Diario italiano
Il Rimino 201, anno XIV
Settembre 2012

Tama 1096, 30.09.2012
Sprovinciati

Rimini senza Provincia torna ad essere l'antica preda delle altre grandi o piccole capitali della Romagna. Sono dati di fatto, non vaghe opinioni. Abbiamo perduto la Centrale del Latte, ha chiuso la ex Cantina sociale, la questione dell'aeroporto di Miramare è coinvolta nel tiro alla fune tra Forlì e Bologna. Non con azioni jettatorie, ma con precise manovre si vuole declassare la nostra città anche sotto il profilo bancario, mi spiegano persone bene informate.
Per tentare di cambiare rotta, nei giorni scorsi a Rimini si è svolto un raduno filosofico ad alto livello, alla presenza di Pitagora, Aristotele e Platone. Di Pitagora si è detto che era qui per un corso di arte culinaria del vitto erbaceo che prende nome da lui. E per spiegare, in una lezione alla Biblioteca Civica Gambacorta per Fanciulli, che la tavola pitagorica non serve ad apparecchiarci i pic-nic. Inoltre ha portato alle autorità competenti una nuova versione di quella sua tavola, rivista e corretta dal Governo Tecnico di Roma: per cui tre per tre fa otto quando i soldi li debbono ricevere da esso i Comuni, mentre fa dieci per il volgo ignorante quando deve versarli alle casse dello Stato.
Aristotele ha avuto l'ingrato compito di svelare che dietro le magnificenze del piano urbanistico De Carlo, c'era soltanto la volontà di fare pagare ai proprietari anche di un modesto edificio, le spese faraoniche per ristrutturare Rimini. Ecco perché migliaia di ricorsi lo hanno affossato. A Platone è toccato analizzare Sergio Zavoli il quale ha sostenuto, in un paginone del "Sole 24 Ore" (16.9), che l'isola delle rose cantata dal romanziere Veltroni serviva nel 1968 a sanare le ferite della guerra ed a lottare con gli studenti della Sorbona.
I tre filosofi poi sono stati portati a marciare su Forlì e Ravenna, partendo dal bivio Emilia-Popilia, alle Celle. Qui Aristotele ha scoperto che nel semaforo mancano da un anno alcune strisce pedonali. Platone lo ha smentito: le strisce esistono, sono sotto il nuovo asfalto come idea di striscia pedonale invisibile ma pur sempre presente, anche grazie al Comune che, allertato dai cittadini, se n'è lavato le mani. In quel bivio Emilia-Popilia i tre filosofi hanno assistito all'eroico passaggio di grandi vetture con il semaforo rosso, perché (dicono i guidatori) prima o poi il Comune lo elimina in quanto inutile. Altri automobilisti, di scuola cinica o sofista, erano lasciati parcheggiare indisturbati lungo la pista ciclabile. [Anno XXXI, n. 1096]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 34, 30.09.2012, Rimini


Tama 1095, 23.09.2012
Fuori Far West

Era il 1990. Chiusa la stagione turistica, scrissi nel Tama n. 362 una lettera aperta al Questore di Forlì, dichiarandomi certo che, nel suo consueto bilancio autunnale, egli avrebbe ribadito un'opinione già espressa negli ultimi anni: in Riviera non esistono fenomeni mafiosi. Per lui non c'era la grande criminalità, ammetteva soltanto che c'era quella piccola. Le statistiche gli davano ragione. A Riccione, in giugno, era stato arrestato per un furto d'auto uno slavo pluriomicida. Il reo subì il processo sorridendo, e dopo la condanna ottenne la giusta libertà provvisoria. Per poter poi ammazzare sembra altre sei persone, in due tornate. Lo slavo aveva una base tra Rimini e Santarcangelo. A Rimini era già stato arrestato. Secondo il suo avvocato, era un tipo che si notava per "il petto coperto da spaventose cicatrici". Forse per pudicizia, nessuno lo aveva mai fotografato "nature", prendendo nota di quei "segni particolari" tanto evidenti. Il 'grande' delinquente (che uccise lontano dalla Riviera), finì nelle nostre statistiche della 'piccola' criminalità, a causa d'un furto d'auto.
L'impressione, in questa chiusura d'estate del 2012, è che ci troviamo davanti allo stesso copione. Il prefetto di Rimini il 28 agosto, dopo gli spari con tentato omicidio di un tunisino al ponte dei Mille, parlava di episodi "gravi ma isolati". Rifiutando le statistiche giornalistiche che mettono Rimini al secondo posto in Italia per numero di crimini denunciati nel 2011, sottolineava giustamente che con il turismo aumenta la gente, e si sa come oggi vanno le cose. Da vecchio, inutile cronista aggiungo che il turismo ha sempre portato gente in città, ma una volta non faceva aumentare i crimini come ora.
Adesso per quel tentato omicidio sembra aperta una nuova pista, dopo che il 2 settembre al Covignano è stato ucciso un tassista di 55 anni. Il presunto killer è sotto osservazione anche per l'episodio del ponte dei Mille e gli spari esplosi contro un omosessuale alla vecchia Cava. Tutto questo ovviamente non significa nulla, sono soltanto notizie che vagano nell'aria. Il 28 agosto il prefetto assicurava i cronisti che, per gli spari al ponte ed alla cava, gli investigatori erano a buon punto. E concludeva: "Non voglio nascondere che da parte dei cittadini la percezione della sicurezza è cambiata", ma non siamo nel Far West. Forse a Rimini si è imposto il modello milanese di spaccio di droga, libero ed aperto, come sa bene la Polizia meneghina. [Anno XXXI, n. 1095]
Al dossier mafia de "il Rimino", 2010.
Alle rubriche Tama del 1990 [o su Scribd].

Nel Tama 1095, qui sopra, abbiamo citato il Tama 362 apparso sul Ponte nel 1990. Eccone il testo integrale.

Tama 362. Lettere e cartoline
Egregio signor Questore di Forlì. E così, anche l'estate '90 va in archivio. Aspettiamo, intanto, la sua conferenza-stampa di fine stagione, in cui traccerà un bilancio conclusivo sull'ordine pubblico in Riviera.
Siamo sicuri che ribadirà una sua opinione già espressa, negli ultimi anni, in simili occasioni: e cioè che Rimini «non è Palermo». Su questo non ci piove, la geografia non ammette smentite.
Lei sostiene che fenomeni mafiosi, da noi, non esistono. Nessuno può darle torto, anche se molti nutrono forti dubbi in proposito. Tutto sta, forse, nell'intendersi sulle parole. Mafia, camorra, 'ndrangheta sono marchi registrati di cui è vietata l'importazione? Oppure sono tendenze, "suggerimenti" che qualcuno potrebbe raccogliere e poi sviluppare a proprio piacimento?
Certi misteriosi incendi, ad esempio, sono variazioni sul tema del racket, oppure esercitazioni per i Vigili del fuoco? Che dire del business della droga? Il giro di affari della prostituzione, che cos'è, artigianato turistico? Il denaro 'sporco' gira per le banche o nelle lavanderie?
Il suo ottimismo, signor Questore, non sembra venir meno neppure davanti al fenomeno della criminalità organizzata: che esiste, e lei lo ammette, ma per tranquillizzare tutti noi, quasi a volerci fornire una camomilla per via giornalistica, lei precisa sùbito che di piccola criminalità si tratta, non di quella grande, presente in altre parti d'Italia.
Le cose, viste dalla parte della gente, e non con l'occhio dell'alto burocrate, sono un pò diverse. Una signora che, scippata, finisce in ospedale con fratture serie, le contesterebbe l'aggettivo «piccola» appioppato alla criminalità di cui sopra.
Punti di vista, appunto. Giusto: ma si tratta di vederci bene. Ad esempio: a Riccione, in giugno, arrestano (per un furto d'auto) uno slavo pluriomicida, ma nessuno (neppure a Rimini), si accorge di lui: il reo subisce il processo sorridendo, ed ottiene, dopo la condanna, la giusta libertà provvisoria. Per poter poi ammazzare (sono fatti recenti), sembra altre sei persone, in due tornate. Questo slavo, Lyubisa Urbanovic, aveva una base tra Rimini e Santarcangelo. A Rimini era già stato arrestato.
Secondo il suo avvocato, egli è un tipo che si nota bene, per aver «il petto coperto da spaventose cicatrici». Forse per pudicizia, né carabinieri né poliziotti lo hanno mai fotografato "nature", prendendo nota di quei «segni particolari» tanto evidenti. E così il 'grande' delinquente (che uccide lontano dalla Riviera), finisce soltanto nelle statistiche della nostra 'piccola' criminalità, a causa di un furto d'auto («Cosa s'ha da fa' pe' campà…»).
Cordialmente.

Un altro precedente.

1997, la mafia russa
Autorità Preposte e fenomeni malavitosi

Per il Prefetto di Rimini niente «problemi di mafia russa».

Alé, oh oh! Finalmente anche i grandi giornali locali dicono quello che un piccolo cronista come me ha qui osservato nel lontano 1990. Il ricordo, che mi obbliga ad un'autocitazione, nasce dalla lettura di un articolo di fondo di Pietro Caricato, apparso sul «Corriere Romagna» del 22 ottobre scorso, e dedicato al tema dell'ordine pubblico.
Caricato scrive che per il Prefetto di Rimini «non esistono problemi di mafia russa» sul nostro territorio, mentre Pino Arlacchi, vicesegretario dell'Onu «sostiene che la mafia russa fa investimenti in Riviera». Aggiunge Caricato: se il nostro sindaco Chicchi «dice di sapere che la mafia [nazionale] gestisce le bische clandestine, l'usura e lo spaccio» della droga, il presidente dell'Antimafia Del Turco «afferma candidamente che "l'Emilia Romagna ha una dose di criminalità organizzata ma non la mafia"».
Le righe di Caricato mi hanno fatto pensare a quanto ho pubblicato appunto nel 1990, polemizzando con l'allora Questore di Forlì, sostenitore della tesi che «Rimini non è Palermo». Il lettore potrà trovare quell'articolo a pag. 45 di «Quanto basta» (1992). In esso, riprendevo il caso di uno slavo omicida arrestato a Riccione per un furto d'auto: nessuno, neppure a Rimini, si accorse di chi si trattasse. Al processo, lui accettò sorridente la condanna, prima di ottenere la giusta libertà provvisoria. Per poter ammazzare, sembra, altre sei persone in due tornate. Concludevo l'articolo: «Questo slavo aveva una base tra Santarcangelo e Rimini, dove era stato già arrestato in precedenza. Secondo il suo avvocato, è un tipo che si nota bene, per avere "il petto coperto da spaventose cicatrici". Per pudicizia, carabinieri e poliziotti non lo hanno mai fotografo.
Aggiungo ora la citazione da un libro che ho appena finito di scrivere e che uscirà il prossimo mese, la storia del «Ponte» tra 1987 e 1996. Nella cronaca del 1996, a pag. 264 c'è un accenno allo stesso slavo che «sostiene di esser stato liberato dal carcere di Rimini nel 1990, grazie all'aiuto dei poliziotti della banda della "Uno bianca"».
Come il signor Questore di Forlì nel 1990, anche oggi le Autorità Preposte sembrano sottovalutare i fenomeni malavitosi. Se la prendono con il sindaco Chicchi, accusandolo di voler fare lo sceriffo o il «Giuliani» [sindaco di Nuova York] di Romagna. Certe affermazioni delle stesse Autorità sembrano i bollettini del tempo dell'estate, quando per favorire il turismo, spesso si riducono le piogge a nuvole passeggere. Alé, oh oh! Siamo tutti allegri e contenti.
Antonio Montanari, Tam Tama 652, il PONTE, n. 39 [2 novembre 1997]

Fuori Tama

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 33, 23.09.2012, Rimini


La casa degli immigrati
Romanzo di Anna Rosa Balducci

Nel suo blog "Sto con le balene", lo scorso giugno la scrittrice riminese Anna Rosa Balducci ha raccontato una scena inquietante vissuta in prima persona, con lei costretta ad intervenire presso una pattuglia di Polizia per evitare “un pestaggio in piena regola”.
C'è “un gazebo occupato nottetempo da giovani stranieri con sacchi di cianfrusaglie e forse oggetti personali”. C'è l'agente “nervoso, gonfio di muscoli, con una inquietante testa rasata” che inveisce contro di lei che protesta. C'è l'altro poliziotto “più calmo” che interviene e fa cessare l'azione.
Adesso lo stesso mondo doloroso dell'immigrazione, lo ritroviamo nell'ultima prova narrativa di Anna Rosa Balducci, “La casa color grigioperla” (Ed. Progetto Cultura, Roma).
Dove si racconta una storia d'ordinaria vita di quindici persone fuggite verso l'Europa per trovare salvezza e futuro: due donne e due uomini vecchi, “i quattro giovani, di cui uno più serio e distinto, l'altro che si intendeva legato alla donna più giovane, sicuramente lo sposo di lei”. E poi un'altra donna giovane e cinque bambini, due femmine e tre maschi.
Tutto comincia nella missione di frate Giacomo, che raccoglie tre neonati strappandoli alla morte. L'ultimo lo aveva trovato otto anni prima, "nascosto tra i cespugli che erano cresciuti attorno ad una pozza d'acqua, rimasto lì miracolosamente illeso, dopo che una razzia di alcuni predoni travestiti con oscene divise militari aveva colpito il villaggio, rubando e distruggendo". Frate Giacomo, "quando li aveva sentiti trafficare la notte della partenza", non si è alzato a salutarli. Appresa la loro scelta, "aveva inghiottito una lacrima, mentre si costringeva a guardare lontano a quel futuro di cui tante volte aveva parlato". Pensando ai suoi oltre vent'anni trascorsi in quel villaggio, fa un bilancio: vi aveva portato "la parte buona del suo mondo occidentale", l'infermeria, la scuola, un emporio da periferia americana dove trovavi tutto. Dopo l'approdo in Italia, dal gruppo riceve una telefonata. Ricaccia le lacrime con una scrollata di capo: c'era tanto da fare, ancora, nel villaggio.
L'esperienza narrativa di Anna Rosa Balducci sconvolge la trama con l'intervento di più narratori. C'è quello che racconta gli eventi da fuori, poi un uomo giovane che appartiene ai profughi, ed infine un bambino dello stesso gruppo di profughi.
L'autrice a metà del lavoro dialoga con “il solito osservatore” che parla di una storia noiosa, di retorica dei buoni sentimenti, e ricostruisce la trama nascosta degli antefatti, avviando una specie di labirinto narrativo che serve a testimoniare di un semplice fatto, ovvero della complessità delle vicende vissute da questi sconosciuti. Che agli occhi della gente appaiono soltanto dei soggetti pericolosi da cacciare dalla casa in cui hanno trovato rifugio.
[Alla versione web del 9.9.2012.]

All'ARCHIVIO delle pagine su Anna Rosa Balducci.

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 33, 23.09.2012, Rimini



Tama 1094, 16.09.2012
Anni Sessanta

Alla fine il romanzo riminese di Walter Veltroni ha messo d'accordo tutti: per dirla con Fantozzi, è una bojata pazzesca. Ha cominciato l'ex sindaco Giuseppe Chicchi. D'accordo sulla demolizione dell'isola delle rose (se fosse sopravvissuta, oggi il mare sarebbe pieno di "repubbliche delle poveracce"), avverte: l'isola non c'entra nulla con il Sessantotto. Per Chicchi la risposta alla crisi in cui Italia e Rimini vivono, non si trova nell'effimero, ma nel lavoro faticoso e lento per rafforzare le istituzioni politiche, economiche e culturali.
Poi è arrivato D'Alema, con un occhio rivolto al Veltroni del '68 (un tredicenne alla scoperta della vita), e l'altro a se stesso in viaggio per l'Europa, da Praga a Francoforte. Il sapore della nostalgia, notato dal leader Massimo nel romanzo del giovane Veltroni, potrebbe sottintendere una deplorevole ispirazione borghese che fa sorridere l'antico rivoluzionario di professione D'Alema.
Un altro recensore, Nerio Nesi, descrive il libro veltroniano con raffinate parole: è ispirato alla commedia all'italiana. Quella che fatto le fortune di cinema e tv. Infine la domanda più angosciante di Nesi, approda alla riva della comicità pura: perché, se quell'isola è affondata, è finito pure sott'acqua il suo ricordo? Ma Nesi non è mai venuto a Rimini? Per spiegargliela, usiamo le parole di un altro illustre romanziere che con le sue pagine ha costruito un monumento alla memoria degli anni Trenta nella nostra città, Sergio Zavoli. In questa stessa rubrica, nel 1993 (n. 467) abbiamo riportato alcune sue frasi pronunciate alla tv di San Marino: "Rimini non onora il cittadino che si fa onore. È dissacrante, disincantata, ironica. Non concede più di tanto, è scettica. La sua diversità risale al tempo dell'inverno vissuto nei caffè, che è il suo tempo, non l'estate: e noi d'inverno discutevamo se si dovesse dire tela gommata o gomma telata. Rimini gode nell'immaginare, nell'esagerare".
Dopo 20 anni che cos'è cambiato? Nel 1992 (n. 447) avevamo immaginato Achille Occhetto inaugurare il monumentale edificio del Kursaal di cartapesta, dieci metri per tre, legno compensato, primo esempio della Rimini del futuro, pronunciando un applaudito discorso per additare a tutti "l'opera nuova che resterà immortale nei secoli avvenire". Il nostro Occhetto concludeva chiedendo ai riminesi: "Volevate la metropolitana?". E prometteva l'arrivo di trenini giocattolo per tutti. Nel 2012 è giunta la ruota gigante. [Anno XXXI, n. 1094]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 32, 16.09.2012, Rimini


Tama 1093, 02.09.2012
Prediche inutili

Vent'anni fa ricordando la nascita di questa rubrica (26.09.1982), concludevo con un'occhiata nazionale. Il Governo tagliava le spese, ma la Regione elargiva 357 milioni al concorso ippico Pavarotti di Modena. Darsi all'ippica non è in fin dei conti un cattivo consiglio, era la triste consolazione. Al Governo c'era dal 28 giugno Giuliano Amato. La sua manovra finanziaria fu di 93.000 miliardi di lire. Nei dieci anni della rubrica, e non per colpa mia, il debito pubblico è passato dal 64% del Pil al 105,2. L'11 luglio hanno cominciato a privatizzare con Iri, Eni, Enel ed Ina. L'anno dopo, il 28 aprile, nasceva il governo tecnico quadripartito di Carlo Azeglio Ciampi.
Nel 1992 ricordavo l'eroica impresa turistica di un Kursaal di cartapesta, di fronte al Grand Hotel. Quest'anno abbiamo avuto la Grande Ruota Panoramica. Nel 1992 per studiare il problema del traffico cittadino, si era andati a Barcellona a vedere come lo si era risolto là. Adesso è cambiata la mèta, Friburgo. Nel 1992 come nel 1982 si continuava a discutere del turismo in crisi. Il nuovo era che giungemmo alla rissa e agli insulti. Per i giovani, ci avevano promesso ostelli in cui ospitare i saccopelisti di antica memoria. Grazie a cronisti un pò affrettati, l'estate '92 aveva omologato tutti i giovani nella categoria dei delinquenti.
Walter Veltroni, anziché andare in missione in Africa come promesso, fa pure il romanziere, tirando in ballo l'isola delle rose davanti alle coste riminesi, demolita dallo Stato nel 1969. La colpa non è nostra, il sospetto era che si volesse realizzare lì sopra, in acque extraterritoriali, un casinò. La presentazione del libro veltroniano è stata accompagnata da varii ricordi letterari, dove non abbiamo trovato richiami al nostro maggior narratore contemporaneo, Piero Meldini che nel 1996 proietta in una scena secentesca un giudizio sempre attuale: Rimini è una "Città ingrata, più contenta delle altrui disgrazie che delle proprie fortune, cieca ai meriti, insensibile all'ingegno. Patria disgraziata!".
Ho ritrovato le "Prediche inutili" di Luigi Einaudi, ritagliate dal Corrierone oltre mezzo secolo fa. Il foglio milanese le ha riproposte in volume quest'anno a conferma della validità di quell'aggettivo. In collana c'è pure Alcide De Gasperi. Una sua frase messa in pubblicità è stata poi usata dal Presidente Mario Monti: "Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni". Prediche inutili. [Anno XXXI, n. 1093]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 31, 02.09.2012, Rimini

Fuori Tama 1093 bis
Vade retro, Veltroni

Nel Tama 1093 abbiamo scritto che Walter Veltroni anziché andare in missione in Africa come promesso, fa pure il romanziere, tirando in ballo l'isola delle rose davanti alle coste riminesi, demolita dallo Stato nel 1969.
Al romanziere Walter Veltroni, gliele ha dette in faccia, l'ex sindaco di Rimini Giuseppe Chicchi, con un breve ma duro intervento apparso sul "Corriere di Rimini" di sabato primo settembre: "...l'Isola delle Rose non c'entra nulla con il Sessantotto", fu soltanto una semplice operazione economica.
Dal passato al presente. Per risolvere i problemi nostri, di Rimini e dell'Italia, conclude Chicchi, la risposta non è nell'effimero ma "nel faticoso, lento, talvolta poco gratificante consolidamento delle istituzioni", nel "rafforzamento delle strutture formative, nello sviluppo dei produttori di socialità". Quindi niente utopie alla Veltroni, un romano che ha letto di Rimini, dell'Isola delle Rose e ne ha fatto una specie di affresco con sogni e bisogni giovanili di quel tempo. Ma che sogni e bisogni, spiega Chicchi giustamente, si voleva soltanto una casa da gioco in luogo tranquillo, in alto mare, senza legge né controllori...
Terribile è la battuta iniziale con cui Chicchi definisce il Veltroni attuale: "leggermente afono e spaesato" nel quadro della politica e della società nazionali. Per le quali non servono utopie, ma risposte concrete alle domande di prospettive che da esse nascono.

Stefano Ciavatta su LINKIESTA il 6 settembre ha pubblicato un lungo servizio intitolato "L'isola di Veltroni era il paradiso fiscale di un fascista". L'inventore dell'isola, Giorgio Rosa, è così descritto: "ex soldato repubblichino, poi ingegnere e perito edile per il tribunale di Bologna, ossessionato e pignolo, ottimista e sbrigativo".
Il 31 agosto su "il Fatto" di Bologna Davide Turrini aveva scritto: "L'ingegnere Giorgio Rosa che nel 1968 costruì L'isola delle Rose in mezzo all'Adriatico ha sempre dichiarato di non avere nulla a che fare coi movimenti di protesta di sinistra dell'epoca. Anzi per lui perfino i partigiani furono terroristi che si associarono in massa per avere i contributi Inps".
Sul romanzo di Veltroni, Stefano Ciavatta osserva: "Ci vogliono cinquanta pagine di romanzo per arrivare a scoprire l'esistenza dell'isola, prima però l’autore dissemina le figurine del suo pantheon culturale, ma l'album finisce per assomigliare a un product placement della fantasia. [...] Il vero abuso edilizio lo fa lo scrittore, protetto dal nume tutelare del sognatore Fellini [...] Veltroni procede più spedito e sicuro di Rosa, e così il fascino per l'avventura nel libro si irrigidisce, l'occupazione generazionale è andata a segno".
All'altro Fuori Tama 1093.

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Anno XIV, n. 201, Settembre 2012
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