Diario italiano
Il Rimino 179, anno XII
Novembre 2010

Tama 1017, 28.11.2010
La reginetta fatta strega

Non siamo nel mondo delle favole. Ma in quello più favoloso della politica. Estate 1997, il curriculum della signorina Mara Carfagna s'arricchisce con il titolo d'un giornale di Salerno, "Ecco la prima reginetta". Al concorso di Miss Italia arriva sesta. Poi ci sono le esibizioni televisive, apprezzabili per l'invisibile lavoro delle costumiste, che tuttora inquieta il vecchio giornalista Paolo Guzzanti. Il quale nel luglio 2008, messo davanti alla scelta se difendere la propria figlia Sabina o restare fedele a Berlusconi, non esita. Sabina ha detto cose pesanti sulla carriera di Mara. E Mara ha risposto qualificando Sabina come "la figlia del nostro deputato Paolo Guzzanti". Ancor oggi il padre s'indigna: "Era un messaggio mafioso".
Ed oggi (21 novembre) sul Mattino di Napoli, il ministro Carfagna espone il calendario dei suoi impegni politici. Per il 14 dicembre, voto di fiducia al governo Berlusconi. Per il 15 dicembre, dimissioni dal governo (dove siede dal 2008), dal Parlamento (è deputato dal 2006) e dal partito dove è nata. Il cui capo nel frattempo ha scherzato con lei ai Telegatti (2007): "Se non fossi già sposato, la sposerei subito". Veronica Lario chiese "pubbliche scuse".
Mara Carfagna da reginetta dello spettacolo è diventata la strega della politica, attaccata come traditrice anche da qualche signora sua collega con modi per cui il più aggraziato e gentile di tutti appare Paolo Guzzanti quando la qualifica zarina.
Tutto ciò ci illumina sulle magnifiche sorti e progressive dell'Italia. L'episodio contiene la sintesi di quanto era stato promesso e non è accaduto. Dovevamo realizzare un sistema bipolare perfetto, una Repubblica con posti di lavoro per tutti, meno tasse per tutti ed il sorriso sulle labbra di tutti. Invece ha smesso di sorridere persino Veltroni, che non è andato in Africa, ma è rimasto qui a marcare Bersani. Il quale marca la Bindi, la quale marca tutti gli altri che sono tanti e non ricordiamo più nella scala gerarchica.
L'opposizione governativa di Milano ha visto trionfare alle primarie l'opposizione vendoliana a Bersani. A Bologna, sempre per le primarie, non si comprende più nulla. Uno spazientito Arturo Parisi dice: il Pd è "vittima di pulsioni incontenibili che contrastano con lo spirito democratico" delle stesse primarie. E come ciliegina sulla torta, qui da noi c'è la crisi al Comune di Cattolica. Con due gentili signore mai state reginette ma ora divenute streghe. Da epurare. [1017]


Antonio Montanari
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Tama 1016, 21.11.2010
Venere immigrata e clandestina

La storia di una Venere immigrata dal 1988 negli Usa ed in procinto di ritornare in Sicilia ad Aidone (un tempo Morgantina), dove però non ha casa, è stata raccontata da Laura Anello sulla Stampa.
Abbiamo dossier segreti in merito. Venere è una statua scolpita nella Magna Grecia (V sec. a. C.), rubata dai tombaroli, comprata nel 1988 per 10 milioni di dollari dal Paul Getty Museum di Malibu (Usa), ed ora restituitaci per intervento dell'allora ministro Francesco Rutelli (2007).
Le nostre informazioni parlano chiaro. Un competente ufficio italiano ha diramato l'ordine di servizio di interpellare Venere di Malibu, aggiungendo che si trattava di una miss di origine africana che avrebbe potuto essere valorizzata in trasmissioni televisive. All'ordine si è risposto con un verbale di accertamento sul posto, precisando che raggiunta Malibu nel Nord-Est dell'Africa, della predetta Venere si erano perse le tracce a causa di inchiesta giornalistica del quotidiano La Repubblica che aveva cominciato a spargere i consueti veleni.
Un terzo documento parla dell'intenzione di allestire un servizio fotografico della predetta Venere da sottoporre a personaggi che già in passato hanno visionato volti nuovi per feste principesche di un uomo politico non meglio precisato negli atti, per non favorire la diffusione di indiscrezioni nocive alla pubblica opinione e decenza.
C'è poi un verbale redatto da un non identificato servizio segreto, in cui si legge che la predetta Venere di Malibu, espressamente contattata nel suo luogo di origine (che si precisa trovarsi nella parte Ovest del continente africano e non in quella Est), rifiutava di rispondere. Per cui al responsabile dello stesso servizio restava il dovere di ipotizzare nuove linee di ricerca nelle indagini. Per le quali si attendeva ulteriore conferma in via gerarchica.
Dato che tutte le strade portano a Roma, anche la via gerarchica si trovò sulla stessa rotta, accorgendosi suo malgrado che la Venere di Malibu non era, come quella ballerina (di cui alle recenti cronache milanesi), nipote d'Egitto d'un capo di Stato, ma oggetto marmoreo in sosta negli States, in attesa di decreto di espatrio. Per il quale si richiedeva l'intervento della Commissione antimafia e di quella di Controllo sui servizi sanitari, ricercando una igienista dentale come avvenuto per la ballerina di Milano, che potesse far tornare il sorriso pure alla mesta Venere di Malibu, o di Morgantina, tuttora clandestina. [1016]


Antonio Montanari
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Voltaire e noi
Philosophe oppure giornalista?

Esce oggi 11 novembre 2010 l'intervista immaginaria di Giulio Giorello a Voltaire, che comincia: "Monsieur le philosophe...".

La settimana scorsa Sergio Romano, introducendo il trattato "Sulla tolleranza" dello stesso Voltaire, lo definiva invece "giornalista" ("anche se la parola può sembrare riduttiva") perché "non fu mai un filosofo, nel senso corrente della parola". Anche se, osserva, lo stesso Voltaire si sarebbe definito "philosophe".

Silvia Ronchey nelle recenti "Vite più che vere di persone illustri" (raccolte sotto il titolo de "Il guscio della tartaruga"), lo chiama "un aristocratico del pensiero" perché così ritiene che lui si considerasse. E lo riassume in questi termini: "François-Marie Arouet fu un avvocato, un libertino, un detenuto, uno speculatore, un viaggiatore, un polemista, un cortigiano, un filosofo, un commediografo, un tragediografo, un narratore. Si chiamò anche Voltaire".

Forse il problema di tutte le biografie sta qui, in quell'essere "anche" quello che poi una persona appare ai posteri.
L'editore di Ronchey spiega alla fine del libro il senso del titolo ("Il guscio della tartaruga"): il guscio è più largo del corpo della tartaruga ed è coperto da un mosaico di scaglie. "Anche queste vite sono un mosaico".
Come (aggiungiamo) forse quelle di tutti noi. Il guaio della Storia è che spesso delle vite ordinarie si perdono le tessere, e nessuno si cura di recuperarle.

Per le esistenze straordinarie, invece, si fa a gara a cercar etichette.
Ronchey insegna che è meglio abbondare nell'elenco.
Giorello, che bisogna adottarne una per semplificare le cose, usando l'immagine più semplice e per questo efficace.
Invece Romano cancella tutto il nuovo che la nuova filosofia dei nuovi filosofi del Settecento suggerisce. Il "giornalista Voltaire" agli occhi di Romano ha però una missione politica da compiere, quella di insegnare a contemporanei e posteri il valore della tolleranza, negata dal processo a Jean Calas, accusato d'aver ucciso il figlio per non farlo convertire alla fede cattolica, e poi condannato a morte.

Recente è anche l'edizione del trattato curata da Sergio Luzzato, in cui si racconta come nel 1949 esso divenne un "testo di riferimento" dell'allora Pci, per la traduzione che ne fece Palmiro Togliatti.
Lo storico Luzzato scrive un'intelligente pagina provocatoria che conclude efficacemente: "il paradosso italiano di un Voltaire confiscato dai comunisti", deriva dalla "relativa indifferenza (per non dire l'altezzosa sufficienza) con cui il liberalismo nostrano", tutto "impregnato di umori spiritualisti", aveva guardato "alla materialistica epoca dei Lumi".


Antonio Montanari
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Tama 1015, 14.11.2010
Se crollano i gladiatori

La scuola dei gladiatori di Pompei è crollata. Forse un giorno si saprà se per colpa della ministra Gelmini, intenta a favorire i gracili figli della Lega o le muscolose ragazze in fiore del suo partito. Alcune di loro si esibiscono già nelle arene tv con la grinta ridicola di chi sostiene tesi infondate. Come quella sui colpi di pistola indirizzati al direttore di un quotidiano filogovernativo, Belpietro. A sparare è stato soltanto il capo-scorta del giornalista. E non si sa ancora contro chi.
Nella scuola pompeiana si radunava la maschia gioventù portata poi ad esempio per i giovani italiani nel Ventennio. Sono nato nel 1942 e sono stato soltanto figlio della Lupa. Me ne è bastato perché le prime immagini che ricordo sono quelle della guerra appena conclusa. Non so quali memorie conservi chi ha vanamente proposto di far cantare a Sanremo, da qualche gladiatore d'avanspettacolo magari in mutande di pizzo, l'inno fascista intitolato "Giovinezza". In mutande di pizzo e con trucco pesante da gladiatore suonato, farei salire sul palcoscenico del festival canzonettaro il principino ballerino di Casa Savoia.
Per gli esperti ci sono indicatori precisi con cui misurare il grado di evoluzione della società. Da questo paniere culturale vorrei buttar via parecchie cose imposte a tutti con i soldi di tutti per far fare bella figura a pochi: dai plastici dei vari delitti che esibisce Bruno Vespa, ai cretinismi delle notizie offerte dai tg con resoconti annacquati e verità dei fatti sterilizzata.
Seguirei i suggerimenti dell'Onu per calcolare l'Indice di Sviluppo Umano 2010: oltre il prodotto interno lordo, ci sono pure scuola e salute. E poi ascolterei volentieri dibattiti in tv su queste parole del governatore di BankItalia, Mario Draghi: "I giovani pagano la crisi", per cui occorre dare loro una prospettiva di certezza con un posto fisso ai precari. Che ora sono quasi sei milioni.
Obama ha perso le elezioni, e se ne è assunto la responsabilità. Da noi non usa. Piero Ostellino ci spiega che le idee di Obama sono sbagliate: soltanto il Partito del The capisce i bisogni dell'individuo. Lo scrittore Moisés Naìm ritiene invece che se esso governasse, ad Africa e Asia andrebbero meno aiuti con conseguenze drammatiche.
Giuseppe De Rita per l'Italia si accontenterebbe di un governo dei miti. Che non sono il plurale di mito. C'è già chi si considera tale. Ed ha fatto scuola. Bersani lontano dai giovani del Pd sembrava un vecchio gladiatore. [1015]


Antonio Montanari
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Tama 1014, 07.11.2010
Apparire soltanto nei titoli di coda

All'apertura del Festival del Cinema di Roma c'è stata una manifestazione di protesta di circa 1.500 operatori dello spettacolo con uno slogan intelligente: "Nei titoli di coda c'è gente che lavora". Sfilavano sul tappeto rosso steso per politici e divi.
Sono in tanti e dovunque, quanti non possono ambire ai titoli di testa, ma sono confinati in quelli di coda. Che nessuno legge, anche se si dovrebbe farlo, perché ci sono i nomi di chi manda avanti l'Italia. In fondo alla lista, e quasi invisibili, vengono i quasi cinque milioni di immigrati che regalano al fisco un miliardo di euro perché versano più di quanto ricevano in servizi; ci pagano sanità e pensioni; e fanno l'11 per cento del prodotto interno lordo (Ventesimo Dossier sull'Immigrazione, della Caritas).
Altre cifre per altri nomi dei titoli di coda. Le famiglie sono in crisi, due su tre non possono risparmiare nulla, operai ed insegnanti sono quelli che stanno peggio (fonte, Ipsos-Acri). La Cei ha denunciato che la famiglia italiana è spesso lasciata sola e tradita dalla mancanza di sostegni anche sociali, fiscali ed economici.
A Bologna don Luigi Ciotti è stato premiato in una manifestazione curata dal prof. Andrea Segré contro lo spreco alimentare. Anche gli ultimissimi nei titoli di coda potrebbero avere lo stomaco pieno se fossimo tutti attenti a pretendere un'organizzazione commerciale più a misura d'uomo che a quella dei miti pubblicitari: una mela è buona anche se non è bella per un colpo di grandine. Don Ciotti rappresenta l'ideale del recupero al mondo delle persone scartate, che droga e mafia avevano avvilito o distrutto.
Chi muove l'economia? Il sen. Lamberto Dini (Pdl) sulla "Stampa" ha osservato: le banche, che dovrebbero favorire gli investimenti, forse non sono adatte abbastanza allo scopo, e le fondazioni da cui esse dipendono rischiano di essere "un azionista di controllo pericoloso per la sana e prudente gestione" e la stabilità delle banche medesime. In parole povere: le fondazioni vogliono soltanto far soldi con le banche, magari per finanziare "la locale università".
Il prof. Marco Cammelli a Bologna presiede la Fondazione del Monte. A chi gli offre una candidatura a sindaco risponde: "Chi distribuisce denaro dovrebbe star lontano da ruoli pubblici". Le sue regole elementari del gioco sono due: se di quei soldi ne beneficia una sola parte non è bene; se il vantaggio è di tutti ecco un motivo in più per astenersi dal concorrere. A Bologna. [1014]


Antonio Montanari
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Anno XII, n. 179, Novembre 2010
1397. Date created: 01.11.2010 - Last Update: 22.11.2010, 17:10/
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