Diario italiano
Il Rimino 211, anno XV
Luglio 2013

Barafonda, ipotesi sul nome.
Intervista ad Anna Rosa Balducci.

Perché la "Barafonda" di Rimini si chiama così? Lo chiediamo alla nota scrittrice concittadina prof. Anna Rosa Balducci.
"A Rimini, in Via Onofrio Tommasini (dal civico 14 al civico 24) esiste una vasta area in cui sorge un agglomerato di edifici, in uno dei quali ho abitato da zero a quattro anni (dal 1952 al 1956)".
Quell'area a dune, canneti e acquitrini, fu acquistata dal bisnonno della scrittrice, Giovanni (1853-1927), che vi costruì la prima casa.
Si possono fare due ipotesi sull'origine del nome "Barafonda". La prima è stata raccontata "fino agli anni sessanta, anche nelle scuole, da Balducci Maria, l'ultima dei nove figli di Giovanni: Giovanni arrivò in zona, vi costruì la prima casa e su suggerimento di un amico, forse di un cugino, reduce dal Brasile, scrisse su una tavola di legno, con vernice rossa, 'Barafonda', ricordando la località del distretto di San Paolo Bara-Funda. Tale scritta denominò la via in cui è ancora locata la sua casa per parecchio tempo, finché in età fascista venne chiamata Vico Angelini, per poi essere definitivamente denominata Via Onofrio Tommasini".
Seconda ipotesi, "memorizzata a lungo nei racconti familiari: lo stesso Giovanni e la moglie Angela furono per un lungo periodo in Brasile, presumibilmente nei pressi della località Bara-Funda e loro stessi battezzarono la zona limitrofa all'attuale via Onofrio Tommasini, quando fecero ritorno in patria, ricchi di una pignatta d'oro che avevano portato appresso. Questo valse loro il nomignolo 'Pignatta' e alla zona l'appellativo di 'Barafonda', nonché di 'Ghetto dei Pignatta'. Pare certo che qualcuno della famiglia fosse stato in Brasile e avesse condotto con sé, in patria, questo nome. L'esistenza di una piccola collettività di migranti dal Brasile è confermata da alcuni testimoni esterni alla famiglia (uno, morto qualche anno fa, soprannominato 'Parigi', ne faceva esplicita menzione). Pare essere stata l'evocazione paesaggistica a suggerire questo singolare battesimo (analogie con il paesaggio brasiliano)".
Una postilla di autobiografia famigliare è in queste parole della prof. Balducci, docente di Lettere nelle scuole superiori: "Uno dei nove figli di Giovanni e Angela fu Luigi Balducci, mio nonno, morto nel 1922 per le ferite della prima guerra. Lasciò la moglie, Sammarini Pia e due figli, Mario e Guido (mio babbo), di sette e due anni. Uno dei nove figli di Giovanni e Angela fu Lodovico, babbo di Carlo Alberto Balducci, cugino di mio babbo Guido".
Carlo Alberto Balducci è stato un noto docente, apprezzato studioso e serio scrittore, comparso nel 1991.
Prosegue Anna Rosa: "Carlo Alberto amava questa ricostruzione storica e ne parlava,all'occasione, arricchendola di inflessioni letterarie. Le fantasie e le memorie sono diverse, la memoria storica affidabile e consolidata dal vissuto è andata perdendosi negli ultimi trenta anni . Il ricordo di mio babbo Guido della antenata trasformata in visione latinoamericana (la donna con la pipa, ecc.) è da verificare, forse corrisponde alla nonna Angela, o forse ad un'altra figura femminile. E' possibile recuperare materiale filologicamente credibile al catasto storico, negli archivi personali dei sopravvissuti piu' anziani (ormai pochi) e negli archivi parrocchiali (la zona apparteneva alla parrocchia di San Giuliano martire)".
Di Anna Rosa Balducci è appena apparso in "Racconti emiliani. 3" a cura di Elisa Pellacani un testo pubblicato sul Rimino nel 2005, "Auschwitz e la balena".

Antonio Montanari
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Anno XV, n. 211, Luglio 2013
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