Diario italiano
Il Rimino 159, anno XI

Marzo 2009

31.03.2009
Cardinal Silvio


Berlusconi è costretto ad ammettere che una crisi economica c'è, e che quindi non si tratta di una malvagia invenzione dei giornalisti. Rassicura che nessuno "sarà lasciato indietro". Lo aveva già detto il suo ministro abate Tremonti, ripetendo un concetto caro al capitalismo compassionevole. Ma il cavaliere di suo ci aggiunge che nel fare ciò tradurrà "nell'economia la dottrina della Chiesa cattolica".

Inevitabili queste parole dopo l'incenso ricevuto dall'«Osservatore Romano» con l'elogio del Pdl quale maggior movimento politico italiano "in grado di esprimere i valori comuni della popolazione italiana, tra i quali quelli cattolici costituiscono una parte non secondaria".
Insomma con l'«Osservatore Romano» se non siamo all'Uomo della Provvidenza poco ci manca.

L'Osservatore Padano, quel comunistaccio di Dario Franceschini, ha invece infierito su re Silvio, definendolo "vecchio dentro". Si sente la suggestione della miss Chiabotto che reclamizza l'acqua che fa belli fuori e puliti dentro.

Le promesse odierne di Berlusconi sul tema della crisi sono forti: "Uno stato moderno non può disinteressarsi dei lavoratori. [...] Terremo i contatti tra imprese e lavoratori, cosicchè alla fine della crisi potranno tornare. Poi interverremo con la cassa integrazione all'80% dello stipendio e con interventi che possono arrivare anche al 100%".

Sono promesse a cui il premier è stato costretto non tanto dall'accorgersi che era rimasto l'unico a parlare senza avere i piedi per terra ("Lavorate di più"... aveva suggerito anche a chi resta senza occupazione), quanto dalla sfida di ieri fattagli da Franceschini, tre dibattiti con gente vera: disoccupati, studenti ed insegnanti, imprenditori.

"Ci troveremo davanti due anni di difficoltà in cui dovremo rinunciare ad alcuni interventi", ha detto oggi. Domani non è un altro giorno. Domani è un altro problema. La crisi piegherà l'arroganza del cavaliere? O distruggerà soltanto quelli che lui considera i suoi "sudditi", cioè la stragrande maggioranza della popolazione?


30.03.2009
Parrucchini e parrucconi


Barack Obama ha dichiarato: "... se non avessimo assistito a qualche salutare scoppio di rabbia, non avremo avuto indietro quei 50 milioni di dollari in bonus".
Una rabbia "giustificata" ha detto anche il presidente degli Usa, promettendo interventi verso le famiglie medie americane "che hanno visto i propri redditi rimanere immutati perfino durante il periodo di boom dell'ultimo decennio, mentre ai livelli più alti si è registrato un ingente aumento delle entrate".

Da noi la preoccupazione principale del capo dell'esecutivo è quella di avere più poteri. Lo ha fatto anche ieri con gli uomini del suo partito, scomodando addirittura Erasmo da Rotterdam ed il suo "Elogio della follia".

Il cavaliere ha orecchiato questo titolo ma ignora che la follia di cui parla Erasmo non è quella dei poveri matti o degli ardimentosi (come Berlusconi stesso si ritiene, giustificando il dotto richiamo). La follia di Erasmo, è "amore della vita nella sua semplicità, contrapposta alla saggezza artificiosa ed arcigna ed alla scienza di chi sa tutto tranne che vivere ed amare" (dal "Dizionario di Filosofia" di N. Abbagnano).

Non può dirsi amante della vita semplice chi gira con una specie di parrucchino che deve nascondere gli effetti dell'età che avanza. E che si circonda di quei parrucconi ai quali due anni fa circa dichiarò guerra considerandoli nemici acerrimi. Non accorgendosi di esserne attorniato. E di essere lui stesso un esemplare ben collaudato di parruccone e codino, dal momento che definisce coglioni quanto non lo votano, e che considera comunisti quanti non seguono il suo verbo.

Tanto parruccone e codino è Berlusconi, da non aver risposto a Fini sulla questione della laicità dello Stato circa il testamento biologico. E da far apparire lo stesso Fini come un esponente degno di schierarsi con l'opposizione.

Mentre in Italia siamo costretti dal destino cinico e baro a fare i conti con questi soggetti, negli Usa il presidente Obama non chiama comunisti o rivoluzionari quanti hanno protestato per la crisi, ma definisce "giustificata" la loro rabbia.

30.03.2009
Ritorna vincitor


Ferruccio De Bortoli ritorna da vincitore a guidare quel "Corrierone" da cui si era dimesso nel maggio di sei anni fa, per colpa di Berlusconi. Michele Diodati, sul giornale inglese "The Indipendent", aveva scritto che due avvocati del capo del governo avevano "citato in giudizio De Bortoli per uno dei suoi editoriali, accusandolo di diffamazione".

A far traboccare il vaso governativo, secondo Diodati, era stato l'editoriale di Giovanni Sartori dl 15 maggio 2003 ("Un premier i suoi fantasmi") scritto a commento di una frase del cavaliere ("Non sarà permesso a nessuno che è stato un comunista di andare al potere"). Sartori aveva osservato: "Queste cose le diceva Mussolini. Lei non ha nessun motivo di aver paura. Io sì".

Aveva ironizzato poche righe prima: "...se Berlusconi può dormire placidamente tra quattro guanciali, chi non riesce più a dormire tranquillo sono io. Di notte oramai giro armato temendo di imbattermi in qualche comunista che mi mangia scambiandomi per un bambino"

Sartori commentò così il cambio della guardia: "Anche se l'assedio del potere diventava sempre più pressante, con me Ferruccio de Bortoli non si è mai lamentato. Le lamentele su di me se le prendeva lui. Io più o meno le sapevo; ma de Bortoli non me le ha mai passate. Tengo molto a dargli atto della sua eleganza e fermezza nel proteggermi".

Il ritorno di De Bortoli in via Solferino, forse significa qualcosa nel contesto politico di questi giorni.

Ecco integralmente l'articolo di Giovanni Sartori del 15 maggio 2003, dal "Corriere della Sera".

UN PREMIER I SUOI FANTASMI

Fassino sostiene che Berlusconi si sta comportando da disperato. Disperato di che? Disperato perché? Forse intende dire che è afflitto da un complesso di persecuzione, da una paranoia alla Nixon (ai tempi del Watergate). Se così fosse ci sarebbe poco da fare. I complessi di persecuzione non si curano, purtroppo, con i fervorini, con la moral suasion, con gli inviti alla calma. Preferisco sperare, allora, che Berlusconi sia «razionale» nelle sue paure, e quindi che se ne possa ragionare. Il Cavaliere si ritiene minacciato. Da chi? In verità il solo che lo minaccia apertamente ogni settimana è Bossi. Ma Berlusconi le somme le sa fare; e quindi sa benissimo che Bossi non ha i numeri per farlo cadere. La pistola leghista è una pistola scarica. L'altro giorno Berlusconi ha raccontato che il suo primo governo è caduto per colpa dell'avviso di garanzia che gli venne malvagiamente recapitato a Napoli. Non è così. Ma il suo ricordare male rivela che il Cavaliere ha «rimosso» il fattore Bossi dalle sue paure. Lo sgambetto del Senatur e la sua versione del fattaccio (che Berlusconi gli stava comprando i parlamentari) sono cose dimenticate. La paura che fa inferocire Berlusconi è invece quella della magistratura. Qui il Cavaliere vede rosso e vede ovunque toghe rosse. Secondo lui la magistratura (descritta come una «criminalità giudiziaria») medita di rovesciarlo, è una magistratura «golpista». Sarà. Io non dispongo di servizi segreti. Ma il segreto da spiegare è come la magistratura possa far cadere il Cavaliere dal suo cavallo. Berlusconi è un pluri-indiziato da quasi un decennio. E da quasi un decennio la sua carriera politica sopravvive benissimo ai processi che la dovrebbero danneggiare. Fa la vittima, si dichiara perseguitato, e gli italiani sono di buon cuore. Uno su due simpatizza con lui. Anche perché gli italiani non si sentono ben serviti dalla loro giustizia, che è lentissima, troppo arzigogolosa, troppo «casta» e anche, purtroppo, troppo politicizzata. Così a molti italiani non dispiace che venga trattata a pesci in faccia. Voltaire scriveva che se Dio non esistesse andrebbe inventato. Berlusconi lo potrebbe parafrasare. La persecuzione giudiziaria è una invenzione che gli fa comodo. Comunque sia, negli ultimi due anni il Cavaliere si è ulteriormente protetto con una serie di leggine che esibiscono tutte quante o la fotografia sua o quella di Previti. Dal processo nel quale Previti è stato condannato (in primo grado, con altri due gradi di salvaguardia) Berlusconi si è già salvato con la prescrizione. Ed ha già trovato il modo di rinviare sine die, o fino a un'altra prescrizione, il processo nel quale è ancora coinvolto, il processo Sme. Presentandosi spontaneamente a Milano il Cavaliere ha innescato il meccanismo dei legittimi impedimenti a catena. Così salteranno udienze su udienze fino all'inizio del 2004, quando dovrà essere formato un nuovo collegio giudicante e tutto il processo dovrà ricominciare da zero. Il verdetto definitivo del processo Sme non ci sarà mai. Dunque niente paura, Cavaliere. La magistratura non ha modo di «golpizzarla». Però se Berlusconi può dormire placidamente tra quattro guanciali, chi non riesce più a dormire tranquillo sono io. Di notte oramai giro armato temendo di imbattermi in qualche comunista che mi mangia scambiandomi per un bambino. E poi Lei ha dichiarato, signor Presidente del Consiglio, che «non sarà consentito a chi è stato comunista di andare al potere». Queste cose le diceva Mussolini. Lei non ha nessun motivo di aver paura. Io sì.


29.03.2009
L'abate Tremonti


Non un comizio, ma una terribile noiosa lezione ha impartito Giulio Tremonti lasciando indifferenti gli uditori del PdL, mentre il suo collega Brunetta piangendo sul palco degli oratori ha provocato una facile standing ovation per aver parlato male della "burocrazia parassita". L'aggettivo per la verità è vagamente stalinista, e si pone onestamente sul solco del leader Silvio Berlusconi, immagine speculare del "Migliore" d'antan, quel Palmiro Togliatti che il cavaliere venera senza saperlo. Anzi disprezzandolo per un complesso freudiano.

Tremonti ha ripetuto una frase non sua ma di Domenico Siniscalco, questa crisi è "la fine non del mondo ma di un mondo". Ha ripreso dal conservatori americani sconfitti da Obama la teoria del capitalismo compassionevole. Ha spiegato che la parte più avveduta del centrodestra ha visto la crisi prima del centrosinistra. Con ciò escludendo Berlusconi dalla parte più avveduta perché il premier a lungo ha negato la recessione.

Ciononostante, all'arrivo sul palco, il ministro ha potuto essere solleticato da un cortese elogio della speaker che lo ha modestamente presentato come "l'uomo la cui genialità l'Europa ci invidia".

La ciliegina sulla torta del prof. Tremonti è stata la citazione di sant'Agostino, come se lui fosse stato un abate chiamato a predicare dal pulpito di una chiesa medievale: "Nella necessità l'unità, nel dubbio la libertà, e verso tutti la carità".

Ciò che fa sentire la lontananza dell'ultima parte della citazione dal tempo presente, è che quella parola "carità" urta contro la parola "giustizia". Forse ritenuta troppo azzardata da parte di Tremonti.
Ma proprio per questo, nessuno lo autorizza a credere di essere "dal lato giusto della Storia". Quest'ultimo pensiero, dovrebbe sapere il prof. Tremonti, non ha mai portato bene a chi lo ha preso come modello di comportamento politico.
Ed all'abate Tremonti ci permettiamo di suggerire come la libertà sia garantita dalla presenza del dubbio. I dogmatismi tipo credersi "dal lato giusto della Storia" non favoriscono né il dubbio né la libertà.

Per credersi "dal lato giusto della Storia", almeno la Storia bisogna conoscerla. Non basta fare come ha fatto il ministro, dire che non si va incontro alla "mezzanotte della Storia", ma ad una svolta "che batte la sua ora nelle nostre vite".
Che brutto ricordo evoca quella frase: "Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria". Era il 10 giugno 1940. Per evitare queste fastidiose "assonanze", la Storia bisogna conoscerla. Non basta predicare una massima di sant'Agostino.

29.03.2009
Silvio come Palmiro


Un pensiero di Indro Montanelli del 1972: il clero italiano "concepisce il fedele come un minorato da difendere contro il peccato e la tentazione con metodi paternalistici e autoritari".
Un testo di stamani. Nell'editoriale di Adriano Prosperi su "Repubblica" leggiamo a proposito della questione del testamento biologico: "Abbiamo visto all'opera un'alleanza tra l'integralismo di una chiesa che irrompe senza mediazioni sulla scena del potere e l'opportunismo politico".
Dal 1972 al 2009 le cose sono dunque peggiorante, circa la questione della laicità dello Stato. Oggi c'è quella che Prosperi chiama "una nuova Controriforma". C'è un regime clerico-totalitario.

Sulla "Stampa" di ieri una nota di Filippo Di Giacomo, defilata (è apparsa a pagina 32, però meritava la prima) ma fondamentale, ha dimostrato che "Quella legge non è cattolica", come dice il titolo.
Carte alla mano, Di Giacomo spiega che "il Magistero insegna ai fedeli che è lecito" interrompere "terapie rischiose e dolorose". Che la Chiesa insegna: "è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita".

"Avvenire" ha ringraziato il governo con un titolo strano, quasi irrispettoso verso i drammi legati al testamento biologico, "Troppa grazia".

L'on. Fini, presidente della Camera, ha difeso in proposito i diritti dello Stato laico di dettare le proprie norme senza dover sottostare ai diktat ecclesiastici. D'accordo con lui ("anche sul testamento biologico"), si è detto il capo del governo. Ribadendo di essere da sempre un sostenitore della libertà di coscienza (!).

Stefano Folli nell'editoriale del "Sole-24 Ore" ci spiega che non c'è nessun dualismo tra Fini e Berlusconi. Ha ragione. Il dualismo, lo sdoppiamento è nello stesso cavaliere, che dà ragione a Fini e dà ragione anche alla Chiesa.
Folli constata giustamente che "la visione laica" di Fini "contraddice tutto quanto è stato fatto in Parlamento (o meglio, a Palazzo Madama) con il pieno avallo del presidente del Consiglio e degli organi di maggioranza".
Folli è costretto ad ammettere che "qui la polemica affiora ed è aspra", perché "si vuole una maggiore autonomia della politica dalla Chiesa e dalla morale politica". L'esercizio di alta acrobazia retorica dell'illustre commentatore chiude il circolo contraddicendosi, perché la conclusione sulla polemica aspra sta all'opposto della premessa che nega ogni dualismo tra Fini e Berlusconi.
Folli deve pure ammettere in un altro passaggio che i due offrono visioni del Paese e delle istituzioni molto diverse fra loro. Dunque? Sono agli antipodi, ma non c'è dualismo?

Ernesto Galli Della Loggia ha oggi perso un po' le staffe parlando di Berlusconi, nell'editoriale del "Corrierone". Lo ha definito "tutto immerso, biograficamente e culturalmente, nella prima Repubblica", per aver impostato la linea del nuovo partito nella lotta alla sinistra identificata con il comunismo.
Non gli dà apertamente dell'ignorante in materia storica, scrive con elegante fermezza che il cavaliere ignora tutte le variabili della sinistra, la tradizione socialista-riformista e quella laico-democratica. Tutto ciò per il cavaliere è uno scoglio contro cui rischia di naufragare, conclude il commentatore.

La morale della favola ci aiuta a tirarla fuori Marcello Veneziani che alla "Stampa" ha confidato una terribile battuta: PdL non significa altro che partito del leader.
Un leader che ripete da sempre le stesse cose plagiando giovani coscienze come quella dell'on. ministro Maria Rosaria Carfagna. La quale attribuisce inutilmente al premier "il grande merito di aver sconfitto la cultura cattocominista e gramsciana".
Silvio è così ripetitivo e dogmatico nelle sue affermazioni da apparire come l'immagine speculare e sbiadita del vecchio Palmiro. Ci spiace per la signorina Carfagna: crescendo, se ne accorgerà.

Come si è accorto di non essere finito in una buona compagnia Giorgio La Malfa che alla "Stampa" di stamani ha confessato di essere in attesa "che si possa riportare il partito repubblicano in un alveo di sinistra".
Deve avergli tirato le orecchie in sogno suo padre Ugo, suggerendogli pure la constatazione che il federalismo o creerà nuove ingiustizie o farà aumentare le tasse.
Non sappiamo a chi rivolgerci affinché appaia in sogno anche alla ministra Carfagna per spiegare che il suo Silvio è una copia conforme proprio dell'antico segretario del Pci, che ripeteva sempre le stesse cose, con la medesima arroganza e visione dogmatica della Storia.


27.03.2009
Sacre minacce


Eminenza Bagnasco. Tra i Suoi fans ci sono persone che non ammettono discussioni. Tale "Rocco" ([email protected], IP 79.30.81.45, Catania, Sicilia) ha commentato un mio post a Lei dedicato con queste parole: "Fortunatamente noi abbiamo l'obbligo di esercitare la virtù della pazienza".

Gli ho risposto amichevolmente in privato, chiedendogli. "Se non foste pazienti che cosa fareste?"
Replica del "Rocco" furente: "Cosa faremmo? Tutto a suo tempo...".

Curiosità. Su Internet trovo un altro commento da mail intestata a "[email protected]": "ANDATE A CAGARE".
Eminenza Bagnasco, accetti il modesto invito a preoccuparsi di tali difensori d'ufficio.

Post scriptum.
Riproduco dall'Ansa di oggi 27 marzo, questo lancio delle ore 11:39:
Aids: Lancet, Papa distorce scienza
Con possibili conseguenze devastanti per milioni di persone
ROMA, 27 MAR - Una delle piu' prestigiose riviste scientifiche del mondo, l'inglese The Lancet, critica duramente le affermazioni di Papa Benedetto XVI.Il riferimento e' alle affermazioni del pontefice sull'uso del preservativo per prevenire l'Aids. ''Ha pubblicamente distorto - scrive Lancet- le prove scientifiche. Quando qualsiasi personaggio influente fa una falsa affermazione scientifica, con possibili conseguenze devastanti per milioni di persone, dovrebbe ritrattare''.


26.03.2009
Cicchitto lo sbettinato


Rassicuro chi, commentando in un altro blog il mio post "Bagnasco furente", mi ha definito "radical-chic". Non sono mai stato né radical né radicale, né tanto meno "chic". Basta frequentarmi per pochi minuti per accorgersi che sono a sufficienza ruvido nei modi e nei pensieri per non meritare tale gratuita etichetta.

Non mi appartiene l'eleganza dei politici o la dialettica dei venditori televisivi di tappeti. Apprezzo le idee semplici non soltanto per deficienza personale nel raggiungere alti traguardi, ma soprattutto perché cerco di fare mia, nella pratica quotidiana, l'aurea massima di Cartesio: "le cose che noi concepiamo in modo chiarissimo e distintissimo sono tutte vere".

Idee "tutte vere" ha creduto di esporre ieri in una lunga intervista al "Corrierone" Fabrizio Cicchitto raccontando ad Aldo Cazzullo non soltanto la nascita del partito personale del cavaliere, ma ben 40 anni di storia patria.

C'è del genio nelle "verità" di Cicchitto, come in tutte le storie costruite "ad usum delphini". Non ho motivo per contestargli alcunché di quello che sostiene circa Berlusconi, né sull'antico rapporto con i ciellini, né sulla visione "laica" (le virgolette sono di Cicchitto) del fascismo che ebbero pure "De Felice e in fondo" la stessa borghesia italiana.

Si potrebbe obiettare soltanto che i matrimoni d'interesse sono sempre esistiti, ma di solito sono etichettati in maniera diversa da quelli d'amore. Niente impedisce all'interesse di trasformarsi in passione, ma niente garantisce che l'augusto ed anziano marito non sia beatamente cornificato dalla fanciulla in fiore portata al suo talamo con ricca dote e pure solerte ricerca del piacere al di fuori del noioso ed insipido talamo coniugale.

Berlusconi, sull'onda di tangentopoli, eroicamente cavalcata dal suo re di cuori dell'informazione televisiva, Emilio Fede (di nome e di fatto), ideava nel settembre 1993 un partito "senza nome". Lo racconta oggi sullo stesso "Corrierone" Marcello Dell'Utri in un'altra istruttiva intervista, a Paola Di Caro. Una specie di amarcord con perle come il giudizio su un ex presidente del Senato, Carlo Scognamiglio, che Dell'Utri definisce "il nulla assoluto". La piazza non passava di meglio, oppure fu una questione di fiuto non allenato in chi lo destinò all'alta funzione?

A quel partito (creato da un imprenditore che Bettino Craxi aveva favorito con il decreto sulle televisioni, 20 ottobre 1984), approda pure Cicchitto. Che ora rilegge tutta la storia sua, dell'Italia e del mondo come se veramente nessuno dall'esterno avesse aiutato la sinistra italiana in quella che lui stesso oggi chiama "l'egemonia culturale". Tramontata grazie a Berlusconi.
E che forse sarebbe più corretto definire egemonia economica sotto la specie della sinistra di tanti personaggi che miravano soltanto a fare i soldi, come in quella scenetta da avanspetaccolo, "Vai avanti tu, perché a me vien da ridere".

Molti a sinistra hanno onestamente lavorato credendo che il mondo potesse essere migliorato mettendo in pratica massime assolute come l'uguaglianza fra tutti gli uomini. Moltissimi a sinistra hanno badato solamente a fare affari.
Nella mia città fra fondi governativi (650 milioni di lire alla fine degli anni 50 ad una grossa industria ora in grave crisi dopo tante, recenti celebrazioni ufficiali dei suoi meriti gestionali), fra evasione fiscale e lavoro nero, molta gente di sinistra conservava a sinistra soltanto il portafoglio.

Una città abituata a "compromettersi" nascondendo le varianti edilizie sotto le più eleganti formule. Una città in cui soltanto grazie ai voti del centro-destra cattolico è stata eletta l'attuale giunta comunale di centro-sinistra.
Di queste realtà simili a Rimini, quante ce ne sono in Italia? Lo chiedo a Cicchitto che taglia con l'accetta ciò che invece il bisturi chirurgico fatica ad eseguire. Perché questa è la politica. Un voto oggi a me, una assunzione domani a te. Fatti che non possono essere negati, sono sotto gli occhi di tutti. Di tutti quelli che vogliono vedere.

On. Cicchitto s'informi su come nella periferia dell'impero vanno le cose all'insegna dei più plateali e clamorosi favori tra le forze che a Roma sono in opposizione, ma che localmente si danno una mano. Nulla di male, basta saperlo e dirlo. Non cercare di mettere a tacere chi lo scrive.

Cicchitto chiude l'intervista facendo un bilancio in parallelo fra Berlusconi e Craxi. Il primo cerca il consenso, il secondo mirava allo scontro. Il cavaliere non maltratta amici o collaboratori. Bettino invece "aveva un carattere insieme forte e aggressivo".
Cicchitto non aggiunge altro. Una modesta pratica di mondo ci permette di azzardare una postilla alle sue riflessioni da politico "sbettinato". Chi ha molti soldi facilmente ha successo. Chi ha cattivo carattere spesso è fregato dagli altri con la scusa del cattivo carattere medesimo. Per Craxi è andata così. Esule o latitante che sia considerato, fu il primo a fare severamente i conti non con l'egemonia di una fantomatica sinistra (come quella di cui parla Cicchitto), ma con la reale, granitica egemonia comunista. Che risultava tanto utile anche ai democristiani. Per cui alla fin fine Craxi fu vittima sacrificale, mediante fuoco amico, tradimenti fraterni e strategie avversarie.

Ridurre la storia a questioni di carattere, ridimensiona non la persona di cui si parla, ma chi ne tratta in tal modo.
A Cicchitto dobbiamo una rivelazione fornitaci dal "Corrierone". Berlusconi non ha vinto con le televisioni, ma "anzitutto con i libri". Chiediamo scusa, non ce ne eravamo accorti. Leggiamo troppo i libri e guardiamo poco la televisione. Colpa nostra.

L'atteggiamento di Cicchitto non è frutto di una mentalità da "compagnuccio della parrocchietta" alla Alberto Sordi in quel film memorabile che dispiacque tanto ai dc. E' l'effetto perverso di un'educazione moralistica imposta dal cavaliere ai suoi seguaci, come se fosse il guru di una setta religiosa.
Non se ne dovrebbe invece trovare traccia in spiriti laici come quello di Cicchitto. Perché egli tale si dichiara con Cazzullo, aggiungendo di essere vicino ad Obama per le staminali e di essere lontano dal papa per il preservativo 'africano'. (Che non funzionerebbe, ha spiegato in tivù Lucetta Scaraffia, storica, a causa del caldo che fa laggiù...)
Cicchitto stava con le ragioni di Welby... Ed allora, ci scusi che ci fa in casa del cavaliere? Quella casa in cui, come scrive oggi Mario Pirani su "Repubblica", si è pensato di trasformare, per il nostro Paese, in atto meritorio ciò che sino ad ieri era reato.

Dalla parte di Pirani sembra posizionarsi lo stesso presidente della Camera Gianfranco Fini, quando oggi dichiara: "Il premier non può irridere le regole". Berlusconi aveva detto: "Ci sono troppe procedure, bisogna ammodernare lo Stato, per questo siamo indietro su tutto, anche in Parlamento. Adesso sei lì con due dita ad approvare tutto il giorno emendamenti di cui non si conosce nulla. Quando ho fatto il paradosso del capogruppo che vota per tutti era per dire che gli altri sono veramente lì non per partecipare ma per fare numero".
Replica di Fini: "La democrazia parlamentare ha procedure e regole precise che devono essere rispettate da tutti, in primis dal capo del governo. Si possono certo cambiare ma non irridere". Che ne pensa Cicchitto, tessera P2 numero 2232?

La tessera P2 numero 625, dottor Silvio Berlusconi, rispose a Craxi nel 1984, dopo il decreto sopra citato: "Caro Bettino grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli-tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio". E chiamale se vuoi collusioni...


I post precedenti.
Diario italiano, indice.


Anno XI, n. 159, Marzo 2009
Date created: 26.03.2009 - Last Update: 31.03.2009, 18:28/
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