il Rimino 2018. Quante storie, 17

Helena Janeczek, premio Strega 2018


Non parliamo del romanzo "La ragazza con la Leica" (Guanda) che ha vinto il Premio Strega 2018, ma della sua autrice Helena Janeczek, riprendenone una breve biografia dal sito di www.internazionale.it.

I genitori di Helena Janeczek provenivano direttamente dall'indicibile, dal campo di concentramento per eccellenza, da Auschwitz. Con un cognome falso, la famiglia ebrea-polacca dell'autrice è andata avanti, ricreando una vita, un futuro, delle nuove abitudini. Janeczek è cresciuta all'ombra di tutto questo in una Monaco di Baviera dove le tracce del nazismo erano e sono ancora evidenti. È lì che si trovano la casa di Hitler – che oggi ospita un conservatorio –, la piazza delle adunate e delle braccia tese. Ma la sua vita nella città tedesca è stata anche quella di una ragazza normalissima, che andava a scuola e sognava l'amore e i fiori come tutte.
Tuttavia, a casa la musica era un'altra. È lì che Janaczek ha fatto la sua prima esperienza con il vuoto. Chi sopravvive all'indicibile, come i suoi genitori, spesso non ama ricordare la catastrofe che ha lacerato il proprio corpo e la propria anima. Si tende, ed è umano, ad andare avanti. A non rivangare un passato troppo doloroso. Ed ecco che chi vive accanto a chi sopravvive deve abituarsi al vuoto, al silenzio, al non detto che ricopre fatalmente le pareti del cuore. Il vuoto riempie tutto. Ed è quel vuoto uno dei motivi (di certo non il solo) che ha spinto Janeczek a scrivere.

In "Sottovoce", Helena Janeczek: "Mia madre...", si legge:
Qualche passo dell'articolo che "La Stampa" di sabato 7 luglio le ha dedicato per la penna di Mirella Serri.
È un'intervista che mette in parallelo la protagonista del libro, Gerda Taro, celebre fotografa, e la madre dell'autrice, Nina: "Sono sempre state entrambe tempre forti, audaci, indipendenti".
Helena Janeczek aggiunge che di sua madre ha parlato in un altro libro, "Lezioni di tenebra". Nina "abitava in un paesino polacco vicino al confine con la Germania, è sopravvissuta alla vita nel ghetto e poi anche ad Auschwitz. Quando, all'inizio del '45, le truppe russe si stavano avvicinando al lager, Nina fu costretta ad affrontare malata e denutrita, con molti altri prigionieri, la cosiddetta marcia della morte per essere trasferita in un altro campo. Resistette anche a quella prova e, rinata, sposò mio padre che conosceva da prima delle deportazioni".
Suo padre evitò il campo di concentramento "grazie a documenti falsi che era riuscito a procurarsi. Io ancora oggi utilizzo il cognome con cui papà si sottrasse alle SS: il nostro vero cognome è un altro".


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2801, 07.07.2018//08.07.2018