldati: forse la benda che copriva il volto dei morituri gli era imposta non per impedire loro, misericordiosamente, di vedere i preparativi dell'esecuzione ma perché i loro occhi non potessero fissare gli occhi dei carnefici, porgli una domanda terribile: "Devi proprio farlo?". Tra uomo e uomo passava questa domanda; e avveniva che molti combattenti se la ponessero dentro e maturassero decisioni eroiche, il rifiuto delle armi; o almeno l'odio per il mestiere di soldato. Poi la guerra moderna (soprattutto una parte della guerra moderna: quella dell'aviazione) si è fatta più disumana nel senso profondo dell'espressione: l'umanità ne è definitivamente sparita perché non ci sono più uomini in rapporto fra loro ma solo parti di una macchina umana, nel cielo, e obiettivi militari, fra i quali, per definizione, città e vie di comunicazioni e - come ineliminabili, prevedibilissimi, anzi: certissimi "effetti collaterali" - case, donne e bambini. Se, come già possibile, la strumentazione di bordo diventasse totalmente automatica, l'aviatore che sgancia la morte potrebbe (e forse presto potrà) non sapere neppure quale regione sta sorvolando a 7-8 mila metri d'altezza, ormai totalmente sicuro della propria incolumità. Un perfetto boia di Stato, o di Nato, il cui addestramento costa ai contribuenti miliardi di vecchie lire. Un uomo (ma sono in arrivo anche le pilote) che, non vedendo mai i volti delle sue vittime, può crederle semplici astrazioni.



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Tutte le armi sono fatte per uccidere e tutti gli eserciti per adoprarle. Eppure una sorta di terribile graduatoria si impone. Dei soldati e dei marinai è possibile immaginare qualche missione di pace e così degli elicotteristi. Ma dell'aviazione da bombardamento, no: essa, ormai, e tanto più nell'assetto mondiale, è guerra per definizione "offensiva". Ci prendono per idioti quando ci parlano di bombe "intelligenti" che colpiscono con assoluta precisione obiettivi rigorosamente militari: sì, è vero, qualche missile di quel tipo può colpire, per mostrare la raffinata tecnologia dell'Impero, la camera da letto dei Milosevic o di Arafat. ma le bombe intelligenti usate devono essere in grandissima minoranza se a Belgrado hanno distrutto l'ambasciata cinese e nella guerra "umanitaria" per la Bosnia colpito colonne di profughi, treni, scuole, ospedali: e lo stesso va accadendo, in nome della "Libertà duratura" di Bush, da quasi un anno, in Afganistan.

E le bombe clusters, a frammentazione, che nelle strategie del Pentagono hanno sostituito le mine anti-uomo? Gli aviatori del Blocco del Bene le disseminano per stragi future; se ne stanno lì, al suolo, come mostruose tarantole di acciaio, in attesa che qualcuno le sfiori, magari le tocchi: quasi sempre piedi di bambini, manine. Non è terrorismo?

Mi dicono che i concorsi per l'ammissione all'Accademia aeronautica di Pozzuoli siano gremitissimi.


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La Rete Radiè Resch è un grande variegato contenitore di uomini e donne di pace, di costruttori e costruttrici di pace. Uno di loro, Andrea Mattei, , è morto dopo una lunga malattia. Era fratello di Gianfranco, martire della Resistenza, ed era, anche lui, un resistente: il suo motto, "liberi di non bere", raccontava di una lunga lotta interiore. "Liberi tutti" ne era stata la più recente versione, per lotte più ampie contro tutti i potenti che fanno violenza ai poveri. Con Antonella, sua moglie, creava spazi di accoglienza. Amava scrivere parabole (una, bellissima, sul mantello di San Martino, sto cercando di rintracciarla nel grande caos del mio studio. per compartirla con voi) e lettere a quel Dio creatore che lui chiamava "Signora Madre". Non aveva parole facili, come tutti i maestri.

L'altra persona di cui voglio parlarvi in poche parole (ma meriterebbe un lungo discorso) è Roberto Carusi. Fa, di professione, l'insegnante e so che lo fa benissimo. ma il suo vero mestiere è quello di teatrante, in tutti i significati della parola: attore, autore, regista, capocomico e persino cabarettista: Geniale e fulmineo nell'ironia, gli ho sempre avvertito dentro una grande capacità di sofferenza, un bisogno di dare e ricevere amore, la disponibilità a gettarsi a precipizio nei problemi della vita avendo come unica bussola la bontà. Adesso Roberto ci offre un libro, bellissimo, a cominciare dal titolo: "Mariambulus. Un bambino nella Milano di cinquant'anni fa". Non soltanto il racconto di un'infanzia poverissima, arricchita dagli affetti e dalla fantasia, ma anche la descrizione, straordinariamente vivace, di luoghi e di personaggi. Un esempio, per tutti, il ritratto del santo cardinale Schuster: "Il cardinale, come s'addiceva a un ex-monaco benedettino, giungeva prima del sole, sgusciando dalla lucida automobile nera con passi piccoli e veloci a guisa di topo, la testa protesa come quella di una tartaruga sotto lo zucchetto cremisi, le diafane mani giunte a mo' di guglia anche se nevicava. S'affannavano a baciargliele le bocche dei fabbricieri del Duomo residenti in zona, incappottati e con gli occhi cisposi per la levataccia, l'abito da cerimonia inzuppato di neve per l'imprevista genuflessioneŠ". Prendete nota, per favore, perché temo che non troverete "Mariambulus" in molte librerie: l'editore si chiama ExCogita, l'indirizzo è : via Ruggero di Lauria 15, Milano, [email protected]

E, a proposito di libri, non so rinunziare a dirvi che, con mia sorpresa e delizia, il mio "Il Vincere" è entrato nella cinquina dei finalisti del Premio Viareggio. Per una presentazione mia e del libro sarò nella città versilisese sabato 20 luglio, ore 21,30, Bagno Imperia.

5Non pochi di voi conoscono Riccardo Orioles. Ex giornalista di "Avvenimenti", raggiunge adesso centinaia e centinaia di persone con un suo giornale informatico, la "Catena di San Libero", E' duro, caustico, poetico, provocatore, intransigente, coraggioso. Adesso ha diffuso un appello che mi sembra importante: Io ho già mandato a questo mio collega la mia piena solidarietà. Mi piacerebbe che gli scriveste anche voi. Ecco il suo messaggio:

"Caro amico, cittadino e/o collega, mi dispiace di disturbarti con questo caldo (qui in Sicilia ne fa di più, e non solo atmosferico). La situazione è questa: ho aiutato un gruppo di amici catanesi a fare un giornale antimafia nella loro città. Il distributore si è rifiutato di mandarlo in edicola perchè "non mi posso mettere contro Ciancio". Ciancio è il monopolista locale (non solo locale...) dell'informazione. Per dare un'idea, basta dire che a Catania di quotidiani in edicola viene esposto solo il suo; qualunque altra testata va richiesta all'edicolante perche' la tiri fuori.

Non sto a romperti le scatole con le solite storie di mafia, di liberta' d'informazione ecc. perche' fa davvero troppo caldo. Ti chiedo solo, formalmente, di informarti e poi di prendere posizione. Non credo che una storia del genere sia solo una faccenda locale.

Riccardo Orioles

[email protected], 333.7295392

A seguire: l'articolo di "Controvento" censurato dai distributori di Ciancio. Il giornale sta venendo distribuito in queste ore da gruppi di giovani e amici del volontariato.

Tre nomi nascosti ai lettori. Perché?

"Appalti. Il Pm: 25 a giudizio". E' il titolo dell'articolo de "La Sicilia" (venerdì 14 giugno 2002, pag. 24) su un caso di giudiziaria catanese: tangenti al Garibaldi. indagini, rinvii a giudizio chiesti dai Pm Marino e Puleio.

Il titolo, per quanto povero, è corretto. L'articolo no. Il redattore (anonimo) evita infatti di dare l'elenco dei venticinque personaggi di cui è stato chiesto il rinvio a giudizio, e in particolare nasconde al lettore il nome di Giuseppe Ursino, manager di primo piano nel settore editoriale per conto del gruppo Ciancio, di cui amministra la "Gazzetta del Mezzogiorno". Allo stesso gruppo appartengono il redattore che ha scritto il pezzo, il caposervizio che l'ha passato, il caporedattore che ha dato l'ok e infine il direttore: che in questo caso coincide fisicamente col proprietario del gruppo editoriale in questione. Non è la situazione ideale per far cronaca, d'accordo: ma insomma.

Per completezza, bisogna osservare che quello di Ursino non è il solo nome censurato dall'articolo in questione. Dal pezzo di cronaca sono infatti spariti altri nomi dell'establishment catanese, fra cui quelli di Giuseppe Cicero e Ignazio Sciortino: il primo è vicino a un politico citato nell'affaire e il secondo è parente d'un magistrato coinvolto in (legittime) polemiche relative giusto al Pm Marino. Correttezza avrebbe voluto che, nel rispetto della presunzione d'innocenza, questi nomi - che erano altrettante notizie - venissero citati. Il lettore in fondo lo paga, il giornale.




Letto? Bene.

I ragazzi del giornale vanno in tipografia, si fanno stampare il giornale, lo impacchettano e lo portano dal distributore -certo Barone - per mandarlo in edicola. A questo punto, sorpresa: il distributore legge il giornale, si ferma sull'articolo che avete letto un momento fa, sobbalza e dichiara che lui contro Ciancio non si mette: e quindi non distribuisce il giornale.

Adesso io sono molto incazzato, non per la storia in sè ma perchè speravo che in vent'anni a Catania qualche piccola cosa fosse cambiata. Siccome fra i nostri lettori ci sono, fra gli altri, autorevoli dirigenti del sindacato dei giornalisti, visto che siamo qua segnalo questo caso anche a loro. A Catania, un editore come Ciancio - quello che difendeva i cavalieri e vietava di pubblicare i necrologi delle vittime di mafia - fa ancora quello che vuole.

Ettore Masina

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