il Rimino 2018. Quante storie, 6

La repubblica degli orfani, 1945

È la grande, moderna colonia estiva di Selvino, sui monti bergamaschi. Un complesso costruito dai fascisti, che si favoleggia, peraltro senza fondamento, sia stato abitato da Mussolini in persona. Moshe Zeiri lo trasforma in centro di accoglienza per orfani ebrei provenienti da "laggiù". Con il sostegno delle organizzazioni di assistenza ebraica, arriva a ospitare, nell’immediato dopoguerra, centinaia e centinaia di giovani profughi. Qui i ragazzi ritrovano calore, fiducia, e vengono preparati alla vita del kibbutz. Poco importa che l’immigrazione sia illegale, e che gli inglesi facciano di tutto per impedire nuovi arrivi ebraici in Palestina, ancora sotto il loro controllo. Sergio Luzzatto segue le navi con i giovani pionieri di Selvino, li accompagna nelle traversie della deportazione a Cipro, fino all’effettivo arrivo in Terra d’Israele. Un arrivo difficile, tra i pregiudizi di chi crede che gli ebrei sfuggiti allo sterminio siano inadatti alle sfide di una nuova frontiera e della guerra d’indipendenza. Moshe rientra nel suo kibbutz dall’Italia a fine ’48, e proprio a questo punto, quando il racconto sembrerebbe volgere alla fine, i molti fili, di tragedia e di speranza, si uniscono così da mostrare il disegno complessivo. La storia, individuale e irripetibile, è anche epos collettivo, e affresco di una generazione.
Giulio Bosi, "Domenica Il Sole 24 ore", 14.01.2018, p. 1
L'articolo rimanda al volume di Sergio Luzzatto "I bambini di Moshe. Gli orfani della Shoah e la nascita di Israele".

Documenti.
Sciesopoli. E l'Italia accolse i bimbi della Shoah.

Da "Avvenire", Marco Birolini, sabato 26 settembre 2015.
"Sciesopoli mi ha ridato la vita, mi ha restituito il sorriso". Anna Sharir ha 76 anni. Ne aveva 6 quando arrivò a Selvino con gli altri orfani ebrei raccolti in giro per l'Europa dalla Solel Boneh, la brigata di genieri ebraici dell'esercito britannico. Era il 1945, la guerra era appena finita e il mondo era in macerie. Tragedia nella tragedia, la sorte dei bambini della Shoah, che avevano perso i genitori nei rastrellamenti e nei campi di sterminio. La brigata ebraica li scovò nei ghetti, ma anche ad Auschwitz, Treblinka e Mauthausen. Li caricò sui vecchi camion militari e li trasportò a Milano, dove la comunità ebraica si stava riorganizzando. I genieri chiesero al presidente Raffaele Cantoni di trovare un luogo di ricovero per gli orfani. Furono presi contatti con il Comitato di liberazione nazionale, che indicò la verde e tranquilla Selvino, dove sorgeva l'ex colonia dei balilla milanesi intitolata a Antonio Sciesa, patriota risorgimentale. Il 22 settembre 1945 i primi bambini iniziarono ad arrivare a Sciesopoli, dove un anno dopo approdò anche Anna. Giovedì la donna è tornata in Val Seriana per celebrare il 70° anniversario con i compagni di allora. La prima ad abbracciarla è stata Nitza, la figlia di Moshe Zeiri, il tenente che diventò direttore della colonia. I bambini furono affidati a lui: all'inizio erano una trentina, poi diventarono 400. In tre anni, Sciesopoli ospitò 800 piccoli ebrei. Moshe nella vita civile era un insegnante di musica e attore di teatro: a Selvino sperimentò un metodo didattico innovativo che mescolava storia, tradizioni, recite e piccoli concerti. Un approccio morbido, necessario per tentare di conquistare la fiducia di bambini che portavano ancora addosso i traumi della persecuzione razziale.


Selvino. Foto ripresa da Eco di Bergamo


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