il Rimino - Riministoria
Passioni malatestiane del 1718
Vivaci difese della sacralità del Tempio di Sigismondo

Nella recensione ad un recente volume dell'editore Ghigi («I pianeti di Sigismondo»), abbiamo ricordato che «le contraddizioni del nostro Tempio rispecchiano quelle delle menti di Sigismondo e degli uomini del suo ambiente che fanno convivere elementi cristiani e pagani». Secondo lo storico Franco Bacchelli si attribuiscono misteriose velleità esoteriche a Sigismondo, partendo da una citazione ricavata dalla pagina conclusiva del «De re militari» di Roberto Valturio, in cui è accennata la suggestione esercitata sopra Sigismondo dalle «parti più riposte e recondite della filosofia».

Ma Bacchelli (abbiamo pure letto) riporta una «fulminante diagnosi espressa» dal grande studioso Carlo Dionisotti: «Dove fosse in questione la fede cristiana, il Valturio era intransigente: non poteva fare a meno di registrare la pratica della divinazione, ma la deplorava e la interdiva nel presente come arte diabolica [...]». Le parole di Dionisotti, si aggiungeva in quella recensione, tolgono ogni validità sul piano storico e critico alle devianti interpretazioni di quanti s'adoperano continuamente in una battaglia esoterico-massonica per dimostrare l'indimostrabile.


Garuffi, prete e bibliotecario
Le polemiche sul Tempio non sono però nuove. Ne troviamo una testimonianza importante all'inizio del secolo XVIII quando il concittadino Giuseppe Malatesta Garuffi contestò un padre francescano che aveva scritto della nostra illustre chiesa un secolo prima.

Garuffi fu sacerdote e direttore della Biblioteca Gambalunghiana dal 1678 al 1694. Tra l'altro, compilò una storia delle accademie italiane, «L'Italia Accademica», il cui primo ed unico volume a stampa apparve nel 1688, mentre il resto dell'opera è conservato manoscritto nella Biblioteca Gambalunghiana. Quel testo non piacque a Ludovico Antonio Muratori. A Forlì nel 1705 Garuffi animò il «Genio de' letterati». Egli aveva avviato un ampio programma, sotto il titolo di «Bibbioteca Manuale degli Eruditi» («Bibbioteca» e non «Biblioteca» come viene quasi sempre riprodotto), per pubblicare 130 titoli, «i quali contengono moltissime Erudizioni, Istoriche, Poetiche, Morali, varie, e di sagra Scrittura». Garuffi trattò anche di Filosofia, dimostrandosi attento a quella sperimentale, «in cui il nostro secolo ad occhi aperti si esercita dopo d'essersi per l'addietro lungamente perduto ad occhi chiusi» in vane ed inutili questioni.


Un francescano del secolo XVII
Nel 1718 Garuffi pubblica nel veneziano «Giornale de Letterati d’Italia» (tomo XXX, pp. 156-186) una «Lettera apologetica […] in difesa del Tempio famosissimo di san Francesco», per criticare quanto era apparso in latino quasi un secolo prima (1628) negli «Annali Francescani» dell’irlandese padre Lucas Wadding (1588-1657), professore di Teologia e censore dell’Inquisizione romana, dopo aver studiato a Lisbona e Coimbra.

Wadding fu il fondatore e guardiano del collegio dei frati osservanti della nazione irlandese a Roma, presso la chiesa di san Isidoro che aveva avuto origine dalla canonizzazione fatta da Gregorio XV nel 1622 di cinque santi, fra i quali lo spagnolo Isidoro. In quell'anno vennero dalla Spagna alcuni padri «riformati scalzi» di san Francesco per fondarvi un ospizio per i frati loro connazionali. Dopo due anni però essi l'abbandonarono. L'ospizio fu così concesso a padre Wadding, che è sepolto nella stessa chiesa di san Isidoro.


Sigismondo: eroe o gran peccatore?
Il testo di Wadding secondo Garuffi, conteneva «alcuni periodi» che sono «pieni di calunnia contro il Tempio di san Francesco di Rimino». Padre Wadding definisce Sigismondo uomo da ricordare più per le doti del fisico che per quelle dello spirito. Famoso per gloria militare, straordinaria eloquenza e forza del corpo, lo giudica però ignobile per infami costumi ed un genere di vita che nulla aveva avuto di cristiano. A questo punto Wadding ricorda la biografia di Sigismondo scritta da Pio II che niente aveva tralasciato dei presunti delitti del signore di Rimini.

Wadding prosegue sostenendo che Sigismondo dedica sì il Tempio alla memoria di san Francesco, ma lo riempie di immagini con miti pagani e simboli profani, aggiungendovi pure un mausoleo (di fattura e materia bellissima) per la sua amante, con un epitaffio chiaramente pagano («Dedicato alla divina Isotta»).

Garuffi taglia corto: Sigismondo è stato «un eroe insigne non meno per valore, che per la religione», e Wadding aveva scritto soltanto «una serie di cose falsissime».


Il principe e le sue donne
Garuffi sapeva che Pio II l’aveva accusato di aver ripudiato la prima moglie, avvelenata la seconda, strangolata la terza. Ed anche per papa Piccolomini, il bibliotecario riminese ha pronte le risposte in difesa di Sigismondo. La prima moglie era la figlia del Carmagnola: rifiutò di sposarla dopo la condanna a morte del futuro suocero (1432). Per Ginevra d’Este, la seconda (ma in realtà la prima ad essere impalmata), il sospetto di una morte per veleno fu diffuso dai parenti del Carmagnola. Circa Polissena Sforza, Garuffi spiega che se anche l’avesse fatto, Sigismondo avrebbe agito «per giusta ragione di Stato» avendo lei rivelato al padre, in lettere intercettate dal marito, «alcuni militari segreti del consorte». Infine Garuffi scrive che Isotta era stata sposata da Sigismondo, quindi non si poteva definire sua amante.

Nelle pagine successive Garuffi passa alla difesa del Tempio, con la descrizione delle singole cappelle, riservando la conclusione al problema della scritta sulla tomba d’Isotta («D. Isottae Ariminensi B. M. sacrum. MCCCCL»). Quel «D.» sta ad indicare «Dominae» e non «Divae» come aveva interpretato Wadding. Ma se anche fosse come proponeva lo storico francescano, spiega Garuffi, non ci sarebbe nulla di male, perché chiamare «diva» Isotta significava soltanto usare un titolo degno per la moglie di un principe, senza alcun «sentore di gentilesimo», cioè di paganesimo. (Sul «B. M.» gli studiosi si sono sbizzarriti: beata o buona memoria, oppure benemerita.)


La vicenda di Isotta
Fortunatamente Wadding non sapeva quanto scoperto nel 1912 da Corrado Ricci. La discussa iscrizione per Isotta era stata sovrapposta ad un’anteriore, ancora più compromettente: «Isote ariminensi forma et virtute Italiae decori. MCCCCXLVI». Era di un’audacia scandalosa quel «decoro d’Italia» riservato ad una giovinetta come Isotta che aveva circa tredici anni nel 1446, quando fu sedotta da Sigismondo mentr’era ancor viva la moglie Polissena. Isotta nello stesso anno concepì da Sigismondo un figlio, Giovanni, che morì in fasce il 22 maggio 1447.

Wadding ricorda che origine e genealogia riminese dei Malatesti erano state riassunte da fra Leandro Alberti in una sua opera («Descrittione di tutta l’Italia e Isole pertinenti ad essa», 1550). Leandro Alberti osserva: Sigismondo fu «valoroso capitano de i soldati», e la sua vita è stata descritta da Pio II «che narra i suoi vitij, et opere mal fatte», anche se «nell’ultimo di sua vita, chiese perdono ad Iddio con lagrime de i suoi errori, et passò di questa vita da buon Christiano». Neppure una parola per il nostro Tempio c’è in fra Leandro, il quale invece per Malatesta Novello spiega che «essendo letterato, et virtuoso edificò quella sontuosa libraria nel monasterio di San Francesco di Cesena, ove pose nobilissimi libri tutti in carta pecora, e a mano scritti, et ornati di belli mini».


L’anonimo mascherato
A Garuffi nello stesso anno («Rimino, 15 dicembre 1718») risponde un anonimo con altra «Lettera» a stampa, prendendo le difese di padre Wadding e presentandosi come Minore Osservante: è una minuziosa e pedante requisitoria contro la presunta religiosità di Sigismondo, in cui si richiamano altri autori riminesi che in passato avevano accettato senza fare una piega l’accusa di eresia rivoltagli da Pio II.

L’anonimo corregge errori di datazione commessi da Garuffi circa le morti delle mogli di Sigismondo; rispolvera la vicenda (leggendaria) del frate martirizzato per non avergli voluto rivelare i segreti del confessionale di una sua sposa; ed aggiunge come ciliegina sulla torta che i cesenati sospettavano il signore riminese d’aver aiutato nel 1432 la morte del mite fratello Galeotto Roberto, come premessa alla ripartizione del potere con Novello [su cui vedi la nostra pagina in Riministoria].

Dopo ben nove anni, nel 1727, Garuffi risponde all’Anonimo con altre citazioni alle contestazioni che gli erano state indirizzate, e discutendo secondo lo spirito del tempo sul valore dei simboli presenti nella chiesa di san Francesco. La notizia più curiosa, in questa «Seconda lettera», Garuffi la riserva all’Anonimo: non sei dei Minori Osservanti, gli dice; so per certo che appartieni ad un altro ordine religioso.


L’«egregio» scritto di Mazzuchelli
L’attenzione sul Tempio, ed in particolare sulla figura di Isotta, si riaccende nel 1756 quando nella «Raccolta Milanese» appare uno scritto («Notizie intorno ad Isotta da Rimino») del bresciano Giammaria Mazzuchelli, in cui è citata una «Cronica a penna in pergamena, che tuttavia si conserva nell’Archivio de’ Padri Minori Conventuali di S. Francesco di Rimino composta da Fr. Alessandro da Rimino Proccuratore di quel suo Convento». Frate Alessandro vi definisce Sigismondo «Iniquus Princeps», e ricorda che costui prese come moglie Isotta «qua cum per multos annos libere sine matrimonio vixit».

Mazzuchelli, circa le nozze di Isotta con Sigismondo, ipotizza il principio del 1453, quando lui le regala abiti e gioielli. E sottolinea che il Malatesti negava di aver contratto segretamente tale matrimonio. Dal quale nasce Antonia, poi maritata con Rodolfo Gonzaga. Nel freddo Natale del 1483 il consorte la raggiunge nel castello di Luzzara. Un ebreo favoritissimo a corte gli ha fatto credere adultera la giovane moglie. Rodolfo Gonzaga aggredisce Antonia e la trascina a morire nel giardino ricoperto di neve.

Circa le «Notizie» di Mazzuchelli, ricordiamo il giudizio datone da Augusto Campana (1951): «Piccola cosa se si vuole, ma veramente egregia» e «primo lavoro monografico moderno di argomento malatestiano». Campana ricorda la collaborazione che Mazzuchelli aveva ricevuta dal «nostro Giuseppe Garampi il futuro cardinale e uno dei più grandi figli di questa città».

Mazzuchelli, va aggiunto, aveva ringraziato nel suo testo soltanto il «dottor Giovanni Bianchi di Rimino» (Iano Planco) il quale gli aveva fornito varie notizie, dando «in ciò saggio egualmente della sua gentilezza, che della sua singolare erudizione».

Planco, quando recensisce sulle «Novelle letterarie» di Firenze il lavoro di Mazzuchelli, scrive d’aver inteso «che privatamente sia stato ora, non ha molto, aperto in Rimini» il sepolcro di Isotta. Ne nasce una polemica di cui si è già qui detto qualcosa («Tempio, il segreto delle tombe»). E sui cui si potrebbe ritornare aggiungendo altri curiosi particolari sui velenosi eruditi riminesi del secolo XVIII. (Molto simili a quelli di oggi, n.d.r.)

Nota bene.L'articolo prosegue in Eruditi e maldicenti.

Per leggere le altre pagine sui Malatesti presenti in Riministoria.

Antonio Montanari



840/24.09.2003/13.01.2004/12.05.2005/ 25.09.2011
fonte: http://digilander.libero.it/ilrimino/att/2003/passioni.840.html