il Rimino 2009


Il Rimino 160, anno XI
Aprile 2009
Diario italiano

26.04.2009
Siamo figli di Yalta

Parlare oggi del 25 aprile 1945 senza ricordare il contesto internazionale di allora, è un esercizio retorico da populismo sovietico.
Gli alleati tra l'ottobre 1944 (conferenza di Mosca) e l'appuntamento di Yalta (4 febbraio 1945), dividono l'Europa in sfere d'influenza. L'Italia è posta in quella "americana".
Ad Yalta s'incontrano Roosevelt, Stalin e Churchill, quattordici mesi dopo la conferenza di Teheran (28.11-2.12.1943). Qui si erano decisi lo sbarco nel nord della Francia e l'avanzata sul fronte italiano sino ad una linea Pisa-Rimini.
Dopo Yalta, l'Italia non poteva cambiare campo. Lo raccontano le storie pubbliche e segrete (vedi "Gladio").
Immaginare oggi altre ipotesi, significa ignorare colpevolmente la Storia politica e diplomatica del mondo.
Il 30 aprile 1945, mentre i russi entrano a Berlino, Hitler si uccide nel bunker sotterraneo dove era stata trasferita la sede del governo tedesco. La Germania chiede la resa. Nella notte fra l'8 ed il 9 maggio finisce la guerra europea. Il conflitto continua in Estremo Oriente, con il Giappone isolato ma ostinato.
Le discussioni del giorno dopo il discorso di Berlusconi ad Onna, sono centrate (per dirla parole di Eugenio Scalfari da "Repubblica"), sul passo in avanti compiuto con il riconoscimento della Resistenza, e sul passo indietro "verso il populisno autoritario".
Ma quel passo in avanti (con la consapevolezza che la nostra Costituzione è frutto della Resistenza), finisce per essere qualcosa di equivoco.
Berlusconi ha parlato delle minacce del totalitarismo sia di ieri sia di oggi, ignorando appunto il contesto internazionale (Yalta) che ha impedito a quel totalitarismo di affacciarsi sulla penisola. Non sono stati bravi gli italiani a restare democratici, sono stati i tre Grandi, in tempi duri e difficili, a metterci nella condizione di esserne immuni.
Questo dimenticare la Storia è tipico del populismo di ogni latitudine. E di chi in suo nome vuole "riscrivere" la Storia per offrircene un'interpretazione diversa da quella che deriva dai fatti. A proprio uso, consumo e (soprattutto) utile.
E' l'atteggiamento di chi agisce con un istinto "predone" che lo storico Sergio Luzzatto ha attribuito giustamente a Berlusconi per essersi impossessato del 25 aprile. Con la impudica sfrontatezza di chi ha persino proposto di cambiare il nome di "festa della Liberazione" in quella "della Libertà". Come recita il logoe del partito del premier. Come se quella "Libertà" non fosse nata come è nata nel 1945, ma derivasse da graziosa concessione dei politici attualmente al governo. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.

25.04.2009
Il muro di Arcore

Come quello di Berlino, è caduto anche il muro di Arcore. Berlusconi lo aveva innalzato contro gli oppositori del governo e della sua linea politica. Li aveva definiti "coglioni", in campagna elettorale.
Adesso, alla sua prima uscita pubblica per un 25 aprile, ha cambiato registro.
Le rovine del muro di Arcore sono finite assieme a quelle di un paese dell'Abruzzo terremotato, Onna.
Dove è andato a commemorare l'eccidio del giugno 1944, dopo esser stato a fianco di Napolitano all'altare della Patria a Roma.
Da Onna il premier ha invocato una "democrazia pacificata" arrivando con un ritardo di molti decenni (facciamo sei?) a scoprire che la nostra Costituzione è espressione della Resistenza, è frutto del sacrificio di tante persone che avevano idee politiche diverse, ma erano state unite dalla volontà di liberare l'Italia dal nemico tedesco e dal suo alleato repubblichino.
Berlusconi è arrivato a parlare di "democrazia pacificata" perché lo hanno "convinto" sia Napolitano sia Ciampi con i loro pubblici interventi.
Il presidente della Repubblica Napolitano oggi ha rappresentato la memoria. Il capo del governo è stato invece costretto a riverniciare il proprio passato con un'operazione che, purtroppo, appare essere frutto soltanto di strategia elettorale.
Ha dovuto pronunciare la parola "partigiani". Ha citato il 18 aprile come vittoria della tradizione liberale e cristiana, candidandosi (lo aveva già fatto in passato) ad ideale erede di De Gasperi. Tra i resistenti ha ricordato pure socialisti e comunisti.
Ha paragonato i nazisti al terremoto, e viceversa, riferendosi al giugno 1944 di Onna ed al dramma di oggi.
Ad Onna la prima vittima fu una ragazza, Cristina Papola. Suo fratello, ultimo testimone della strage, è stato l'altro ieri l'ultima vittima del terremoto.
I tedeschi nel 1944 volevano rubare un cavallo, Cristina Papola si oppose, chiese aiuto. Dopo avvenne la rappresaglia.
A guidare i nazisti, ha raccontato Roberto Pezzopane, 80 anni meno un mese, a Jenner Meletti di "Repubblica", "fu però un fascista italiano. Scappò dopo la Liberazione, non è mai più tornato".
Il premier ha pronunciato la formula di "democrazia pacificata". Ma non sa forse che la parola pacificazione ha radici lontane.
Il 2 agosto 1921, Mussolini cercò invano di eliminare dal suo partito le punte estremistiche ed eversive dello squadrismo agrario, e propose un patto di pacificazione col partito socialista e con i sindacati, che durò soltanto fino a novembre.
1943. A Ferrara il federale Igino Ghisellini "propone un accordo con i partiti antifascisti" e "concorda una tregua tra le parti".
La sua è una "posizione tollerante" che si scontra con la linea dura di Pavolini, Farinacci, Ricci e Mezzasoma.
A rimetterci è lo stesso Ghisellini: egli avrebbe voluto portare al congresso del pfr a Verona (14 novembre 1943) il suo progetto di pacificazione nazionale, di accordo con i partiti antifascisti e di tolleranza per i protagonisti del colpo di Stato del 25 luglio. Ma proprio quel 14 novembre Ghisellini è ucciso in modo misterioso.
Viaggia in auto. Il suo corpo, trapassato da sei colpi di rivoltella, è trovato senza stivali e senza portafogli nella cunetta della strada provinciale che porta al paesino dov'era sfollato.
L'assassinio è attribuito ai partigiani, anche se i carabinieri dimostrano che il federale è stato ucciso da qualcuno che viaggiava con lui.
In seguito si diffonde la voce che Ghisellini è stato ammazzato dai suoi. Lo stesso 14 novembre avviene la vendetta nella città di Ghisellini, a Ferrara, con i tredici martiri del Castello.

24.04.2009
I giorni dell'ira, 1943-1944

I giorni dell'ira sono quelli della guerra, tra settembre 1943 e settembre 1944. Ne parlo in un vecchio libro (che appunto s'intitola "I giorni dell'ira") che si può leggere integralmente da questa pagina.
"Bisogna avere il coraggio di confessare e di riconoscere le piaghe e le ferite dell’uomo malato, spogliarle dei cenci vergognosi con i quali si cerca di mascherarle. Se non si conosce il male, se non lo si riconosce, come si può guarirlo?"
Jean-Marie Lustiger, Cardinale di Parigi, 1989
"Mai forse come allora si toccò con mano quale barbarie potesse produrre il delirio della potenza."
Noberto Bobbio, 1997

23.04.2009
Ladro e servo?

Il satirico Vauro, ieri sera ospite della televisiva Lilli Gruber, ha ricevuto la patente di ladro e di servo da una onorevole sostenitrice del governo della "libertà".
Accuse ed offese sono state pronunciate dalla onorevole con il sorriso sulle labbra. Come dovevano averlo anche le "preziose" dame del Settecento francese ridicolizzate da Molière.
Ce n'era una, mademoiselle Madeleine de Scudéry passata alla storia come poetessa. Ovvero l'equivalente professionale all'odierna deputatessa. Nel senso che anch'ella giocava giovialmente con le parole strane o non consuete.
In quest'Italia del governo della "libertà", infatti un servo è merce molto rara, per cui dovrebbe essere non vilipeso ma tutelato come esemplare darwiniano di una specie in via d'estinzione.
Secondo la "fenomenologia dello spirito" di queste belle dame di spirito, anche la patente di ladro diventa un oggetto di rarità antiquaria, visto che certi reati sono stati cancellati per via politica (falso in bilancio, rammentate madama?).
Se poi, per sola ipotesi, la deputatessa fosse giunta alla conclusione che il satirico Vauro è servo e ladro semplicemente perché autocertificatosi "comunista", allora dovremmo regolare la nostra logica sino a considerare certi soggetti circolanti beatamente in Italia, come appartenenti alla stessa ideologia politica perché nei fatti risultato abituati a giorni alterni ad essere ladri per sé e servi verso gli altri.
La parte più preoccupante dell'intervento della deputatessa "preziosa" è stata quando ella ha sollecitato il satirico ad avere le palle per piacere a lei. E soprattutto per difendere la comune civiltà cristiana a cui entrambi, la gentile signora e lo spernacchiato satirico, appartengono.
Avendo noi personalmente sempre distinto, dall'età della ragione in poi, la rivoluzione introdotta dal Vangelo dai roghi dell'inquisizione romana in nome della superiore civiltà cristiana, ci piacerebbe che le signore (senza o con le palle) apprezzassero più il perdono per eventuali peccati che l'intimazione ai satirici a tirar fuori le palle contro le altre religioni.
Se poi vogliamo accantonare i discorsi finti come quello della comune e superiore civiltà cristiana, e scendere nel concreto, possiamo aggiungere: la qualifica di "servo e ladro" attribuita ad un satirico per aver ironizzato sui progetti governativi di edilizia ampliata, è indice di una mentalità padronale. Grazie alla quale conta soltanto il pensiero di chi comanda e non è ammessa per nessuno alcuna deviazione da esso.
Il potere va sempre comunque e dovunque osannato. Chi dissente è soltanto servo e ladro. Peccato che Vauro sia soltanto un maschio. In caso di sesso femminile, avrebbe anche avuto la patente di "donna pubblica" o puttana. Ma sappiamo essere il satirico così indulgente, che immaginiamo egli possa benevolmente considerarsi colpito anche da tale etichetta, tanto per accontentare la signora. Che lo ha aggredito nella trasmissione della Lilli, impedendogli di parlare, appunto in nome dei princìpi del governo della "libertà".
E come diceva Pomponio Attico, "Libertà 'sto c...". Perché in fin dei conti, esso ('sto c...) è inseparabile dalle palle evocate ripetutamente dalla deputatessa, come già spiegava molti secoli fa Quintiliano in pagine ancora oggi studiate nel "Grande fratello".
Ma quando per tutta una trasmissione della Lilli la deputatessa invoca le palle per il satirico, a noi poveri spettatori spaventati non resta che la plebea espressione: "Ma che palle!".
"Preziose" definirono le madame settecentesche, ma "ridicole" aggiunsero pure. Non non possiamo permetterci il secondo aggettivo dato che viviamo sotto il governo della "libertà" che gradisce tutto tranne la libertà pensiero.

22.04.2009
Non dimenticare

"Non dimenticare", dev'essere il nostro impegno, ha detto Carlo Azeglio Ciampi al "Corriere della Sera" di oggi, riferendosi alla celebrazione del 25 aprile.
"Non dimenticare" significa ricordare che la lotta contro il nazifascismo fu lotta armata (non disputa da bar come succede oggi da parte del premier o di alcuni ministri del suo governo).
Lotta armata che vide scendere in campo, aggiunge Ciampi, cattolici, comunisti, socialisti, liberali, monarchici che "abbracciarono valori differenti" ma battendosi "per lo stesso obiettivo".
Questo il governo in carica deve comprendere, l'obiettivo fu unico, sconfiggere i nazisti ed i fascisti della "repubblichina". Obiettivo da raggiungere assieme ai nuovi alleati.
All'obiettivo unico che vide forze divergenti unirsi per realizzare la democrazia in Italia dopo la dittatura fascista, sacrificarono le loro vite giovani in armi con le stellette del Regno, giovani "banditi" delle singole formazioni partigiane e tanti, tanti soldati delle truppe alleate. I loro cimiteri di guerra sono lì per tutti noi, a testimonianza di un passato che non deve passare, perché dobbiamo ricordare il loro sacrificio.
I comandanti alleati sapevano che noi avevamo firmato l'armistizio l'8 settembre, ma non avevamo voluto pubblicarlo subito.
Da allora ad oggi le diplomazie internazionali ricordano quelle "titubanze" (per usare un eufemismo), ed il tradimento del sovrano compiuto con la fuga da Roma così come lo aveva compiuto dando il potere a Mussolini dopo la "marcia" del 1922.
All'unico obiettivo che ebbero forze politicamente divergenti, oggi si tenta di sostituire un "pensiero unico" ossessionato dalle parole del premier: non lasciare il 25 aprile alla sinistra.
Una sinistra che oggi non c'è, una sinistra che non è tutta l'opposizione, mentre molti uomini di sinistra del tempo che fu come i repubblicani, sono finiti tra le fila del cavaliere.
Le polemiche passano con il loro carico di ridicolo se sono condotte senza un minimo di logica nel rispetto della Storia.
Ascoltiamo ancora una volta un testimone del tempo come Ciampi. Che da capo dello Stato rifiutò di istituire "una nuova onorificenza per i combattenti di ambo le parti": "Il giudizio storico su Salò non può dimenticare che quell'avventura appoggiò la causa del nazismo".
Qui sta il problema, Fini lo ha compreso da tempo, come dice anche Ciampi. Berlusconi no. Perché si fa ossessionare dal fantasma di un comunismo che considera categoria politica sotto il cui manto vede ricoverati tutti quanti non la pensano come lui.
E' un pericoloso atteggiamento maniacale, pericoloso proprio sotto il profilo politico, perché non favorisce la discussione storiografica seria, ma soltanto il vuoto mentale. Mentre la democrazia richiede che i cittadini abbiano seria consapevolezza dei problemi che deve affrontare ogni giorno la società di cui fanno parte e che è il prodotto collettivo delle loro scelte individuali.

20.04.2009
L'Indro furioso

A cent'anni dalla nascita, 22 aprile 1909, che cosa resta di Indro Montanelli nella cultura italiana?
In una vecchia intervista radiofonica riproposta pochi giorni fa da Radio3, egli stesso diceva di aver studiato bene soltanto la Storia (e di non sapere nulla di Diritto, nonostante la laurea in Legge).
La confessione ha un fondamento di verità al cento per cento. Sono sempre stato un ammiratore del Montanelli storico.
A molti cattedratici la definizione fa venire l'orticaria. Comprensibile il fatto, ma la verità va rispettata.
Leggete una pagina qualsiasi dei suoi tanti volumi della "Storia d'Italia", e avrete la prova di uno che non parla a vanvera, è documentato, sa come si studiano gli argomenti. E soprattutto sa rendere simpatica la materia perché ha sempre un taglio preciso nel presentarne gli aspetti più segreti o strani.
Se nei famosi "Incontri" sulla terza pagina del "Corriere", il giornalista Montanelli inventava particolari per creare il ritratto generale del personaggio presentato, le pagine storiche non concedono scorciatoie. Si potranno discutere i giudizi che egli offre, non mettere in dubbio il percorso compiuto per arrivare ad essi.
La Storia per lui (come autore) è un Olimpio in cui siede pacificamente, rappacificato con se stesso e con la cronaca.
Invece la cronaca è il tormento, è lo scontro, è il torrente che travolge e ridimensiona il protagonista, quell'Indro furioso beatificato, osannato, vituperato e persino "sparato" dal terrorismo.
Se leggiamo la biografia di Montanelli, di cui è apparso da poco il secondo tomo, composta da Sandro Gerbi e Raffaele Liucci (Einaudi ed.), ci accorgiamo che l'uomo, il cronista, l'imprenditore-direttore sono meno "controcorrente" di quanto li si vuole accreditare. E non per colpa, forse, dello stesso Montanelli.
Ripesco una lettera che Montanelli scrive il 20 ottobre 1949 da Palermo ad un'amica (fonte, Fondazione Montanelli Basso): "Di questo mio viaggio, ti risparmio la parte descrittiva: l'ho già anche troppo sfruttata nei miei articoli, che Gaetanino Afeltra, ieri sera al telefono, ebbe la bontà di definire «esaurienti». In realtà essi non hanno esaurito nulla, perché le cose più importanti ho dovuto, come sempre, lasciarle nella penna".
Il silenzio come dato di fatto, imposto, non è una colpa da fargli. Ma una diagnosi, rivelata a posteriori da lui stesso. C'est la vie. Nulla di cui scandalizzarsi.
Nel secondo tomo dell'opera di Gerbi-Liucci, si ricostruisce tutta la storia dei rapporti fra Montanelli e Berlusconi. Chiusi dal "clamoroso divorzio" (p. 229).
Non è più una storia personale, diventa l'affresco della politica italiana. Con il più conservatore dei grandi giornalisti italiani, letteralmente schiacciato dall'apparato economico del suo proprietario-padrone.
Dentro questo apparato, appare un Emilio Fede "tra il mellifluo e il sarcastico" (p. 225) che la sera del 6 gennaio 1994 dal "TG4" invita Montanelli "a dare le dimissioni, visto che il rapporto fiduciario con il suo editore è ormai venuto meno", come osservano Gerbi-Liucci.
Paolo Bonaiuti, allora vicedirettore vicario del "Messaggero" (e poi portavoce di Berlusconi), attacca Fede e difende Montanelli: si tratta di "una lezione di intolleranza" che, per le sue "lontane tentazioni da Minculpop", lasciava "sbigottiti".
Vien da ridere nel leggere tutto ciò, ben documentato e messo in pagina da Gerbi-Liucci.
Ma viene anche un fitto velo di tristezza nel sentir parlare (p. 191) dei due "abboccamenti clandestini" avuti da Montanelli con Licio Gelli. Agli autori ne risultata soltanto uno (p. 148), il 24 settembre 1977 in un albergo romano.
L'altro è ammesso dallo stesso Montanelli nel diario dell'anno successivo, dove registra la promessa fatta da Gelli di intervenire su Roberto Calvi, capo del Banco Ambrosiano.
Gelli successivamente (p. 214) dichiara che i soldi dati a Montanelli dall'Ambrosiano (300 milioni), sono merito suo.
"Indro aveva ammesso il finanziamento, ma negato l'intermediazione di Gelli [...] Quest'ultimo era stato condannato a pagare 45 milioni al giornalista" (p. 214, nota 22).
Era il novembre 1992. Nello stesso mese, Montanelli scrive che Berlusconi, il proprietario del "Giornale", "fu iscritto alla P2, ma da privato cittadino". (Nel <2001, il 25 marzo, Montanelli definisce Berlusconi come persona affetta da "allergia alla verità", e da "voluttuaria e voluttuosa propensione alla menzogna" che riesce a pronunciare con assoluta "naturalezza".)
Tutti i conti tornano, nel discorso giornalistico di Montanelli. Battezzato, nel titolo di questo secondo tomo biografico di Gerbi-Liucci, come "l'anarchico borghese".
Una definizione contraddittoria, spiegano gli autori (p. XI), ma in sintonia con quanto Montanelli diceva di sé ai suoi lettori. Pensando di essere la reincarnazione di quella "Destra storica" di Cavour e Quintino Sella (p. XIII) che fu un miraggio od un'illusione alimentata soltanto dal sogno di far resuscitare in Italia uno Stato laico.
Del primo volume abbiamo parlato nel post "Montanelli, il bugiardo" del settembre 2007.

20.04.2009
Tre fantasmi per Silvio

Tremonti, l'unico ad aver "previsto" la crisi (secondo lui), è pure l'unico a predirne la fine. Fortuna nostra è avere un ministro così profetico.
Peccato che le profezie siano spesso soltanto un espediente letterario dei testi sacri: perché nessuno sa se sono state scritte ex post, ovvero messe lì dopo che il fatto annunciato si era verificato...
Ma c'è del metodo in questa ideologia. All'insegna del motto: solo noi siamo intelligenti e comprendiamo tutte le cose.
Peccato che esistano i fatti, deputati a smentire le presunzioni intellettuali troppo accese.
I fatti italiani. Due dati elementari: disoccupazione +7%, produzione industriale -8,1%. Ciò permette di essere ottimista soltanto a Tremonti.
Per motivi comprensibili. La politica come spettacolo non permette la narrazione della realtà, ma soltanto di inventare colpi di scena mirabolanti.
Il cavaliere ha in casa propria due problemi seri, la Lega e Fini.
Lega. Per contraddirla, ed in base a "ragioni umanitarie", il premier accoglie il cargo turco con 140 disperati rifiutati da Malta.
Fini ogni volta che apre bocca, rema contro il governo. Berlusconi aveva detto, a proposito del terremoto e delle inchieste giudiziarie: "Devono esserci prove convincenti", "Concentriamoci prima sulla ricostruzione", "Se uno nasce con l'intenzione di fare del male, fa il delinquente o il pubblico ministero". Ed ai giornalisti: "Non riempiamo le pagine di inchieste". Sui costruttori: "Non credo che risparmino su cemento e ferro. Molte case erano vecchie, non antisismiche".
A Berlusconi rispondeva Napolitano, capo dello Stato: c'è stato «disprezzo delle regole, disprezzo dell'interesse generale e dell'interesse dei cittadini».
Fini si colloca a fianco di Napolitano: è giusto "chiedere l'accertamento di eventuali responsabilità".
Accerchiato da Fini e Lega, il premier spinge sull'acceleratore e rincara la presenza sulla scena del terremoto. Spera di riscuotere consensi politici. I sondaggi di Renato Mannheimer per il "Corriere della Sera" gli danno ragione. Con effetti favorevoli al governo pure tra gli elettori del Pd.
La Lega non può accettare un referendum che, in caso di vittoria, darebbe il primato assoluto a Berlusconi e la cancellerebbe dalla scena politica.
Poi c'è l'ombra di Casini che si proietta inquietante sullo scenario con la "promessa" di unire a fine anno tutti i moderati.
Sono tre i fantasmi, dunque, che agitano Berlusconi. E lo obbligano ad occupare la scena sfruttando anche le occasioni più umilianti. Come sabato a Pianola dove la gente non poteva andare a mangiare nella tenda perché la forza pubblica proteggeva il premier a favore di telecamere.
La scena va letta attraverso il fondo che ieri Barbara Spinelli ha pubblicato sulla "Stampa" circa la "malattia democratica diffusa" in cui chi governa è come un sovrano, "il grande correttore, regolatore". Che impone il silenzio in uno "stato d'eccezione permanente", sospendendo "leggi e libertà".
Il fatto che il premier debba difendersi accanitamente dai suoi alleati, può rafforzarlo anziché mandarlo in tilt. E' la democrazia che sospende leggi e decreti, di cui parla Barbara Spinelli. Non una dittatura, "perché la dittatura crea nuove leggi".
La "sospensione" della democrazia avviene in Italia mentre si discute sul termine "moderato" che ha sostituito in entrambi i campi la parola "riformista". Forse logorata dall'uso che ne hanno fatto quanti se ne erano impadroniti con opposte intenzioni. Tirata da una parte e dall'altra, ha finito con lo strapparsi e svanire. Resisterà il "moderato" alle seducenti promesse che provengono da destra, sinistra e centro?

17.04.2009
Tirata d'orecchie dal Colle

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha tirato le orecchie a parlamento e governo. In un decreto presentato alle Camere con soli sette articoli, non se ne possono aggiungere altri dieci.
La questione è seria, grave ed importante. Sarà interessante leggere le risposte del premier e dei presidenti di Senato e Camera.
Ciò avviene proprio nel momento in cui Napolitano dovrà essere consultato per la faccenda del referendum.
Il rispetto della Costituzione è una specie di fantasma che aleggia sulla vita della politica italiana, e che si tenta di esorcizzare in mille modi. Ma è forse giunto il momento di osservare con attenzione quali paletti costituiscono l'itinerario da seguire per non violarne né lo spirito né le norme.

16.04.2009
Sadici di Stato

Il potere rende sadici, o i sadici vanno al potere?
Per essere informati da poche semplici notizie, ci obbligano a frequentare trasmissioni pericolose per la salvezza della nostra anima come quella (la trasmissione, non l'anima) di Santoro.
"Sant'oro quanto pesa" lo chiameremmo per attestarne il successo economico, se non temessimo di essere considerati sfrontati.
Per difenderci potremmo dire che l'antipatia che suscita Santoro, è pari a quella che provoca il Bruno Vespa di provata fede "ufficiale". Per non dire piattamente governativa.
Teologicamente la nostra (eventuale) dannazione dipende soltanto da chi ci costringe a cibi insulsi e riscaldati. Ed alla conseguente evasione peccaminosa in terra santoriana.
Vediamo invece quante informazioni "pericolose" passa il convento cartaceo. Sul quale dovrebbe calare scomunica analoga a quella che scende sui programmi televisivi di Santoro o Gabanelli.
Bologna. Un seminario (comunale) sulla violenza alle donne è annunciato da un manifesto che ripropone un'immagine del 1944 (nella foto da "Repubblica" di Bologna). Un (soldato) negro che afferra l'italica donna di pura razza ariana. Il testo: "Difendila! Potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia".
Potere sadico? O piuttosto ingenuo se non peggio. Il sistema tv "Lepida" regionale dell'Emilia si pubblicizzava mandando un onda uno spot in cui appariva persino Lucio Gelli. Adesso lo hanno sostituito con Federico Zeri. Ed una didascalia sull'illustre critico d'arte.
Ieri "Repubblica" ha rivelato le leggi "ad aziendam" del governo: nello specifico per blindare "(anche) Mediaset da eventuali scalate".
Cinque giorni prima del terremoto in Abruzzo, un verbale ufficiale registra: "La comunità scientifica conferma che non c'è pericolo".
Dieci anni fa una mappa della vulnerabilità suggeriva interventi anche in Abruzzo. Era in un dossier dell'allora capo della Protezione Civile, Franco Barberi.
Ne parlano oggi il "Corriere della Sera" e "La Stampa". Qui Guido Ruotolo conclude il servizio con la domanda: "Cosa è stato fatto dal 1999, anno in cui è stato realizzato il dossier Barberi, a oggi?".
La stessa domanda posta da Santoro o da Gabanelli ne avrebbe decretato la decapitazione. Il mezzo è l'oltraggio?
Il Potere che azzanna Vauro per una vignetta (Gramellini si dichiara esterrefatto) non salva se stesso dal ridicolo. Dieci anni sono passati invano. E' reato chiedere perché, a quel Potere di ieri e di oggi?

15.04.2009
Fuori uno

E Vauro il vignettista di "Anno zero" è stato sospeso "in via cautelativa" dal nuovo direttore generale della Rai, Mauro Masi.
Nella topografia politica la "via cautelativa" conduce direttamente alla "piazza delle censura".
Fuori uno. E come in tutte le situazioni del pensiero unico, è colpito ed affondato per primo il satirico. Confidando che nessuno se ne accorga o si lamenti.
Per i conduttori le cose sono più complicate. Lo dimostra lo stesso Masi, secondo cui la trasmissione di Santoro deve riequilibrasi. Bel sinonimo per dire che davanti ad una verità (nessuna prevenzione con strutture dove accogliere la gente nel caso di una forte scossa che c'è stata, poi...), si deve contrapporre una mezza verità (per non chiamarla bugia).

14.04.2009
Terremoti, cambiare rotta

“Ci vorrebbe un cambiamento di rotta radicale che non vedo probabile”. Così si può sintetizzare il parere di un esperto in materia, l’architetto Loreto Giovannone, al quale ho rivolto in esclusiva per questo blog tre domande: sono stati troppi i morti in Abruzzo per un terremoto di media intensità, perché gli edifici crollano, che cosa fare oggi per cambiare il domani in materia di prevenzione?
1) I quasi 300 morti dell’Abruzzo sono troppi per un terremoto di media intensità?
L'evoluzione della fisica moderna con Galilei prima (dinamica e legge di gravità), e Newton subito dopo (leggi del moto) ha permesso oggi di misurare i terremoti.
A torto il Seicento è stato trascurato dagli storici eppure ha in se le radici sia scientifiche che razionaliste del meglio valutato Settecento.
La risposta a questa domanda complessa è in una considerazione semplice. Partiamo dalla misurazione del terremoto. La magnitudo Richter tende a misurare l'energia sprigionata dal fenomeno sismico su base puramente strumentale. Il sismografo è uno strumento che consente la rappresentazione grafica (sismogramma) del segnale sismometrico (il terremoto) nel tempo.
Se il terremoto abbruzzese ha registrato una magnitudo Richter 5,8 e leggiamo a cosa corrisponde sulla scala, si vede subito che nel nostro paese non c'è corrispondenza trà magnitudo ed effetti del sisma per la scala Richter, per noi i danni e le vittime sono di gran lunga più gravi dei previsti per un terremoto di questa media intensità.
La magnitudo Richter 5-5,9 prevede questi effetti: "tutti lo avvertono scioccante; possibili fessurazioni sulle mura; i mobili si spostano; alcuni feriti".
I terremoti in Italia portano alla luce tutte le incongruenze da "improvvisati" della maggioranza degli italiani: è sempre stato così, ho scomodato Galilei e Newton per dimostrare la negligenza umana, peggiore di tutti i terremoti messi insieme. In Giappone avrebbe causato lo spostamento di mobili e qualche possibile fessurazione nei muri, in Italia crollano interi edifici edificati di recente e fanno numerose vittime.
2) Perché appunto gli edifici crollano?
Edifici vecchi. Per quanto riguarda il patrimonio edilizio storico è vecchio e continua inesorabilmente ad invecchiare, lo sanno tutti, amministratori e tecnici.
Ogni giorno accade un miracolo: moltissimi immobili dei nostri centri storici sfidano le più elementari leggi della statica, soprattutto quelli che negli anni hanno subìto rimaneggiamenti, frazionamenti, adeguamenti alle esigenze di vita attuali senza il necessario adeguamento antisismico.
Troppo spesso si assottigliano muri maestri in pietra, si disconnettono le murature per il passaggio degli impianti, si appesantiscono i solai con incollaggio delle pavimentazioni, si introducono squilibri di forze nell'organismo edilizio, ecc..
Pur essendo state emanate da anni, a livello Ministeriale, le elementari linee guida per migliorare le murature tradizionali invecchiate nella consistenza e nella coesione, quasi nessuno le applica. Pur essendo notevolmente progredita la tecnica e i materiali per il rinforzo di murature e strutture, quasi nessuno le mette in pratica.
Gli edifici recenti. Anche il miglior progetto possibile ha un punto debole, la fase esecutiva.
Purtroppo se non si rispettano le indicazioni del progetto e le norme a cui fanno riferimento (armature in ferro montate secondo progetto e cemento di progetto), si costruiscono immobili a rischio crollo o destinati a crollare al primo terremoto di discreta potenza.
Il direttore dei lavori e l'impresa possono costruire risparmiando su ferro e cemento ma edificare edifici a forte rischio crollo. Ovvio che nelle immagini che abbiamo visto del recente terremoto abruzzese molti degli immobili nuovi non sono affatto crollati e penso che moltissimi non saranno neanche lesionati gravemente.
Per fortuna molti direttori dei lavori e molte imprese lavorano in modo non fraudolento altrimenti sarebbe stata un'ecatombe un terremoto alle 03,30 del mattino.
Sommiamo alla negligenza di tecnici e progettisti che lavorano male e trovano posto all'inferno nell'ottavo cerchio, ottava bolgia tra i consiglieri fraudolenti, anche l'indolenza di certa pubblica amministrazione degli uffici dell'edilizia privata, trovano posto anche loro all'inferno sempre ottavo cerchio ma un poco più sotto nella quinta bolgia tra i barattieri. La società mette a frutto l'ignoranza della gente.
3) Che cosa fare oggi per cambiare il domani in materia di prevenzione?
Quasi trentamila edifici danneggiati di cui il 30% inagibile per un sisma di media intensità non lasciano scampo a molte speranze, ci dicono che siamo sulla via sbagliata.
Troppa sabbia negli impasti e poco cemento, l'Abruzzo scopre l'epoca della menzogna, questa corsa sfrenata, ignorante, sconsiderata alla speculazione, il trionfo edonistico dell'apparenza senza alcuna sostanza, dell'ignoranza, dell'imbarbarimento ma dell'arricchimento.
Scopre dei tecnici conniventi con gli impresari edili che arricchiscono negli appalti succulenti, e biechi speculatori occulti (vedi il crollo della casa dello studente e l'ospedale inservibile dopo trenta anni di lavori pubblici, cioè di soldi nostri).
L'Abruzzo scopre a proprie spese l'Italia di oggi, uguale a quella di ieri, il terremoto di media entità si abbatte su queste ataviche e già vessatorie disgrazie e rende il 30% degli immobili colpiti dal sisma inagibili.
Quello che accade non è lontano da noi, è lo specchio dei nostri tempi. Aver ignorato l'insegnamento della storia passata nell'applicare i semplici tre princìpi vitruviani di "utilitas", "firmitas" e "venustas", ci condanna a pagare in termini di vite umane, di patrimonio antico perso, ma il peggio sono le speculazioni e le succulente spartizioni politiche della "ricostruzione" che devono ancora venire.
Che fare? Ci vorrebbe un cambiamento di rotta radicale che non vedo probabile. Ci vorrebbe un miracolo, una inversione di marcia verso l'edilizia di qualità e non quella speculativa ma la vedo dura, le regole valide per costruire edifici antisismici ci sono, abbiamo leggi per due pianeti, manca ciò che non è scritto in nessuna legge: il buon senso.
Nessuno mai si sognerebbe di formare le maestranze che eseguono lavorazioni specialistiche, per esempio la carpenteria metallica, la maggior parte delle imprese legano poco e male i ferri delle armature delle strutture in cemento armato. Ci vorrebbero tecnici che sapessero ricostruire e consolidare il patrimonio degli edifici invecchiati, si può fare, è possibile.
Ci vorrebbero imprese e tecnici coscienti del lavoro che fanno. Ci vorrebbe l’uso dei materiali giusti, ci vorrebbe la fortuna di affidare l'incarico di costruire o ricostruire a tecnici competenti che realizzano edifici in grado di assorbire e dissipare l'energia sismica.
Per esagerare oltre ogni misura nel festival del cosa "ci vorrebbe", ci vorrebbero meno "infiltrazioni" negli appalti pubblici.
Passati i momenti di commozione per i lutti e l'emozione emotivo-mediatica di rito si ritorna alla normalità, non c'è da stare allegri. In altri posti d'Italia, mentre si piangono i morti di questo terremoto, si continua a costruire abusivamente scarseggiando in cemento e abbondando in sabbia.
Non dimentichiamo che ogni anno nei cantieri edili muoiono l'equivalente di due o tre terremoti abruzzesi. Insomma ci vorrebbe un altro mondo, un'altra vita, nel frattempo l'unica cosa che possiamo fare è sperare che la terra per ora si fermi qui.
A dimostrazione di quanto detto:
1) L'ospedale dell'Aquila non aveva l'agibilità (non avrebbe mai poteva averla) le armature dei pilastri secondo le prime notizie televisive non avevano "le staffe", infine non era neanche accatastato.
2) La casa dello studente era di sabbia, si è sbriciolata come un pacco di pavesini, abbiamo visto immagini di detriti di cemento che si "sfarinavano" a mani nude.
3) L'immobile della Prefettura era stato segnalato "a rischio" l'anno prima.
4) Case private? Corriere della Sera: Una casa su due inagibile 14.04.2009
Di "terremoto" di "statica" degli edifici e di "scienza delle costruzioni", la materia in cui mi sono laureato, ne parliamo un'altra volta.

14.04.2009
Santoro, sotto zero

Grande gelo attorno ad "Anno zero" ed a Michele Santoro per la trasmissione di giovedì 9 aprile, dedicata al terremoto in Abruzzo.
L'on. Cicchitto sostiene che Santoro vuole destabilizzare il quadro politico.
Due ipotesi. Santoro ha torto marcio ed allora Cicchitto inventa un caso politico per mettere il bavaglio all'informazione. Se infatti "Anno zero" ha detto balle, Santoro si è scavato la fossa sotto i piedi da solo non destabilizza il governo ma soltanto se stesso e la sua squadra. Basterebbe querelare lui ed i suoi colleghi, attendere con pazienza la sentenza del giudice e nel frattempo sospenderlo e poi cacciarlo. Un Santoro sospeso e silente forse è più destabilizzante di quando parla.
Seconda ipotesi. Santoro ha ragione per la sua tesi che non è riuscito a far comprendere ai governativi che lo contestavano. Ovvero che è mancata la prevenzione in una città che ballava da mesi. E che la protezione civile fa troppe cose, tra cui organizzare i grandi eventi come il G8 in Sardegna.
Se Santoro ha ragione, le cose non si mettono bene per l'Italia. Perché la protesta di Cicchitto significa soltanto che al di fuori del "pensiero unico" del governo non è lecito dire altre cose. La vera posta in gioco, come ha detto Giuseppe Giulietti, è l'informazione libera.
Ha ragione Emma Bonino: "Non sono una grande estimatrice di Santoro ma non capisco cosa gli si contesta". In mezzo alla confusione che si è creata attorno alla trasmissione di giovedì scorso, l'unico che possa ringraziare il governo è Di Pietro, passato all'incasso in mezzo alle titubanze del Pd.
E' vero che Sergio Zavoli ha difeso Santoro, come si legge stamani su "Repubblica" (bisogna "dar voce a istanze diverse"). Però il neo presidente della Vigilanza ha fatto anche questa enigmatica aggiunta: la Vigilanza "sarà del tutto legittimata a esprimere un giudizio e, se del caso, un indirizzo non censorio, ma più vincolante che in passato".
Censura, ovviamente è una parola oscena che Zavoli scarta. Ma quell'accenno ad un "indirizzo più vincolante che in passato" sa molto da editto. Se non bulgaro all'amatriciana.
A Zavoli e c. consiglierei la lettura del fondo di Bernardo Valli sulla stessa "Repubblica" di oggi, dedicato alle critiche che la stampa straniera rivolge al governo italiano, ed alle reazioni stizzite per via diplomatica di quest'ultimo.
Ne ha parlato ieri "Le Monde" con un pezzo di Philippe Ridet: "Depuis un mois, le Palazzo Chigi, siège de la présidence du conseil, rectifie toutes les informations qu'il croit offensantes pour l'Italie et les Italiens dans les journaux étrangers".
Ridet spiega che ci sono quattro cose che impediscono di fare l'elogio dell'Italia: mafia, inefficienza dello Stato, xenofobia della Lega "et les mauvaises blagues de Silvio Berlusconi", gli spropositi verbali del nostro premier.
E' difficile dare torto ad una siffatta analisi, a meno che non si sia sostenitori di quel "pensiero unico" che si vuol imporre all'informazione, e che potrebbe portare, con la benedizione zavoliana del Pd, ad un "indirizzo più vincolante che in passato" per le trasmissioni televisive.

10.04.2009
La Carta, non il Mercato

Per spiegarci che lo Stato non dimenticherà nessuno nel suo aiuto (sia che si tratti della crisi economica sia che si parli dei terremotati d'Abruzzo), Berlusconi richiama "l'economia sociale di mercato" del programma del suo partito.
Forse sarebbe il caso di riandare invece allo spirito solidaristico della nostra Costituzione repubblicana, con quanto si legge nel secondo comma dell'art. 3.
Laddove si assegna alla Repubblica il compito di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale" che possono limitare "di fatto" libertà ed eguaglianza dei cittadini.
Il nostro premier non ama molto citare la Costituzione. E se lo fa, se la accomoda ai propri processi mentali. Come è successo di recente quando ha ricordato l'art. 1, senza leggerlo tutto, ma soltanto nella prima parte, quella in cui si dice che "la sovranità appartiene al popolo". Ha così omesso il passo successivo, dove si legge che il popolo esercita tale sovranità "nelle forme e nei limiti della Costituzione".
La parola "limiti" gli provoca insopportabili allergie.
[Ricaviamo la notizia da un articolo di Andrea Manzella, "La Costituzione di Berlusconi", apparso il 7 aprile su "la Repubblica", pagina 33.]

10.04.2009
Coincidenze moderate

Se tre indizi fanno una prova, tre coincidenze equivalgono ad un piano strategico? Chissà. Meritano comunque un pensierino, e che le prendiamo in seria considerazione. In puro ordine alfabetico.
Casini, nel senso di Pier Ferdinando, sulla "Stampa" scrive oggi un manifesto del moderatismo piglia-tutto. Ovvero sia a destra sia a sinistra rispetto a quel centro in cui si colloca con assoluta coerenza. Ma non senza qualche pesante responsabilità, come da pubblico mea culpa contenuto nello stesso articolo.
Casini parla dei "diversi errori" compiuti dall'Udc operando nel sistema attuale del bipartitismo che ha portato al trionfo del populismo di Berlusconi. E che avrebbe potuto essere pure il populismo di un leader del Pd, se questo partito lo avesse potuto partorire, secondo l'interpretazione offerta da Luca Ricolfi sempre sulla "Stampa" il 6 aprile.
Ferruccio De Bortoli debutta al timore del "Corriere della Sera" con un altro manifesto del moderatismo: "Noi siamo dei moderati, sottolineo moderati".
Anche De Bortoli critica il populismo di Berlusconi, pure se non usa questo termine. Come direttore di un (grande) giornale prende la questione sotto l'aspetto tecnico, ma ovviamente senza rinvio esplicitamente politico.
Scrive infatti: "Molti confondono l'informazione con la comunicazione di parte o la considerano la prosecuzione della pubblicità con altri mezzi". Bella ed interessante questa frase che richiama direttamente, per rifiutarla, la concezione della vita politica che è tipicamente berlusconiana.
A questa concezione De Bortoli rimanda ancora in un altro punto: "Con i cantori a pagamento e gli spin doctors improvvisati non si va da nessuna parte".
Coincidenza numero tre, non di certo casuale se rimanda anch'essa al "Corriere della Sera" ed all'anticipazione di un libro di Enrico Letta. Intitolata: "Il Pd sembra il Pci, guardiamo ai moderati".
Enrico Letta dichiara che "questo bipolarismo è finito". E che anche il Pd passerà in archivio, "condannato alla sconfitta".
Letta riconosce i meriti di Prodi ma denuncia che nel centrosinistra, da tre lustri, si avverte "la vergogna di parlare ai moderati".
Da oggi quella vergogna è destinata a scomparire? Sembra di sì, al lettore ignaro di retroscena reali, e suggestionabile soltanto attraverso queste "coincidenze moderate".
Che non sono "moderate coincidenze", anzi molto forti. Il capo carismatico sarà Casini. Letta farà il traghettatore dal Pd verso il nuovo partito. Per maestro del cerimoniale dell'informazione, il ruolo più importante, si propone il "Corriere" di De Bortoli.
Se "questo bipolarismo è finito", non soltanto terminerà il regno di Silvio da Arcore, ma pure comincerà la processione di quanti da destra e da sinistra (si fa per dire, sinistra) dovranno essere salvati nell'onorata carriera parlamentare. Chi avrà il coraggio di negare un posto in lista alle prossime lezioni per il partito di Casini? E soprattutto ci sarà stato nel frattempo il coraggio di cambiare la legge elettorale?
Perché altrimenti tra qualche anno saremmo nelle stesse identiche condizioni di oggi. Qualcun altro, più centrista di Casini (impresa non improba), gli potrebbe rimproverare di essere il solito populista.

09.04.2009
Tre Italie

Ci culliamo spesso nell'illusione che l'Italia vera sia quella che i cortigiani di turno raccontano in maniera felpata alla gente.
Ma la gente oltre ad orecchie per sentire, ha anche un cervello per ragionare. Purtroppo spesso succede  che, per tanti motivi, non ne abbia voglia.
Suggeriva Machiavelli al principe di non toccare donne e portafogli dei sudditi. La gente si "sveglia" quando è coinvolta in situazioni insopportabili. Il terremoto è una di queste situazioni. Non basta dire alla gente, accolta nelle tende (senza altro conforto che quello di un soccorso immediato che non può diventare abitudine di vita), non basta dire che deve fingere di essere in vacanza al campeggio.
Esiste in queste situazioni drammatiche un punto di rottura fra i discorsi paternalistici e la consapevolezza che i cittadini poi esprimono mandando a quel paese tutti i politici. Perché la gente sa in mille modi, anche senza leggere i giornali, che i furfanti esistono, che le tangenti non sono l'etichetta di un dentifricio, che la corruzione per rapporti incestuosi tra pubblico e privati non è nuova sotto il sole d'Italia.
Dice un vecchio proverbio che l'ospite è come il pesce. Dopo tre giorni puzza. L'ospite importante forse dura qualche ora in più perché obbliga la gente ad assistere ai suoi funambolismi verbali.
La discrezione non è una virtù dei leader populisti. Anche a loro converrebbe non approfittare della cortesia delle vittime, costrette dalla loro infelicità a subire tutto. Anche i leader populisti alla fine stancano, perché, riducendo il discorso all'osso, rappresentano soltanto quel Potere che ha al suo passivo tanti demeriti e tante situazioni terribilmente tragiche. In cui s'invocano regole (vedasi Tremonti), ma si fa di tutto poi per non applicarle (ad esempio con i condoni). Dieci ministri in tre giorni a L'Aquila sono un'overdose micidiale.
E' un discorso triste perché alla fine, non per qualunquismo ma per un briciolo di rispetto delle cose accadute, la gente è costretta a mettere tutti nello stesso mazzo di profittatori delle altrui disgrazie. Come persone che hanno vissuto precedenti drammi hanno lucidamente narrato in questi giorni.
Ed allora all'Italia ufficiale ed all'Italia che soffre si affianca una terza Italia, quella che è stanca di tutto e di tutti, e non per colpa propria.
Non è qualunquismo, è disperazione. Non sappiamo se gli inviti del premier a prender una vacanza pasquale presso lontani parenti o a considerarsi campeggiatori sotto la tenda e non terremotati colpiti negli affetti e senza più nulla, siano uno strumento utile a procacciargli popolarità e voti elettorali. Per una specie di cinismo di riflesso davanti a tanto cinismo altrui, la cosa non ci interessa.
La nostra storia passata è stata piena di adunate oceaniche. In un giornale locale una visita del duce venne narrata con la solita cronaca esaltante, infarcita da un'aggiunta perfidamente lucida, laddove si accennava a "ripetute rotture di cordoni". Non è detto che la frase non conservi una stralunata, inquietante attualità.
Oggi, nella zona terremotata è andato il capo dello Stato. Non accompagnato dal capo del governo, chissà perché: ma possiamo immaginarlo. Napolitano non si è fatto intrappolare da quello sciacallaggio morale che convoglia dieci ministri in tre giorni. Ha rimproverato rudemente i fotografi che lo riprendevano, spiegando il senso della sua presenza: non una passerella ma una testimonianza. Queste le sue parole: "Poiché non sono venuto qui per farmi fotografare da voi, fatevi da parte: non rompete!".
Più vicino alla terza Italia, che ama parlare chiaro (e che erroneamente è battezzata come "antipolitica"), Napolitano ha detto che esistono "irresponsabilità diffuse". Provocando l'immediata reazione di Berlusconi: "Non credo che ci siano state delle situazioni" tali da far presumere responsabilità nella costruzione degli edifici.
Sullo sfondo di questa terza Italia stanno giochi e giochetti. "Abitati i due terzi delle aree a rischio", sottotitola il "Corriere della Sera" nel paginone "L'Italia delle case in zona rossa" di G.A. Stella. E' l'Italia di cui lo stesso Stella parla nel supplemento illustrato "Magazine" odierno, circa i "funamboli calabresi". Ovvero quei politici che "in equilibrio assai precario, camminano sul sottilissimo filo che fa da confine tra il centrodestra e il centrosinistra" e che sono "così bravi da riuscire ad appoggiare nello stesso tempo sia l'una che l'altra coalizione".
E' la stessa Italia che dovrebbe "bere" lo spot televisivo sulla Napoli ripulita, mentre io medesimo settimanale presenta un servizio di Agostino Gramigna da Napoli: "Ritorno della monnezza", "I problemi restano. Nascosti".
E' infine lo stesso Paese in cui il governo battuto ieri su ronde ed immigrati vede l'ira leghista e l'esultanza di "Repubblica". Perché, vi scrive Massimo Giannini, "intorno alla leadership attualmente minoritaria, ma radicalmente alternativa di Gianfranco Fini esiste un nocciolo duro, da destra costituzionale e nazionale, non riducibile alla categoria gregaria dell'intendenza" gollista che doveva sempre "seguire" gli ordini del capo.
E' ridotta molto male una democrazia quando, anziché fondarsi sulla dialettica maggioranza-opposizione, vuole sperare qualcosa di positivo dai dissidi interni alla maggioranza stessa.
Berlusconi è molto ben saldo nelle sue convinzioni e posizioni. Oggi risponde a Napolitano con una diagnosi da costruttore edile: "Personalmente ho potuto verificare che molti edifici rappresentano le tecnologie dell’epoca". Quindi non crede "che ci siano state delle situazioni" da far ipotizzare responsabilità nella costruzione degli edifici, anche se giustamente "i pm indagheranno".
Il "nocciolo duro" Fini incontrerà sempre l'osso duro Berlusconi, nato per non perdere e noto per vincere (spesso).

08.04.2009
BO 2014, 80 delusi

Dietro la sigla "BO 2014" si nasconde la rivoluzione ("prodiana"?) del capoluogo emiliano. "Una lista civica dei senza partito di sinistra delusi da Cofferati e dal Pd", scrive Luciano Nigro su "Repubblica" di oggi.
Il nome più illustre degli 80 della lista dei "delusi" è quel Filippo Andreatta che è stato da noi citato anche di recente per un suo intervento circa la crisi economica, nel post "Facciamo finta" del 14 gennaio scorso.
Quel giorno sul "Corriere della Sera", il prof. Andreatta osservava: la politica italiana sembra ignorare "quasi completamente l'incombente arrivo della crisi economica internazionale". Finora, spiegava, la recessione ha "solo sfiorato il nostro Paese, ma l'anno appena cominciato sarà invece con ogni probabilità uno dei peggiori del dopoguerra...". Andreatta contrapponeva "l'ostinato ottimismo del governo" alla "latitanza dell'opposizione".
Inevitabilmente viene da chiedersi quali riflessi avrà a livello nazionale la lista bolognese dei "delusi". Perché essa testimonia quel malessere spesso liquidato come inutile esibizione di malcontento, e non come seria espressione di un "ragionamento politico". Che forse avrà immediata ripercussione anche nelle "periferie" del partito di Franceschini.

08.04.2009
Alcune curiosità

Curiosità teologica. E' prevista la scomunica per quanti con pensieri opere ed omissioni provocano le tragedie negli edifici che crollano pur essendo qualificati "antisismici", come un ospedale "nuovo"?
Curiosità politica n. 1. Ieri sera nella trasmissione di Floris, Bersani ha detto che il Paese necessita di iniezioni di civismo: per avere un futuro ci deve essere un rispetto ragionevole delle regole. Perché quelle parole sono state intese come un attacco al governo? Perché gli è stato risposto dagli esponenti di governo presenti che non avrebbero polemizzato? Bersani ha parlato di "civismo", non di "cinismo".
Curiosità politica n. 2. Perché sempre in quella trasmissione le autorità di governo presenti non hanno raccontato quello che oggi ha spiegato Gian Antonio Stella sul "Corriere della Sera"? E cioè che l'articolo 2 (vedi sotto) del cosiddetto "piano casa" è stato riscritto? E che è stato soppresso l'articolo 6, intitolato "Semplificazioni in materia antisismica"?
Documento. Ecco la parte del testo di G.A. Stella che interessa per quanto sopra scritto:
"Oggi Claudio Scajola detta alle agenzie che il piano casa «dovrà essere utile anche per le protezioni antisismiche» e il nuovo documento dato alle Regioni, ritoccato l’altro ieri in tutta fretta, ha un «articolo 2» nuovo nuovo. Dove si spiega, sotto il titolo «misure urgenti in materia antisismica» che «gli interventi di ampliamento nonché di demolizione e ricostruzione di immobili e gli interventi che comunque riguardino parti strutturali di edifici, non possono essere assentiti né realizzati e per i medesimi non può essere previsto né concesso alcun premio urbanistico sotto alcuna forma ed in particolare come aumento di cubatura, ove non sia documentalmente provato il rispetto della vigente normativa antisismica».
Evviva. Ci sono voluti i lutti di Onna e la distruzione dell’Aquila e quelle file di bare allineate, però, per cambiare il testo originale dato alle Regioni solo una settimana fa. Dove l’articolo 6, precipitosamente soppresso dopo il cataclisma abruzzese, era intitolato «Semplificazioni in materia antisismica». Meglio tardi che mai. Purché fra una settimana, un mese, un anno, non torni tutto come prima. C’è un Galiani che forse Berlusconi non conosce. Si chiamava Ferdinando e non Adriano, aveva una «elle» sola, vestiva l’abito da abate ed era un dotto economista. Disse: «Molte volte le calamità distruggono le nazioni senza risorgimento, ma talvolta sono principio di risorgimento e di riordinamento di esse. Tutto dipende da come si ristorano». Sarà il caso di ricordarlo".

07.04.2009
Orgoglio fuori posto

L'orgoglio espresso in frangenti dolorosi e tragici non è un sentimento nobile, ma soltanto il frutto di una paranoica considerazione della propria presunta superiorità. Crediamo di non dover aver bisogno di nessuno. Al limite di incorrere in quella scortesia che offende il donatore perché non vogliamo che nessuno ci dia una mano.
Berlusconi non poteva fare altrimenti. Ha invitato i Paesi esteri a "non inviare in Abruzzo i loro aiuti. Siamo in grado di rispondere da soli alle esigenze, siamo un popolo fiero e di benessere e li ringrazio ma bastiamo da soli".
Il soccorso internazionale in situazioni simili a quella del terremoto d'Abruzzo, è un fatto ricorrente. Non c'è motivo logico o politico nel rifiutarlo, al di là di questo orgoglio, frutto di una concezione nazionalistica e paternalistica del potere. Grazie alla quale il premier ha potuto invitare i cittadini "ad installarsi, se possibile, fuori provincia", da parenti o amici, sfruttando le festività pasquali.
Tutto ciò non soltanto rattrista, ma impensierisce perché cela la evidenza delle cose dietro il paravento del "vedrete di cosa saremo capaci". Per ora constatiamo quello che è successo.
E leggiamo quello che Sara Rossi scrive su "Reuters Italia" di oggi pomeriggio: i danni all'ospedale dell'Aquila sono giudicati "inaccettabili" rispetto alle "moderne filosofie edilizie che prevedono che, dopo un sisma, la struttura non solo non crolli ma continui anche a funzionare". Sono parole di Gian Michele Calvi, membro della Commissione nazionale grandi rischi ed esperto di costruzioni in zone sismiche, che ha l'autorità necessaria per esprimere un giudizio tecnico fondato. Calvi è professore ordinario di costruzioni in zona sismica dell'università di Pavia e presidente della Fondazione Eucenter, che si occupa di formazione e ricerca per l'ingegneria sismica, a Pavia.

06.04.2009
Come previsto

Lo sappiamo tutti che il pericolo-sisma è una costante della storia italiana. Non sappiamo se un terremoto sia scientificamente prevedibile. La statistica ci orienta verso il sì, però la statistica non è "la" previsione, è una indicazione di tendenza.
Ma la statistica suggerisce pure di adottare particolari strumenti nell'edificare le case, eccetera. Purtroppo le antiche abitazioni non sono "rinforzate" per poter resistere ad un terremoto. Per cui, come previsto, succede sempre che ci sono morti e distruzioni.
Non "scientificamente prevedibili" come suggerisce il capo del governo. Per rispondere a chi giorni fa aveva sostenuto il contrario, come il fisico Giampaolo Giuliani, che per le sue affermazioni era stato persino denunciato per procurato allarme.
Nella mia terra, la Romagna, era famoso Raffaele Bendandi, "l' uomo che anticipava i terremoti", "nato il 17 ottobre del 1893, figlio di contadini poveri e perciò studente fino alla sesta elementare, e però dodicenne tanto geniale da costruirsi un suo telescopio", come scrisse sul "Corriere della Sera" Gelminello Alvi il 5 novembre 2004: "il percome delle sue previsioni lui non lo spiegava mai. Eppure gli pareva elementare: la cagione dei terremoti non sia da cercarsi sotto ma sopra la terra: nelle forze di attrazione dei pianeti e del sole".
Giuliani usa altri sistemi, su cui non siamo in grado di pronunciarci. Fatto sta che i terremoti spaventosi per l'Italia non sono imprevedibili. Per cui, come abbiamo già scritto sopra, "come previsto" registriamo altri morti e altre distruzioni. Sta alla politica provvedere al bene comune, non basta mettere a tacere uno studioso senza averne l'autorità scientifica, bisogna adesso provvedere a ricostruire e ad aiutare molte, molte famiglie.
Come? Dove trovare i soldi per quell'aiuto nel Paese dell'evasione fiscale? Bisogna andare al concreto immediatamente. Non fingere di non vedere. Buttando fumo negli occhi a chi cerca di guardare con attenzione alle cose. Per la nostra classe politica, tutta non soltanto quella di governo, si apre una nuova pagina, drammatica soprattutto perché non è nuova la situazione da affrontare. Riaffiorano vecchi ricordi e vecchie storie di gente lasciata nelle baracche a tanti anni di distanza dai sismi di cui fu testimone.
Altro che sogni di gloria con il ponte sullo stretto di Messina. "Sprechi e ritardi: l'Italia amara del dopo-terremoti" è un titolo del "Corriere della Sera" del 2 novembre 2002. In quell'articolo di Marco Galluzzo si legge all'inizio, a proposito del Belice: "«Lo sa che nei giorni scorsi, quando aspettavamo le baracche, è venuto uno con tanti fogli in mano. Speravamo che fosse finalmente il nostro turno per le baracche. Quello chiamava per nome e noi ci presentavamo. Ci dava un foglio e noi eravamo contenti. Ma poi ci siamo accorti della fregatura: era la cartella delle tasse». Era il 2 agosto del 1968, sei mesi dopo il disastro. Una burocrazia pubblica spietata mostrava un volto che sarebbe divenuto ordinario per migliaia di terremotati".

05.04.2009
Mercato delle idee

Alla fine, nei passaggi più difficili per la vita della società e degli uomini, bisogna ricominciare proprio dal principio. Non dai fatti, ma dalle idee che li partoriscono.
Un filosofo americano, Daniel Cloud, su "Il Sole 24 Ore" di oggi spiega che alla base della crisi economica odierna c'è "l'ideologia pseudoscientifica" di chi ha promesso qualcosa d'impossibile, ovvero ha mentito. C'è la tracotanza di chi si è legato "alla falsa sicurezza di una presunta scienza che non funziona". Una scienza in mano a dei "pazzi" che potevano dire in pubblico qualsiasi cosa "senza conseguenze".
Daniel Cloud ci invita insomma a riscoprire il valore (reale) delle idee. Spesso considerate astratte, e quindi da accantonare se non da disprezzare. Molti le ritengono un accessorio superfluo, se non pericoloso. Ma le gambe degli uomini sono le idee. Senza di esse le società restano immobili.
Anche Barbara Spinelli si occupa delle "menzogne dette per decenni sulle intrinseche virtù del mercato". E lo fa seguendo due itinerari.
Quello più legato alla situazione italiana, arriva ad una conclusione sconsolante ma realistica: se in tutti i governi d'Europa "in parte per pigrizia, in parte per vigliaccheria" prevale la linea di "curare il male con i mali che l'hanno scatenato", il nostro Paese "è più impreparato alla crisi di quanto il potere voglia far credere".
Per cui diamo le colpe agli altri Stati, rivolgendo l'invito all'Ocse di "star zitta" ed ai commissari europei di "lavorare piuttosto che far prediche ai governi". In questo modo, conclude Spinelli, "Berlusconi ammette il disastro" ma lo fa chiedendo "di non renderlo pubblico".
Il secondo itinerario di Spinelli, è quello appunto non dei fatti ma delle idee. Qui la scrittrice richiama un principio fondamentale per la democrazia. L'unico rimedio essenziale è la verità: "chi comincia a dirla già compie metà del cammino". Perché "la verità è un'etica e al tempo stesso un farmaco contro il pensare positivo o negativo", e questo farmaco è il kantiano "dibattito fra opinioni diverse reso pubblico, la rinuncia del potere alla segretezza dispotica".
La "segretezza" del nostro governo si alimenta di tre miti: la crisi è un fatto psicologico e non economico; la crisi è frutto di una disinformazione contro cui il premier (parole di ieri) è tentato di "intraprendere azioni dirette e dure"; infine, alla crisi sbandierata dall'opposizione ("il sistema comunista che vige ancora in Italia"), Berlusconi oppone un gradimento da sondaggio del 66,7% (pochi giorni fa era al 66,4...).
Di "Assalto alla democrazia" parla un titolo nella prima pagina del supplemento culturale "Domenica" del "Sole-24 Ore", in cui Remo Bodei riferisce di un altro filosofo americano, Sheldon Wolin a proposito di un suo libro dedicato alla deriva di questo regime non soltanto negli Usa ma pure in altre parti del mondo.
Secondo Wolin la commistione tra politica ed affari ha generato un "totalitarismo rovesciato". Contro il quale, aggiunge Bodei, si è iniziato a protestare in varie parti del mondo: non per far rinascere la lotta di classe, ma per condannare quella "politica che non ha voluto porre regole certe e controlli rigorosi ai mercati".
Sembra molto significativo che nello stesso giorno, tre autorevoli firme come Bodei, Cloud e Spinelli, ci suggeriscano una riflessione sulla crisi economica avendo come elemento comune la constatazione che l'idea di mercato deve cedere il passo al mercato delle idee, per rimediare ad una crisi globale, provocata da pochi e sofferta drammaticamente da molti.
E a chi non accetta questo mercato delle idee, resta (purtroppo per noi), la scelta della "segretezza dispotica" che sta all'opposto dell'idea moderna di democrazia, dal Settecento in avanti.
Al suo trittico di libertà. uguaglianza e democrazia Eugenio Scalfari ha dedicato oggi un passo del proprio editoriale di "Repubblica". Che contiene un'annotazione di stretta attualità per la vita politica italiana: "Fu il trittico della modernità, la cui realizzazione vide paradossalmente le Chiese alleate con i privilegi anziché con i movimenti riformatori". La storia sembra ripetersi in Italia con le benedizioni romane al partito di Berlusconi.


04.04.2009
Fini il Balilla

Promette di lanciare il sasso nello stagno. Per non destare sospetti dichiara di volere scacciare i luoghi comuni e costringere i maestri del pensiero della sinistra a "giocare in difesa". Come se adesso fossero all'attacco. Mah. Quando fa questi proclami (riportati da Ugo Magri sulla "Stampa" odierna), Fini veste la divisa d'ordinanza del Balilla di turno e della pietosa badante del governo.
E' vero che sulla fecondazione lui ed il presidente del Senato Schifani, si sono espressi in modo opposto. Fini aveva elogiato la sentenza della Suprema Corte perché difende la salute della donna. Schifani gli ha ricordato che a votare la legge c'era stata anche la Margherita di Rutelli. Come per rimproverarlo di essere più a sinistra dell'ex sindaco di Roma. Ma è un'operazione invero non troppo difficile, viste le recenti svolte a destra di Rutelli, circa il testamento biologico.
Ma i gesti di Fini sono pure schermaglie da avanspettacolo della politica. Tutti parlano, ed i fatti non si vedono. La crisi economica, ha spiegato Berlusconi è soprattutto psicologica.
In questo panorama in cui tristemente si nega l'evidenza delle cose, ogni giorno Fini cerca di ritagliarsi uno spazio più per apparire che per essere.
Quando dice che liberal-capitalismo e liberal-democrazia sono in crisi, richiama un vecchio ritornello della destra, non scrive uno spartito nuovo. Tanto è vero che alla fine concorda pienamente nelle diagnosi del cavaliere che dal secolo scorso promette una "rivoluzione liberale" di cui non conosce neppure il significato (partendo dall'originale di Gobetti).
Un altro protagonista della politica si agita in queste ore, quel Casini che gode degli appoggi vaticani e di molti ambienti cattolici. Come conferma la recente intervista di Andrea Riccardi a Vittorio Zincone su "Magazine" (19.3.2009).
A Riccardi è stato chiesto: "Lei crede nel progetto di terzo polo centrista e cattolico, a cui lavora Pierferdinando Casini?". In puro stile curiale Riccardi ha risposto: "Io non sono mai stato un fanatico del bipolarismo". Non ha scoperto nessuna carta, perché la carta Casini è già abbondantemente "scoperta" da tempo.
Casini ha detto una cosa che Fini dovrebbe imparare a memoria: "Un partito si forma assieme e non si crea per concessione divina di qualcuno".
Fini è convinto di poter lanciare impunemente i suoi sassi nello stagno, e promette "cose politicamente scorrette". Intanto ha coperto di elogi Berlusconi, come racconta Ugo Magri nel suo articolo. Dimenticando che il suo leader preferisce i ministri chiusi al cesso, come da conferenza stampa sul G20.

03.04.2009
La lezione di Obama

I nostri ministri, quando va bene, pronunciano la parola crisi con il tono distaccato di chi legge alla radio le temperature minime e massime.
In certi momenti addirittura una piega amara sottolinea un lieve disprezzo per le vittime di questa crisi. Che disturbano i manovratori perché piangono sul serio, quando perdono il posto di lavoro. Mica sono ricche come gli stessi ministri.
Giorno verrà in cui o il cavaliere o Tremonti guarderanno biechi le masse per rimproverarle, "Ben vi sta la crisi, siete stati tutti comunisti e lo siete ancora nel più profondo del vostro animo, è tutta colpa vostra".
L'insostenibile leggerezza dei nostri governanti ha avuto conferma nella conferenza stampa di ieri del tandem Berlusconi-Tremonti, una sceneggiata da teatrino infantile. Con il secondo che si tira fuori dalla discussione, sostenendo che hanno fatto tutti capi di Stato e di governo. E con il premier che ribatte gioiosamente: "I ministri, in compenso, stavano al cesso".
Il tono "basso" direbbero gli esperti di letteratura, s'addice alla nostra compagine di governo. Che non riesce a volare alto neppure nei momenti più drammatici. Che non comprenderà mai la lezione venuta da quell'Obama che era a Londra con loro.
Un Obama che ha detto, rivolto ad un cronista cinese: "Il nostro futuro è legato al vostro, questo è ciò che conta".
L'America, ha poi argomentato Obama, "è la più grande economia del pianeta, la prima potenza militare e ha una grande influenza sulle idee e la cultura, ma lo fa al meglio se è capace di ascoltare, se riconosce che il mondo è complicato e che c'è bisogno di collaborare con gli altri Paesi e se mostra un atteggiamento di umiltà".
Umiltà: sì, ditelo a quelli di casa nostra che si ritengono i migliori governanti del mondo.

02.04.2009
Il cavalier sgridato

C'è qualcosa di simbolico nella tiratina d'orecchie data da Elisabetta II al cavalier Berlusconi, con quel "Ma perché deve urlare?", dopo che questi aveva rumorosamente invocato mister Obama.
C'è il segreto di un governo che recita sempre sopra le righe, che racconta ai cronisti la balla che il G8 sardo sarà più decisivo del G20 londinese. Mentre i più informati scrivono le opinioni di Sarkozy e Merkel, per cui il G8 non conta più nulla, anche se il G20 è troppo affollato. Per cui alla fine trionferà il G2 di Usa e Cina...
C'è il gioco di prestigio del nostro capo di governo che racconta al collega giapponese di godere di un gradimento personale del 66,4 "in un momento di crisi come questo".
C'è in questa regina che chiede a Berlusconi "Ma perché deve urlare?", il segreto svelato di un'Italia che crede di aver ragione perché alza la voce con l'arroganza di chi ritiene di esser sempre dalla parte giusta; e con lo spirito tartufesco di chi ritiene di avere da compiere una missione in nome della Santa Fede.
Vedere al proposito le parole del cavaliere sul suo voler tradurre "nell'economia la dottrina della Chiesa cattolica".

01.04.2009
Simona ministra

Quando il ministro Sacconi definisce "mani pulite" un "colpo di stato mediatico-giudiziario, costruito inizialmente a tavolino", dimentica un particolare non secondario. A riscuoterne gli utili fu il cavaliere. Che non per nulla nel 1994 offre a Di Pietro e a Davigo il posto di ministri rispettivamente dell'Interno e della Giustizia. (Dal'intervista di Antonio Di Pietro ad Aldo Cazzullo, "Corriere della Sera", 23.11.2008: "Borrelli li convince a rifiutare".)
Quando il bravo Formigoni grezzamente accusa tutti quanti non sono d'accordo con lui e con il re di Arcore, di essere nella compagnia della sinistra che amava gulag, Pol Pot e muro di Berlino, offende la propria personale intelligenza. Perché è costretto dalle tristi circostanze del Pdl ad ignorare che non essere ciellini o berlusconiani non significa sposare le cause della violenza comunista.
Quando Matteo Renzi recita una battuta diretta al suo partito ("Il Pd nazionale dica pubblicamente che non bisogna fare le primarie e che deve candidarsi a sindaco Fracazzo da Velletri"), sintetizza un quadro che si presenta drammatico per le sorti del Paese.
Quando un raffinato intellettuale come Gianfranco Pasquino spiega che sarebbe "felicissimo" se il Pd perdesse il Comune di Bologna, non ci rallegra ma ci fa rattristare ancora di più. Non per le sue parole. Ma per le azioni altrui che lo hanno portato a quelle parole.
Quando succede tutto questo, se si comincia a pensare come la crisi politica è cominciata, con i politici che lucravano non le indulgenze ma le tangenti, e si scopre che torna alla ribalta il mariuolo craxiano di "mani pulite", allora non resta che condividere il pensiero di Gramellini, "Non c'è neppure ricambio per i trafficoni".
L'Italia è un Paese immobile dove cadono le braccia come cadono le vesti a Simona Ventura. Che oggi compie 44 anni. Auguri. E fin che c'è una sua copertina "nuda", c'è pure la speranza in un posto di ministra.


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il Rimino 2009