Diario italiano
Il Rimino 235, anno XVII
Luglio 2015

Copernico passò per Rimini?

"Il Rinascimento di Copernico", saggio di Carlo Rovelli, apre il supplemento "Domenica" de "il Sole-24 ore" del 19 luglio 2015.
Si legge all'inizio dell'articolo: "Il 6 gennaio 1497, pagando nove grossetti, si iscrive all’Università di Bologna un giovane polacco: «Dominus Nicolaus Kopperlingk de Thorn» nei registri universitari. Dopo sei anni di studi italiani - Bologna, Padova, Roma e Ferrara - Copernico torna in Polonia, dove lavora tutta la vita a una nuova concezione dell’universo, che apparirà in un libro, il De revolutionibus orbium coelestium , uno dei libri più importanti nella storia del mondo. Il libro grazie al quale questa specie di animaletti che vive su un pianeta marginale di una stella periferica di una qualunque fra i miliardi di galassie del cosmo, si rende conto per la prima volta, con stupore, di non essere il centro dell’universo".
Nella puntata 17 (inedita) di "Alle origini di Rimini moderna" (2013), intitolata "Gli itinerari del sapere", di Copernico ipotizzavo che per recarsi a Roma fosse passato per Rimini.


Ecco il passo di quella puntata, che riguarda Copernico.

A Bologna ed a Padova tra 1496 e 1501 troviamo il polacco Niccolò Copernico, nipote del vescovo di Warnia che lo instrada alla carriera ecclesiastica, facendolo studiare diritto canonico. Da Bologna nell'anno giubilare 1500 egli si reca a Roma. Non ci sono documenti, ma è inevitabile pensare che è passato per Rimini. Magari visitando la cappella dei pianeti del Tempio, dato che a Bologna aveva cominciato ad occuparsi di astronomia (G. P. Brizzi). Suo maestro qui è il ferrarese Domenico Maria Novara, famoso come autore di pronostici astrologici (U. Bellocchi). Ricordiamo che irriducibile avversario dell'astrologia è Leon Battista Alberti il quale "insisteva su una natura retta da leggi e princìpi razionali, al di là delle oscure influenze astrali" (F. Cardini-C. Vasoli).
Dopo Roma, si reca a Warnia (dove dal 1487 godeva del beneficio di un convento). Torna in Italia, si ferma a Padova per frequentare corsi di medicina, infine nel 1503 a Ferrara si addottora in diritto canonico. Tra 1503 e 1506 fa un secondo soggiorno a Padova.
Come annota G. M Anselmi, Ferrara nel Quattrocento è un fondamentale centro di studi umanistici, con una vocazione internazionale che la proietta verso il Nord, collocandola più vicina al cuore dell'Europa che al cuore dell'Italia pontificia. Mentre Bologna, prosegue Anselmi, svolge un ruolo di snodo culturale: il transito, anche fugace, di tanti intellettuali come Copernico non è effimero. Tutti si arricchiscono e tutti lasciano un segno. Come Erasmo da Rotterdam che, scrive Anna Pizzati, frequenta gli studi prima a Parigi ed Oxford, poi a Bologna (per più di un anno), Lovanio, Padova, Cambrigde. Peter Burke ricorda che l'umanista Beato Renano, nella vita del proprio maestro Erasmo, ricorda che questi aveva un gran desiderio di visitare l'Italia, dato che "nessun altro posto al mondo è più colto di questo Paese sotto ogni aspetto". Pizzati aggiunge: la cultura umanistica (prima della Riforma) ha un carattere internazionale che fa da forza centrifuga, incentiva i viaggi di studio ed agisce come fattore di unità culturale degli intellettuali. Della cosiddetta "peregrinatio academica", lo studio di Bologna (osserva Brizzi) per tutto il Cinquecento resta una delle tappe fondamentali.

L'articolo completo di Carlo Rovelli è qui riprodotto dal quotidiano di Milano:
Il Rinascimento di Copernico
Il 6 gennaio 1497, pagando nove grossetti, si iscrive all’Università di Bologna un giovane polacco: «Dominus Nicolaus Kopperlingk de Thorn» nei registri universitari. Dopo sei anni di studi italiani - Bologna, Padova, Roma e Ferrara - Copernico torna in Polonia, dove lavora tutta la vita a una nuova concezione dell’universo, che apparirà in un libro, il De revolutionibus orbium coelestium , uno dei libri più importanti nella storia del mondo. Il libro grazie al quale questa specie di animaletti che vive su un pianeta marginale di una stella periferica di una qualunque fra i miliardi di galassie del cosmo, si rende conto per la prima volta, con stupore, di non essere il centro dell’universo.
Che ruolo hanno giocato gli anni di studio di Copernico nell’università italiana, per arrivare a questo passo fondamentale per la civiltà? Credo la risposta sia duplice. Copernico ha trovato due tesori in Italia. Innanzitutto ha trovato i libri che racchiudevano come uno scrigno il sapere accumulato dall’umanità. Ha trovato l’Almagesto di Tolomeo e gli Elementi di Euclide, che riassumono il meglio del grande sapere astronomico e matematico antico. Ha trovato astronomi italiani, come Domenico Maria Novara, a cui è stato molto vicino, che questi testi li sapevano comprendere e che hanno saputo introdurlo ad essi.
Ha imparato il greco, ha avuto accesso ai testi dove probabilmente ha incontrato le idee eliocentriche di Aristarco, e ai testi arabi dove ha potuto studiare i tentativi di ritoccare i sistema astronomico Tolemaico che si sono succeduti con poco costrutto per oltre un millennio. Ma questa ricca eredità culturale era disponibile da molti secoli. Lo era per gli astronomi Indiani, Persiani, Arabi e Bizantini, che ne hanno tutti avuto accesso. Nessuno di loro ha saputo utilizzarla per comprendere il punto chiave: che non viviamo nel centro dell’universo. Copernico ha avuto a disposizione qualcos’altro, che gli ha permesso di fare il grande salto. Che cosa?
Gli anni italiani di Copernico sono gli anni in cui Michelangelo ventitreenne scolpisce la Pietà e Leonardo da Vinci prova le sue macchine volanti e dipinge l’Ultima Cena. Il fervore culturale nuovo dell’umanesimo italiano, leggero e luminoso, che sta aprendo le porte del Rinascimento, brulica nelle antiche università italiane e nelle corti, come quella di Lorenzo de’ Medici, dove suonano accenti completamente impensabili fino a poco tempo prima: «Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia, di domani non c’è certezza.»… La ricerca dei testi antichi, la riscoperta del sapere del passato, ossessione degli umanisti, è spinta da un desiderio bruciante di un futuro nuovo, diverso dal presente. Aveva iniziato Francesco Petrarca, il secolo precedente: «Le opere del passato sono come i fiori da cui le api traggono il nettare per fare il miele». E il miele cominciava davvero a scorrere, nell’talia a cavallo fra il ’400 e il ’500.
Lo spirito del tempo era un’apertura profonda a qualcosa di completamente nuovo, che vediamo nell’arte fulgida di quegli anni. La fiducia che un mondo diverso, lontano dall’universo mentale strutturato e gerarchico del Medioevo, potesse essere costruito. Libertà intellettuale, coraggio delle idee individuali, ribellione contro i grandi sistemi rigidi del pensiero medioevale. Questo spirito di cambiamento, questa ribellione profonda al presente, è la seconda grande ricchezza intellettuale che trova Copernico quando viene a iscriversi, per nove grossetti, all’università di Bologna. Non trova solo Euclide, Tolomeo e Aristotele, in Italia: trova anche l’dea che il loro grande sapere possa essere rivoluzionato.
Credo che questa doppia esperienza sia quella che una grande università abbia offerto a ciascuno di noi. Per me, il passaggio da Bologna ha significato sì la scoperta di idee e testi straordinari, come i lavori di Einstein, o il libro di Dirac, il testo fondamentale della meccanica quantistica. Ho incontrato questo libro perché il mio professore di Metodi Matematici, Guido Fano, mi ha assegnato uno studio sull’applicazione della teoria dei gruppi alla Meccanica Quantistica, teoria che non conoscevo, e ho così cominciato a studiare, restandone affascinato per tutta la vita. Questa ricchezza intellettuale, scoperta a Bologna, è stata essenziale per me. Ma c’è stato qualcos’altro che ho trovato a Bologna: l’incontro con quella parte della mia generazione che voleva cambiare tutto, che sognava di inventare modi nuovi di pensare di vivere insieme e di amare. A Bologna ho incontrato gli amici di Radio Alice, le occupazioni universitarie, le case dove si viveva insieme il sogno adolescenziale di ripartire da zero e rifare da zero il sapere, rifare da zero il mondo. Rifarlo diverso e più giusto. Sogno ingenuo, sempre destinato a scontrarsi contro le secche del quotidiano. Sempre destinato a grandi delusioni.
Ma è lo stesso sogno che Copernico ha incontrato nell’Italia del primo Rinascimento. Lo stesso sogno non solo di Leonardo e di Einstein, ma anche di Robespierre, Mazzini, e Washington, e perfino dei ragazzi che vanno oggi a combattere per Daesh. Sogni assoluti, che spesso ci portano diritti contro un muro, spesso mal diretti, ma senza i quali non avremmo tutto il buono che c’è oggi nel mondo.
Il mese scorso, il rettore dell’Università di Bologna, Ivano Dionigi, ha organizzato una grande “Reunion” dei laureati bolognesi per celebrare la comune Alma mater. E per riflettere insieme sul senso dell’esperienza universitaria. Idealmente c’eravamo tutti, da Copernico, dai tanti altri nomi illustri del passato, ai giovani freschi freschi di laurea dell’ultimo anno accademico.
Tutti passati per questa istituzione millenaria, per riceverne qualcosa di importante. Cosa? Le stesse due perle che ha raccolto Copernico: il sapere del passato, e l’idea che cambiare questo sapere sia possibile. Questo, credo, è il senso dell’università. È lo scrigno dove si custodisce con devozione il sapere dell’umanità, che è la linfa sulla quale funzione tutto quello che sappiamo del mondo e tutto quello che sappiamo fare. Ma è anche il luogo dove si coltivano i sogni: dove si ha il coraggio giovane di sfidare quello stesso sapere, per andare avanti, per fare camminare il mondo.
Carlo Rovelli

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