Politica. Articoli vari del mese di Maggio 2008, blog de "La Stampa"

31/05/2008
Stalinisti a Riccione
Ho scritto qui che a Riccione è stata cancellata la "via Jan Palach, il martire politico del 1969, uccisosi per protestare contro i sovietici".
Ho chiesto allo studioso che mi aveva fornito la notizia, alcune delucidazioni.
La cosa appare più grave, perché quel "cancellata" di cui mi aveva parlato lo studioso, si riferisce all'iter comunale originale in cui si decise di non battezzare con quel nome una strada.
La Commissione Toponomastica (1969) aveva infatti approvato la proposta di intitolare una via a Jan Palach. Ma la Giunta comunale di Riccione l'ha bocciata! Ovvero il trionfo dello stalinismo puro e duro.
[Anno III, post n. 160 (537)]

30/05/2008
Due Paesi
Abbiamo sempre di più due Paesi opposti fra loro. Quello ufficiale gestisce cerimonie, dibattiti, corti e cortesie. Quello reale va a catafascio, drammaticamente, su vari fronti. Dalle inondazioni alle corruzioni municipali, alle immondizie che sono lì, quasi fossero piovute improvvisamente dal cielo come minacciose meteoriti. Un fatto inatteso e non voluto.
Tra questi due Paesi la distanza aumenta ogni giorno. In mezzo, resta la pazienza di noi tutti. Che non possiamo far altro che leggere diagnosi giornalistiche spaventose.
Curzio Maltese su "Repubblica" oggi scrive: se per i padri la politica era impegno ed ideali, per i figli è in vendita a cinquemila euro. E cita il vecchio sindaco di Genova, Beppe Pericu, secondo cui "E' una storia di padri e figli e di mancata trasmissione di valori".
Ci diranno i sociologi se le colpe dei figli debbono ricadere sui padri.
Adesso ci accontenteremmo che i politici che appartengono alle aree degli antichi impegni e dei tramontati ideali, non facessero finta di non vedere.
Dice Maltese che i vecchi diessini oggi possono "liberamente odiarsi nel Pd".
Succede non soltanto a Genova, ma pure a Bologna, e chissà in quante altre illustri città. Di cui non si parla sui giornali forse per quella moda della politica "spettacolo" che impedisce una lettura critica delle singole realtà a livello di cronache nazionali.
Sono momenti cruciali per il Pd che sta perdendo ogni giorno di più la credibilità della sua missione, la generosità e la genialità del progetto prodiano.
Litigano tra loro i vecchi diessini, le volpi 'cattoliche' sperano di trarne vantaggio, ma nel gorgo della confusione corrono velocemente anche loro. Anche loro ne saranno travolte.
Anche perché dall'altra riva del Tevere sempre più stretto, ieri il papa ha benedetto le larghe intese fra destra e sinistra, dicendo di gioirne.
Ma questo significa soltanto che lo spazio di manovra dei "margheritini" d'antan, è nullo. O quasi.
La crisi del Pd e della sua componente cattolica, è confermata anche oggi da un nuovo intervento (giustissimo e condivisibile, per carità) del cardinal Bagnasco. Che nel sottolineare l'importanza del ruolo degli immigrati nella nostra società, svolge una funzione supplente sostituendosi all'opposizione di governo. Per cui la Chiesa si fa canto e controcanto, esulta di gioia e bacchetta il governo.
Tutto ciò, sia detto senza offesa e con il massimo rispetto, non s'adatta molto ad una concezione laica della vita politica.
Anche oggi il presidente Napolitano ha auspicato che si faccia "un largo accordo tra tutte le forze democratiche" per le riforme costituzionali.
La formula che ha usato, ci scusi il presidente, è quella dell'epoca in cui in parlamento le forze politiche si distinguevano fra "democratiche ed antifasciste" e le altre che tali non erano oppure non erano considerate tali.
L'augurio di Napolitano finisce per essere un richiamo retorico e vuoto di contenuto, nell'emergenza concreta di un'Italia che va in rovina, con i fiumi che straripano, la corruzione che dilaga anche là dove meno te l'aspettavi, e la minaccia di un colera-bis per la mondezza napoletana con l'arrivo del caldo.
Rifiuti, fiumi, onestà svanita non richiedono nulla dalla Costituzione, ma tutto dalla correttezza di chi governa ad ogni livello.
Brunetta03g Il bravo prof. Renato Brunetta ha entusiasmato gli italiani annunciando di voler cacciare i fannulloni della pubblica amministrazione.
Appartengo ad una famiglia che da quattro generazioni ha lavorato nella pubblica amministrazione. Le frasi come quella di Brunetta le ho sempre quindi ascoltate attentamente. Non sono nuove queste parole del ministro berlusconiano dal dolce sorriso.
Noi abbiamo purtroppo un'Italia che è come la Lombardia di don Rodrigo, dove la gente è qualcuno purché abbia un padrone.
Signor Ministro lei non se ne è mai accorto, evidentemente.
I "protettori" contano, eccome. Soltanto quelli delle donnine però finiscono dentro. Gli altri fanno i loro comodi alla faccia di leggi, decreti e prediche.
[Anno III, post n. 159 (536)]

29/05/2008
La gioia del papa
"Avvertiamo con particolare gioia i segnali di un clima nuovo, più fiducioso e più costruttivo". Parole di papa, quindi da prendere come oro colato.
Se lo dice lui che dobbiamo gioire per gli ammiccamenti fra Veltroni e Berlusconi, possiamo essere sicuri che ha le sue buone ragioni (non c'entra certo l'eliminazione dell'Ici...).
Purtroppo nella Storia (scusate l'arrogante maiuscola), le ragioni dei papi non sono mai state quelle del popolo o delle plebi come si diceva una volta.
Se il papa-re avesse applicato il Vangelo in casa propria, sai che figura.
Ancora oggi in Vaticano c'è una fitta schiera di gentiluomini dal sangue nobile che fingono e fungono da "camerieri segreti di Sua Santità" nelle sfilate lungo le ampie sale percorse dai pontefici. Insomma quei tipetti come il marchese del Grillo, che speriamo essere oggi senz'altro migliori del personaggio antico interpretato da Alberto Sordi.
Fatto sta che oggi il papa gioisce, ma nella consapevolezza che per l'Italia le cose vanno molto male.
Infatti ha detto che esiste il problema povertà. Ma ha subito aggiunto due cose.
La prima: la vera «grave emergenza» è quella educativa provocata "dal relativismo pervasivo e aggressivo della cultura contemporanea" (per cui ha bussato a soldi per le scuole cattoliche).
La seconda: la gente ha compreso che ci vuole una nuova politica, quella che fa gioire il papa, e che potrebbe risollevare la nostra sorte verso "una nuova stagione di crescita economica ma anche civile e morale".
Occhei. Ma umilmente vorremmo suggerire qualcosa a quelli che spiegano le cose al papa, il quale poi le proclama apertis verbis: signori monsignori, andiamoci piano con questa "gioia", con questa certezza che tutta l'Italia è unita sotto l'ombrellino che ripara graziosamente Walter e Silvio.
La gente non crede al loro ombrellino, monsignori eccellentissimi. La gente sa che i problemi ci sono. Quelli del pane sono sempre stati i più semplici da risolvere. Quelli politici no. Proprio oggi una veltroniana di ferro come Miriam Mafai elenca su "Repubblica" i problemi che la segreteria del Pd deve affrontare per avere "un proprio, vitale e ricco rapporto con il Paese".
I problemi del pane, santità, la gente li può risolvere andando all'elemosina, che fa grande l'anima di chi dona e fa acquistare beni in cielo a chi allunga la mano. Personalmente siamo non per l'elemosina ma per la giustizia. Ma non tutti quelli che praticano la carità verso il prossimo amano altrettanto la giustizia, perché (politicamente) troppo costosa ed "ingombrante".
C'è chi calza Prada sul soglio pontificio e chi ricorda "l'albero degli zoccoli". Bisognerebbe, monsignori, che il titolo di quel film, lo traduceste, al papa tedesco.
Monsignori eccellentissimi, permettono una domanda? Nel "relativismo pervasivo e aggressivo" rientra anche la "bigamia" degli osannati politici di destra?
[Anno III, post n. 158 (535)]

28/05/2008
Brunetta, il Grande
Grande è la confusione che regna sotto il cielo d'Italia. Afasico, il capo del governo. In ritirata il governo, per la questione di Rete4. Per la quale sembrava che l'opposizione fosse costituita da visionari impuniti. E per la quale la maggioranza credeva che il "patto tra gentiluomini" (molto inglesi nel gesto e molto trasformisti nella sostanza), stipulato dal cavaliere e da Veltroni, potesse portare ad un silenzio assoluto su quel piccolo particolare del salvataggio di Rete4.
In molti si sono evidentemente sbagliati. Berlusconi nel tentare il colpo gobbo. I suoi fidati uomini di partito nel dire che certi oppositori che si opponevano sic et simpliciter come vorrebbe naturaliter il loro ruolo, erano in preda a vaneggiamenti inconcludenti. Infine qualcuno nel Pd, non sappiamo chi, ma certamente molto in alto.
E questo qualcuno, quando ha visto che la palla la teneva soltanto Antonio Di Pietro correndo velocemente verso un gol irresistibile, allora è sceso in campo pure lui con le scarpette chiodate, ed alla fine tutto è finito bene.
"Il governo toglierà le parti più scandalose del provvedimento" rassicura il deputato del Pd Paolo Gentiloni. Il sottosegretario Paolo Romani ovviamente non può che accusare Romano Prodi. Il quale ha lasciato in eredità il problema affrontato parzialmente e quindi non risolto, della gestione delle frequenze tv.
Signori del governo, è inutile che ve la prendiate sempre con Romano Prodi, ci pensano già i suoi allievi e figlioli spirituali, la vostra è fatica sprecata. E poi non tutti gli italiani sono di corta memoria e di ridotte capacità mentali.
Noi che ci consideriamo moderatamente capaci di intendere e di volere, però sappiamo apprezzare chi è più dotato di noi. Per questo motivo esprimiamo lode, consenso, apprezzamento e giubilo davanti alla frase pronunciata dal ministro Renato Brunetta: "Io sono un bravo professore".
Temporibus illis ci avevano insegnato che debbono essere gli altri a giudicarci. Ma fa egualmente bene il prof. Brunetta a considerarsi un ottimo docente: ricorrendo a quel vecchio principio politico che si chiamava autodeterminazione. Che una gentile signora mia concittadina, avvezza a scrivere versi, traduceva in questa affermazione: "Sono un'ottima poetessa, non me lo dice nessuno, e me lo dico da sola".
Mia nonna Lucia avrebbe aggiunto: "Chi si loda s'imbroda". Renato Bunetta non per merito suo fa anche tenerezza con quel suo dolce sorriso che non tutte le persone di non eccessiva statura hanno dipinto sul viso. Pensate un po' al ghignetto fanfaniano.
Grande è la confusione che regna sotto il cielo d'Italia, dicevamo all'inizio. Ma fortunatamente abbiamo un "grande" ministro che simpaticamente autocertifica la sua sapienza. Quale altro Paese europeo potrebbe vantare questo primato?
Assieme a quello della nuova inchiesta giudiziaria delle "mani sporche", nel senso che si parla di immondizie. Chi va al mulino s'infarina... e proseguite voi. Perché sembra che le "balle" non fossero soltanto quelle piene di rifiuti buoni o cattivi, ma pure quelle che certuni raccontavano agli altri per non rifiutare i rifiuti, anzi per considerarli benvenuti.
[Anno III, post n. 157 (534)]

27/05/2008
Strade facendo
A Roma si pensa alla intitolazione di strade a Craxi, Almirante e Berlinguer, dopo il primo tentativo di proporre soltanto quella del segretario dell'Msi.
Per contrapposizione mi torna in mente la notizia che mi ha dato tempo fa uno studioso di Riccione. Dove è stata cancellata la "via Jan Palach", il martire politico del 1969, uccisosi per protestare contro i sovietici.
In cambio a Riccione non si dimenticano di un suo illustre villeggiante del passato, il cavaliere Benito Mussolini che nella Perla Verde si fece costruire una villa, alla quale è adesso dedicato un libro, "Una finestra su Riccione".
Di questo volume non posso parlare spassionatamente perché sono molto amico di una delle autrici, Nives Concolino; del presentatore ufficiale alla manifestazione organizzata dal Comune, il prof. Giorgio Tonelli; dell'assessore alla Cultura ed alla Pace del Comune di Riccione Francesco Cavalli; e dell'editore del testo, Mario Guaraldi (che in passato ha pubblicato anche un mio piccolo libro, "Anni Cinquanta").
Tonelli è docente di "Teorie e tecniche del linguaggio radiotelevisivo" all'università del Molise", e giornalista Rai della sede di Bologna, da dove di solito intervistava Romano Prodi.
L'ho conosciuto nel 1982 presso la redazione del settimanale diocesano riminese "il Ponte", del quale suo fratello don Giovanni Tonelli era redattore capo, prima di diventare direttore, carica che conserva tuttora. Nives Concolino è redattrice dello stesso settimanale.
Alla curia riminese fa capo anche un'emittente radiofonica e televisiva, che era 'governata' dall'assessore Francesco Cavalli, e che fino a poco tempo fa è stata diretta da una gentile signora figlia di miei 'vecchi' colleghi, fresca deputata nel Parlamento italiano.
Marioguaraldi L'editore del volume "Una finestra su Riccione", Mario Guaraldi, è un personaggio famoso nel mondo della cultura italiana, soprattutto per i suoi antichi trascorsi imprenditoriali nel settore dei libri a partire dal 1971. Ora anche lui è docente universitario ad Urbino. Oltre che componente del consiglio di amministrazione del settimanale della Curia di Rimini, "il Ponte". E fans di Rosy Bindi.
Come si vede sono tutte persone importanti e note. Per cui merita la segnalazione della loro iniziativa editoriale.
Forse Francesco Cavalli potrebbe spiegarmi le motivazioni che hanno spinto il Comune di Riccione a cancellare Jan Palach dalla toponomastica locale.
Se ne ha voglia (e se glielo fanno sapere) può scriverne anche in un commento al mio post.
L'ultima volta che ci siamo incontrati, l'anno scorso in centro a Rimini, era una giornata talmente buia che mi faceva apparire più invecchiato di quanto non lo sia nelle giornate di sole, per cui non mi ha riconosciuto, né io ho voluto disturbarlo essendo lui in compagnia della signora.
Così è successo anche con la neo-deputata, però in giornate di sole, ma lei correva in bici verso il Comune dove allora era assessore.
Con gli altri che ho nominato, i fratelli Giovanni e Giorgio Tonelli, l'editore Mario Guaraldi e la scrittrice Nives Concolino, le cose sono andate meglio ed abbiamo avuto sempre cordiali incontri. A tutti complimenti ed auguri.
[Anno III, post n. 156 (533)]

26/05/2008
Balle e non fatti
Notizia freschissima: la mia città Rimini è al primo posto in Italia per l'integrazione (dato ricavato da: percentuale matrimoni misti; livello di educazione stranieri; scolarizzazione bambini stranieri).
Ma è al 22° per la "diversità", ed al 12° per il suo atteggiamento verso i gay.
L'indice di tolleranza che si ricava sommando questi tre dati, la pone al quinto posto fra i 103 capoluoghi di provincia.
Però se facciamo la somma di classe creativa, capitale umano e talento scientifico, si arriva soltanto al 21° posto. Per la "tecnologia" siamo dodicesimi. Non so se questi due ultimi dati abbiano relazione con quello della "integrazione.
Dunque, siamo una città «antica e aperta» come la definì un illustre studioso, il compianto prof. Giancarlo Susini, docente di Storia all’Università di Bologna.
Adesso accantoniamo un attimo le indagini sociologiche come quella che ho citato (e che è prodotta dalla rivista ‘Arel’ diretta da Enrico Letta, espressione dell’agenzia di ricerche e legislazione fondata da Beniamino Andreatta).
Limitiamoci a dati di cronaca riproposti recentemente: e che riguardano la malavita nel settore della prostituzione.
In breve, si racconta ancora la leggenda metropolitana che tra 1998 e 2004 la prostituzione era praticamente scomparsa dal lungomare di Rimini (per merito del sindaco di allora e del compianto don Oreste Benzi), per poi ritornarvi improvvisamente nel 2005.
Ecco: quando in indagini serie si riportano ancora oggi (ho sotto gli occhi i quotidiani del 22 maggio 2008), queste "leggende" che corrono il rischio di essere ribattezzate balle, si ignorano sfacciatamente i dati più drammatici delle varie commissioni antimafia, dei vari magistrati che a livello nazionale studiano e perseguono i reati legati al mondo della prostituzione e dello spaccio, si fa finta di ignorare un fenomeno tutto locale, cioè il profitto edilizio se così si può chiamare: alti costi per affitti e vendite, dato che c'è chi ricicla qui il denaro. Tutti lo sanno, lo mormorano, ma solo l'antimafia lo dice apertamente, un giorno all'anno o al biennio, e poi tutti fanno finta di niente.
Non interessa nulla la salvaguardia del perbenismo con il lungomare libero quando di fanciulle a pagamento erano pieni certi locali da visite della "buon costume".
Se "I temi di riflessione non mancano", come sostiene oggi lo storico Massimo L. Salvadori in conclusione di un pezzo ("La sinistra e le crisi politiche") pubblicato da "Repubblica", allora uno dei temi del Pd che governa Rimini potrebbe essere proprio questo, al di là dei dati statistici apparsi oggi: quale legame c'è fra l'integrazione e la diversità in una città che non è soltanto una dei capoluoghi delle province italiane, ma ha tutta una sua dinamica, tipica ed oscura (lavoro nero, evasione fiscale, riciclaggio, ecc.)?
Come ho già osservato qui sopra, l'unico dibattito pubblico della campagna elettorale del Pd riminese, è stato sulle "parole da salvare" dal nostro dialetto, per tramandarle dai nonni ai nipoti.
Quindi da un canto ci sono le leggende o balle sui fenomeni gravi che scompaiono magicamente, e dall'altro le vanità un po' crepuscolari sul "dialetto da salvare". Nel mezzo restano i "fatti" che nessuno sembra abbia voglia di prendere in considerazione.
Si sta perdendo tempo prezioso, non tanto a favore dell'opposizione, ma per uno sviluppo ordinato della città. L'opposizione romana non fa paura. Il modello Rimini è forte. Alle ultime comunali (2006) il centro-sinistra ed An hanno sottratto a Forza Italia il 52,13% dei voti.
Ripeto quanto ho già scritto qui: dietro a tutto ciò sta un compromesso politico per nulla segreto, con due assessori all'edilizia defenestrati perché contrari al troppo cemento, e poi un bel risultato elettorale. Se una fetta del Polo vota per il Centro-sinistra, è segno che con la sua precedente amministrazione il Centro-destra (od almeno una sua parte) non se l'era poi passata così male. Poi, nel luglio 2006, l’ex candidato sindaco del Polo decide di non votare contro la giunta ma di astenersi sulle linee programmatiche del governo cittadino.
L'ho chiamato "modello Rimini". Osservando proprio un anno fa che forse esso non dispiaceva ai Ds nazionali.
Purtroppo i fatti mi stanno dando ragione. Veltroni ha condotto tutta la sua campagna elettorale confidando che si ripetesse il miracolo di quel modello. Adesso il miracolo sta nel fatto che Veltroni fa l'occhio dolce a Berlusconi. Modello rovesciato, inciucio assicurato?
[Anno III, post n. 155 (532)]

Gradisca
Il prof. Gian Luigi Beccaria, nel numero di sabato scorso di "Tuttolibri" della "Stampa" tratta delle parole italiane più note all'estero. E ricorda che a Nuova York c'è il ristorante "Gradisca", ispirato ovviamente a Fellini ed al suo "Amarcord".
Su Gradisca pubblico una mia nota apparsa nel 1989, nel settimanale riminese "il Ponte" e poi raccolta in "Quanto basta", volume del 1992.
Non si muove foglia che Fellini non voglia. Il regista mi piace, è un genio. Mi vanno stretti invece i suoi imitatori che, continuamente, tirano in ballo l'autore di «Amarcord».
Proprio in questo film c'è Gradisca che, all'arrivo del federale, inneggia al duce, mentre il podestà proclama che l'Adriatico è sempre stato il più fascista dei mari. Con il nome di Gradisca, all'Apt hanno battezzato un progetto informatico sulle disponibilità alberghiere.
Dopo il richiamo alla filosofia, con la «Città del Sole» di Campanella (titolo che aveva etichettato tutta la costa del circondario), si scomoda una figura felliniana, sull'origine del cui nome esistono due versioni: quella patriottica, legata ad una località carsica del primo conflitto mondiale; e quella più accreditata, derivante da meno nobili ideali (sempre di disponibilità alberghiera in fondo si trattava), con quella terza persona del verbo gradire coniugato proprio all'epoca in cui non si usava il lei, ma il solenne voi della clownerie fascista.
Il dott. Piero Leoni, non quale presidente dell'Apt, bensì quale comunista, propone di ribattezzare il turismo come «industria delle relazioni». Legittime o adulterine?
A Riccione, scrivono i giornali, il sindaco Pierani «provoca un brivido d'emozione» al neonato club degli amici della Perla Verde.
Sempre a Riccione, l'estiva «Radio festa» è annunciata così: «Una scena nuova per vedere, guardare, sfiorarsi; tra le quinte l'evento che ascolta se stesso, lo vede e lo evoca. Si apre la corte nuova, e l'aedo ormai antico, la radio, lo canta». Sembrano versi alla D'Annunzio.
In questo clima un poco demodé, Riccione viene definita «la Cortigiana». Peccato che il termine un tempo non fosse molto lusinghiero. Vero, Gradisca? [1989]
[Anno III, post n. 154 (531)]

25/05/2008
Prodi, no Japan
L'attenzione delle cronache politiche verso il Pd in fase pre-elettorale è stato centrata sul folclore del personaggio unico, l'uomo solo al comando. Adesso Walter Veltroni confessa: mi sono fidato troppo delle piazze piene.
A Rimini avevano scelto una piazza piccola ma storica, quella nata attorno all'arco d'Augusto (per volontà di Mussolini). Veltroni ne ha riempita solo metà, il lato monte, causa posizionamento strategico (leggasi furbesco) del palco. C'erano non più di duemila persone. Non le ho contate una per una, ma ho visto lo scenario. Ai giornali è stato passato il conto di ottomila.
Prima delle elezioni non si è discusso né in sede locale né in sede nazionale della scelta dei candidati 'grigi', non le celebrità di bandiera da portare ad esempio urbi et orbi.
Adesso le cronache giornalistiche della periferia dell'impero romano debbono per forza di cose occuparsi dei tormenti del Pd, come nel caso di Bologna. Dove l'edizione locale di "Repubblica" oggi ha un pezzo del prof. Gianfranco Pasquino intitolato "Fragile Pd si avvicina il punto di rottura".
Invece i burocrati del partito (non siamo a Bologna ma nella stessa regione), se la prendono con i dissenzienti "prodiani": "Chi pensa alla vecchia Unione è un giapponese che vive nella giungla".
Ma che giapponesi, signori dell'apparato: Veltroni è stato scelto da un milione di persone in meno (2007) rispetto a quelle che avevano indicato Prodi candidato (2005), in tutto 4 milioni e 300 mila. Prodi candidato raccolse 19 milioni di suffragi. Due anni dopo Veltroni si è fermato a 12 milioni. Secondo i burocrati del partito, allora avremmo sette milioni di giapponesi nella giungla?
Signori, avete perso le elezioni, ed invece di dire che è necessario ripensare tutto perché per il "Fragile Pd si avvicina il punto di rottura", teorizzate astrattamente accuse di arretratezza mentale per chi non vi ha votato?
Gli stessi burocrati periferici (ex ds) annunciano che non accetteranno ronde e manganelli ma "un presidio democratico e civile del territorio". Aspettiamo la precisazione dell'ala cattolica con l'aggiunta del "porgere l'altra guancia". Ma questi burocrati periferici del Pd, ci sono o ci fanno?
[Anno III, post n. 153 (530)]

24/05/2008
Grazie e giustizie
Gentile Giovanna Melandri, leggo una dichiarazione che i giornali le attribuiscono sulla proposta di concedere alla signora Anna Maria Franzoni la grazia prevista dalle leggi dello Stato dopo la condanna a 16 anni di carcere.
Le avrebbe detto: "Mi pare quantomeno prematura" l'iniziativa in proposito avviata da "Liberazione".
Se queste sono state le sue parole e se esse manifestano appieno il suo pensiero, permetta una semplice obiezione.
Una persona che, colpevole per la legge, deve lasciare due bambini "abbandonati" a casa per scontare la pena isolata in una cella lontana da tutti, onde evitare la rabbia e l'odio delle altre detenute, è una persona che non sconta pure la colpa se l'ha commessa, ma su cui infierisce la misera giustizia umana.
Il titolo del dicastero che l'amministra, affianca alla parola "giustizia" anche la "grazia", come ricordo di un potere sovrano esercitato dal governo in nome del popolo.
Orbene, davanti alla considerazione della vicenda drammatica in sé (che nelle condizioni di detenzione di isolamento carcerario per i motivi ricordati sarebbe in violazione del dettato costituzionale della "rieducazione del reo"), davanti al primato della legge che accanto alla "giustizia" prevede anche la "grazia": ecco in questo quadro rigidamente freddo nella sua dolorosa articolazione, davanti a tutto ciò, lei avrebbe soltanto detto che è "quantomeno prematura" quella proposta di grazia.
Signora Melandri, dica sì o no, usciamo dal giochetto politico di chi è abituato a parlare con un lessico che serve ai colleghi di partito od all'avversario di turno.
Lasci a Veltroni giostrarsi con frasi come quella pronunciata sulla vicenda di Rete4, "non capisco tutta quella fretta".
Personalmente credo che la signora Franzoni non abbia ucciso il figlio. Che sia stata mal consigliata sin dall'inizio nella gestione 'mediatica' della sua tragica vicenda. Che finisca per essere lei la seconda vittima di quella storia che è stata aggredita e massacrata da esperti e commentatori di ogni tipo e valore.
Ma questo non c'entra con il discorso sulla "grazia" che è una istituzione giuridicamente lecita, anche per altre persone (un solo nome, Bruno Contrada).
Avremo un Paese diverso quando il clamore della politica ed il potere di un premier non produrranno frasi come quella di Berlusconi sulla "oppressione giudiziaria". Pronunciata all'assemblea di Confindustria.
"Contro" chi sa parlare soltanto di "oppressione giudiziaria", lei on. Melandri, dica sinceramente sì o no, per la vicenda della signora Franzoni (e di tante altre persone), non si limiti a definire "quantomeno prematura" quella proposta di grazia.
E permetta una domanda: "quantomeno prematura" rispetto a che cosa?
[Anno III, post n. 152 (529)]

23/05/2008
Balanzone non insegna
La vecchia scuola bolognese del dottor Balanzone scricchiola sotto il nuovo che arretra.
Nel capoluogo dell'antico modello emiliano (il capitalismo in salsa rossa, alla fin fine), litigano di brutto sindaco e presidente della Regione.
Ma questa volta non si tratta di un regolamento di conti limitato ad una città o ad un territorio ad essa legato per obblighi amministrativi.
Questa volta non si litiga in casa comunista o diessina soltanto. Questa volta le ombre lunghe dei lunghi coltelli che minacciano autorevoli schiene, si proietta sul neonato Pd, dove la quota "margheritina" non può fare da paciera, né può parlare perché le urla altrui impediscono alla sua voce di farsi ascoltare.
Il guaio peggiore è che il regolamento interno alla quota "quercia", avviene nel momento teso per l'offensiva di governo sopra tanti argomenti che meriterebbero attenzione, e che alla fine si riducono alla prevedibile manovra "salva Rete4".
Strano e triste destino quello del nostro Paese, di non comprendere la complessità del mondo. Si mira ad una velleitaria semplificazione dell'esistente, con un misto fatto di arroganza gesuitica e post-stalinista da una parte, e dall'altra dell'eterno gusto per il trasformismo per cui non si ama il rischio ma la rendita di posizione: "sia di Franza sia di Spagna, basta che se magna".
Immaginiamo Veltroni felicissimo delle rogne napoletane della monnezza per l'attuale governo. Ma non si illuda che ciò faccia dimenticare i fatti del passato. Chi governa la Campania, suvvia?
Il Pd nascendo ha perso la più bella occasione che si fosse offerta all'Italia per rinnovarsi.
Hanno spacciato per rinnovamento le scelte di rappresentanti che hanno pochi meriti e molte "armature" di sostegno, come i vecchi palazzi riverniciati.
In un primo momento chi è stato sacrificato, ha detto che le nuove candidature le aveva proposte lui. Poi, finita la festa e rimasto gabbato, il "sacrificato" ha ripreso la solita manfrina di tutti i vinti. Che vogliono far fuori questo, scalzare quell'altro per restare sulla scena perennemente ed a tutti i costi. E questo lo chiamano la novità del Pd.
Il dottor Balanzone non insegna più nulla a nessuno, è un po' come il dottore che visita il paziente morto il cui posto è stato preso da un Gianni Schicchi vivo e vegeto. Ed il dottore commenta il suo "miracolo": "Tutto il merito è palese va alla scuola bolognese".
Veltroni sa chi ringraziare, mentre la scuola bolognese annuncia il suo tramonto.
Regolati i conti in quella periferia dell'impero che era la capitale della "chiesa rossa", la questione s'estenderà anche fuori dall'Emilia, ricordando la monnezza di Napoli e certi scandali del Nord di queste ultime ore.
Gli ex margheritini si ritireranno in qualche convento per esercizi spirituali, non avendo la forza di pronunciare parole decisive.
Allora forse qualcuno penserà (grato?) a Romano Prodi.
[Anno III, post n. 151 (528)]

22/05/2008
Come volevasi dimostrare
Quando a scuola dimostravamo i teoremi (se ci riuscivamo), era d'obbligo concludere con la sigla "cdd", ovvero "come dovevasi dimostrare".
In politica, con la patologia democratica (PD) vigente, possiamo affermare che, "come volevasi dimostrare", finalmente il segretario Walter Veltroni ha cominciato a capire in qual modo vanno le cose di questo mondo con "questi" uomini di "questo governo".
Oggi infatti Veltroni ha promesso opposizione dura (l'aggettivo è nostro, lui ha parlato di "opposizione che merita") alla "cosa" di cui andiamo a parlare.
La "cosa" è l'annosa questione di Rete4. Emilio Fede doveva andare sul satellite, è ancora sulle reti terrestri.
L'unico che si è agitato sinora a difendere la dignità ed il rispetto del Diritto, è stato il "solito" (sia detto con tutta la simpatia e tenerezza per i suoi slanci ideali) Antonio Di Pietro: "Il Presidente del Consiglio si fa una legge a suo uso e consumo. Questa volta il governo ha presentato una proposta criminogena per salvare Rete4. Ancora una volta saranno gli italiani a pagare per Silvio Berlusconi. E' un emendamento per aggirare la sentenza della Corte di Giustizia europea e quella della Corte Costituzionale italiana, che danno ragione a Europa7".
Aggiunge Di Pietro: "Piuttosto che dare immediata esecutività a quella sentenza, come sarebbe avvenuto in qualsiasi Paese democratico, il nostro Governo risponde con un emendamento per aggirarla. Quella gara fu vinta da Europa7 a cui non è stato mai permesso di trasmettere fin dal 1999. Oggi Rete4, se dovesse passare questo emendamento, continuerebbe a farlo, in barba a qualsiasi rispetto delle leggi e delle sentenze. Berlusconi è un uomo di cui non ci si può fidare e che antepone gli interessi delle sue aziende a quelli della collettività che dovrà pagare 350 mila euro al giorno con effetto retroattivo dal primo gennaio 2006 per vedere Emilio Fede: 127 milioni di euro annui, questo il prezzo pagato a Rete 4 dagli italiani".
Questa volta il buon Veltroni non può far finta di nulla e menare il can per l'aia dell'opposizione cordiale. Qui si sta giocando la credibilità del primato della Legge.
Comprendiamo benissimo l'imbarazzo che può provare Veltroni davanti a questi colpi di mano del governo. Va a farsi benedire tutto il progetto che aveva tessuto a grande fatica, conclusosi con la sconfitta elettorale. Che il segretario del Pd ha intimamente considerato una doppia vittoria: contro gli estremisti comunisti e contro l'ulivista Prodi.
Non possiamo dire: contento lui... Perché tutt'attorno c'è gran fervore nelle polemiche, ciò che potremmo sintetizzare con una parola del lessico giovanile: c'è un gran casino.
Discutono su Cofferati che non vuole alleati a sinistra. Gli rispondono i colleghi sindaci della sua regione: sì, così andiamo a casa tutti la prossima volta.
E gli eletti? Oh, mio Dio: provoca brividi e tremori isterici il sentirsi fare la lezioncina moralistica, pedagogica e catechistica che in fin dei conti il Pd non fa altro che riproporre la grande lezione dei "padri della Patria" De Gasperi, Togliatti e Nenni.
Ma vogliamo scherzare? Allora c'era stata una guerra 'internazionale' e 'civile' (interna al Paese).
Allora c'era il buon Palmiro che nei comizi prometteva di prendere a calci "in una parte del corpo" che non voleva nominare il povero Alcide dopo l'immaginata vittoria del 18 aprile che fortunatamente non ci fu (v. Montanelli, vol. 9 della "Storia d'Italia, pp. 439-440).
Era quel Togliatti a cui qualche peccatuccio sulla coscienza credo che la gente attribuisse per il trattamento riservato in Urss a tanti connazionali scappati dall'Italia e considerati spie fasciste...
La Costituzione del 1948 invocata come modello per la politica del Pd di oggi, non c'entra nulla. Per cortesia, se non avete argomenti migliori da accampare, statevene zitti. Sulla Storia e sui suoi drammi passati non si scherza.
Mio padre, come il 99% degli italiani aveva avuto la "cimice", ovvero lo stemma del Pnf al bavero della giacca, ma siccome era impiegato comunale dovette passare all'esame della Commissione d'epurazione.
Ho rievocato la faccenda in un articolo apparso il 7 gennaio 2001 sul settimanale cattolico (della Diocesi) di Rimini, "il Ponte", in una puntata [n. 788, Compromessi politici (e mafiosi) del Dopoguerra] della rubrica che ho tenuto per 24 anni dal 1984 al 2006.
Ne riproduco la parte centrale.
"Sono nato nel 1942, di quei giorni non ricordo dunque nulla. Nella memoria e nell’animo sono rimaste però le parole raccolte nei successivi conversari casalinghi. Il ritorno alla normalità fu aspro. Mio padre che era impiegato comunale, tesserato fascista sino al 25 luglio 1943, caduta di Mussolini, quindi senza alcuna adesione alla repubblichina di Salò, fu sottoposto ad epurazione. I nuovi arrivati nella Pubblica amministrazione gli dissero di andare con moglie e figlio a mangiare l’erba ai fossi. L’umiliazione inferta a mio padre resta non soltanto come piaga mia ma pure quale testimonianza della perfidia delle persone che per bassi motivi (ovviamente, fregargli il posto a favore di qualche protetto), oltraggiavano un uomo innocente.
(...) Proprio qui sul Corso, davanti ad una libreria, un compagno prese a ceffoni un altro compagno per aver quest’ultimo militato nella repubblichina come guardia del corpo del ‘terrore di Rimini’. Come mai, chiedo, la vigilanza rivoluzionaria dei compagni si era allentata tanto, al punto di accogliere l’ex repubblichino, attorno al quale poi il partito avrebbe fatto quadrato per decenni, mentre un uomo qualunque come quell’impiegato comunale dovette essere sottoposto al Tribunale della Storia perché tesserato fascista sino al 25 luglio 1943? Non ricevo una risposta razionale. Uno scrittore mi obietta che i casi personali non contano, che il racconto dei fatti deve depurarsi da essi, per poi essere affidato alla serenità del giudizio degli Storici.
Qualche giorno dopo ho letto che la moglie di Antonio Gramsci era una spia dell’Nkvd (il Kgb del tempo). E che la cognata Tania, ritenuta sempre un Angelo Custode di Gramsci e come tale eternamente celebrata, era pure lei una spia di Mosca. Giuliano Gramsci, figlio di Antonio, non ha mai voluto vedere né parlare con la zia Tania: lo ha confidato Olga, figlia di Giuliano, a Massimo Caprara nel libro "Paesaggi con figure". Al citato scrittore incontrato sul Corso, se avessi fiducia nella razionalità umana, vorrei chiedere: anche quella di Antonio Gramsci è una vicenda personale di cui non tener conto?".
Due postille. Quel compagno ex repubblichino preso a ceffoni, siede ancora al Parlamento italiano, fate voi un po' il calcolo dell'età.
Egli fu guardia del corpo del ‘terrore di Rimini’, quello che fece catturare tre giovani gappisti, i "tre martiri" di Rimini.
I quali, catturati, non parlarono, salvando così la vita dei compagni, tra i quali c'era pure Guido Nozzoli, comunista, fratello di mia madre. Doveva essere il primo sindaco del dopoguerra. Lui avvisò: "Ragazzi, chi ruba va dentro". Ha fatto 'soltanto' il giornalista.
Igor Mann su "Specchio" del 25.11.2000 lo ha ricordato alla scomparsa: "Aveva un solo, brutto difetto Guido: era un idealista, un comunista romantico sicché soffrì molto in Cecoslovacchia, durante l'invasione sovietica. Tanto che, ad un certo momento, chiese (anzi, pretese) il cambio: "Me ne torno ai fattacci italiani, fanno soffrire di meno", mi disse. Avevamo fatto insieme il Vietnam, e anche quella inutile guerra atroce fu fonte di sofferenza per lui. Va detto, però, che nelle corrispondenze al Giorno mai trapelò il suo intimo disagio. La sera, dopo aver portato al telegrafo i servizi (non c'erano collegamenti telefonici, né telefax, allora fra Saigon e il resto del mondo), andavamo a piedi sino a Cholon. Lui parlava, fumando. Peccato, non aver avuto con me un registratore poiché i discorsi di Guido erano alta testimonianza di fede: nell'Uomo".
Forse quella fede gli restò per esser stato lontano dalla "politica politicante" che ci affligge ancor oggi. A proposito della quale, riporto che cosa scrissi sempre sul "Ponte" di Rimini il 28 gennaio 2001, sotto il titolo "Come sarà la campagna elettorale":
"La vera campagna elettorale per le prossime politiche è in pratica iniziata ufficialmente (ancorché non sia stata indetta dal capo dello Stato), venerdì 19 gennaio su tutti i telegiornali nazionali, con un'intervista all'on. Silvio Berlusconi che si presentava in versione inedita. Dietro la sua immagine non appariva più la classica libreria ("con i volumi che non ho mai potuto leggere, per colpa della politica", come più volte ha confessato), ma un cielo azzurro con qualche accenno di nuvola, lo stesso che caratterizza da parecchi mesi i suoi maxi manifesti pubblicitari. Lo stesso che si vedeva, quand'ero bambino io, nei cosiddetti santini religiosi. E sullo sfondo del quale ora appare anche Rutelli, il leader del polo di centro-sinistra, dopo che i suoi consulenti intellettuali hanno deciso di fare qualcosa di originale, ovvero copiare le idee propagandistiche del centro-destra.
Fatto questo non del tutto nuovo, in verità. Pensate a Mussolini, nato socialista rivoluzionario ed arrivato rivoluzionario fascista. Una lezione, quella di Benito, che alcuni suoi pronipotini devono non aver dimenticato, se per incarnare un'eredità politica di sinistra si mettono all'ombra del centro-destra, forse anche perché sono memori che Berlusconi, senza il governo Craxi, la televisione privata se la sognerebbe ancora.
I maxi manifesti del Silvio (e di riflesso, quindi, anche di Rutelli) si alimentano di una serie di slogan che dovranno essere sfornati con una certa originalità di pensiero di qui all'apertura delle urne. Sarà una rincorsa affascinante che metterà in campo il meglio degli specialisti. Dovremo fare attenzione a non confonderci. Ci sono già alcuni rischi. Ogni lasciato è perso, non è l'autobiografia dell'on. Clemente Mastella, ma il titolo di un film di Piero Chiambretti.
Immaginiamo che, dopo aver lanciato precise, fondamentali parole d'ordine (Meno tasse, Città più sicure, Pensioni più dignitose), il tono berlusconiano salirà: Una sola strada porta a Roma, Con il governo degli onesti pioverà meno, Mucca pazza l'hanno inventata i Verdi, Arricchiamo l'uranio (avremo più soddisfazione che se restasse impoverito), La Cuccarini alla Sanità, Costanzo all'Istruzione, Maria De Filippi alla Previdenza sociale, Spinelli anche ai bidelli, Aboliamo il Sud, Mike al Quirinale ed Emilio Fede cardinale.
Rutelli sarà intelligentemente lapidario: Non tiratemi le pietre se perderò".
Sono passati sette anni. Cambiate un solo nome, Veltroni al posto di Rutelli, il resto è tutto eguale...
[Anno III, post n. 150 (527)]

21/05/2008
Rotture di Maroni
Il governo comincia bene per la Lega. Il ministro Maroni rompe i progetti dei colleghi che miravano al "patteggiamento". Ovvero ad una modifica al codice di procedura penale che avrebbe permesso a chi fosse stato imputato per reati commessi prima del dicembre 2001 di chiedere la sospensione del dibattimento per due mesi onde poter valutare se accedere al patteggiamento stesso.
Quella proposta aveva fatto insospettire, perché poteva apparire un provvedimento "ad personam", cioè elaborato per sciogliere qualche nodo giudiziario di Berlusconi. Leggasi, processo per falsa testimonianza in cui è imputato l'avvocato londinese Mills.
Il problema non è se Ghedini (il proponente) aveva quelle intenzioni che gli vengono attribuite in quanto avvocato di Berlusconi e parlamentare estensore del decreto. Il problema non è se Berlusconi ci avesse pensato, dato che neppure negli anni passati, quando ne avrebbe avuto occasione, non aveva mai fatto ricorso a simili scorciatoie giuridiche.
Il problema è uno solo, illusoriamente simbolico e concretamente minaccioso per il capo del governo, non sappiamo dirlo, dato che siamo incompetenti in materia politica per non dire quella calcistica (ma è vero che l'Inter ha vinto il campionato?). Il problema è che la Lega diventa sempre più 'pesante' nella gestione politica del gabinetto Berlusconi. Ovviamente il problema non è per noi, ma per il Cavaliere. Abbandonato da Casini, guardato a vista da Fini, tenuto a freno da Bossi-Maroni. E senza la Brambilla ministra...
[Anno III, post n. 149 (526)]

20/05/2008
Smemorati
Nel dibattito politico di questi giorni (si è passati dall'abbraccio post-elettorale ad un piccolo accenno di tensione nella coppia Veltroni-Berlusconi), non si sono sentite grandi affermazioni di principio.
Piccolo cabotaggio, si direbbe, quello di un governo che di patate bollenti da pelare ne ha ed avrà parecchie. La gita a Napoli di domani passerà, e che resterà dopo nelle strade? Non certo qualche briciola di un banchetto.
Veltroni sta facendo marcia indietro, nel Pd ferve un dibattito un po' accalorato: da soli non si vince alle prossime amministrative. Lo si sapeva anche prima, ma adesso lo si può dire pubblicamente. Senza calcare troppo i toni.
La messinscena potrà durare a lungo? Si teme una legge "ad personam" per il capo del governo, si smentisce, si riscoprono gli antecedenti, le promesse da marinaio: non sia mai detto, noi utilizzare il condono? E poi, "Una lunga stagione di sconti per la galassia del Cavaliere".
Oggi Nicolò Ghedini, l’avvocato-deputato di Silvio Berlusconi ha dichiarato: “Come potrebbe mai Berlusconi presentarsi a una compagine internazionale con la richiesta di 60 giorni di sospensione del processo per valutare il patteggiamento? E’ una follia. Né io né presidente del Consiglio chiederemo mai un patteggiamento”.
Bravo. Ma noi siamo un Paese di smemorati. Nessuno, se dovesse verificarsi il fatto della richiesta per ora smentita, avrà modo di ricordarsene.
Non soltanto smemorati, ma afflitti da quella retorica che ci fa dimenticare i fatti per antipatia personale: il che non sappiamo se sia peggio o se sia meglio.
Ad esempio "il Riformista" di ieri definiva Travaglio "un reazionario". Dunque, chiuso il discorso.
A me personalmente non interesse sostenere o 'demolire' nessuno. Mi impaurisce il fatto che se una notizia è data da "un reazionario", non se ne debba discutere. Forse l'età mi ottunde il cervello, ma se fosse come penso (se il verbo non è troppo pretenzioso), ci sarebbe da preoccuparsi: e da cambiare anche il titolo a quel giornale.
Un'altra cosa di cui ci si è molto dimenticati. Dopo che era nato l'Ulivo prodiano, si parlò anche di una sua proiezione europea. Oggi non si trova uno di quelli che stavano con il professore di Bologna (esclusi tre o quattro fedelissimi) che parlino bene di quell'esperienza.
Tutto ciò che si fa va sottoposto a verifica e giudizio. Ma nessuno dice "noi abbiamo sbagliato con Prodi", perché "soltanto Prodi ha sbagliato".
È una questione di metodo, non il frutto una simpatia per Prodi, questa mia constatazione.
Ma quando le questioni di metodo sono accantonate, si perde di vista ogni razionalità dell'azione sociale e politica.
Il direttore del "Riformista" addebita il caso Travaglio ad "una devastazione culturale di eccezionale portata" avvenuta nella sinistra italiana. Ovviamente per colpa di Prodi, che aveva vinto le elezioni, e non di Veltroni che forse passerà alla storia soltanto per averle perse resuscitando un Berlusconi cotto a fuoco lento dai suoi amici della Casa delle Libertà.
Il guaio è che la furbissima sinistra a cui pensa Polito si sarebbe fatta fregare da un vecchio democristiano come Prodi.
Scriveva stamani Angelo Panebianco sul "Corrierone": "Forse la camorra, come anche nella vicenda dell'assalto al campo Rom, sta mandando un messaggio al governo e, in realtà, all'intera società italiana, un messaggio del tipo «questo è territorio nostro, non provatevi a mettervi di mezzo». Sarà difficile per chicchessia mettersi di mezzo se le istituzioni non remeranno tutte con lo stesso ritmo e nella stessa direzione".
Questa sera un messaggio al governo arriva da Strasburgo: la commissione Ue "condanna vivamente qualsiasi tipo di violenza nei confronti dei Rom". È inutile fare le solite dietrologie su quanto ci hanno detto dalla Spagna (Zapatero vuol rifarsi una verginità criticando l'Italia). L'Europa ha parlato ufficialmente.
E non dimentichiamo che critiche al nostro governo sono venute a Strasburgo pure dal capogruppo dei Liberaldemocratici Graham Watson: in Italia si è raggiunto verso le comunità di immigrati «un livello di violenza inusuale», dovuto anche alla natura della campagna elettorale che «ha portato avanti una cultura dell'impunità» per coloro che attaccano gli stranieri.
[Anno III, post n. 148 (525)]

19/05/2008
No comment
Prima di scrivere, sarebbe necessario leggere il testo che si commenta.
Nel post dedicato ad Enzo Tortora, ho osservato, riprendendo una precedente pagina: "La Giustizia italiana è un labirinto in cui sopravvive soltanto chi, magistrato o avvocato, conosce le strade per uscire dallo stesso labirinto, ed accompagna chi «può» essere accompagnato".
Allora, per favore, non mi si faccia dire quello che non ho detto, per elementare regola del dibattito. Ho parlato di "Giustizia miope": "L'Italia resta pur sempre il Paese degli Azzeccagarbugli, alcuni con la toga da magistrato, altri con quella d'avvocato. Siamo ad uno stadio storico che esisteva prima di Beccaria, prima del 1789, prima del mondo moderno. Siamo in un eterno medioevo. Ahinoi".
Quindi, per favore, restiamo sul dato di fatto oggettivo. L'anniversario della scomparsa di Tortora, a cui il TG5 l'altra sera ha dedicato il servizio di apertura alle 20, è stato l'occasione per ricordare un dramma noto, ma non soltanto quel dramma personale. Un modo per dire che l'Italia è piena di casi simili.
Le mie parole sono chiare. Cerco sempre di usare espressioni non ambigue. Come queste che ho riportato: "Le due classi nobili della Giustizia, magistrati ed avvocati, si passano la palla, recitano la stessa commedia umana. Il dramma degli imputati che non hanno né soldi né alleanze di potere non interessa a nessuno. Ed allora non chiamiamola Giustizia, ma burocrazia della legge penale".
Ma vivaddio, parlo del "dramma degli imputati che non hanno né soldi né alleanze di potere" e si fa finta che non abbia scritto niente?
Per puro spirito di contraddizione, che si potrebbe definire in mille modi (populista, demagogico, elitario...), si scrive che preoccupano di più le vicende degli sconosciuti, piuttosto che la sorte del solito noto...
Se si vuol scrivere senza leggere quello su cui si interviene, allora non mi resta che un triste "no comment".
[Anno III, post n. 147 (524)]

19/05/2008
Vitelloni, un segreto di Fellini
In occasione della scomparsa di Pietro Cascella, il quotidiano pescarese "Il Centro" ha pubblicato un'intervista ad uno dei suo più cari amici, Silvano Console, il quale ha anche parlato del termine felliniano "vitellone".
Ha detto Console di Cascella: "Ricordava, con orgoglio, che il termine vitellone, che poi Flaiano suggerì a Fellini che, come al solito, se ne appropriò indebitamente, non aveva niente a che fare con Rimini. Era un termine pescaresissimo e non si riferisce ai vitelli ma al budello, nel senso di un mollaccione che perde tempo facendo lo struscio in corso Umberto.
Sulla questione anni fa intervenne Tullio Kezich, il biografo di Fellini, come si può leggere in un mio articolo del 2003, che riproduco anche in questo blog, in una pagina speciale:
Quei vitelloni riminesi nati a Roma
Il ricordo di Alberto Sordi ne ripropone la leggenda.
[Anno III, post n. 146 (523)]

18/05/2008
Non dimenticare Enzo Tortora
Per non dimenticare Enzo Tortora a venti anni dalla sua morte, alle cose scritte nel post precedente, aggiungo la citazione di altri testi pubblicati su questo blog.
Parto dal pezzo intitolato "Giustizia miope" (ovvero "il Paese degli Azzeccagarbugli"), che riproduco interamente, restando ancora attuale il suo contenuto:
Dovrebbe essere cieca come la fortuna. Ma la Giustizia italiana appare miope. Non vede bene, quando guarda in faccia a qualcuno. Le sfugge il quadro d'assieme, per cui viene a mancare al suo compito.
È tardiva, lenta, incerta, contorta, non è giusta la nostra Giustizia. Riforma e controriforma, leggi vecchie e disposizioni nuove, tutto alimenta il sacrosanto giro autoreferenziale di chi detiene un Potere, e lo esercita non a vantaggio della collettività ma del Potere stesso.
Le due classi nobili della Giustizia, magistrati ed avvocati, si passano la palla, recitano la stessa commedia umana. Il dramma degli imputati che non hanno né soldi né alleanze di potere non interessa a nessuno. Ed allora non chiamiamola Giustizia, ma burocrazia della legge penale.
La Giustizia italiana è un labirinto in cui sopravvive soltanto chi, magistrato o avvocato, conosce le strade per uscire dallo stesso labirinto, ed accompagna chi «può» essere accompagnato. Gli altri sono numeri e non persone.
L'Italia resta pur sempre il Paese degli Azzeccagarbugli, alcuni con la toga da magistrato, altri con quella d'avvocato. Siamo ad uno stadio storico che esisteva prima di Beccaria, prima del 1789, prima del mondo moderno. Siamo in un eterno medioevo. Ahinoi.
Ci fu un commento a cui aggiunsi due righe di risposta, in "Giustizia miope/2".
Il 6 settembre 2007 pubblicai "Sabani come Tortora", ed il 4 dicembre successivo "Enzo Biagi ed Enzo Tortora". Riprendo un brano da quest'ultimo.
Biagi «fu il primo a lanciare un appello in suo favore al grido di “E se Tortora fosse innocente?”».
Biagi scrisse: «Mentre voi leggete questo articolo, Enzo Tortora è a colloquio con i giudici: sapremo poi, con più esattezza, di quali reati è incolpato, o meglio di quali deplorevoli fatti si sarebbe reso responsabile. Fino all'ultima sentenza, per la nostra Costituzione, stiamo parlando di un innocente. Invece, in ogni caso, è già condannato: dalla riprese televisive, dai titoli dei giornali, dalla vignetta del pappagallo che finalmente parla e dice: “Portolongone”, dal commento senza carità di quello scrittore che afferma: “in qualunque maniera vada, è finito per sempre”. O dell'altro che annota, seguendo la cronaca: “tempi durissimi per gli strappalacrime”».
[Anno III, post n. 145 (522)]

18/05/2008
Ventriloqui
Dietro Travaglio c’è di più.
C’è di più di una semplice apparizione televisiva giudicata eccessiva da molti (ma non da tanti, a quanto pare).
C’è di più di una voce fuori dal coro come lui (una voce che però non è stonata di per sé).
C’è di più di personaggio antipatico dal carattere “spigoloso” come è apparso lecitamente a molti.
Dietro Travaglio c’è di più. E ce lo spiega lucidamente l’editoriale di Barbara Spinelli sulla “Stampa” di oggi. A cui si deve l’aggettivo “spigoloso”, usato in un contesto che va citato compiutamente: il carattere di Travaglio “non è più spigoloso di altri astri giornalistici”.
Il caso Travaglio, secondo Barbara Spinelli, è sintomo della malattia (cronica) che affligge l’informazione italiana, e che consiste nel farsi “dettare l’agenda” dalla politica.
Un’informazione, mi permetto di aggiungere, che appare muta ma è sostanzialmente ventriloqua.
Ovvero, non parla collegandosi alla propria testa, ma muove la bocca secondo le parole pronunciate da altri.
Questo conformismo, aggiunge Barbara Spinelli, nasce dal fascino del potere, da quell’infantilismo di cui parla Eugenio Scalfari, per cui non soltanto i buoni vincono ma chi vince e buono.
Senza mancare di rispetto all’autorevolezza di Scalfari, proporrei di sostituire alla parola “infantilismo” della cultura politica, quella di “servilismo”.
La Storia è dovunque e sempre piena di storie di ladri puttane e spie che hanno preteso di reggere le pubbliche sorti di uno Stato.
Ma soltanto in Italia essi hanno avuto pure la pretesa di salire persino sulla gloria degli altari. (E’ l’antico problema del fatto storicamente provato che abbiamo avuto la Controriforma ma non la Riforma? Piccola deviazione, ci sono dei begli spiriti italici che di recente hanno imbrogliato le carte, sostenendo che la Controriforma va chiamata Riforma…)
Maledizione divina o marasma senile che sia, il presente stato della politica italiana, fa sorridere la nuova uscita di Adriano Celentano. Il quale ci conferma nell’opinione già antica, che di lui (personalmente) consideravamo ottime soltanto le esibizioni musicali, non quelle politiche.
Cele140x180 Il vecchio ragazzo della via Gluck scrive al direttore del “Corriere della Sera” per dire che “Silvio è cambiato”, e lui ci crede. Con l’aggiunta che il merito è anche di Veltroni…
Anche Eugenio Scalfari parla, nella sua “omelia” domenicale su “Repubblica”, della “ultima maschera del nuovo statista”. Molto importante è il passo dove avverte Veltroni: se Berlusconi non condivide, traducendoli in atti legislativi, i valori legalitari (brutta definizione che uso io per riassumere) del Pd, allora “il dialogo non potrebbe e non dovrebbe evidentemente aver luogo”.
A proposito del carattere “spigoloso” di Travaglio (fatto già oggetto sui giornali di soffiate mirate a minarne la credibilità morale), oggi proprio sulla “Stampa” si parla di un altro carattere “spigoloso” (drammatiche coincidenze della Storia, o pura casualità?). In un doloroso articolo di Paolo Martini su Enzo Tortora a vent’anni dalla morte.
Spigoloso e solitario, il giornalista inventò sul finire degli anni Cinquanta la radio in diretta sui fatti del giorno (al secondo programma tra le 12.30 e le 13.30). Ma resta famoso per il suo “Portobello”, antologia premonitrice di tutta la televisione di oggi.
Paolo Martini rivela tre particolari inediti sulla vicenda che (dal 17 giugno 1983) drammaticamente segnò l’esistenza di questo giornalista e presentatore televisivo sino alla morte. Andate a leggere il suo articolo che, in pagina sulla “Stampa”, ha un occhiello che fa venire i brividi: “Quegli intrighi targati Dc”.
[Anno III, post n. 144 (521)]

17/05/2008
Postilla personale
Postilla politicamente scorretta ma autobiografica
Il problema dell'informazione, forse per una questione genetica che semmai racconterò in altre occasioni, mi appassiona, considerandola un modo, uno dei tanti, per "fare politica", ovvero partecipare alla vita del nostro Paese, per non lasciare questa stessa vita in monopolio ai politici.
I quali si trasformano sempre, volenti o nolenti, in una oligarchia che guarda dall'alto in basso i "semplici cittadini".
Per questo motivo mi sono interessato alla questione di Travaglio, non perché lui risulti simpatico o no, o perché io lo consideri un salvatore della Patria. Ma perché le questioni che tratta, riguardano noi tutti.
Dedico a questa postilla una pagina a parte [*] in cui racconto appunto alcuni eventi personali legati al problema della libertà d'informazione. E d'opinione.
[*] Ecco la pagina a parte di cui parlo sopra.

Nel 2001, l'ho già raccontato qui sopra, successe che certe dame seguaci del verbo proveniente da Arcore riuscissero a farmi togliere dall'elenco delle persone che tenevano conferenze storiche in un'associazione cattolica.
Da quel giorno, come scritto in precedenza qui sopra, "mi si è stretta attorno una cerchia di isolamento sanitario da «evitato speciale» per cui nel giornale a cui collaboravo, prima mi è stata tolta la sezione culturale, poi non mi hanno commissionato più le recensioni dei testi storici. Per cui (nel 2005) ho preferito abbandonare dopo quasi 25 anni di lavoro, per non avere altre beghe".
C'è nel mezzo un altro episodio che nel blog non mai ho narrato.
Nel 2003 avevo recensito un volumetto segnalando un errore della traduttrice che non si era accorta di un ablativo. Anziché scrivere: "da Dante era stata vista una brutta fanciulla", essa aveva dato al lettore questa frase: "Dante, tutt'altro che bello, vista una ragazza...".
L'editore del volumetto era anche mio editore (da lui non ho ricevuto neppure una lira per due libri miei che ha pubblicato), e ad una cena con la traduttrice aveva sentito discutere del sottoscritto con personaggio autorevole della realtà ecclesiale riminese da cui dipendeva il giornale a cui collaboravo (vedi sopra). L'editore non me lo disse subito, ma me lo confermò dopo che la traduttrice creò un tremendo casino con minaccia di querela per la mia recensione. L'editore giustificò il suo silenzio sostenendo che avrebbe voluto divertirsi.
Il personaggio autorevole era quello che poi disse che soltanto da lui e dalla sua "realtà" istituzionale sarebbe dipesa la trattazione dei temi culturali.
Orbene, se non si è liberi di criticare la traduzione di un testo, volete che si possa esserlo nel trattare di cose ben più drammatiche...?
Una postilla alla postilla. Da persona vicina al personaggio autorevole è partita una "lettera anonima" contro il sottoscritto, pubblicata da un quotidiano della destra cattolica ed in difesa dell'Occidente, dicendo che era un "libello" che girava in città. Ma questo punto l'ho già trattati qui sopra nel post intitolato "Non siamo scemi".
[Anno III, post n. 144 (521)]

17/05/2008
"Quasi quasi" Travaglio convince
Ieri sera Emilio Fede in apertura del suo TG4, tutto serio e mesto, a corredo del servizio sull'incontro Berlusconi-Veltroni, ha preso le sue precauzioni di igiene mentale a tutela del consumatore: "Vorrei ricordare ai telespettatori che governa chi ha vinto le elezioni". Come per allontanare ogni illusione degli sconfitti del Pd: non pensateci che possiate influenzare le scelte del capo. (La parola "capo" va letta abbassando lentamente la testa in avanti, in segno di deferenza verso il predetto.)
Grazie dottor Fede, per aver spiegato al popolo asino e bue che "governa chi ha vinto le elezioni". Ovviamente non si può aggiungere che un capo di governo può anche essere riconoscente al leader avversario che ha fatto di tutto per perdere e favorendo inevitabilmente (tertium non datur) il vincitore. Che non ha vinto, ma trionfato.
Stamani mi ha rallegrato un titolo della "Stampa": "Quasi quasi difendo Travaglio", all'articolo di Lucia Annunziata. Che quel "quasi quasi" lo esclude laddove afferma: la critica (al "potere") ha un "ruolo fondamentale", indipendentemente dal fatto che il critico abbia torto o ragione.
Come si vede è un'affermazione molto "forte", rispetto all'attenuazione del titolo. Ancora più accesa l'altra affermazione di Lucia Annunziata: "La critica è un meccanismo necessario proprio in quanto violazione dell'ordine costituito".
Molto dolorosa la conclusione del pezzo: "Solo in Italia la leadership identifica il rispetto con l’unanimità di lodi, e la forza delle istituzioni con il silenzio che le circonda".
Travaglio Per dimostrare che "quasi quasi" Travaglio non potrebbe avere tutti i torti non nel contenuto delle cose che dice ma nel metodo che adopera, c'è una sua dichiarazione, riportata in un'altra pagina della "Stampa", l'intervista a Travaglio fatta da Sabelli Fioretti e pubblicata in volume.
Travaglio confida non di essere un pericoloso sovversivo di sinistra ma un ammiratore della "destra liberale" quella di "Cavour, Einaudi, De Gasperi, Montanelli. Tutti morti".
Ciò premesso e constatato, forse la popolarità di Travaglio sarà condivisa anche dal ceto moderato raziocinante, quello copernicano di cui parlavo in altra occasione.
[Anno III, post n. 143 (520)]

16/05/2008
La carota delle riforme
Da una vita, nei passaggi cruciali della nostra storia repubblicana, riecheggia una frase, "necessità delle riforme istituzionali".
Ormai è diventata come un riflesso condizionato, un tic nervoso, un comodo paravento dietro cui opera il fregolismo della nostra classe politica.
Che promette cambiamenti e innovazioni, e spesso si riduce ad obbedire all'andreottiano motto: "Tirare a campare, è meglio che tirare le cuoia".
Si ha l'impressione (ovviamente del tutto infondata ed errata) che la parola riforme sia una specie di carota messa davanti al muso dell'asino, ovvero il popolo, il mitico popolo-bue.
Così con asino e bue si fa un bel presepe, ed al posto del bambinello ti trovi un attempato signore dai capelli tinti, davanti al quale oranti stanno una dolce signora ed un vecchietto, il padre putativo del neonato.
Nella scena di questi giorni l'interrogativo drammatico è: Veltroni figura meglio come Madonna o come san Giuseppe?
Il leader del Pd promette "convergenza sulle regole del gioco ma nessuna melassa sul piano programmatico".
Staremo a vedere. L'affermazione non aggiunge o toglie nulla ai dubbi. Per ora la carota funziona. Ma attento, on. Veltroni, perché chi sa usare la carota a volta la sostituisce con il bastone.
Le riforme istituzionali a cui pensa il partito più 'pesante' all'interno del governo, ovvero la Lega, vanno in senso totalmente contrario rispetto al Pd. E Bossi non è un tipo da scendere a patti. Quindi, chi dovrebbe cedere sarebbe proprio Veltroni.
Al quale suggeriamo (modestamente, come semplici cittadini) di fare attenzione a quanto la Spagna oggi dice di noi: la vice di Zapatero infatti ha accusato apertamente l'Italia di xenofobia.
L'Europa non pensa né alla melassa né alla convergenza sulle regole del gioco. Guarda ai fatti.
Non è una piccola differenza. L'Europa ha nel complesso una cultura che non apprezza né i cicisbei né i fregoli come invece noi italiani che ci attorcigliamo attorno alle belle parole ed ai concetti illusoriamente confusi ma promettenti.
Postilla maschilista, ma bipartisan.
Oltre che alle belle parole, la nostra classe politica rinnovata si abbandona ad ammirare le belle fanciulle salite al governo.Carfagna01
Il ministro Maria Rosaria Carfagna dichiara oggi di essere una pentita della tv e di essere stata salvata dalla politica.
Comunque, la tv serve e forse tra qualche anno avremo un'altra ministra nata dai teleschermi, come Melita Toniolo. Che sinora non si è pentita di quello che sta facendo nello spettacolo. Ed alla quale qualcuno, visti i precedenti attuali, garantirà un luminoso futuro.
[Anno III, post n. 142 (519)]

15/05/2008
Aria nuova mirando al Colle
Aria nuova in cucina, diceva uno slogan pubblicitario di molti anni fa.
Aria nuova in Italia, reclama Berlusconi: ne vuole "respirare a pieni polmoni".
Beh, che la chieda un signore che ha intossicato per un decennio il dibattito politico a forza di offese ai magistrati ed agli oppositori, finanche definendo "coglioni" i loro elettori, non è né un miracolo, né un aspetto inedito della Storia italiana.
E' il solito maledetto trasformismo italico, di chi gioca con le carte taroccate e vuol vincere la partita. La posta sul tavolo verde è questa volta il colle più alto della politica.
Il bello è che Veltroni è stato catturato nella "tela del ragno" (definizione di Di Pietro), per cui il cavaliere gli ha finalmente sorriso. Ed imitando l'imitatore Crozza, gli ha detto che "si può fare". Il "Bagaglino" approda come sistema retorico nelle aule parlamentari, evviva!
Sì, in politica tutto si può fare, e tutto si fa. Veltroni è riuscito a perdere le elezioni, ha rianimato un Berlusconi sfinito ("la resurrezione di Lazzaro", definizione di Travaglio), ha ridotto l'Italia ad un Paese in cui un capo-camorrista riscuote applausi dalla folla per aver fatto incendiare le baracche di una certa periferia meridionale...
Questo è il Paese reale. Un tempo gli esperti calcolavano la sua distanza da quello legale. Sembra che della legalità non freghi più nulla a nessuno, tranne che ad un signore che si chiama Antonio Di Pietro.
Dopo aver detto: "mi ha offerto di fare il Ministro dell'interno e non ho abboccato", nel suo intervento alla Camera Di Pietro ha aggiunto in mezzo a molte interruzioni: "Noi conosciamo la sua storia personale e politica e conosciamo bene anche la sua storia... E soprattutto conosciamo bene la sua storia personale e giudiziaria e quella dei tanti... Ma noi dell'Italia dei Valori conosciamo la storia anche dei suoi tanti dipendenti e sodali che si è portato in Parlamento con sé a titolo di ringraziamento per i favori e le omertà di cui si sono resi complici. Noi dell'Italia dei Valori conosciamo bene le sue bugie e la sua capacità di distorcere la verità dei fatti. Soprattutto conosciamo bene la tela sul controllo dell'informazione e sul sistema di disinformazione che ha messo in piedi. Soprattutto conosciamo la disinformazione che ha posto e ha fatto porre in essere per far credere che la colpa dei mali dell'Italia non sarebbe di chi li ha commessi ma di chi li ha scoperti.
Lei ha mentito a ripetizione nel corso della sua carriera politica e da ultimo ha fatto credere agli italiani di aver lasciato l'ultima volta il Governo con i conti in ordine, mentre invece ha truccato le carte fin quando l'Unione europea non l'ha scoperto e sanzionato, e quel povero Prodi si è dovuto far carico di far quadrare i conti e ne ha pagato le conseguenze".
Non si tratta, a questo punto di essere o meno d'accordo sulla linea politica di Di Pietro. Si tratta più semplicemente di fare la constatazione che l'unica voce alzatasi a ricordare "certe" cose, è stata la sua. Auguri, onorevole Di Pietro a lei ed a noi per il bene dell'Italia.
L'Italia reale è questa, l'Italia legale non è messa bene, l'Italia ideale, quella che "si può fare", è una ridicola messinscena con le battute da "Bagaglino", l'imitazione dell'imitatore, la perdita di identità politica dell'opposizione a cui si è offerta l'offa medicata per non farla abbaiare, come a Cerbero.
[Anno III, post n. 141 (518)]

14/05/2008
Come frate Cipolla
Vita nuova in Parlamento, dicevano ieri sera i più autorevoli commentatori dopo il discorso dell'on. Berlusconi alla Camera. Dove la novità sarebbe consistita nel fatto che il capo del nuovo governo, avrebbe riconosciuto dignità all'opposizione, ammettendola alle sale riservate del "dialogo".
Ma in una democrazia, non è il capo del governo che debba legittimare l'opposizione. Essa ha un ruolo ed una funzione riconosciuti dalla Costituzione. Soltanto negli Stati assoluti ci sono le concessioni del sovrano.
Ed ieri il cavaliere ha voluto apparire come un sovrano illuminato che fa di tutto per salvare il destino dei sudditi. Chi gli ha scritto il discorso (uno stuolo di buoni e fidati consiglieri) finisce per ammettere che il Berlusconi del 2008 è diverso da quelli precedenti che avevano mirato soltanto alla salvaguardia del "particulare".
Adesso che esso è stato messo in cassaforte, sarebbe giunto il momento di mirare agli interessi collettivi.
Il discorso berlusconiano di ieri sembrava un po' come la predica del boccacciano frate Cipolla che stupiva i suoi ascoltatori narrando della terra d'Abruzzi "dove tutte le acque corrono alla 'ngiù".
Anche con l'on. Fini presidente della Camera c'è stata una parodia di frate Cipolla, oggi davanti alle proteste di Antonio De Pietro a cui la maggioranza impediva di proseguire nel suo discorso di critica al governo.
Fini gli ha risposto: "Onorevole Di Pietro, lei sa bene che e' abbastanza naturale, che ci siano delle interruzioni. Poi dipende anche da ciò che si dice".
Ecco proprio in questo "dipende anche da ciò che si dice" che anche frate Cipolla Fini ha dato il meglio di sé. Per cui bene ha fatto Di Pietro a rispondergli: "Ha ragione, dipende proprio da ciò che si dice. Non bisogna disturbare il manovratore...". E stasera Di Pietro commenta il tutto: "Esiste un’unica opposizione, quella dell’Italia dei Valori".
[Anno III, post n. 140 (517)]

13/05/2008
A pezzi, non solo le mogli
Illuso che sono, m'aspettavo una cosina un po' divertente, tanto da preparare il sonno, invece lo sceneggiato "Mogli a pezzi" lascia il magone.
A parte la caricatura a cui è costretta la bruttina stagionata Eva Grimaldi, gli altri personaggi sono di spessore.
Meglio di tutte Valeria Milillo, molto bene Manuela Arcuri quando gli occhi le sorridono, perché se fa la cattiva, diventa un po' forzata.
Sono andato a letto con l'immagine della povera prigioniera, e mi sono trovato dopo il risveglio con un'altra storia amara davanti agli occhi, l'articolo di Giuseppe D'Avanzo sul caso Travaglio.
Qui si parte dall'assunto che il "lettore inconsapevole" può esser tratto in inganno da certi discorsi: "E' un metodo di lavoro che non informa il lettore, lo manipola, lo confonde".
D'Avanzo conclude di stare "con i lettori/spettatori che meritano, a fronte delle miopie, opacità, errori, inadeguatezze della classe politica, un'informazione almeno esplicita nel metodo e trasparente nelle intenzioni".
L'amarezza che mi è nata in bocca deriva da queste parole dell'illustre giornalista di "Repubblica": noi lettori sprovveduti ed ingenui meritiamo metodi espliciti e trasparenti decisi dagli altri perché da soli non siamo in grado di comprendere, distinguere, valutare ed eventualmente bocciare chi stiamo ascoltando. E le notizie (o "notizie"?) che sta raccontando.
Insomma a noi lettori "inconsapevoli" il cibo dev'essere dato già predigerito, perché non siamo naturaliter predisposti alla funzione. Ohibò.
Dopo le "mogli a pezzi" di ieri sera, stamani ho scoperto noi lettori massacrati da una pedagogia dell'informazione che non avrei mai immaginato di leggere sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari.
Ovviamente, se le mie opinioni sono un abbaglio soggettivo dettato dalla vecchiaia, chiedo scusa a tutti.
Ma non credo di essere completamente dalla parte del torto, se Antonio Di Pietro ha oggi scritto: "Bavaglio all'informazione e bavaglio alla giustizia sono questi i primi fatti tangibili del governo del centrodestra a cui fa sponda un tacito consenso di questa finta opposizione".
[Anno III, post n. 139 (516)]

12/05/2008
Non siamo scemi
Scusate il plurale. Se avessi scritto che "non sono scemo", avrebbero potuto obiettare: "Ma chi si crede di essere, da parlare in prima persona?".
Usando il plurale, non mi attribuisco una funzione sociale e pedagogica (ipotesi che dalle mie parti un tempo avrebbe scatenato ondate di pernacchie dette "sordini").
Semplicemente mi mescolo fra la folla. Uno come gli altri, uno dei tanti che in queste ore si sentono presi per i fondelli.
Prescindo da fatti e persone realmente esistenti, come dicono i titoli di coda dei film. Se una cosa è scritta in un libro va in giro indisturbata per il mondo. Se l'autore di quel libro poi la racconta nella televisione di Stato italiana, succede il finimondo.
Perché? Il presidente del Senato ha garbatamente detto alla nazione: "La verità è che qualcuno probabilmente vuole minare il clima di dialogo e confronto costruttivo che ha caratterizzato questo inizio di legislatura".
Obiettivamente, credo che nelle parole della seconda carica dello Stato ci sia un profondo senso di verità.
Siccome io sono rustico, traduco quel "profondo senso di verità" con un'altra frase: "Ragazzi, non fate scherzi sennò vi facciamo neri".
Nel senso che i "ragazzi" dell'opposizione, già acciaccati dalla sconfitta elettorale, potrebbero avere altre sorprese negative che li farebbero scomparire dalla scena politica italiana. Quella scena che "dialogo e confronto costruttivo" possono invece garantire, per sollevare il loro morale.
Siccome io sono testardo, sottolineo che il gran chiasso che si solleva per i potenti diffamati o proclamatisi diffamati, non risponde al principio di uguaglianza della legge.
Se un cittadino è diffamato da un giornale che inventa la pubblicazione di un libro che non è mai stato stampato contro di lui, se quel giornale inventa che uno ha plagiato un testo del 2004 in un suo volume uscito SEI ANNI PRIMA (con quella preveggenza che sarebbe utile per una futura beatificazione), se questo cittadino diffamato da una congrega di cui si omettono altre qualifiche facilmente immaginabili, se questo cittadino non trova ascolto nelle sacre aule di giustizia per difendere la propria onorabilità, allora questo cittadino, preso da totale scoramento, non inneggia al coraggio di Travaglio, ma si arrende alla "ragion di Stato" che "dialogo e confronto costruttivo" impongono al centro ed alla periferia, perché tanto poi tutti "tengono famiglia": magistrati avvocati e giornalisti. E chi è orfano di protezione può essere offeso impunemente.
Davanti a questa evidente violenza di quanti "tengono famiglia", si abbassa umilmente la testa, invocando per ladri puttane e spie una sorte migliore rispetto a chi ha evitato di sottostare agli ordini di queste (per altri aspetti) benemerite categorie che gestiscono il potere sin dai tempi dei tempi.
Certe professioni (non una sola) "le più antiche del mondo" non sono ovviamente un'invenzione di oggi. Per questo meritano rispetto, e magari qualche illustrazione pedagogica nella nuova società italiana, per non lasciar soffrire anime ingenue ed illuse come chi crede che la "Giustizia sia uguale per tutti".
E' uguale per tutti gli uguali, cioè per i pochi fortunati che incontrandosi al bar, in loggia (dei mercanti, che cosa avevate capito?) in banca od in spiaggia decidono con grande coraggio e dignità per i destini di tutti. Alla loro salute.
A noi resta soltanto la soddisfazione di dichiarare che "non siamo scemi". Soddisfazione di poco conto in questo Paese di furbi che sotto tale etichetta inseriscono un po' di tutto, le predette e benemerite categorie di ladri puttane e spie.
[Anno III, post n. 138 (515)]

11/05/2008
E se domani...
E se domani l'affaire Michela Sconfitta Brambilla (l'ho ribattezzata così non sapendo che il giorno prima di me sull'Unità l'operazione onomastica era stata già fatta da una grande firma, Maria Novella Oppo), e se domani il caso Brambilla diventasse una di quelle grane che erano impensabili alla vigilia?
Rifiutata dai colleghi di partito di ambo i sessi (si legga sul Corriere della Sera di stamani un elenco di giudizi un po' pesanti), adesso la signora Brambilla è passata armi e bagagli in una lista di ipotetico "governo penombra".
Lista gestita però da Alessandra Mussolini, mica dal circolo della Libertà di un comune in provincia di Lecce.
Con la signora Mussolini alle spalle, la signora Brambilla dovrebbe avere la cura dei "rapporti" con il Parlamento.
Funzione suscitatrice di pensieri inverecondi nella sezione maschile, e di profonde invidie e gelosie in quella femminile.
A dimostrazione che dove casca casca male, dopo essersi data tanto da fare per il successo di Silvio Berlusconi.
Sinceramente spiace che un volto nuovo della politica, sostenuto dal capo di un partito, possa finire nel dimenticatoio. Ulteriore segno di crisi della casta che comanda. Anche chi governa un partito personale come il cavaliere, alla fine deve fare retromarcia per le sue scelte. Non c'è più religione né rispetto dei ruoli di comando.
Lo stesso può dirsi per quanto accaduto ieri sera nella trasmissione di Fabio Fazio.
Ormai abituato a lunghissime interviste con attori, ballerini e scrittori che raramente distolgono dal prender sonno, finalmente Fazio aveva avuto un guizzo di genialità con il Travaglio Marco che ha sfoderato una sua paginetta di dati circa la seconda carica del Senato.
Apriti cielo! Oggi soltanto Antonio Di Pietro sta dalla parte di Travaglio.
Domanda: ma se Di Pietro sta con Travaglio contro Pdl e Pd, non sarà che poi verso lo stesso Di Pietro marcerà su Roma tutta solitaria la signora Brambilla in cerca di qualche rivincita?
Per la marcia su Roma i diritti letterari spettano ovviamente ad Alessandra Mussolini, lo sappia signora Brambilla.
[Anno III, post n. 137 (514)]

10/05/2008
Compagno Tremonti
Grazie compagno Giulio Tremonti, per aver detto che i sacrifici non li faranno "i poveri", ma "le banche e i petrolieri". Finalmente un vero socialista è andato al governo. Ci spaventa soltanto una cosa, il titolo del suo recente libro (di grande successo): "La paura e la speranza". Sembra quello di un'enciclica.
[Anno III, post n. 136 (513)]

10/05/2008
Moderato senza tetto
Gentile Antonio Cracas.
Mi sono sempre considerato un moderato. Come tale ho fatto le mie pratiche devozionali, laicamente intese. Ovvero elettorali.
Da un pezzo mi considero un moderato senza tetto.
Non mi sembra moderato Berlusconi con tutto il suo apparato che ha robuste stampelle a destra. E non mi si venga a dire che con la caduta delle ideologie non esiste più né una destra né una sinistra: sarà in Italia, mi sembra sia molto diversa la situazione europea.
Non è un moderato Veltroni: è uno che è stato comunista (anche se non se lo ricorda più) ed adesso si è messo d'accordo con i cattolici più o meno reazionari (pardon, "reazionari" con le virgolette politicamente corrette) come si sarebbe detto un tempo. Ha robuste stampelle a destra ed a sinistra. Nuova edizione del compromesso storico, al quale sono sempre stato personalmente contrario. Lo dico anche se non interessa nessuno questa mia opinione.
Un vero moderato dovrebbe stare in piedi da solo. Vent'anni fa era così Ugo La Malfa con la sua Edera. Ma i dc lo consideravano pericoloso. Lo ricordo ai giovani. Dicevano di lui le stesse cose che oggi dicono (dicevano?) di Bertinotti.
Oggi la schizofrenia della politica vede l'Edera stracciata in due pezzi. Il figlio Giorgio La Malfa sta a destra con Berlusconi. Dalle mie parti ci sono brandelli del vecchio partito piazzatisi "in partibus infidelium" con l'Unione di Prodi.
Ci sono due tipi di moderati. Quelli copernicani sono democratici, non credono che la vita politica giri attorno ad un capo. Come invece ritengono i moderati tolemaici: dogmatici, devoti e per questo in sostanza "immoderati"...
Michela "Sconfitta" Brambilla è uno di questi immoderati che hanno fatto voto di devozione ad un capo.
Inoltre: il discorso sulla signora Brambilla non ha paragoni con quello su Cicciolina, radicale, eletta nel 1987.
La signora Brambilla non è soltanto una eletta qualsiasi. È la candidata a qualche incarico governativo importante per motivi noti.
E, aggiungo, oggi si parla di lei come di un possibile sottosegretario al Turismo.
Ma che governo interessato ai problemi economici, è mai questo, se "dimentica" il portafoglio al Turismo, una delle fonti della ricchezza nazionale, e ne fa semplicemente un sottosegretariato come al tempo in cui De Gasperi lo affidò al proprio cognato, che di cognome faceva Romani?
Cari saluti a tutti, ed un grazie cordiale dell'intervento ad Antonio Cracas.
[Anno III, post n. 135 (512)]

09/05/2008
Ius mormorandi
Troppo interessante l'osservazione di Antonio Cracas, per non riportare anche come post la mia risposta.
Ho sempre inteso la "satira" (usando con la dovuta modestia il termine) come un paesaggio a 360 gradi, a cui guardare senza falsi pudori e senza pregiudiziali di parte. E soprattutto senza privilegiare nessuno con omissioni o incensazioni.
Se poi si passa dalla "satira" alla "politica" seria (che forse è spesso meno seria della satira stessa), spero di essere sempre stato indipendente nel mio parlare. Queste almeno sono sempre state le mie intenzioni.
Mi auguro di esserci riuscito. Dalle fregature ricevute (da parte di quelli che dall'esterno potrebbero essere giudicati miei amici di strada), mi sembra di sì.
Se ci siamo "scandalizzati" con Cicciolina, possiamo quindi fare altrettanto con i fatti di oggi. In essi non c'è nulla di male, anzi. Le vie delle carriere sono sempre state infinite e sfinite. Ma non toglieteci l'ossigeno del parlar (male) del Potere, indipendentemente da chi lo controlli in un certo momento storico.
Sotto il fascismo lo chiamavano "ius mormorandi". Andreotti ricorda una battuta di quel tempo: "Non ci possiamo lamentare". Dove la perfetta ambiguità del linguaggio indicava lo stare bene ed anche il non poter parlare...
Anche oggi, in molti non si possono lamentare. Fanno affari d'oro. A Roma con il governo, e nelle città con quelle che oggi sono forze (ma forze può essere esagerato...) insomma sono esponenti dell'opposizione parlamentare...
Grazie dell'attenzione e del commento.
[Anno III, post n. 134 (511)]

09/05/2008
Michela Sconfitta Brambilla
E se alla fine dovesse cambiare nome, la signora Brambilla? Da Michela Vittoria in Michela Sconfitta? Sempre meglio che Michela la Sanguinaria come minacciava di diventare per colpa dei suoi colleghi maschi. Che l'hanno odiata sin dal primo momento, vedendola sorgere minacciosamente come la luna che eclissa il sole.
Ma pur sempre qualcosa di sgradevole per questa signora che doveva essere il nuovo vero uomo del Pdl.
Un caso umano più che politico. Nata per rivoluzionare l'Italia con i suoi "Circoli" pagati dal cavaliere, rischia di diventare una Marianna spodestata da signori calvi ed ormai con la pace dei sensi, che governano il partito che ha vinto le elezioni.
Pure lei doveva diventare ministro, come minino, dopo tutto quello che ha fatto per Berlusconi. Invece. Sarà vice se andrà tutto bene, oppure sottosegretaria, oppure niente.
E così rischia di restare famosa, nella memoria collettiva e nelle cronache del Palazzo, soltanto per quelle calze birichine sfoggiate in tivù: un barlume di coscia amalgamato in quello sguardo assassino che rende pur sempre giustizia a questa giovane e bella signora. Innamoratasi di un'idea (quella del capo) e per questo vilipesa dai maestri del cerimoniale di Arcore. Che si sono sentiti subito spodestati e cacciati nel dimenticatoio.
Per questo fatto, essi l'hanno aggredita con la retorica delle "buone" maniere, e dalla sua professione hanno ricavato quel soprannome perfido, "la pescivendola".
L'aveva persino difesa Antonio di Pietro, nell'agosto 2007 dopo l'attribuzione dell'etichetta lavorativa.
Pochi giorni fa, la signora Veronica Lario in Berlusconi ha giustificato la sua assenza dalle cerimonie pubbliche con una di quelle frecciate al curaro che prima o poi producono il loro effetto micidiale: le mogli debbono restare "tranquillamente nell'ombra".
Aggiungendo: "Mio marito può portare sotto i riflettori della politica la Brambilla".
Forse in quelle parole, più che nelle manovre dei maestri del cerimoniale della corte di Arcore, c'era la definitiva condanna al silenzio per Michela Sconfitta Brambilla.
Resta una soluzione brillante. Divenuta invisibile, potrebbe passare nel governo ombra di Veltroni che la tutelerebbe nella sua vita in ombra, e non più all'ombra del capo.
Il quale ha un nuovo idolo, diventato ministro direttamente dalle passerelle televisive, Maria Rosaria Carfagna.
[Anno III, post n. 133 (510)]

08/05/2008
Bulli e padri, anzi madri
A proposito del mio post sul "Bullo figlio di coatto", leggo oggi su "Repubblica" una deliziosa noticina di Francesco Merlo.
Dove si parla di un giovane, per modo di dire, scrittore che in un libro dà della bagascia alla madre. La quale gli risponde con un altro testo, chiamando il figlio "bugiardo pevertito". Talis filius, talis mater. Ma sarà più bulla la madre di quanto non appaia coatto il figlio?

08/05/2008
Paure
Aumentano i reati, crescono le paure, parola di Istat. Non lo metto in dubbio. Ma resto convinto che siano più pericolose le cosiddette persone affidabili, dei tanti sconosciuti che incrociamo per strada.
Anni fa tentarono di rubarmi una vil borsa di plastica da cinque euro, piena di libri e giornali. Era infilata nel cestino sotto il fanale anteriore della bici. Uno dei due ragazzi in moto cerca di sfilarla, la cinghia si ferma al fanale, lui molla la presa, e se ne vanno.
Non mi hanno fatto cadere, li ho mentalmente ringraziati.
Quando ne parlo, o quando possono entrare obliquamente in un discorso, li ricordo come tra le poche persone oneste che abbia incontrato.
Non mi fanno paura gli stranieri e gli sconosciuti. Ho sperimentato che il male maggiore mi è venuto soltanto da persone con cui si lavorava a contatto di gomito.
Le caramelle avvelenate me le hanno sempre rifilate i vicini di scrivania. Non gli sconosciuti.
[Anno III, post n. 131 (508)]

07/05/2008
Garanterie
Se l'uomo galante fa le galanterie, l'uomo-Garante (quello addetto alla tutela della privatezza, Francesco Pizzetti [foto da "Repubblica"]) Pizzetti fa apprezzate "garanterie". Molto simili ai quei "tanto sottili provvedimenti" che già andavano di moda all'epoca di Dante Alighieri ("Purgatorio", VI, 142-143). E che, però, duravano ben poco, stando alla "Divina Commedia" dove leggiamo che essi, filati ad ottobre, non duravano neppure sino a metà novembre (vv. 143-144).
Vietata la diffusione via Internet dei dati fiscali della popolazione italiana, il Pizzetti Garante, ritiene oggi che la stessa diffusione sia lecita per i giornali.
A questo punto la "garanteria" diventa astrusa materia giuridico-costituzionale per il "semplice" cittadino che è costretto ad alzare le mani in segno di resa, ma soltanto dopo aver ricordato quella massima aurea del Diritto romano, secondo cui "summum ius, summa iniuria".
Ciò premesso visto e considerato, il semplice cittadino ha diritto ha ritenere queste "garanterie" una inutile carineria giuridica tanto per tenere la scena e giustificare lo stipendio.
Una volta c'era il pubblico banditore con tanto di tamburo, poi vennero giornali e manifesti, adesso c'è Internet.
La "localizzazione" delle notizie, cioè il principio per cui soltanto i concittadini possono conoscere i redditi dei residenti nel loro Comune, rassomiglia tanto alla etichetta dei formaggi e dei salumi. In questione di cibo si vuole garantire la provenienza del prodotto, in tema fiscale si vuole delimitare l'area geografico-politica di diffusione delle notizie. Si teme la propagazione di qualche contagio.
Il provvedimento del Garante è una specie di cordone sanitario che non ha nessuna giustificazione logica.
Ovviamente il Potere ha sempre ragione, sia che usi galanterie (leggi: favori personali), sia che ricorra a "garanterie", ovvero la più alta e nobile forma di autogestione del Potere stesso.
Lo sappiamo, signor Garante, che gli evasori non sono in lista, ma per favore lei ci suggerisca un modo non pruriginoso e rispettoso della legalità per non far fare la figura dei fessi a noi cittadini che paghiamo le tasse sino all'ultimo centesimo, che non possiamo evadere un euro, che al massimo possiamo essere oggetto di interessata attenzione, se qualcuno falsifica i conti e spedisce le cartelle pazze. Per cui dobbiamo anche incazzarci all'Ufficio delle Entrate.
Lei garantisca anche chi non ha protezioni "galanti". Quelle di chi ad esempio ha bellamente giocato per troppo tempo sulla differenza fra elusione ed evasione.
Ciò premesso, resto convinto che soltanto con Prodi e con Visco fosse iniziata una vera lotta all'evasione. Ma... come non detto, ben inteso.
[Anno III, post n. 130 (507)]

06/05/2008
Bullo figlio di coatto
Da dove "vengono" i bulli? Di certo non li ha portati la cicogna, qualcuno li ha pur nutriti, coccolati e magari premiati: prima con un elogio ("Ti sarai mica fatto mettere i piedi sulla testa?"), poi magari con un incoraggiamento ("Un po' di boxe serve nella vita": frase che ho ascoltato con le mie orecchie, mi dice l'amico lontano che mi racconta queste cose).
Ed allora dietro la foto segnaletiche del "bullo" di periferia che porta magari il codino arrotolato sulla testa, come il signore che alterna apparizioni televisive a quelle giudiziarie, c'è un padre che non avendo più l'età per esibirsi da "bullo" riesce involontariamente ad imitare il "coatto" di Verdone. Si veste, ultrasessantenne (mi dice ancora l'amico), con la tuta di pelle ed ha una fiammante motocicletta con sirena applicata.
E davanti alla sovrapposizione delle due immagini, padre e figlio, non puoi dire che il secondo è fuori di testa soltanto per colpa sua. Viaggiava con un'auto di lusso che non può permettersi.
Adesso ha una panda arrugginita, che parcheggia dove vuole e gli fanno le multe, in mezzo alle proteste della madre pietosa che (riferisce l'amico lontano) vuol rivolgersi al Giudice di Pace per protestare, non sapendo che l'uso di avvocato le costerebbe molto più della piccola multa.
E poi, sia per colpa del bullo o per incoscienza del coatto genitore, aggiunge l'amico lontano, una sera per errore arrivano i carabinieri alla porta dell'amico mio, e gli chiedono del bullo credendo di trovarlo lì, mentre abita dieci numeri civici più avanti nella stessa strada.
E l'amico borbotta, meglio metter dentro il coatto che il bullo, divenuto boxeur per autodifesa come insegnamento paterno, ma poi esibitosi sul ring, con tanto di citazione in internet, 6 incontri vinti, 6 persi e sette pareggiati.
"L'Italia dei bulli deficienti", conclude l'amico lontano conversando allegramente sotto il sole primaverile, "è quella che hanno prodotto i padri coatti". Sulle madri, per il momento si astiene. Meglio soltanto figlio di coatto che pure figlio di buona donna.Bullismoaosta
Anno III, post n. 129 (506)]

05/05/2008
Stella polare
Ha ragione Gian Antonio Stella, la scuola dovrebbe essere la stella polare della società.
Intervistato da Andrea Romano sulla "Stampa" di oggi, il giornalista e scrittore del "Corriere della Sera" analizza l'esito elettorale, partendo dalle premesse del suo lavoro di denuncia della "casta" politica.
"La casta" è il libro (un milione e 200 mila copie vendute) che ha scritto assieme a Sergio Rizzo, con il quale ha appena pubblicato "La deriva".
Ovviamente ad un successo editoriale ne deve seguire un altro, è la legge del mercato. Per cui dopo "La deriva" l'editore dovrà studiare un altro titolo (il materiale non manca), ad esempio "Indietro non si torna", oppure "Del doman non v'è certezza". Andrebbe bene persino "Fughe in avanti", oppure "Le ombre del passato". Tanto i lettori si abituano alle firme, non ai contenuti dei libri.
Saranno tutti successi, che lentamente anestetizeranno gli autori ed i lettori fino a che persino Stella e Rizzo dovranno svegliarli usando i sistemi dialettici alla Beppe Grillo. Gli auguriamo di cambiare strada prima di una siffatta esibizione (o resa) culturale.
Documentati ed attenti ai fenomeni, arguti ed intelligenti, i due autori raccolgono perizie su ciò che Benedetto Croce chiamava "il cadavere della Storia", ovvero la cronaca.
Oggi come oggi, a breve distanza da un risultato elettorale su cui si legge di tutto, e molto spesso di superficiale, un libro scritto prima del voto non può dir nulla di nuovo se non suggerire la considerazione (purtroppo molto ovvia) che alla fine la casta è rimasta dove era, come recita il titolo dell'intervista odierna di Romano a Stella.
Scuola Come invertire la "deriva"? A questo punto Stella dà la risposta da cui ci siamo avviati dandogli ragione: "Partirei naturalmente dalla scuola, dal ripristino dell’educazione civica. Fatta sul serio. E lì che si può ricostruire il nostro senso di cittadinanza e responsabilità. Innanzitutto cancellando la logica delle sanatorie che ha dominato questi ultimi decenni".
Caro ed esimio Stella, nei programmi ministeriali l'Educazione civica è come l'Araba fenice. E' prevista, ma nessuno la insegna. Dovrebbe servire soltanto ad illustrare la Costituzione e l'organizzazione dello Stato.
Per fare ciò che lo Stato stesso richiede, io ho commesso sempre un reato. Dedicavo all'Educazione civica un'ora settimanale sottraendola ad Italiano, per non sottrarre alla Storia nulla dei suoi 120 minuti settimanali.
Ma, caro Stella, se lei intende per "educazione civica" qualcosa che vada al di là di queste linee ministeriali, cioè l'assieme di un'opera formativa dei giovani affidati alla scuola, allora cominciano le rogne.
Perché la scuola è l'anello debole ed ultimo della catena sociale. Non è la scuola che educa alla società, ma la società che rovina la scuola.
Per cui (e chiudo il discorso non per mancanza di argomenti ma per non tediare vieppiù quei pochi volenterosi che fossero giunti sin qui), per cui bisognerebbe dire che la sua, esimio Stella, resta un'utopia, una nobile utopia, a cui la società non crede.
Non crede da sempre o non crede più soltanto quella contemporanea? Altro problema...
Ci potrebbe scrivere sopra un bel libro, tanto ai pedagogisti oggi nessuno presta orecchio.
[Anno III, post n. 128 (505)]

03/05/2008
La carica dei 101
Loro sono soltanto cento: non uno di più, non uno di meno.
L'ultimo, quello che fa salire la cifra totale a 101 non appare nella lista dei personaggi più famosi del mondo stilata dalla rivista americana "Time". Ce lo abbiamo messo noi perché è l'autore di una biografia di uno di quei cento prescelti.
Esattamente della biografia di George W. Bush. L'autore si chiama Silvio Berlusconi, "elected Prime Minister of Italy for a third time last month", scrive "Time".
Berlusconi è abituato a distribuire patenti di democrazia per cui non fa differenza per lui se tra i suoi premiati c'è Bush oppure Putin.
Questo dovrebbe già suggerire qualche sospetto circa la capacità berlusconiana di distinguere bene le cose.
Ad aggravare questo nostro sospetto è giunta la frase di Berlusconi nella biografia di Bush pubblicata dalla rivista americana.
George_bush Il cavaliere dichiara, con la solennità di un banditore ufficiale, che Bush "sarà ricordato come un leader di ideali, coraggio e sincerità" ("I am sure that George W. Bush will be remembered as a leader of ideals, courage and sincerity").
Proprio mentre si diffondevano le notizie su quei cento eletti "big dell'anno", in Usa apparivano i risultati di un sondaggio della CNN che, con il 71% delle opinioni raccolte, condanna la condotta politica di Bush.
Ha scritto "Le Monde": "Il est désormais "le président le plus impopulaire de l'histoire moderne" des Etats-Unis. Ni le président Richard Nixon ni le président Harry Truman n'avaient franchi le seuil de 70 % de mécontents".
Beato Berlusconi che va controcorrente rispetto agli stessi americani, segnalando che Bush è entrato nella storia come "a leader of ideals, courage and sincerity".
A chiunque può capitare di sbagliare porta frequentando locali poco conosciuti. Berlusconi ha chiamato storia quello che sarà invece soltanto un ripostiglio in cui verrà posto, stando ai sondaggi della CNN, questo presidente da dimenticare per tante, troppe cose.
Tra i "100 big dell'anno" non c'è papa Ratzinger.
La Santa Sede ha manifestato il suo sconcerto: "Sono stati utilizzati criteri assolutamente estranei a valutazioni sull’autorità religiosa e morale del Pontefice".
Una volta il papa era detto "Servus servorum Dei". Nell'Ecclesiaste c'è scritto: "Vanitas vanitatum, omnis est vanitas". Oggi forse nella Santa Sede non conoscono più il latino, e si dimenticano che il papa è nulla in sé, ma conta come immagine simbolica di Gesù Cristo.
Nota bene. Prego i teologi che volessero intervenire di non infamarmi come quella volta in cui si discusse della questione galileiana. Quando un sacerdote di Roma, che smascherai (nel senso che scoprii che aveva volontariamente omesso il "don" per non farsi riconoscere), con grande spirito cristiano mi dette del "bacato".
[Anno III, post n. 127 (504)]

02/05/2008
Tentativo vano
Nel vano tentativo di essere un po' felice, mica tanto o troppo, non guardo più le cosiddette trasmissioni politiche della tivù. I cui echi però rimbalzano nelle cronache dei giornali. Oggi niente carta stampata ma soltanto virtuale. Per cui ci si affligge ugualmente, il giorno dopo le apparizioni "chez Santoro" di Grillo e Sgarbi.
Grillo Il primo fa informazione onesta e corretta, mica corrotta come quella dei giornalisti, deridendo e sfottendo.
Quarant'anni fa dicevano: una risata vi seppellirà.
Tutti quelli che lo pensavano hanno fatto folgoranti carriere alla Crispi, da rivoluzionari a reazionari.
Adesso Grillo rischia di essere travolto lui, da quella risata che promuove contro tutti gli altri.
Non se ne abbia a male se i suoi fans adesso lo criticano dopo l'epifania dei suoi redditi.
Sgarbi ha offeso Travaglio. Strano. Sgarbi è sempre un ragazzo così educato, capace di eccitarsi soltanto all'apparizione di qualche superdotata fanciulla.
Mentre Travaglio è un uomo pericolosissimo. Ha detto addirittura che in Italia hanno fatto scomparire i fatti, triturati da opinioni che non tengono conto di nessuna notizia.
Non si possono dire queste cose così pericolose, turbano l'ordine pubblico, causano un "uso criminoso" della tivù...
Per la verità la frase non mi suona nuova, ah, sì, l'aveva pensata in Bulgaria il cavaliere, ma non l'ha mai pronunciata, infatti ha sempre smentito di averla detta. Contro Enzo Biagi.
Travaglio è così avventato e pericoloso da scrivere (nel penultimo "Espresso") che quelli del Pd hanno fatto risorgere Lazzaro.
Che Berlusconi fosse un re "sFINIto" lo avevo scritto qui sopra il 16 novembre 2007. Sono contento di trovare conferma in Travaglio, anche se è un tipo pericoloso al punto da spingere Sgarbi ad offenderlo.
[Anno III, post n. 126 (503)]

01/05/2008
Quanto blabla sul web
Proseguo nella campagna per rendermi antipatico. E dunque parliamo di Visco e del Fisco.
La notizia di ieri: sul web si potevano 'leggere' le denunce dei redditi di tutti gli italiani.
Ieri sera (19:06) nel blog di Anna Masera ho inserito questo breve testo:
"Ma i redditi sono già pubblici... Basta andare negli appositi uffici e consultare le necessarie carte. Chi non ha nulla da temere, non può avversare l'iniziativa. Non è mai esistito nessun segreto di Stato... Al governo Prodi si deve l'iniziativa benemerita di perseguire gli evasori. Berlusconi raccontava invece (e racconterà, immagino) la barzelletta sul sollievo provato in un'irruzione di malviventi: "Meno male che sono loro, credevo che fosse la Finanza", intesa come Guardia di Finanza. Se questo è un leader...".
Aggiungo, per conferma del mio breve testo, le spiegazioni autorevoli e documentate scritte dal prof. Stefano Rodotà oggi su "Repubblica": "Nel nostro sistema, fin dal 1958, è previsto che l'amministrazione finanziaria predisponga la pubblicazione di quegli elenchi, depositandoli sia presso la stessa amministrazione, sia presso i comuni interessati."
Ci sono altri aspetti, non previsti dalla legge del 1958, sui quali si sofferma il prof. Rodotà, e che sono legati al web.
L'unica differenza, mi sembra, fra il 1958 ed oggi sta nel fatto che prima per conoscere quei dati occorreva recarsi nei vari municipi, mentre adesso basta (anzi bastava) Internet.
Una considerazione finale. Nel blabla che la notizia ha scatenato sul web, i soliti ignoti hanno sfoderato le loro armi offensive. Consistenti soprattutto nell'aggressione verbale. Segnalo e condivido la risposta di Anna Masera: "Pippo Pippo non lo sa, che "...il diritto sacrosanto delle persone sancito dalla costituzione ad avere libertà personale, sui blog"...non è sancito su questi, di blog: qui c'è la Netiquette del giornale La Stampa, per cui bisognerebbe firmarsi. Questione di cività: ognuno si deve prendere la responsabilità di quello che scrive, qui. Altrove, caro Pippo, fai un po' quello che ti pare. Ma qui, no. Sei mio OSPITE. :-)".
Condivido perché c'è il richiamo alla "Netiquette del giornale La Stampa" che ha garantito libera espressione nella discrezione e nel ragionamento, e non nell'offesa.
Se poi all'offesa si accompagna pure la mancata conoscenza degli argomenti di cui si parla, allora siamo proprio ad una fastidiosa realtà che non ha nulla da esprimere se non l'arroganza dei "saponi" (coloro che sanno tutto). Dicendo ciò spero di scendere ancor nel gradimento pubblico, come sarà il mio scopo per tutto il mese di maggio.
Allo stesso scopo mi dichiaro perfettamente d'accordo con Ottovolante per quanto scrive su "Fini come Ratzinger", a proposito del relativismo 'condannato' ieri dal nuovo presidente della Camera.
[Anno III, post n. 125 (502)]

01/05/2008
Il silenzio premia
Da undici giorni esatti non inserivo più alcun post, nella speranza di vedere cancellare il mio blog dalle graduatorie di Wikio (*).
In aprile ero al terzo posto nel mondo della "Stampa" e 689esimo in quello dei "top blogs".
Dopo undici giorni di silenzio, anziché non trovarmi più nelle liste (come auspicavo), addirittura ho le quotazioni in salita. Da terzo a secondo per la "Stampa", da 689esimo a 390esimo per i "top blogs".
Morale della favola, il silenzio premia, eccome. Per cui temo le conseguenze di questo post. Anzi mi auguro che mi faccia scendere nel gradimento. Forse più scrivo, più vado all'indietro. Faremo debita prova scientifica.
[Anno III, post n. 124 (501)]

Antonio Montanari


2723/20.02.2018/rev. 21-02-2018