il Rimino - Riministoria


Sharon, il dramma palestinese, la tv berlusconiana
LETTERA 96, marzo 2004
di Ettore Masina


1. Sharon contro il suo popolo
Lo sceicco Ahmad Yassin non era certamente un tipo innocuo; ma era pur sempre un vecchio cieco, in carrozzella. Come hanno fatto in decine di casi, prelevando i loro nemici quando e dovunque volessero, i corpi speciali israeliani avrebbero potuto rapirlo e deportarlo in qualche loro carcere di massima sicurezza, proces-sarlo. e condannarlo. Hanno preferito assassinarlo senza processo. Lo hanno fatto a pezzi con un missile all'uscita da una moschea di Gaza, uccidendo altre sette persone e ferendone decine. Sono ormai centinaia e centinaia i palestinesi uccisi, mutilati o feriti dalle "esecuzioni a distanza" decise dal governo israeliano: uomini, donne e bambini che avevano il solo torto di trovarsi nel momento sbagliato nell'area delle esplosioni di un terrorismo ad alta tecnologia. Ma sono soprattutto la pace e la sicurezza di Israele che finora sono state fatte a pezzi con le "elimina-zioni"; e, adesso più che mai, con l'assassinio del vecchio sceicco: è evidente, infatti, che l'uccisione del leader carismatico di Hamas stimolerà ondate di terrorismo che consentiranno a Sharon di proseguire la sua politica di annientamento dei palestinesi ma produrranno anche decine di morti israeliani.
Mentre Bush tace, prigioniero della campagna elettorale e di una lobby ebraica il cui fanatismo per Israele gronda ormai sangue, gli altri governi di tutto il mondo gridano il loro orrore o sussurrano la loro disapprovazione. Cestinate da Israele "nelle spazzatura della storia", come ha detto un suo rappresentante, decine e de-cine di ingiunzioni dell'ONU, grida e sussurri sono state sinora, in più di mezzo secolo, tutto ciò che e democrazie hanno fatto in difesa di un popolo spinto a cre-dere progressivamente nella ferocia del terrorismo come unica difesa della propria dignità. E' una storia che il mondo ha già conosciuto: penso all'umiliazione inflitta al popolo tedesco, una condizione che generò Hitler e il nazismo. Ma l'umiliazione del popolo palestinese dura da più di mezzo secolo, ed è la condizione di un popolo la cui povertà è ormai tragica.
La furia omicida di Sharon si riversa anche su Israele: la violenza con la quale si nega il diritto di un altro popolo a vivere in pace corrode l'etica di uno Stato, vani-fica la cultura della dignità umana, deforma i sentimenti, lasciandoli dominare dalla paura. L'ipocrisia con la quale si grida contro il terrorismo e nello stesso tempo lo si coltiva (Hamas, dieci anni fa era notoriamente strumentalizzato dal Mossad) e si impedisce all'autorità palestinese di fronteggiarlo, distruggendo tutte le sue infrastrutture (caserme, armamenti carceri, linee di comunicazione), fa risorgere in molte zone del mondo la bestialità antiebraica, offrendole appigli pericolosi. Mi sembra che abbia ragione un mio amico napoletano il quale recupera l'icastica volgarità del popolino della sua città, dicendo che la politica di Israele e dei suoi protettori è riassumibile nell'espressione "Fotti e chiagni, chiagni e fotti", che si può tradurre in italiano: "Fa' quel che ti pare e poi piangi, piangi e poi fa' quel che ti pare". "Adesso Israele vive in trincea" commentava commosso, subito dopo l'assassinio dello sceicco Yassin, il corrispondente del TG1 da Geusalemme. Si guardava bene dallo spiegare chi ha trascinato Israele nel fango e nel freddo di certe trincee.
Ma la violenza di Sharon e del suo staff tocca "dentro" anche noi, sfiorandoci con un progressivo imbarbarimento. Mi pongo una terribile domanda e la pongo a tutti gli amici della Palestina, della pace, della giustizia e della libertà: stiamo facendo abbastanza per non essere complici involontari di questo genocidio strisciante? Il nostro odio per il terrorismo si unisce davvero alla consapevolezza dell'indispensabilità dell'aiuto da dare ai palestinesi? Difficilissimo farlo: ma dob-biamo riprendere testardamente la pressione sui nostri politici (quelli al governo appiattiti sull'"amicizia per Israele", quelli all'opposizione resi flebili dalla possibilità di essere accusati di antisemitismo), dobbiamo rendere più creativi e significativi gli strumenti della solidarietà, i collegamenti con i pacifisti israeliani, i voti elettorali che già da tutte le parti ci vengono sollecitati.
No, non stiamo facendo abbastanza; e perciò siamo, tutti insieme, sull'orlo di un abisso della civiltà. Quando Bonhoffer scriveva che "Non si può cantare il grego-riano se non si grida per gli ebrei", ci affidava una lezione che vale per i nostri rapporti con tutti i popoli martiri.

2. Una televisione berlusconiana
La nostalgia per il Bel Tempo Andato è un vizio patetico di noi vecchi. Ciò che ricordiamo, in realtà, non è la clemenza delle situazioni da affrontare ma la nostra giovinezza e maturità, la capacità che allora avevamo di muoverci senza impacci e di resistere a fatiche e delusioni di ogni tipo. Cercando di evitare quel patetico cedimento ai rimpianti, la metterò così: nella RAI della prima metà degli anni '70 i dirigenti democristiani mi spezzarono la carriera in un eccesso di servilismo nei confronti del Vaticano; agli inizi degli anni '80 i dirigenti socialisti, per vendetta contro la mia obiezione di coscienza ai loro maneggi, mi costrinsero all'esodo dall'azienda. Detto ciò, con memore animosità, voglio dichiararlo: essi erano, da tutti i punti di vista, migliori dei dirigenti di oggi, avevano almeno competenze professionali e la voglia di fare bene.
Che quel "bene" fosse relativo e spesso condizionato da interessi di partito, c'era tuttavia almeno il tentativo di salvare la faccia con una produzione formalmente di qualità Oggi la RAI somiglia a una di quelle affittacamere perennemente spettinate e in vestaglia, un po' equivoche, informatrici della polizia, descritte da Carlo Emilio Gadda. Lo scadimento etico si accompagna allo scadimento professionale. Ricordo l'attenzione con la quale noi giornalisti aggiornavamo i servizi dei telegiornali, cercando per le nuove edizioni nuove notizie e nuove immagini; adesso lo stesso "pezzo" scivola di telegiornale in telegiornale, magari sino al giorno dopo. Il settore dell'intrattenimento ha preso il peggio di Mediaset. Se Bernabei proibì a lungo le gambe delle ballerine come pericolo per la moralità pubblica; adesso il Bel-Tocco-di-Femmina, è considerato ingrediente indispensabile a qualunque trasmissione e si agita ballettando (spesso goffamente) non solo nei programmi di spettacolo ma anche in quelli di quiz. Nel programma per famiglie "Affari tuoi" Bonolis celebra ogni sera da mesi le virtù taumaturgiche delle sue chiappe. Dilagano le rubriche di gastronomia e le trasmissioni sulle cucine regionali; viene in mente Kierkegaard: "Ormai la nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che egli trasmette dal megafono del comandante non è più la rotta da seguire ma la lista di ciò che mangeremo domani".
Naturalmente non è questo il peggio: il peggio sono i talk-show con il pontificato senza fine di Vespa lo Scivoloso o con Socci lo Spiritato. Peggio ancora è il trat-tamento che riceve la politica nei telegiornali. Confinata in terz'ordine, dopo cro-naca nera e maltempo, ridotta ad avvilenti "panini": governo-opposizione-maggioramza, o viceversa. La faziosità di alcuni corrispondenti è indecente: qualunque quotidiano israeliano è ben più problematico dell'ispido corrispondente dei Tg da Gerusalemme.
Ultima novità. Ci avevano promesso di sostituire "il Fatto" di Enzo Biagi con una rubrica similare, di approfondimento, garantendo che avrebbero trovato, per farlo, un giornalista di tutto rispetto. Ci esibiscono adesso Pier Luigi Battista, dal volto di mite tricheco. Sta in uno studio dominato da una specie di Specchio-delle-mie-brame in cui compaiono - rigorosamente in collegamento (chissà perché) - i suoi interlocutori, talvolta con effetti scenici (vedi la comparsa di Vittorio Feltri) del tutto raccapriccianti. "Batti e Ribatti" è il titolo della rubrica, appropriatissimo non solo perché Battista si chiama effettivamente BATTIsta (capita la finezza?) ma perché egli batte e ribatte, per lo più, su ciò che abbiamo appena ascoltato dal TG1. Biagi poneva agli uomini del Potere domande imbarazzanti, che consentivano di approfondire i come e i perché; le domande che il giornalista di "Batti e Ribatti" rivolge ai suoi ospiti sono tanto vivaci da costringere a ricordare - nomen omen - che Battista era il nome del Maggiordomo per antonomasia nelle barzellette di quando io ero un ragazzo.

3. Libri
Di Christiane Barckhausen sapevo molte cose: che è una gradevolissima persona, che è stata la compagna di Dario Canale, eroe della Resistenza brasiliana, che è da anni e anni una giornalista specializzata sulle realtà dell'America Latina; ma non sapevo quanto valesse come scrittrice, essendo del tutto nulla la mia conoscenza della lingua tedesca. e dunque dei molti libri pubblicati da Christiane. Adesso posso dirlo. la mia amica è una giornalista di vaglia, come mi ha provato la recente traduzione in lingua italiana di un suo libro appassionato e appassionante:: "Tina Modotti, verità e leggenda" (Giunti, pagg. 245. ¤ 10). Con un'indagine poverissima di mezzi economici (toccanti le sue confidenze in proposito) ma ricchissima di desiderio di capire e di far capire, rigorosa nelle fonti, Christiane scolpisce a tutto tondo l'immagine indimenticabile di una donna bellissima, grande artista della fotografia, che lasciò la professione in cui eccelleva per dedicarsi tutta, in risposta a una specie di vocazione religiosa, alla causa dei poveri. Da Udine agli States, dalla Spagna al Messico, Tina Modotti realizzò la sua femminilità non soltanto in amori generosi ma in una militanza silenziosa che ebbe spesso le caratteristiche dell'eroismo e, verrebbe fatto di dire, della santità.

22 marzo 2004

Ettore Masina

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934/28.3.2004/http://digilander.libero.it/ilrimino/masina/934.lettera96.html