Diario italiano
Il Rimino 188, anno XIII
Agosto 2011


Tama 1051, 28.08.2011
Si fa presto a dire coraggio

Nadia Urbinati, studiosa concittadina che insegna Scienze politiche alla Columbia University di Nuova York, ha rilasciato un'interessante intervista al "Corriere di Romagna" (16.8). La si potrebbe riassumere con le tre parole che ha usato passando in rassegna i problemi di Rimini: la città ha bisogno di "coraggio per cambiare". Ci sia consentito di segnalare che alla prof. Urbinati va il merito di aver discusso del presente e del futuro di Rimini, senza citare Fellini che fa parte ormai della insopportabile retorica da "un tanto al chilo", alla quale nessuno vuole sottrarsi quando affronta simili questioni.
Nelle scorse settimane ci è capitato di descrivere lo spirito archeologico della vita politica locale che ha lasciato deperire il centro storico, afflitto dai ruderi di palazzo Lettimi, e dai fantasmi del teatro Galli e del meraviglioso anfiteatro svanito dalla memoria collettiva e dai progetti pubblici.
La prof. Urbinati ha dichiarato che il centro storico di Rimini è dominato da un "senso di sciatteria e di abbandono". E che il castello malatestiano "resta soffocato da un parcheggio". L'immagine della piazza principale della Rimini medievale, è oggi desolante. Per parecchio tempo alla città è stato offerto come tranquillante il sogno del fossato del castello che doveva rivoluzionare tutto, e che rassomiglia tanto al progetto del trasporto rapido costiero.
Sulla piazza del castello, la prof. Urbinati ha precisato: "Ancora una volta manca una visione di recupero. È un problema generale, mi sembra, non solo dei politici: gli operatori investono meno nella riqualificazione delle aziende turistiche che nell'acquisto di case, contribuendo così alla cementificazione. È una catena infernale della quale sembra che nessuno si renda conto. Ma non si può andare avanti a lungo...".
Circa il metrò di costa, la prof. Urbinati ha puntualizzato: a Bologna un esperimento simile "si è rivelato un bluff, un errore (carissimo)". Ed ha suggerito un'iniziativa politica rivolta a far dirottare i fondi del trasporto rapido costiero verso l'emergenza attuale, "il vero problema urgente: la salute del mare". E questo perché il nostro sistema fognario è stato costruito "per un Comune che non aveva la popolazione della capitale del turismo".
La stoccata più severa è nel passo in cui la prof. Urbinati sintetizza la propria opinione sul mondo riminese: in tutte le sue componenti politiche e civili, esso da varie generazioni ha una visione miope dei problemi. [XXX, 1051]

Antonio Montanari
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Rimini 150. In poche parole.
La vita nei borghi

La popolazione di Rimini del 1862 è calcolata per 4 rioni di città, per 4 borghi e per la campagna. Sono 33.272 persone. Metà nella campagna (16.398) e metà fra rioni e borghi (16.874). Le famiglie sono 6.349 con 5,24 persone per nucleo. Case abitate, 4.432. Ognuna ha 7,50 persone. Case vuote, sono 155.
Nel primo censimento regio (1861) la popolazione di fatto era sempre di 33.272 (17.427 maschi e 15.845 donne), mentre la popolazione di diritto scendeva a 32.860 (-412). Poco cambia nel 1871, con un aumento totale di 614 unità (+1,85%), delle quali 499 sono in campagna.
I dati delle singole zone, registrati nel 1862 e nel 1871 dimostrano: i rioni scendono da 10.413 a 9.747 (-666 unità, 6.40%); i borghi crescono di 781 unità (+12,09%), passando da 6.461 abitanti a 7.242. Campagna: quei 499 abitanti aumentati sono un +3,04%.
Fra 1862 e 1871 la popolazione totale aumenta di 614 unità. I quattro rioni di città con 666 abitanti in meno, perdono un 8,12% nel 1871 (sono al 28,76%) rispetto ai dati globali del 1862 (31,3%). La popolazione dei borghi aumenta di 781 unità, con un dato relativo all'incidenza degli stessi borghi sull'intera popolazione pari al +16.02. Per la campagna le 499 persone in più fanno crescere il dato relativo all'intera popolazione dal 49,28 al 49,86% (+1,18%).
Il centro della città (rioni) perde abitanti che vanno soprattutto nei borghi. Siamo qui al 1871. Nel 1816 gli abitanti registrati a Rimini Comune sono 21.581. Saranno 33.552 nel 1865, 34.799 nel 1870 e 33.886 nel 1871. Nel 1859 gli aventi diritto al voto per il Municipio sono 2.500. Per le elezioni politiche del 1860 gli iscritti sono 575. Nel 1913 gli aventi diritto al voto passano da 6.466 a quasi 22 mila con il suffragio universale diretto.
Nel 1861 un terzo dei cittadini vive delle industrie e delle attività portuali, messe in ombra dal turismo. Nel 1843 la "classe infelice" dei marinai si dichiarava costituire un quarto della popolazione riminese. Nel 1856, documenta il gonfaloniere, l'attività portuale è "l'unico mezzo di alimento" per "più di cinque mila persone dedite specialmente ai negozi marittimi d'ogni specie". Nel 1857 risultano attivi 199 navigli, con 23 capitani mercantili, 65 "paroni di piccolo corso" ed 820 marinai in genere, per un totale di 908 addetti. Nel 1861 il personale di marina nel porto di Rimini raggiunge un totale di 1.659 addetti (1.165 per il commercio e 494 per la pesca), per 123 navigli: 46 da commercio e 77 da pesca. (15. Continua)

Antonio Montanari
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Tama 1050, 07.08.2011
Si fa presto a dire Roma

Nello spirito archeologico della nostra politica, non ci sono soltanto i ruderi di Palazzo Lettimi, i cento progetti per il Teatro Galli, l'ex convento di San Francesco destinato a Biblioteca dell'Università, e la torre libraria gambalunghiana sognata dal 1956. C'è pure una grande offesa al nostro passato: l'Anfiteatro romano dimenticato da quasi tutti. L'ing. Luciano Gorini anche di recente ne proponeva la riscoperta, ovvero la rimozione di tutto ciò che impedisce di apprezzarne la maestosità. Di forma ovale, misura 120 per 91 metri. Sugli scavi del 1843-44 scrisse Luigi Tonini, augurandosi che ne fossero fatti altri per "non comune esempio di patria carità".
L'Anfiteatro sorge tra Ausa e Marecchia di una volta. Vicino cioè ai due antichi porti, il più vecchio dell'Ausa (XI sec.) e l'altro sul Marecchia (XIV). Nel 1760 Giovanni Bianchi calcola che tra la torre dell'Ausa sul mare e le mura cittadine, c'erano 316 piedi riminesi (172 metri), mentre ai suoi tempi la distanza delle stesse mura dalla linea del mare, è di 1.300 piedi, 708 metri.
Che cosa fosse successo non lo sapevano né Bianchi né Tonini: è ciò che mezzo secolo fa ci facevano studiare in pesanti libri di testo di Scienze. Dove, senza preoccuparsi di facilitare l'apprendimento, gli autori ci avvertivano che esiste l'opera continua degli agenti che modificano la plastica terreste, con fenomeni di colmamento e di sedimentazione. Opera "che continua ancora oggi nell'epoca in cui viviamo".
Se tornasse all'aria, l'Anfiteatro potrebbe servire pure all'insegnamento delle Scienze che oggi sono molto trascurate. Della loro parte geologica dovrebbero occuparsi pure quanti discorrono di Storia. Prendendo come punto di riferimento il Delta del Po.
Sull'Anfiteatro avremmo voluto chiedere qualcosa al nuovo Assessore alla Cultura. Ma ce ne tratteniamo, dato che il Sindaco ha avvertito tutti gli Assessori di parlare poco con i cronisti, come brillantemente ha spiegato Marco Letta sul "Corriere di Rimini" del 31 luglio. Giorno in cui lo stesso Assessore alla Cultura è stato intervistato da Vera Bessone del medesimo giornale, dando un'anticipazione di peso. Circa i due dirigenti della Cultura e della Biblioteca andati in pensione, ha detto che per ora non ha deciso nulla. Per le casse del Comune e le tasche dei cittadini, gli auguriamo di scegliere una delle ipotesi che presenta: "Organizzare un assetto interno con le figure esistenti". Ovvero la gente che c'è già, basta ed avanza. [XXX, 1050]

Antonio Montanari
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Anno XIII, n. 188, Agosto 2011
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