Curzio, macellaio filosofo
04.12.2008


Nel post dedicato al modo di dire "la serva di Zoffoli" (vedi sotto) ho citato Gianni Quondamatteo, che fu appassionato cultore di quella scienza che studia il dialetto e, attraverso di esso, disegna il ritratto di una società e di un mondo. E che non so come si possa battezzare. Non è soltanto folclore o linguistica.
Voglio ricordare che la produzione letteraria di Gianni nasceva talora in uno splendido isolamento campagnolo. Me lo descrisse suo fratello, Curzio, che era amico di famiglia e di professione macellaio nel vecchio mercato all'aperto.
Intimamente Curzio era la reincarnazione di un qualche antico filosofo. Con la massima discrezione, e senza nessuna pretesa intellettuale, adoperava il buon senso della gente comune: per fulminare in una breve sentenza tutto il succo di lungo discorso.
Quando fu in pensione, lo incontravi d'estate e d'inverno sul porto. Nella buona stagione faceva il bagno, o lungo il canale o fra gli scogli (con la solita compagnia).
Quando era inverno se ne stava seduto sulla sua bicicletta sportiva, aspettando il transito di amici e conoscenti. Con i quali si apriva alla discussione.
Gesticolava, mentre parlava. Muoveva le mani con la stessa tecnica con cui avrebbe pulito una bestia delle interiora. Tirava fuori da sé in tal modo osservazioni sempre originali. Pescava nell'addome, e nel petto vicino al cuore, mai che avesse messo un dito accanto al cervello per dire "quanto sono intelligente". La sua modestia era pari all'acutezza del suo discorrere.
Lo vidi diventare serio soltanto quella volta che, dopo una lunga assenza, gliene chiesi il motivo. Era stato con Gianni nel ritiro di campagna: "Eh, lo e' scriv, e me a faz da magné".
Quindi se il cibo ha un significato nell'espressione del pensiero (e se l'uomo è ciò che mangia, come diceva quel tizio dell'Ottocento), allora un po' di merito della grandezza di Gianni va accreditato a Curzio.
Lo ricordai, Curzio, in un articolo che parlava della scomparsa di Demos Bonini. E che pubblico in questa pagina del blog.
Scrissi: "È un altro pezzo di una certa Rimini che scompare, a pochi giorni dal decesso di Glauco Cosmi (attento tessitore di trame culturali che spaziavano dal giornalismo alla musica), e nello stesso anno in cui ci ha lasciati Curzio Quondamatteo, uomo così semplice e genuino da ricercare in ogni attimo uno spazio per la riflessione sui valori che si vedono tramontare, in questa città divenuta alienante e quasi invivibile".
Quell'articolo fu poi pubblicato in un libro dedicato a Bonini. Ma il curatore che non conosceva Curzio, cambiò il suo nome e lo sostituì con quello di Gianni...
Ciao Curzio, dovunque tu sia, ti mando questo ricordo sincero.

01.12.2008
La serva di Zofoli vien da Bologna
La "serva di Zofoli" richiamata anche nel nostro dialetto, ha origini bolognesi, come ha scritto il 22 novembre scorso Luigi Lepri che cura una rubrica sull'edizione felsinea di "Repubblica".
Fare la figura della serva di Zoboli, dicono appunto a Bologna, per indicare chi è uno sprovveduto, o uno raggirato per farlo passare da sprovveduto.
Gianni Quondamatteo nel suo "Dizionario Romagnolo" (ringrazio Maria Cristina Muccioli di avermi trascritto il passo) osserva: "Chi fosse costei, e come venisse trattata, non è dato sapere; si sa solo che quando uno non vuole essere trattato male e intende esprimere la sua ribellione dice: an so miga la serva ad Zofoli!, oppure: chi soi? la serva d'Zofoli?. Mio padre, nato nel 1880, dice che questo Zoffoli era un falegname, macchinista teatrale, e ne ricorda una stupenda figliola andata sposa ad un uomo molto più anziano di lei. Ma il nome di Zoffoli, ripetiamo, è largamente diffuso in tutta la Romagna, e risalire alle origini del modo di dire è letteralmente impossibile. L'Ercolani ricorda questo detto attribuendogli paternità forlivese".
Lepri spiega invece: "Il signor Zoboli, che pare realmente esistito, prese a servizio un'ingenua ragazzotta che, oltre ai normali doveri, doveva giocare a carte con lui tutte le sere. Zoboli vinceva sempre e si riprendeva ogni volta la paga giornaliera della domestica che così lavorava gratis. La figura di quella donna, la serva ed Zoboli, divenne dunque sinonimo di minchioneria, di persona che vorrebbe guadagnare facilmente ed invece perde tutto"

Antonio Montanari


2716/18-02.2018