il Rimino - Riministoria


Lo strazio di Beslan.
Simona Pari e Simona Torretta.
Noi e la pace
di Ettore Masina


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I poliziotti e i soldati tenevano lontani gli operatori della televisione e dunque i nostri schermi erano popolati da persone ridotte a minuscole figurine. Io le guardavo come allucinato e mi sembrava una scena già vista da qualche parte: uomini giganteschi con le armi in mano correvano per quella lontananza, poi si fermavano di scatto, come impietriti; donne piangenti si riunivano in gruppi che parevano quelli del Golgotha; a tratti si disperdevano come se avessero inteso un richiamo da qualche luogo segreto ma, subito dopo, tornavano insieme, come grumi di dolore; più tardi arrivarono carri armati che sembravano orrendi pachidermi corazzati; infine, all'improvviso, irruppe sulla scena una miriade di corpicini nudi che correvano senza meta. In quel momento ciò che sapevo e vedevo ha assunto per me, più nettamente, i colori e le forme di un quadro di Hyeronimus Bosch: un mondo impazzito, di insetti antropomorfi, di belve antropomorfe, di uomini e figli di uomini ridotti a larve; distrutta ogni logica, cancellata ogni pietà, fratturato ogni panorama e ogni oggetto da crepe profonde da cui uscivano incubi..
Ancora oggi (ed è per questo che LETTERA parte così tardi) un muto grido di orrore risuona dentro di me, e mi sembra annullare non solo ogni speranza per il futuro ma anche il senso delle scelte che in passato tanti (e un po' anch'io, con fatica e paura e incoerente testardaggine) hanno fatto (e pagato) per cercare di riscattare la Terra da certi orrori. Lo strazio di Beslan, catturato dalle idrovore mass-mediatiche, mi ha reso lucidamente consapevole della definitiva eclisse di una civiltà incapace di memorie e di sentimenti amorosi. Il più impressionante dei delitti la cui contemplazione abbia mai avvelenato la mia esistenza (una intenzionale strage di bambini davanti agli schermi televisivi) mi costringe a riconoscere che un genocidio infantile ogni giorno, più o meno nascostamente, devasta - non a causa di cataclismi ma a causa di decisioni umane - il pianeta sul quale viviamo: le neonate soppresse perché "inutili", i milioni di piccoli schiavi della pedofilia organizzata, i meninos da rua fatti uccidere da buoni borghesi perché "delinquenti irrecuperabili", i "lavoratori" con meno di 7 anni e quelli soldati a 10; i milioni di bambini profughi con i loro genitori - o, infinitamente peggio, ridotti all'orfananza - nel cuore dell'Africa Nera o in Afganistan; quelli ancor oggi feriti o mutilati dalle mine o dalle bombe a frammentazione (in Kosovo e in Iraq) o piagati, per generazioni, dalle mutazioni genetiche provocate dalla chimica bellica (da Hiroshima al Vietnam e daccapo all'Iraq) per (non) finire con i ragazzi uccisi nella Palestina degli opposti fondamentalismi. Una specie animale che distrugge con tanta crudeltà la sua prole è ormai pervertita al punto da avviarsi alla propria estinzione.

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Il piccino dagli occhi spalancati che nella scuola di Beslan è obbligato a tenere le mani dietro la nuca somiglia quasi incredibilmente al bambino del ghetto di Varsavia, immortalato da una fotografia mentre alza le mani sotto la minaccia delle armi di un gruppo di soldati nazisti. Sembra che sessant'anni siano passati invano, che ci sia nella storia una invincibile coazione a ripetere il male. Ma la realtà è anche peggiore: il piccolo del ghetto di Varsavia è vittima della violenza feroce di un popolo di Signori che si considera superiore a tutti gli altri; il piccolo osseziano è ucciso "dentro" dalla ferocia di un popolo esso stesso poverissimo e martirizzato. Se non cominciamo a capire questa elementare verità - che la guerra dei poveri non può che inclinare alla follia più sanguinaria, sino a colpire la propria stessa gente o quella del tutto simile - siamo perduti.
Ci sono momenti in cui uno si odia per avere avuto ragione: qualcuno dei miei amici ricorderà che più di vent'anni fa scrissi che le guerre che i poveri avrebbero, prima o poi, cercato di combattere per uscire dalla loro oppressione sarebbero state "naturalmente" feroci. Non possedendo mass-media per illustrare le sofferenze del proprio popolo né trovando chi se ne faccia portavoce, la disperazione dei miseri non può che portarli a creare eventi tanto terribili da costringere giornali e televisioni a registrarli con clamore; non possedendo, ammesso che vi siano, tecnologie belliche capaci di precisione "chirurgica", non possono che manovrare il plastico degli attentati; convinti, sino al suicidio, che per i loro figli i paesi dominanti non abbiano pietà, essi stessi non sentono pietà per gli innocenti travolti nelle loro imprese. E' impossibile chiedere loro di osservare le grandi convenzioni internazionali: del resto non le osserviamo neppure noi, nei loro confronti, come Guantanamo insegna. Chi ha occhi per vedere, con la lucidità che tutti dovremmo conservare, sa che la guerra dei poveri è disumana perché essi sono stati disumanizzati.
Spero che non ci sia fra chi legge queste righe qualcuno così sciocco o prevenuto da pensare che io stia cercando di giustificare gli orrori di queste guerre. Considero anch'io il terrorismo una spaventosa minaccia alla mia vita e a quella dei miei cari; ma so che accanto a me, dalla miaparte (che io lo voglia o no, e quindi con mia inevitabile complicità), c'è chi, da posizioni dominanti, nelle sedi e istituzioni in cui dovrebbe articolarsi una civiltà fraterna o almeno attenta a un po' di giustizia, provoca, alimenta e spesso sfrutta la collera dei poveri: quella collera che quasi cinquant'anni fa già il grande papa Paolo VI sentiva crescere nelle viscere della storia. e inutilmente ci additava nella sua enciclica "Populorum progressio"..

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(Sì, lo so, naturalmente: c'è anche un terrorismo che nasce non dalla disperazione della miseria, ma dal fanatismo religioso, dal profondo, feroce disprezzo per un mondo occidentale che sembra (sembra?) avere perso ogni contatto con i principî morali della Torah, del Corano e del Vangelo. I terroristi di questo tipo, come i "nostri" fondamentalisti, adorano un dio che è una proiezione dei loro peggiori difetti, e non il "clemente e misericordioso" Dio delle Scritture. Essi hanno anche una base politica su cui far leva; ed è il profondissimo razzismo con il quale le potenze occidentali vanno trattando, da almeno due secoli, il mondo islamico, riducendolo a popoli colonizzati, tracciandone a proprio beneplacito i confini, negandogli ogni autodeterminazione e dando vita, per dominarlo e rapinarlo delle sue ricchezze, a classi politiche e dinastie "occidentalizzanti", corrotte e feroci. Ciò che è avvenuto dopo l'11 settembre del 2001 ("Fahrenheith 9/11" ne riassume bene alcune delle tante prove) mostra che quel tipo di terrorismo, responsabile delle stragi di New York e di Madrid, per non citare che due crimini non è veramente combattuto dagli Stati Uniti e dai loro alleati: la tribù dei Bush non può permetterselo, essendone socia in affari ).
(Un'altra parentesi. Ricordate l'ultimo viaggio di Putin a Roma? I giornalisti gli domandarono un commento sulla situazione cecena. Berlusconi gli rubò la risposta: "Non esiste un problema ceceno". Un terzo della popolazione di quello sventurato paese era stato falciato da anni di conflitto armato, la disoccupazione e la miseria devastavano la regione ma il nostro Sorridente del Consiglio non lo sapeva, a lui bastava il sorriso dell'ex agente del KGB che così amorosamente riceve nel suo regno sardo)..

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Riprendo a scrivere dopo qualche giorno. Dopo la strage di Beslan, mi sono accorto che cercavo di pregare senza riuscirci. Riuscivo solo a ripetere tacitamente due versi di Rabin-danath Tagore, il poeta indiano dell'ecumenismo "largo": «Sulla spiaggia di mondi senza fine giocano i bambini…»
Il cuore cercava almeno una speranza di gioia restituita dall'eternità all'innocenza massacrata. E tuttavia, un po' alla volta, ho cominciato a sentire che anche questo sentimento - e quello dell'immensa pietà per i superstiti, la cui infanzia è stata per sempre piagata dalla scoperta della ferocia degli adulti - non poteva bastare. Non potevano le candele accese dietro le finestre o le fiaccolate per illuminare il buio di una notte atroce perché quella notte è anche dentro di noi e non solo nei terroristi, se rimaniamo inerti, loro complici. Ho sentito il bisogno di confessarlo: davanti a Beslan, perché quell'evento mi è sembrato un tornante di civiltà, irreparabile senza una risposta finalmente nata dalla consapevolezza degli orrori generati dal dolore di tanti popoli. Nurit Peled-Elhahan, scrittrice israeliana che sei anni fa ha perso la figlia tredicenne in un attentato di Hamas e che da allora si batte contro le spaventose responsabilità del regime di occupazione, dice: “Mi appello ai genitori che non hanno ancora perso i loro figli perché prestino attenzione alle voci che salgono dal regno della morte, sul quale camminiamo giorno dopo giorno e ora dopo ora". Lo so. sembra difficile accettare questo invito, tanto sono ancora fragili, incerte e leggere le forme e le idee del movimento per la pace, scaduto e minato il prestigio dell'ONU, potenti come mai le forze del male. tuttavia vi sono epoche - diceva ancora Paolo VI - in cui l'unico realismo è quello dell'utopia. E' arrivato il momento in cui il dilemma si è fatto chiarissimo: o rifiutiamo l'odio, in tutte le sue forme, o l'odio ci distruggerà tutti. Siamo non invitati ma obbligati alla speranza, alla solidarietà, alla creatività, alla sincerità coraggiosa. l'unica alternativa è paura crescente e trasformazione di ogni strada e cortile in possibile campo di battaglia. Putin ha imparato la lezione dall'amico Bush e annunzia che schiaccerà il terrorismo, anche con guerre preventive, in tutti i luoghi in cui esso si manifesta,. a è davvero possibile non comprendere che il terrorismo non è uno stato né un esercito, non è una centrale operativa, è spesso "artigianato della morte", micro-organizzazione o disperata protesta di singoli? Che soltanto in un mondo in cui l'amore compia coerenti atti riparatori delle ingiustizie e delle strutture che le generano si potrà vivere senza paura?

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Come sempre mi accade quando la disperazione mi prende alla gola, non tanto per me che sono ormai vecchio ma per i miei figli e per i loro bambini, sono andato testardamente in cerca di qualche speranza fra le macerie che ci circondano, e mi pare di averne rintracciato qualche segno. Il primo è il nuovo atteggiamento di parte del mondo islamico, la sua volontà di prendere le distanze dalla crudeltà del terrorismo, da qualunque parte venga agito. Questa atteggiamento deriva certamente dalla paura di un antisemitismo che si trasferisca dall'odio per gli ebrei a quello per i semiti arabi; ma certamente non nasce soltanto da paura; al contrario, esso pone fondamenti ideali religiosi alla necessità della pace.
Temo che i "nostri" uomini politici e i "nostri" mass-media commettano l'ennesimo errore se invece che a questo Islam "di base" preferiscono dare importanza a un "moderatismo arabo" che sarebbe quello dei governi legati all'Occidente capitalista. Gli statisti italiani si rivolgono al Cairo, ad Amman e Kuwait City eccetera per "mitigare" il terrorismo quando esso ci prende di mira, com'è avvenuto nel caso delle "guardie" italiane, del giornalista Baldoni e, in questi giorni delle due Simona. In realtà certi governi sono contenitori solo apparentemente islamici e in tutti i casi vicini al punto di rottura: i loro popoli, spesso dominati da regimi crudeli, non ne condividono le scelte politiche occidentalizzanti. Come tali, del resto, i governi "arabo-moderati" sono certamente tagliati fuori da ogni rapporto con i musulmani iracheni, non soltanto quelli fondamentalisti ma anche quelli più semplicemente ribelli all'occupazione militare. (A questo proposito è sconcertante la stupidità, per non dire di peggio, del governo italiano, il quale, nel momento di una crisi tanto dolorosa e delicata riceve, primo fra i governi europei. il presidente fantoccio del regime stelle-e-strisce di Bagdad).
Ben più promettente, io credo, per la conquista della pace è invece l'Islam che in Italia, in Francia e in Spagna, ma anche in molti altri luoghi, esprime solidarietà alle vittime dell'odio. Questa novità apre una inedita speranza: la ripresa di un dialogo fra credenti che n altri secoli produsse mirabili civiltà.
Anche da questo punto di vista mi è sembrata straordinariamente commovente la mani-festazione di bambini iracheni e delle loro famiglie per chiedere la liberazione delle due Simona che hanno lavorato a lungo per loro e con loro. Nella piazza del Paradiso di Bagdad, quella in cui si erge ancora il basamento della statua di Saddam Hussein trascinata nella polvere da un cingolato americano, questa piccola folla di coraggiosi ha sfidato la crudeltà dei terroristi e mostrato quanto bene possa seminare chi non chiede se non di servire la causa della fraternità fra i popoli. E' triste, e scandaloso dal punto di vista morale e politico (ma sì: anche della realpolitik) che i governi della cosiddetta Coalizione non riescano a decidere qualche atto similare di positiva ricerca di un'attenuazione del conflitto iracheno, per esempio la cessazione dei bombadamenti a tappeto su Falluja ed altre città, che tanto sangue costano alla popolazione civile, bambini compresi. Il grande massacro terrorista di Bush, lo capiscano o no i suoi elettori, sta diventando sempre più chiaramente una guerra neo-colonialista, dunque già persa davanti alla storia.

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Quando dico che è ormai di fatale necessità che ciascuno di noi prenda posizione contro gli orrori che devastano la Terra e preparano altri spaventosi conflitti e terrorismi, so bene di suscitare le frustrazioni di chi è convinto di non contare nulla nelle decisioni dei governanti, di chi sente di trovarsi di fronte allo strapotere del grande Capitale e, ancor più amaramente, di chi ricorda il fallimento di una propria esperienza nei partiti, nei sindacati, nelle espressioni di "base". Tutto ciò è dolorosamente vero, e però, io credo, non ci esime dal dovere di custodire in noi la dignità del coraggio e dell'indignazione. Questi due sentimenti, diceva un grande pensatore, Agostino di Ippona, sono figli della verità: chi contempla la ferocia dei Potenti sui poveri non può, se crede nella dignità dell'uomo, non sentire dentro se stesso bruciare una ribellione che lo spinge a intervenire; e poiché questo sentimento risponde alla logica dell'amore esso è inevitabilmente sostenuto dalla volontà di non tradirne le conseguenze. Dunque un passato deludente, o peggio, non può giustificare una diserzione: o accettiamo di farci minimi ma reali protagonisti del nostro tempo o siamo poveri rottami portati via da una corrente fangosa. Dobbiamo provare e riprovare, ancora, creare aggregazioni o dare il nostro contributo a quelle già esistenti.
Sembra a me di capire che (altro magnifico segno di speranza) molta e molta gente, in questi giorni più che in altre occasioni, stia comprendendo questa realtà, La moltiplicazione quasi irruente, di manifestazioni di solidarietà con le due volontarie italiane pare indicare questa preziosa novità. Se la partecipazione popolare ai funerali dei soldati morti a Nassiriya travalicò la retorica dei generali e di cardinali come Ruini fu perché gli italiani sono sempre stati abituati a considerare i nostri militari come "poveri figli di mamma". Grandi furono anche le manifestazioni per il rilascio dei vigilantes italiani: molti, anche fra quelli che non condividevano le loro scelte "professionali" -ed anzi le disapprovavano - colsero lo strazio delle famiglie e vollero esprimere pietà e vicinanza. Ma nel caso di Simona Pari e di Simona Torretta non è solo la pietà a radunarci in loro favore: è che chiunque sa che l'amore è più potente dell'odio e comunque ben più vicino alle ragioni della vita, nonostante ogni diffidenza per la politica e ogni paura di compromettersi si sente toccato nei suoi sentimenti migliori e coglie tutta l'assurdità delle guerre, la loto forza disgregatrice di ogni sentimento; e del conflitto da Bush contro l'Iraq coglie la mostruosa ipocrisia e la devastazione di un popolo che si pretende di salvare.
Forse il movimento per la pace non è mai stato così forte nel nostro Paese; e se è bene che gli esponenti dei partiti di opposizione salgano le scale di palazzo Chigi per mostrare all'opinione pubblica internazionale l'unità del popolo italiano nel richiedere l'incolumità e la liberazione delle due Simona, è necessario che i leaders di quei partiti non consentano equivoci sul ripudio della guerra irachena e delle strategie "preventive", quasi che queste scelte passassero in secondo piano in un momento di crisi così dolorosa e di consapevolezza cos' lucida.
Momento, anche, di orgoglio. Il movimento per la pace è stato spesso accusato di preferire le retrovie all'eroismo militare: Ma le due Simona erano assai più esposte ai rischi dei soldati superarmati: e servivano la pace molto più dei soldati inviati dal governo italiano agli ordini degli occupanti britannici. La vicenda di "Un ponte per…" dovrebbe ridurre al silenzio chi in ogni occasione ha cercato di offendere i valori del movimento per la pace. Berlusconi - ricordate? - dileggiava Gino Strada che sotto i bombardamenti dell'Afganistan denunziava la crudeltà e l'inutilità della guerra. "E' un uomo dalle idee confuse" assicurava con un sorriso sardonico.
Lui, invece, ha idee chiarissime. Speriamo che piacciano sempre meno agli italiani.

Ettore Masina

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987/17.09.2004/http://digilander.libero.it/ilrimino/masina/987.lettera100.html