Se il quarto potere non funziona

Articolo apparso sul «Corriere Romagna», 24 giugno 2008.
Gianfranco Pasquino, nell'editoriale di domenica 22 giugno 2008 sui tre poteri costituzionali, ha spiegato con esemplare chiarezza i motivi per cui c'è da temere, con questo governo, una pericolosa deriva politica. L'esecutivo di Berlusconi vuole assoggettare a sé il potere legislativo e quello giudiziario, violando forma e spirito della legge fondamentale della nostra Repubblica. La pagina di Pasquino andrebbe conservata. E riletta spesso, e con attenzione da chi ha a cuore le sorti dell'Italia.
Mi permetto di osservare che ai tre poteri costituzionali s'aggiunge per eredità settecentesca un quarto potere riconosciuto come tale perché rappresenta il controllo sugli altri, attraverso il cosiddetto "tribunale della pubblica opinione".
Sempre domenica, Barbara Spinelli, una ferrata studiosa di questioni storiche e politiche, nel consueto editoriale su «La Stampa» scriveva di come spesso ci accorgiamo delle condizioni del nostro Paese, solamente ascoltando i pareri di un «terzo occhio» straniero. Però, aggiungeva, può anche darsi il caso che «chi guarda da fuori» non sia necessariamente uno straniero: «può anche essere un connazionale che riesce a guardare da una certa distanza, che è meno fasciato da bende linguistiche patrie».
Forse dovremmo cominciare a discutere di cose italiane proprio prescindendo dal «terzo occhio» straniero. Ma dovrebbero essere i grandi commentatori come Spinelli a stimolare i loro giornali a dar voce a chi rifiuta le «bende linguistiche patrie» e parla fuori dei denti.
L'«Economist» (a proposito dell'opposizione all'amatriciana del Pd, ovvero all'insegna del «volemose bene», che non poteva fingere di recitare "all'inglese"), racconta verità talmente ovvie da apparire folcloristiche. Sia in campagna elettorale sia oggi, l'informazione nazionale è legata allo "spettacolo", all'intervista ed a ciò che una volta si chiamava il "colore". Non si racconta il Paese reale, se non dove succede il delitto ‘politico' o l'arresto ‘eccellente' che pesano «come macigni» nelle cronache. E tutto il resto è noia. Ovvero non degno d'attenzione e di sottolineatura. Così, allegramente, il nostro Paese naufraga tra i sorrisini di compassione del solito corrispondente straniero che scriverà: «Noi ve lo avevamo detto…».
Forse tutto ciò dipende da un'altra questione: quanto conviene al mondo dei Grandi Giornali di non essere il «quarto potere». Le analisi dei commentatori illustri, per forza di cose, restano alla pura teoria filosofica. Mai nessuno di loro parla dei fatti nazionali o locali: accordi sottobanco, imbrogli edilizi, colleganze con grembiulini di nessun valore né politico né scientifico aldilà del loro "particulare", favoritismi, mecenatismo peloso, strizzatine d'occhio, parcelle d'inutili consulenze, concorsi organizzati "ad personam"…
Ma così, in questo silenzio da allegro naufragio, il Paese è andato alla deriva, verso Bossi e Berlusconi, e corre il rischio di finire in malora proprio per le cose spiegate da Pasquino. Sullo sfondo si ascoltano soltanto le orazioni funebri, altisonanti, solenni ed inutili. Ha concluso Barbara Spinelli che avidità e conformismo vietano oggi in Italia di comprendere il primato della legge.
Non è colpa soltanto dei politici, bensì anche di chi non fa funzionare il quarto potere del "tribunale della pubblica opinione". Che «esiste in ciascheduna nazione; ch'è invisibile, perché non ha alcuno de' segni che potrebbero manifestarlo, ma che agisce di continuo, e che è più forte di magistrati e delle leggi, de' ministri e de' re […]», e che opera con un solo mezzo, la «libertà di stampa» (G. Filangieri, «Scienza della legislazione», 1782-86). A questa "libera stampa" occorre oggi appellarsi.

Antonio Montanari


2725/21.02.2018