Diario italiano
Il Rimino 206, anno XV
Febbraio 2013

Tama 1116, 24.02.2013
Gregorio XII a Rimini
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Tra quanti, lungo i secoli, hanno lasciato il pontificato, c'è Gregorio XII. Siamo al tempo del Grande Scisma (1378-1417). Eletto nel 1405, Gregorio XII si rifugia a Rimini il 3 novembre 1408, mentre si prepara il concilio di Pisa e dopo che Carlo Malatesti (1368-1429), signore di Rimini, lo ha salvato da un tentativo di cattura. Carlo, per contattare il collegio cardinalizio, utilizza Malatesta I (1366-1429), signore di Pesaro, che in precedenza si è offerto a Gregorio XII per una missione diplomatica presso il re di Francia, inseritosi nelle dispute ecclesiastiche per interessi personali.
Carlo e Malatesta I sono parenti. Carlo è figlio di Galeotto I il quale è zio di Pandolfo II padre di Malatesta I. A consolidare la parentela, oltre gli affari e le imprese mercenarie, sono state due sorelle di Camerino, Gentile da Varano sposatasi con Galeotto I (1367), ed Elisabetta con Malatesta I (1383). Il quale è stato in affari e rapporti militari con Urbano VI.
I lavori a Pisa iniziano il 25 marzo 1409. Gregorio XII è dichiarato deposto. Carlo vi arriva come mediatore fra Gregorio XII ed i padri conciliari, ma in sostanza quale suo difensore. Non è accettata la sua offerta di Rimini per una sede dell'assise ecclesiastica lontana dai fiorentini, avversari di Gregorio XII. Il primo approccio fra Carlo ed il concilio avviene attraverso Malatesta I che si era attivato dopo l'elezione di Gregorio XII (2 dicembre 1406), ricevendo in premio un vitalizio. Mentre era capitano generale di Firenze, Malatesta I aveva avviato negoziati fra lo stesso Gregorio XII e l'antipapa Benedetto XIII (eletto nel 1394), entrambi deposti in contumacia a Pisa il 5 luglio 1409 e dichiarati “scismatici, eretici e notoriamente incorreggibili”.
Il loro posto, su iniziativa del cardinal Baldassarre Cossa, è preso il 20 giugno 1409 da Alessandro V (che scompare il 4 maggio 1410), detto “il papa greco”, provenendo da Candia. Gli succede lo stesso card. Cossa, con il nome di Giovanni XXIII, il 17 maggio 1410. Questi ricompensa lautamente Malatesta I per i servizi ampi e fruttuosi prestati alla Chiesa durante il concilio di Pisa, al fine della desideratissima unione. Carlo Malatesti interviene ripetutamente per il suo protetto che il 24 dicembre 1412 torna a Rimini. L'imperatore Sigismondo impone Costanza quale sede del concilio. Qui Carlo s'afferma come mediatore fermo ma aperto alle altrui ragioni. Il 4 luglio 1415 legge la bolla di rinuncia di Gregorio XII, scritta a Rimini il 10 marzo. [Anno XXXII, n. 1116]
Fonte della pagina, Riministoria 2010-Rimini Moderna.
Di Gregorio XII si parla anche in Alle origini di Rimini moderna (2), Romagna, Europa e poi Bisanzio.
Indice Alle origini di Rimini moderna.

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 8, 24.02.2013, Rimini


Tama 1115, 17.02.2013
Signorina Carla, 1963
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Sono iniziate sui giornali le celebrazioni della cinquantina di poeti e scrittori che mezzo secolo fa, a Soluto vicino a Palermo, dettero vita al Gruppo 63. Tra loro c'era pure un riminese, Elio Pagliarani che per civetteria geografica si dichiarava nato (nel 1927) a Viserba. Nel 1962 aveva pubblicato un volume di liriche, "La signorina Carla", che lo rese popolare per lo spirito di contestazione della poesia tradizionale. Lo aveva già dimostrato in una cerchia più ristretta, nell'antologia "I Novissimi" (1961), curata dal guru di quella generazione, Luciano Anceschi (classe 1911), allora docente di Estetica al Magistero di Bologna. Il cui assistente era Renato Barilli, componente pure lui dello stesso Gruppo 63.
L'ambiente bolognese del Magistero è stato ricordato da Giuseppe Chicchi (che di Rimini fu sindaco) in un volume autobiografico del 2011, con la preziosa pennellata che riguarda Ezio Raimondi, "grande italianista dalla sterminata cultura europea". Per il Magistero di Bologna fu, quella a metà degli anni 60, una stagione felice. Vi approdò nel 1964 anche Paolo Rossi, grande storico della Filosofia e della Scienza, che aveva con noi studenti un rapporto di confidenza e rispetto, facendoci lavorare sodo al pari di Raimondi e di Anceschi. Altro mito di allora era Gina Fasoli, docente di Storia. A lezione faceva tremare le vene ed i polsi perché rivolgeva domande agli studenti, mentre spiegava.
Elio Pagliarani, dicevo, nel 1962 aveva già pubblicato il libro di poesie che lo rende famoso, e che s'intitola alla signorina "Carla Dondi fu Ambrogio di anni/ diciassette primo impiego stenodattilo/ all'ombra del Duomo". Pochi anni dopo (1971) nelle scuole italiane approda una nuova antologia, la "Guida al Novecento" di Salvatore Guglielmino che celebra l'ormai silenzioso Gruppo 63, e consegna alla fama anche l'opera del nostro viserbese Elio Pagliarani (scomparso nel 2012). Nel 1990 il giudizio positivo su di lui è confermato da una storia della letteratura del tutto innovativa, di Giovanna Bellini e Giovanni Mazzoni che parlano della "Signorina Carla" come di una delle opere più convincenti della nuova poesia italiana.
In un'intervista su "il Venerdì" (1.2.2013), Umberto Eco, intellettuale sempre attivo in questi anni con imponenti iniziative editoriali, cita la "Signorina Carla" come opera sopravvissuta a tutto il trascorrere del tempo ed al precoce sgretolarsi del Gruppo 63. Di cui fu esponente, ma pure maestro. [Anno XXXII, n. 1115]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 7, 17.02.2013, Rimini


Tama 1114, 10.02.2013
Venticinque anni fa
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Sono passati venticinque anni dal 30 gennaio 1988, quando una guardia giurata, Giampiero Picello, 41 anni, di Ravenna, fu uccisa davanti al supermercato Coop Portici alle Celle di Rimini. Era la prima vittima di una strana banda che, sino al 24 maggio 1994, ne avrebbe fatte altre, per un totale di 25 morti e 10 feriti in 103 delitti. Tra quei 25 morti c'? pure Antonio Mosca, 39 anni, poliziotto del Commissariato di Rimini, ferito a Cesena il 3 ottobre 1987 (assieme a Luigi Cenci, 25, ed Addolorata Di Campi, 22), e morto nel 1989. I tre agenti erano a bordo di un'auto-civetta del nostro Commissariato, intervenuta contro la banda del racket che aveva preso di mira l'autosalone riminese di Savino Grossi. La banda fu intercettata dalla polizia mentre stava ritirando a Cesena sull'autostrada una valigetta piena di soldi. I banditi spararono contro la vettura di Grossi e l'auto-civetta del Commissariato di Rimini.
Sul nostro giornale osservai allora che nella vicenda delle Celle c'era un particolare sfuggito alla cronache dei quotidiani, e che verrˆ confermato dalla indagini sulla banda riminese della "Uno bianca": "Il piano della fuga era stato predisposto con attenzione, utilizzando scappatoie che solo gente molto pratica della zona" poteva conoscere. Come scrisse Sandro Provvisionato su "L'Europeo" (2003), il sostituto procuratore di Rimini Roberto Sapio fu "il primo a sostenere (non creduto)" che la banda fosse composta di gente in divisa.
A risolvere la vicenda della "Uno bianca" sono stati due poliziotti riminesi, Pietro Costanza e Luciano Baglioni (il loro capo era Oreste Capocasa). Da soli scoprono i tre fratelli Savi, di cui due poliziotti. "Dopo la vicenda dei Savi me ne sono successe di tutti i colori" confid˜ Baglioni a Simonetta Pagnotti di "Famiglia Cristiana" (1997). Una agente di Polizia, Simona Mammano, recensendo il bel volume "Uno bianca e trame nere" di Antonella Beccaria, nel 2007 ha scritto: "Una questione irrisolta per tutte: come ? stato possibile che un commando di assassini potesse operare indisturbato per cos“ tanto tempo?". Concludeva: "Questa, dunque, ? una storia scandita da errori, valutazioni sbagliate, depistaggi palesi e false testimonianze".
Come per l'abbattimento dell'aereo di Enrico Mattei (1962) pilotato dal riminese Irnerio Bertuzzi. La sentenza sul caso De Mauro (1970), pubblicata lo scorso agosto, ha richiamato in causa un ex senatore Dc, Graziano Verzotto, scomparso nel 2010. [Anno XXXII, n. 1114]

Fuori Tama 1114 (2013). Quella "Uno bianca"

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 6, 10.02.2013, Rimini


Tama 1113, 03.02.2013
Notizie, molte e cattive
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Per cominciar bene, richiamo una frase del card. Gianfranco Ravasi (L'Espresso, 31.1) che rimanda a San Paolo nello spiegare come la speranza sia una virtù di lotta. San Paolo anziché il termine corrente della lingua greca, ne usava un altro "che letteralmente significa recare sulle spalle un carico pesante e quindi avere costanza, perseveranza, impegno". Ravasi a quei politici che non si risparmiano nulla (dalla corruzione allo spreco, passando attraverso l'interesse privato), contrappone il cittadino serio che "sceglie la via della legalità, anche nelle piccole cose, a partire dalla richiesta dello scontrino fiscale, del rispetto delle regole stradali, del comportamento civico e così via".
Il contorno delle cronache recenti è desolante, spaventoso. Nel mio piccolo, seguendo la lezione di Ravasi che per migliorare occorre "fare", riprendo alcune notizie da non dimenticare. Ho citato qui il 20 gennaio un saggio di Giovanni Tizian sulla diffusione della malavita pure nella nostra regione. Tre giorni dopo, un'operazione della Guardia di Finanza di Bologna portava al bilancio di 29 arresti e 150 indagati nella 'ndrangheta che gestiva slot machine in Emilia. Tizian due anni fa aveva raccontato in un giornale di Modena dei clan dei videogames. Il procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, è stato spaventato, come racconta ai cronisti, da una frase intercettata in cui si dice di Tizian: "O la smette o gli sparo in bocca e finita lì".
Un altro giornalista, Goffredo Buccini, presenta in un volume appena uscito, "L'Italia quaggiù", le donne calabresi che lottano contro la 'ndrangheta. Alcune sono state eliminate, come Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo, per esser passate dalla parte dello Stato. Lea Garofalo fu sequestrata, torturata ed uccisa dal padre di sua figlia Denise, divenuta poi la principale teste d'accusa nel processo terminato con cinque ergastoli. Il carico pesante che le ha soffocate darà respiro alla loro realtà sociale in cui vissero.
Saliamo al Nord. Sul caso del Monte dei Paschi di Siena, abbiamo letto in Nicola Saldutti (CorSera, 25.1): "Ma una cosa è certa: qualcuno ha, in qualche modo, detto con un termine forse un po' brutale, spolpato il Monte. E in qualche modo si è arricchito mentre la banca perdeva". Le cronache più distaccate, lontane dall'inevitabile personalizzazione pre-elettorale, sono più spaventose delle polemiche politiche, perché segnalano colpi bassi e vendette fratricide. [Anno XXXII, n. 1113]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 05, 03.02.2013, Rimini




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Anno XV, n. 206, Febbraio 2013
1821. Date created: 27.01.2013 - Agg. 19.02.2013, 11:10/
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