Diario italiano
Il Rimino 194, anno XIV
Febbraio 2012

Tama 1070, 26.02.2012
Mamma politica

In uno spot tv, la mamma di Garibaldi si lamenta per telefonino con un'amica: il figlio passa un momento difficile mentre sta facendo l'Italia unita, e "risponde". Le madri di una volta, pretendendo un'infallibilità pedagogica d'origine sovrannaturale, imponevano ai loro bambini di "non rispondere", e di "obbedir tacendo" ai loro ordini, come i Carabinieri. L'esemplare politico europeo più noto tra queste madri padrone, sopravvissute ad ogni cambiamento generazionale e pedagogico, è la cancelliera tedesca, signora Angela Merkel, che anche recentemente di rospi ne ha fatti ingoiare parecchi ai suoi colleghi europei.
Ma si sa com'è la Storia. Si prende le sue giocose vendette. Così, pure la signora Merkel ha dovuto subire uno schiaffo morale con le dimissioni di Christian Wulff presidente della Repubblica tedesca dal 30 giugno 2010, e suo protetto. La stampa del suo Paese da tempo aveva cominciato a parlare di Wulff per certi piccoli ma numerosi favori ricevuti, per presunti intrallazzi ed accuse di abuso di potere. Wulff avrebbe fatto anche una telefonata poco simpatica e gentile al direttore di un settimanale molto diffuso, "Bild", invitandolo a non parlare più di lui. Alla discesa in campo della Magistratura, con la richiesta di togliergli l'immunità per indagarlo, il presidente Wulff si è fatto da parte.
Per la cronaca erano le ore 11 di venerdì 17 febbraio, giorno in cui i quotidiani italiani si dividevano tra due argomenti scottanti: i vent'anni dall'inizio di Tangentopoli e la relazione presentata dal presidente della Corte dei Conti, secondo cui la corruzione dilaga in Italia al costo di sessanta miliardi l'anno. A rallegrarci ancora di più c'era la notizia che da noi negli ultimi nove mesi l'occupazione giovanile è calata di 80mila posti. A renderci seri c'erano i confronti con gli altri Paesi europei, con l'elenco di quanti, travolti da scandali, avevano mollato l'osso. Il ministro della Difesa tedesco, ad esempio, reo soltanto di aver copiato la tesi di laurea, s'era dimesso. Da noi forse lo avrebbero fatto salire in una prestigiosa Cattedra.
Lo stesso giorno 17 febbraio usciva ne "l'Espresso" un editoriale del cardinal Gianfranco Ravasi sul lavoro. Vi si legge tra l'altro che creano sdegno "l'arroganza dei detentori di patrimoni immensi o di compensi spropositati, talora ottenuti in modo scandaloso, e persino con un vero e proprio furto", e "l'impudenza impunita dell'evasione fiscale e della corruzione". [Anno XXXI, n. 1070]

Antonio Montanari
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il Ponte, 26.02.2012
Umanesimo riminese. Studiamolo

A proposito dell'Umanesimo tragico di cui ha trattato a Rimini il prof. Massimo Cacciari, riferendosi alla "Resurrezione di Cristo" di Piero della Francesca, una piccola ricerca su Internet permette di ricostruire la fortuna della formula.
Nel 1994 appare nell'annuario del Centro mondiale di Studi umanisti, che ha un vago sapore esoterico più che di analisi della cultura dell'Umanesimo in senso stretto.
Nel 2004, a proposito del proprio libro "Della cosa ultima", il prof. Cacciari dichiara al "Mattino" di Padova: "Da tempo vado pensando che occorrerebbe, anche sulla traccia dell’autentica storiografia filosofica italiana da Gentile a Garin, rivalutare la nostra tradizione. È un umanesimo tragico, ma appunto di una tragedia che si conclude con un Ma 'vittorioso'...".
Nel 2005, il prof. Cacciari a Caserta tratta dell'Umanesimo tragico parlando di quattro testi letterari: il canto XXVI dell’Inferno; il De vita solitaria di Petrarca; la Lettera al Vettori di Machiavelli; l’Infinito di Leopardi. Ricorda anche il vero testimone dell’Umanesimo tragico, Leon Battista Alberti, consapevole che è una stupida pretesa quella di essere "fabbro del proprio destino".
Nel 2007 a Milano, all'Università San Raffaele, si laurea brillantemente Silvia Crupano (Roma, 1983), con una tesi dedicata al pensiero tragico di Leon Battista Alberti: "Virtus contra fatum. La dialettica dell’Umanesimo tragico. Per una Filosofia della Storia" (relatore Andrea Tagliapietra, correlatore Ernesto Galli della Loggia).
Nel 2010 il prof. Cacciari tiene una lezione magistrale a Napoli intitolata "L'umanesimo tragico di Leopardi".
Per tornare all'inizio del nostro discorso, sarebbe molto importante che nella nostra città ci si decidesse a ricordare l'Umanesimo riminese, in cui confluiscono tutti i temi dell'Umanesimo italiano.
Come dice il prof. Cacciari, "occorrerebbe rivalutare la nostra tradizione".

Un'annotazione conclusiva. Cacciari collega il concetto di "tragico" al 1453, ovvero alla caduta di Costantinopoli. Forse si potrebbe andare un pochino più indietro, sino al 1415, anno in cui culmina la tragedia dell'Europa cristiana. Durante il Grande Scisma (1378-1417), Giovanni Huss assieme all'allievo Girolamo da Praga è mandato al rogo, dopo essere stato invitato con salvacondotto imperiale a Costanza, dove si trovavano i padri conciliari. Inizia allora una fase drammatica in Boemia, che dura sino al 1433. Sono fiamme che ne preannunciano altre: nel 1553 per Miguel Serveto a Ginevra su decisione dei calvinisti, ed il 17 febbraio 1600 a Roma per Giordano Bruno.
Giustamente, Franco Cardini (come si legge sul "Ponte" del 5 febbraio scorso) smorza i toni dello "scontro di civiltà", che alcuni vorrebbero far iniziare appunto nel 1453 e culminare nel 1683, anno dell'assedio di Vienna. Cardini osserva: non fu un conflitto di civiltà, ma soltanto "storico". Da questa differenza Cardini arriva alla conclusione che non si debbono "incentivare pericolosi contrasti religiosi", partendo da episodi militari o politici che hanno provocato sì rotture ma spesso pure accordi.
Nel suo libro recente dedicato all'argomento (pp. 3-8), introducendo il tema Cardini osserva che tre-quattro secoli sono stati "dominati, sul piano della politica e dei rapporti interstatuali, da una tensione che si traduce in una rete complessa e mutevole di alleanze e di rivalità".
Pure questo aspetto riguarda Rimini da vicino. Sigismondo Malatesti fa il condottiero al soldo di Venezia nella crociata in Morea dal 1464 al 1466. La sua condotta non approda a nulla, anzi è considerata grandemente dannosa. Il 25 gennaio 1466 egli fa ritorno a casa. Sembra, come in effetti è, un uomo sconfitto. Ma il bottino che reca con sé, le ossa del filosofo Giorgio Gemisto Pletone (nato a Costantinopoli nel 1355 circa e morto a Mistra, Sparta nel 1452), gli garantiscono un prestigio perenne. Con la tomba che le accoglie nel Tempio, Sigismondo offre l'immagine di Rimini quale faro di sapienza che poteva illuminare Roma, l'antica e lontana Bisanzio e la vicina Ravenna.
E con Plotone, oggi, si torna da dove si era partiti, a quell'Umanesimo riminese da studiare nella sua vera portata, al di là delle suggestioni esoteriche che nel 2001 portarono a proclamare (il povero) Sigismondo "massone ad honorem".

Antonio Montanari
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Tama 1069, 19.02.2012
Bufera o blizzard?

Rascel cantava "È arrivata la bufera". Adesso c'è il blizzard. Diceva Carosone "Tu vo fa l'americano". Amiamo l'imitazione di cose forestiere. Blizzard è parola inglese, ma tutti l'hanno pronunciata come si scrive. Non siamo poliglotti, e facciamo la figura dei polli. Tra cui mi colloco: nelle dirette televisive non ho visto mai quello che, in casa Fazio, ha detto l'illustre meteorologo Mercalli: davanti alla Biblioteca Malatestiana di Cesena ci sono 170 cm di neve.
Come per il blizzard di sua maestà, le cose sono andate un po' allo stesso modo circa il discorso del nostro presidente del Consiglio. Intervistato da "Time", ha trattato vari temi. I giornali li hanno capiti in una maniera, lui forse (forse, ripeto) sottintendeva ironicamente qualcos'altro. Un esempio: "Spero di cambiare la cultura e un certo modo di vivere degli italiani". Monti però ha anche aggiunto: "La politica quotidiana ha diseducato gli italiani".
Monti usa un vecchio trucco da acuto filosofo, quello di nascondere in un aggettivo il botto finale che si crede di trovare soltanto col punto della frase. Non ha voluto criticare la Politica in sé, ma quella da noi praticata. Erano i giorni in cui l'antica pietà verso i defunti si rivelava osceno paravento per finanziare partiti estinti, e soltanto grazie ad un senatore (da nominare cavaliere della Repubblica), accusato di aver fatto sparire qualcosa come tredici milioni di euro.
I quotidiani hanno semplificato: Monti vuole cambiare gli italiani. Hanno preso la scorciatoia più facile per creare paginoni in cui si sono lette anche belle verità. Severgnini sul "CorSera" ha scritto che da noi c'è tanta gente che non meritava di diventare lo zimbello del mondo. Aggiungo: le cose più interessanti su Monti ed i suoi ministri, di recente le hanno scritte dei giovani lettori della "Stampa".
Margherita Fabbri, 29 anni, economista fiorentina in trasferta dal 2008 (Belgio, Perù, Usa), ha detto alla signora Cancellieri (secondo la quale i nostri ragazzi sono mammoni): ai giovani "da anni non viene offerto non solo un briciolo di possibilità, ma neanche un minimo di rispetto (e la sua dichiarazione ne è una prova)". Sergio Sulmicelli, 17 anni, studente siciliano, è andato al sodo sulla bellezza della mobilità sostenuta da Monti: lo Stato "deve garantirci la possibilità al lavoro" e deve cambiare la Scuola, con "un impegno maggiore sul fronte delle competenze e delle conoscenze", e più fondi alla ricerca. [Anno XXXI, n. 1069]

Antonio Montanari
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Tama 1068, 12.02.2012
Forconi e forchette

Trent'anni fa la cronaca era questa: "Milano è da bere, l'Italia da rubare". Per vent'anni fa un titolo dice: "Politici corrotti". Cito da "La Patria, bene o male", libro di Carlo Fruttero e Massimo Gramellini (2010). Per il 2005 c'è un ritratto angosciante del nostro Paese, dove tutti oramai puntano esclusivamente alla ricchezza. Con mezzi più o meno leciti e grazie ad amicizie altolocate. I furbetti del quartierino sono protagonisti di un "mondo avido e indebitato che vive al di sopra dei propri mezzi". Insomma era appena ieri. Un ieri da non dimenticare oggi, quando non sappiamo più quali pesci prendere in un mare tempestoso che impedisce alle barche di uscire dai porti.
Mezzo secolo fa Giorgio Bocca raccontava da Carpi i padroncini della maglieria che assumevano ragazze in ufficio come ragioniere, triplicando i loro stipendi in sei mesi. Nel 1961 aveva descritto il ricovero milanese dei vecchi detto la Baggina come una ghiotta occasione per i politici. Vi facevano assumere amici per un breve periodo elettorale. Alla Baggina nasce poi lo scandalo di "Mani pulite": il suo presidente, un socialista, è arrestato con una mazzetta in mano. Comincia Tangentopoli, una moda dura a cessare. Nei giorni scorsi cronache nazionali e pagine locali raccontavano che in tutt'Italia c'è ancora troppa voglia di far soldi contro la legge.
Nel 1979, l'11 luglio, l'avv. Giorgio Ambrosoli diventa il simbolo di quanti credono ancora all'essere onesti. Lo assassinano per impedirgli di scoprire i segreti della Banca Privata Italiana. Due anni dopo tocca a Roberto Calvi, già presidente del Banco Ambrosiano. E nel 1985 a Michele Sindona avvelenato da un caffè in carcere, dove sta scontando l'ergastolo quale mandante dell'uccisione di Ambrosoli.
Negli anni 50 c'erano i forchettoni, quei politici che si sistemarono bene, preparando le future spartizioni dei bottini fra tutti i partiti. La moda degli affari attira le nuove forchette di oggi, mentre sembra fondamentale togliere ogni valore legale anche ai titoli di studio. Ne aveva parlato pure Luigi Einaudi 60 anni fa, criticando il nostro sistema scolastico perché troppo napoleonico. La questione riproposta adesso può suggestionare ad imitare i forconi siciliani in rivolta, quanti sono delusi dal sistema chiuso delle carriere di studio. Dove essere figli illustri conta più dei fogli scientifici prodotti e spesso pubblicati con la firma autorevole del cattedratico e non dell'autore. [Anno XXXI, n. 1068]

Antonio Montanari
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il Ponte, 12.02.2012
Quando i nevoni facevano sul serio

Lo hanno sempre chiamato l'anno del nevone, il 1929, ed i nostri vecchi lo raccontavano molto semplicemente, non con l'aria di leggenda che poi gli ha attaccato la poesia felliniana di "Amarcord".
La neve abbondante c'era, una volta. Si sapeva che tutto si fermava, ma i treni viaggiavano regolarmente. Alle storie dell'Italia per i pronipoti, si deve tramandare la sosta forzata sulla tratta Bologna-Rimini del treno diretto a Taranto, che ha congelato i suoi ospiti in quel di Frampùla, ovvero Forlimpopoli, per sette od otto ore, la scorsa settimana. Le nostre Ferrovie dello Stato di una volta (prima FF.SS. e poi semplificate in FS), con la neve viaggiavano tutti i giorni di tutti gli anni, perché il "bianco mantello" c'era tutti gli anni.
Quando studiavo a Bologna, nei primi anni Sessanta, si attraversava alle 5 e mezza del mattino Rimini, per arrivare in stazione. Eravamo soltanto noi universitari ed i ferrovieri che dovevano prendere servizio nel capoluogo regionale. Per la strada non s'incontrava nessun altro, tranne lo spazzino che vicino "alle Acli", lungo il viale della stazione, cominciava a pulire qualcosa, spostandosi con il triciclo a pedali.
C'erano i vagoni di legno della terza classe, freddi sino a Gambettola. Poi hanno trasformato la terza classe in seconda. Stessa neve, stesso freddo sino a Gambettola, ma biglietto più caro.
In quel primo scorcio degli anni Sessanta, una volta di neve ne fece tanta che "le mucchie" in cui gli spalatori scesi dalla campagna ed i camion arrivati dalla città ne scaricarono una quantità tale che cominciò a sciogliersi soltanto a primavera inoltrata. Fu un fatto mitico. Una volta una mia allieva mi chiese se fosse vero quest'episodio che le aveva raccontato sua madre.
Nel 1969 ci fu il solito inverno. Facevamo un giornale, "il Corso", diretto da Gianni Bezzi, indimenticabile amico e grandissimo cronista, che usciva ogni dieci giorni. Per colpa della neve, ne saltammo un numero, a gennaio. Non ne facemmo un dramma. Eravamo consapevoli di non avere grandi mezzi oltre alle nostre scarpe, e ci accontentavamo del poco che si poteva ottenere.
Una volta in autobus, ascoltai un gustoso raccontino sul "nevone" del 1929, fatto da un signore di 75 anni. Il tono del discorso sarebbe piaciuto a don Francesco Fuschini, il prete scrittore che amava la gente semplice e sapeva comprendere le sue rivolte verbali.
Ripesco quella narrazione dagli appunti pubblicati sul web: "Cominciò a nevicare che era un martedì grasso. Molte ragazze delle campagne, che erano andate a ballare quella sera, lontano da casa, vi poterono far ritorno solo dopo quattro giorni. Il freddo? Ci si andava a scaldare nelle stalle".
Erano anni di miseria, spiegava quel signore: e il discorso balzava subito dall'economia alla politica. "Chi causava quella miseria? Ma i padroni. Le budelle dei padroni hanno il sangue succhiato ai poveri. Padroni e preti hanno rovinato la gente. La religione è l'oppio dei popoli. I preti studiano vent'anni per imbrogliare la gente. Le cose che debbo fare, a me le hanno insegnate mia mamma e mio babbo, non ho bisogno di preti. Pensi che nelle case dei contadini non c'erano neanche le finestre. Si mettevano le balle del fieno per ripararsi dal freddo. Allora c'era dalle nostre parti un signore, un certo Pozzi. Quando s'incontrava un contadino secco, magro, gli dicevamo: voi state da Pozzi. Lui ci chiedeva: sì, come lo sapete? Per forza, magro così, ci sono solo i contadini di Pozzi, era la risposta".
Di altre "belle" nevicate ne ricordo. Tra 1966 e 1968 ero in servizio a Bellaria. La macchina, la lasciavamo in garage. Il nostro preside ci guardava scendere dalla corriera come fossimo la nuova gioventù smidollata. Non avete il coraggio di percorrere dieci chilometri soltanto con un po' di ghiaccio, sembrava di leggergli nello sguardo leggermente ironico con cui ci attendeva sulla soglia della Scuola Media. Qualche giorno dopo, non c'era, mentre noi della corriera eravamo arrivati regolarmente. Una lastra di ghiaccio traditore lo aveva spedito dalla litoranea direttamente in spiaggia.

Antonio Montanari
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Tama 1067, 05.02.2012
Noiosi di Stato

Ho pagato regolarmente il canone tv, quindi posso confessare le mie antipatie di spettatore. Non sopporto le interviste di Fabio Fazio ai cantanti. Soprattutto se sono stranieri, come è successo il 22 gennaio con James Taylor che non avevo mai sentito nominare, e delle cui canzoni non ho compreso alcunché, non sapendo l'inglese. Fazio al solito si è liquefatto d'ammirazione davanti a lui, segno che Taylor è un artista celebre e degno del massimo rispetto. A volte le lunghe conversazioni tra Fazio ed i suoi ospiti musicali esteri, sono arricchite da graziose traduzioni che purtroppo mi sembrano noiose, trattando argomenti di cui non so nulla. Tutta colpa mia? Non credo, ci hanno cresciuto a pane, Carosone e Modugno per evitare Claudio Villa. Ed ero troppo vecchio per gli "Scarafaggi" inglesi.
Preferisco le scenette politiche che Fazio manda in onda, come l'intervista a Giulio Tremonti, l'uomo che sorride sempre e ti riconcilia con i governanti di ieri e di oggi. Nel 2005 propose una grande coalizione alla tedesca con programma opposto a quello della vera grande coalizione tedesca della signora Merkel. Nel 2007 chiese di fare l'alzabandiera nelle scuole. Nel 2008 previde un nuovo 1929, ovvero miseria a costo zero per tutti, accusando i compagni di partito di non rendersi conto di quanto stava succedendo. E riassunse la proposta di riforma scolastica avanzata dal ministro dell'istruzione Gelmini con lo slogan "Un voto, un libro e un maestro". Come se la confusione nella mente dei giovani nascesse dal confronto tra due libri, tra due maestri o tra due opinioni diverse. Come se si fosse voluto un "pensiero unico".
Il 18 settembre dello stesso 2008 dichiarò al "CorSera": "Non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo". Erano le stesse parole con cui il 7 luglio si era chiuso un editoriale della "Stampa", firmato da Domenico Siniscalco: "Non siamo alla fine del mondo. Quasi certamente siamo alla fine di un mondo".
Il massimo della simpatia, Tremonti lo ha riscosso il 22 gennaio quando ha ammesso che, per salvare l'economia italiana, "da agosto 2011 in poi qualcosa di più si poteva fare". Lui personalmente lo ha fatto, ha cominciato a scrivere il libro presentato da Fazio, "Uscita di sicurezza". Il titolo promette bene, ed è un ulteriore dato per il nostro conforto. Anche perché Tremonti non ha chiesto al prof. Monti di andare a casa, ma di andare avanti alla ricerca di quei soldi che lui non ha mai trovato. [Anno XXXI, n. 1067]

Antonio Montanari
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Anno XIV, n. 194, Febbraio 2012
1600. Date created: 28.01.2012. - Last Update: 20.02.2012, 16:20/
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