Diario italiano
Il Rimino 196, anno XIV
Aprile 2012

Tama 1078, 29.04.2012
Due leader, un mistero

Alla cultura del governo dei tecnici s'ispirano ora le scelte della periferia. Il Comune di Bologna ha approvato il cambiamento di nome ad una scuola media. Buttato nel cestino quello troppo antico di Dante Alighieri, la scelta è caduta (in basso) sopra un venerato musicista, Fabrizio De André. Ricordo un'arguta battuta di Sergio Zavoli nella sua storia della radio italiana. Per la morte di D'Annunzio (1938), commentava: "Se ne vanno i cantori, restano i cantanti". Potremmo ricopiarla. Cancellato il cantore di Beatrice, è incensato quello di Marinella.
La politica italiana si fa nuova come quella scuola bolognese. Una volta ci fu l'Asse Roma-Berlino con il motto "Due popoli, una guerra". Adesso c'è l'Asse Bossi-Maroni. Lo slogan potrebbe essere "Due leader, un mistero". Mi spiego. Lo scorso 13 gennaio, Bossi vieta i comizi a Bobo. Il 14 aprile, secondo il Giornale, Bossi in privato accusa Maroni di esser un traditore che gli sta scippando il partito. Il 18 aprile, Panorama annuncia un dossier contro Bobo, predisposto dal Tesoriere della Lega Francesco Belsito.
Il 20 aprile, l'Umberto si arrende, vuole un accordo col rivale. Il 21, a Besozzo (Varese) i due s'incontrano al bar. Si dice: per caso. Bossi spiega ai cronisti che Maroni è "il bene della Lega". Bobo assolve Umberto dall'accusa d'aver commissionato il dossier preparato contro di lui da Belsito. Bossi aggiunge: il dossier è nato per creare una stagione di veleni, mettermi contro Maroni e rompere la Lega. Secondo Bobo, quel dossier era troppo sgangherato per essere pubblicato. Serviva soltanto a convincere Bossi delle bugie inventate contro di lui.
Belsito il 21 aprile dichiara al TG5 di non sapere nulla del dossier di cui gli si attribuisce la paternità. Il 20 Bossi ha detto: è tutto un complotto dei Servizi che hanno utilizzato Belsito per salvarlo dalle cattive compagnie. Le parole oscure di Bossi sono contemporanee a quanto Lirio Abbate sull'Espresso narra circa presunti collegamenti tra Belsito (originario di Melito Porto Salvo, Reggio Calabria), un ex cassiere dei terroristi neofascisti, 'ndrangheta e massoneria. Abbate riporta quanto risulta alla Procura antimafia di Reggio Calabria.
Nel dossier attribuito a Belsito, c'è un dato errato: la barchetta posseduta da Maroni sta a Porto Rosa in Sicilia, e non a Portorose in Slovenia. L'intera vicenda nasconde un mistero che dovrà essere chiarito: sino a quando Bobo Maroni ed Umberto Bossi resteranno leader. [Anno XXXI, n. 1078]

Antonio Montanari
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Tama 1077, 22.04.2012
Partiti e arrivati

Ci siamo lasciati con la cicoria romana di Rutelli, divenuta cicuta, per l'archiviata Margherita così piena di soldi da non sapere la mano destra quello che la mano sinistra faceva, onde evitare pregiudizi politici al gestore dei fondi. Poi al "Ponte" c'è stata la settimana delle ferie post-pasquali che ci hanno tenuto lo stomaco leggero, evitando di descrivere i lauti pranzi in salsa nordista con zucche padane, e relativi zucconi. I quali, costretti dal desiderio di apparire e dalla necessità di essere qualcuno, hanno offerto il meglio di loro stessi facendosi comprare lauree straniere di cui nessuno sa nulla, tranne la magistratura inquirente.
A questo punto saremmo tentati di passare ad altro argomento, se non avessimo il perfido senso del cronista inutile che è convinto di un sol fatto, indipendentemente dalle notizie degli ultimi periodi: i Partiti (nel senso di gruppi di Potere, con le dovute e rispettose iniziali maiuscole), sono la garanzia che quanti vi si trovano dentro sono degli "arrivati", ovvero persone privilegiate che se la ridono del resto del mondo.
A vent'anni esatti dalle Mani pulite milanesi, l'Italia dopo aver festeggiato in pompa magna la sua Unità, ne ha dato eccellente prova con tante inchieste da Nord a Sud, da Est ad Ovest, che ne sono umile conferma: fatta la Penisola, restano ancora da fare i suoi cittadini. Il 10 maggio 1992 Umberto Bossi ha proclamato a Pontida la nascita della "Repubblica del Nord". Forse si trattava di discorsi fatti dopo un'indigestione di prelibatezze padane che sono piatti ottimi dell'arte culinaria, ma dotati di un potere calorico capace di alterare la visione e la comprensione delle cose.
Fatto sta che, da quel giorno, i politici in un modo o nell'altro hanno pensato in cuor loro che, se uno aveva il coraggio di dire certe cose, una qualche ragione l'aveva. Le ultime notizie forniscono una versione molto tragica: la ragione stava nel partecipare alla divisione del bottino, prima definito finanziamento pubblico dei partiti, poi, dopo un certo referendum, elegantemente battezzato rimborso elettorale.
La morale della favola è soltanto una, quella di un bel gruzzolo di soldi che alcuni poi gestivano ad uso personale, come le cronache dei giornali ora denunciano. Quattro anni fa i più autorevoli commentatori moderati inneggiavano alla grande abilità strategica di Bossi: aveva rinnovato la politica italiana. Oggi una risata accompagna la lettura dei loro testi. [Anno XXXI, n. 1077]

Antonio Montanari
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Fanciullino bastonato.
In ricordo di Giovanni Pascoli.

In Toscana si preparavano alle cerimonie ufficiali per il centenario (6 aprile) della morte di Giovanni Pascoli, celebrato in pompa magna a Barga.
Nella Romagna solatìa dolce paese, di Zvanì si ricordavano a bocca storta alcune cose, per etichettarlo come il Vecchio Poeta, e lodare qualcun altro (appena) passato nel mondo dei più.

È successo, per essere precisi, con la scomparsa di Elio Pagliarani, di cui un altro collega poeta (ci si scusi l'iniziale minuscola), Sergio Zavoli, diceva che Pagliarani appunto aveva rifiutato ogni "poetica ridondante, sentimentale e fanciullina".
Poi nella nostra Rimini è arrivato l'assessore provinciale alla Cultura Carlo Bulletti, con un esemplare comunicato da tramandare ai posteri per l'incipit di rara presunzione: "Non tutti sanno che...". E l'assessore, pure lui, se la prendeva con le parole fanciulline, evocandole attraverso richiami precisi come il "linguaggio aulico" e lo "stucchevole lirismo".

Pascoli nel 1897 pubblica un saggio, "Il fanciullino", in cui spiega le sue idee sulla Poesia, mica si mette a cantare canzonette da asilo-nido.
Roberta Cavazzuti in un volume (2004) della collana dedicata alla storia della Letteratura italiana diretta da Ezio Raimondi per la Bruno Mondadori, riassume in maniera mirabile quelle idee.
La novità di Pascoli si può sintetizzare con questa frase della Cavazzuti: "Il poeta coincide con il fanciullo che è in ognuno di noi, non solo in qualche uomo superiore, privilegiato...".
Da non tralasciare un altro passaggio fondamentale: "la poetica pascoliana ripudia" sia la retorica di Carducci sia la dannunziana liturgia della parola.

Bastano queste due brevissime citazioni per comprendere che l'esperienza pascoliana (con tutti gli annessi e connessi storici), è qualcosa di più di un'etichetta di comodo con la quale porla nel dimenticatoio, per privilegiare i meriti di chi è venuto dopo.
Meriti che non mettiamo in discussione, a patto che non li si spedisca in ridicola concorrenza con quelli di chi ha vissuto altre e più lontane epoche.
Zvanì non è un Vecchio Poeta da rinchiudere in soffitta per cedere posto ad altre Glorie più recenti.
Nelle storie della Letteratura, c'è posto per tutti quanti sono scomparsi dal palcoscenico della vita.
Lasciate che a sbranarsi siano i contemporanei vegeti che ambiscono alla pretesa di esserne unici protagonisti. E che, con tutti i mezzi, cercano di realizzare un loro sogno da inutili superuomini.

Antonio Montanari
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Celli all'Enit, auguri

Auguri sinceri a Pier Luigi Celli, riminese illustre, per l'incarico di presidente dell'Enit, affidatogli dal Consiglio dei ministri.
L'Enit (Ente nazionale industrie turistiche) è stato avvolto anche di recente da violente polemiche, culminate in un commissariamento che ora si conclude con la nomina di Celli.
Nel 2009, la legge finanziaria aveva ridotto i fondi dell'Enit da 49 a 33 milioni di euro. Qualcuno allora, in base a ciò, parlò dell'Enit come di un ente inutile. La tesi però era vecchia, per farla breve, perché la riforma regionale del 2001 aveva cambiato le carte in tavola, rafforzando in materia i poteri delle Regioni.
Nel dicembre 2011 c'è stato anche un piccolo giallo: la manovra economica di Monti all'inizio prevedeva l'eliminazione dell'Enit, scomparsa nel documento di programmazione economica definitivo fatto circolare.
Pure 50 anni fa (e parlo per conoscenza diretta dei fatti) l'Enit era considerato un carrozzone superfluo della Pubblica amministrazione, perché esisteva pure il Commissariato per il Turismo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (con ruolo corrispondente ad un ministero...).
Il personaggio più celebre ad occupare la poltrona di Commissario per il Turismo, fu Pietro Romani (dal 1947 al 1959), passato alla storia soltanto perché cognato di Alcide De Gasperi. Nel 1959, Romani era poi andato a presiedere la ben nota agenzia Cit.
Alla fine dello scorso mese di marzo, il vicepresidente dell'Enit, Mauro Di Dalmazio, dichiarava: “L'Enit ha sicuramente passato una fase turbolenta, ma dell'Ente si parla molto e spesso a sproposito, e una delle idee da confutare assolutamente è l'inutilità dell'ente. L'Enit fa molto, in collaborazione con gli operatori e con le regioni. Sta naturalmente cercando un ruolo nuovo ma non va considerato un orpello inutile...”.
In questo contesto, la nomina di Celli significa due cose. La prima è che il governo Monti vuol mettere in ordine un carrozzone giudicato spesso molto sgangherato (le ultime dure polemiche sono del passato novembre sul “Fatto Quotidiano”, dove Fabio Amato e Daniele Martini sottolineavano come il direttore dell'Enit fosse politicamente una “creatura” della signora Brambilla, ben remunerata con 190 mila euro circa all'anno).
La seconda cosa è che al “nostro” Celli toccherà una fatica boia per tentare di mettere ordine in quel carrozzone, nel momento economico più drammatico (anche) per il nostro turismo.

Antonio Montanari
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Tama 1076, 08.04.2012
Cicoria e cicuta

Maggio 2005, Francesco Rutelli dichiara con orgoglio: "Ho tirato la carretta, ho mangiato pane e cicoria". Sono parole passate alla Storia, come la frase con cui Winston Churchill nel maggio 1940 prometteva ai sudditi di Sua Maestà "lacrime e sangue". Poi la cicoria rutelliana è diventata una bella Margherita, simbolo e nome di un partito. Rutelli era stato chiaro ed onesto. Avrebbe potuto imitare il francese Sarkosy che, vinte le elezioni, gloriosamente accusava Socrate di aver pronunciata una frase assurda come il "Conosci te stesso", che è evidente occasione di imbarazzo per chi ama guardarsi allo specchio vedendosi un novello Napoleone.
Allora tememmo che, per imitare Sarkosy, qualcuno potesse lanciare uno slogan vagamente allusivo: "Più cicuta per tutti". Rutelli ebbe il coraggio di fermarsi alla cicoria. Non sappiamo se nei successivi momenti della sua avventura politica, quella dieta a base di cicoria abbia prodotto soltanto effetti positivi. Abbiamo cominciato a dubitarne quando alla fine dello scorso gennaio è apparsa una notizia di cronaca giudiziaria in cui si parlava, non sappiamo se a torto o ragione, di 13 milioni di euro scomparsi dalla cassaforte della Margherita, un partito già passato in archivio dopo il suo secondo congresso del 2007.
Ciò che confonde il cittadino ignaro dei segreti della Politica cosiddetta occulta (che permette di dare soldi a partiti che non esistono più), è la constatazione che, se non succede nulla di illecito, certi particolari sono gelosamente conservati sotto sale e custoditi in grande silenzio per non suscitare reazioni antipatiche. Gira e rigira, ogni giorno sentiamo ripetere la solfa che sono necessari più sacrifici per tutti. Ma poi scopriamo che esistono sconosciuti tesoretti o tesoroni, i quali sempre ingolosiscono qualcuno, a quanto pare.
Rutelli, nel 2009, ha risfogliato la margherita (senza maiuscola) chiedendosi: lo amo o non lo amo? Pensava a Bersani. Di cui diceva: è soltanto un vecchio comunista. Rutelli usava le stesse parole di Berlusconi.
Il 19 marzo 2012 Rutelli ci ha veramente commossi quando, senza mezze parole, è andato giù duro contro il tesoriere del suo partito: uno che "si presentava come uno scout, austero, inflessibile, severo". Sono stati i momenti in cui Rutelli ha suscitato in noi sincera tenerezza. Lui che aveva fatto della cicoria il nuovo menu politico per cambiare l'Italia, si vedeva ricambiato con la vecchia cicuta della corruzione. [Anno XXXI, n. 1076]

Antonio Montanari
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Tama 1075, 01.04.2012
Crisi comica

Rassicuriamo il lettore. Il titolo è giusto. Parliamo della crisi dei comici, non di quella economica. Tra le due situazioni c'è uno stretto legame. Lo dimostrano severi trattati scientifici, secondo cui la mancanza di ispirazione negli autori satirici è provocata dalla scorretta concorrenza dei politici. Ogni crisi economica è frutto di fattori che non dipendono dalla volontà di chi dolorosamente la subisce. Bensì è il prodotto di linee politiche sulle quali i cittadini non possono intervenire. Spesso i loro rappresentanti eletti in Parlamento ed i loro governanti seduti a Roma, si fanno portavoce di interessi diversi da quelli comuni che dovrebbero tutelare.
Le nostre cronache politiche hanno riportato dapprima l'euforia di un capo di governo che sosteneva essere il nostro il migliore dei mondi possibili, con i ristoranti di lusso pieni di clienti. Poi sono venuti i severi richiami ad un'imminente catastrofe. Occorreva turarsi il naso e bere l'amara pozione del nauseabondo olio di ricino della nostra infanzia.
Messe così le cose, quale spazio possono avere i comici per rinnovare il loro repertorio? Negli ultimi mesi tutte le trasmissioni televisive di satira hanno registrato un calo negli ascolti, conseguente al calo della qualità dei protagonisti in scena. I critici di mestiere hanno analizzato con arguzia gli andamenti lenti di ogni produzione.
Nella nostra ignoranza, possiamo soltanto constatare che le antiche invenzioni di Paolo Cevoli assessore alle varie ed eventuali del Comune di Roncofritto, sono state superate e cancellate dai recenti dibattiti politici. Dove un'ipotetica emergenza ha inventato un segretario di partito già ministro nell'ex governo che, a detta del suo leader, si mangia tutti i colleghi segretari da mane a sera. Sugli avversari così non ricade più la vecchia accusa di mangiare soltanto bambini in salsa moscovita.
Dite voi se ai comici sia o no lasciato lo spazio necessario per respirare e sopravvivere all'abbraccio fatale dell'attuale quadro politico. Che ha come suo massimo esponente il professor Monti, uomo amabile ma troppo abituato a sfoggiare un sottile spirito all'inglese nel far battute che restano incomprensibili a quanti non abbiano frequentato la Bocconi. Preoccupa che nel giro di qualche decennio la vecchia caricatura televisiva dello studente calabrese fuoricorso della Bocconi, sia stata soppianta da un vero professore della Bocconi stessa, divenuto presidente del Consiglio. [Anno XXXI, n. 1075]

Antonio Montanari
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Tonino Guerra, un ricordo

Claudio Marabini gli aveva chiesto (1976) che effetto gli avesse fatto partire da Santarcangelo per Roma. Rispose: "Nessuno. Mi fece effetto arrivare! Avevo trentadue anni e Savignano era il mio confine". La storia di Tonino Guerra è tutta qui, come quella di Federico Fellini. L'addio alla provincia, la fuga "altrove", in un mondo vero che diventa quello impareggiabile delle fantasie e dei sogni, ovvero dell'arte.
Ripesco dall'archivio de "il Ponte" vecchie pagine su di lui. Nel 1996 ricordo che Gassman lo ha intervistato a Santarcangelo. Lui spiega che i romagnoli (adesso) "sono ignoranti": "L'ho detto tante volte, però poi se la prendono con me. Ma è la verità. C'è questa forma di disprezzo per la pagina, per le cose scritte. Però, siccome [il romagnolo] è così ardito, è avventuroso nel creare le cose, può anche giustificare questa sua distrazione".
1997. Pochi centimetri di neve a fine dicembre permettono alla "Stampa" di intitolare a piena pagina: "A Rimini un replay di Amarcord", con foto di Guerra. Pierangelo Sapegno scrive: "A Rimini, la neve è roba di bimbi". E giù con la solita solfa, aggiungevo: "Ci fosse Fellini, potesse vederli".
Concludevo: il tempo passa inutilmente per Rimini che resta questo eterno francobollo felliniano, dove accanto a Gradisca c'è però anche lo zio di Titta, quello che fa dare l'olio di ricino al cognato ribelle, e che non crede che la neve attacchi. Fellini, i riminesi li ha presi per i fondelli, ma noi facciamo finta di niente, risultando, come a lui piaceva, dei perfetti pataca.
Per il funerale di Fellini (1993), Tonino Guerra parla dal palco assieme a Sergio Zavoli. Davanti a me, un ragazzo continuava a sistemare i suoi lunghi capelli sulle spalle, nell'eleganza geometrica da ragazzina anni '50; vicino, un'anziana coppia si stringeva affettuosamente, guardando verso il colonnato dell'ex teatro; più avanti, una signorina piangeva senza asciugarsi le lacrime; poi, un gruppetto di coetanei ed amici di Fellini, che non erano saliti "tra le autorità", ma avevano voluto mescolarsi all'anonimato di una folla più commossa che curiosa.
Tonino Guerra era maestro elementare, aveva studiato a Forlimpopoli, dove tanti romagnoli convenivano. Ricordava mia zia Anna Castagnoli (che saliva a Cesena e che viaggiava sullo stesso treno): Tonino era un po' deriso dai compagni di viaggio e di studio perché era molto "bascozzone".

Nelle enciclopedie, alla voce "Guerra, Antonio [Tonino]" forse si leggerà che non fu soltanto poeta e sceneggiatore di fama, ma apparve anche sui giornali ed in tivù nell'estate 2001 come testimonial di una catena di supermercati d'elettrodomestici, all'insegna d'un motto che allora doveva fare epoca, "Benvenuti nell'era dell'ottimismo".
Si giustificò: "Devo tirare avanti con due milioni" al mese. Destò meraviglia la sua improvvisa (e per certi aspetti imprevedibile) conversione al consumismo.
Con lo spot dell'ottimismo (2001), Guerra si fa profeta di una mentalità oggi molto diffusa, quella di chi (in modo alienante) si rinchiude con la famiglia in un iper per dodici ore filate. Alla sera, sono persone più felici che all'inizio della giornata, dopo aver visto tanti oggetti che magari non possono acquistare? Nacque allora il motto di un'altra catena commerciale: "Non c'è più religione. (Adesso siamo aperti tutte le domeniche)". È andata poi così.
["il Ponte", Rimini, n. 13, 01.04.2012]

Antonio Montanari
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Diario italiano, indice.


Anno XIV, n. 196, Aprile 2012
1638. Date created: 26.03.2012. - Last Update: 24.04.2012, 16:55./
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