Varsavia, una lezione per noi

07 Gennaio 2007
Clamoroso dietrofront del Vaticano. Il papa ha imposto le dimissioni a monsignor Stanislaw Wielgus, dopo che per ben due volte (il 21 dicembre 2006 ed il 5 gennaio scorso), gli aveva confermato la sua fiducia incondizionata.
Il montare della polemica sul passato da spia comunista del neo arcivescovo di Varsavia, ha travolto le ultime resistenza dei Palazzi apostolici.
La Curia romana risulta la vera sconfitta dell'intera vicenda, dopo aver istruito la pratica di Wielgus, il quale ne esce tutto sommato a testa alta. Ha ammesso il suo "errore" dopo averlo inizialmente negato. Roma però lo ha sempre coperto, accettando sino all'ultimo momento una situazione assurda. In tal modo l'indietro tutta del papa è ancora più eclatante, ed è la sconfessione della procedura seguìta dalla Curia romana, consapevole della realtà drammatica e dolorosa delle cose, ma con testardo orgoglio noncurante dei gravi riflessi negativi che una tale nomina avrebbe potuto avere (come in effetti ha avuto) nell'opinione pubblica non soltanto polacca.
La Curia forse ha ritenuto che Varsavia fosse facilmente controllabile ed addomesticabile come accade con i vicini politici italiani. Da ciò deriva una severa lezione per il nostro Paese circa la linea laica da seguire nel rispetto della Costituzione del 1948.
La lettera di Wielgus ai fedeli scaricava formalmente, venerdì scorso, ogni responsabilità su Roma. Wielgus ammetteva infatti d'aver detto al papa che era stato coinvolto «con i servizi di sicurezza dell'epoca che operavano in uno stato totalitario e ostile nei confronti della Chiesa».
Ma il papa ed i «dicasteri competenti della Capitale Apostolica», aveva aggiunto Wielgus, non avevano manifestato rilievi. Per scaricare la sua coscienza, Wielgus si confessava davanti a tutti e fuori dai vincoli burocratici.
A quel punto la situazione era insostenibile per Roma. Oggi, mentre ci aspettavamo di vedere le telecronache del discusso insediamento del nuovo arcivescovo di Varsavia, è avvenuto all'ultimo momento il colpo di teatro. Il papa accettava quelle che sono state chiamate dimissioni soltanto per rispetto formale dei codici di Diritto canonico. In realtà si è trattato di un licenziamento in tronco del personaggio divenuto scomodo e non più difendibile davanti all'opinione pubblica mondiale, al punto di far ipotizzare che abbia spiato dal 1967 e per vent'anni anche Karol Woityla sia da cardinale sia da papa, il papa della caduta del muro di Berlino.
Come scriveva stamani sulla Stampa, con una domanda retorica, Franco Garelli, ammesso che Wielgus abbia realmente informato il Vaticano sul suo passato di spia, la sua nomina poteva apparire come «la sconfessione» della lotta condotta in patria e nel mondo dallo stesso Karol Woityla «contro il comunismo e per i diritti religiosi e civili».
L'episodio di Varsavia è accaduto all'interno del mondo cattolico e dell'Europa, questa volta non ci sono musulmani da incolpare, al contrario di quanto accaduto dopo il discorso papale di Ratisbona, dove Benedetto XVI aveva offerto improvvidamente una citazione da Manuele II Paleologo, per il quale Maometto aveva portato soltanto «cose cattive e disumane».
Questa volta sono gli stessi ambienti cattolici (non tutti, s'intende) a giudicare inadeguata l'azione della «Capitale Apostolica».
Resta soltanto da chiedersi: è colpa di Benedetto XVI oppure si tratta di un tiro mancino della Curia ai suoi danni?
La vicenda polacca avviene all'indomani del discorso papale sulla «immensa espansione dei mass-media», i quali se da una parte moltiplicano le informazioni dall'altra «sembrano indebolire la nostra capacità di sintesi critica».
Quanto accaduto a Varsavia per il caso Wielgus fornisce un'indicazione opposta: il moltiplicarsi delle notizie ha favorito la «sintesi critica», sino al punto di spingere il Vaticano a far marcia indietro sulla sua decisione per quella sede arcivescovile. A Varsavia nessuno immaginava una soluzione così rapida ed inattesa, data la tradizione ecclesiastica dei «tempi biblici».
A Roma dovrebbero mandare a memoria la frase dello storico Bronislaw Geremek, già vicino a Solidarnosc: i polacchi di oggi pensano che Karol Woityla non avrebbe mai scelto un personaggio come Wielgus per la carica da arcivescovo della capitale.

Vaticano-Polonia, di chi le colpe?

10 Gennaio 2007
In margine al caso di Stanislaw Wielgus, il vescovo-spia licenziato dal papa al novantesimo minuto (se non ai tempi supplementari), si possono fare tre osservazioni. Le prime due sono relative alla realtà polacca, e sono rispettivamente di tipo politico e religioso.
Aspetto politico. Il racconto che trapela dalle cronache circa una sorpresa papale davanti al frastuono provocato dalla nomina di Wielgus ad arcivescovo di Varsavia, non regge al confronto con la tradizionale prassi vaticana che raccoglie oculatamente dossier su dossier attorno ai propri «funzionari».
Dietro il racconto della sorpresa papale c’è l’affermazione della manovra antireligiosa, espressa dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi. Il quale ha denunciato «una strana alleanza fra i persecutori di un tempo ed altri suoi avversari».
Padre Lombardi sa bene (e qui passiamo al versante religioso del problema), che ogni sacerdote dev’essere pronto a donare se stesso a Cristo sino all’effusionem sanguinis, cioè al sacrificio della vita. La promessa di fedeltà spirituale al Vangelo mal si concilia con i compromessi politici sia nell’Italia fascista sia nella Polonia comunista.
Accertato che le notizie che circolavano «contro» Stanislaw Wielgus non erano frutto di invenzioni ma erano state dall’interessato stesso confermate, il Vaticano avrebbe dovuto essere più attento allo spirito religioso della Chiesa che alla propria presunzione politica di fare un’azione di rivalsa contro chi diffondeva quelle informazioni «contro» Wielgus.
Da Varsavia padre Adam Boniecki, amico di papa Woityla, dichiara: «Non so chi, ma qualcuno ha disinformato papa Ratzinger». Chi ha disinformato Benedetto XVI abita a Roma od a Varsavia?
Impensabile che la Curia romana non sapesse. Quindi, non si possono attendere colpi di scena clamorosi contrari alla tradizione dei sacri Palazzi. Il caso è politicamente risolto. Sotto il profilo religioso resta come un ammaestramento profondo a non ridurre le cose dello Spirito a semplice gestione mondana e burocratica degli uffici e delle relative nomine.
Terza ed ultima osservazione. Se la Curia romana ha agito sapendo e tendendo all’oscuro il papa, il fatto in sé non meraviglia ma preoccupa per gli effetti collaterali che personalmente collego all’Italia. La scorsa estate abbiamo visto trionfare il Cavaliere tra i ciellini del meeting di Rimini dove è di casa anche “fonte Betulla”, simbolo di una politica antiprodiana come se il professore di Bologna fosse un pericolo bolscevico. Se tutto ciò faceva sorridere (od anche ridere del tutto) sino all’altro ieri, oggi non è più così. Il problema (per Roma o Varsavia secondo in casi) è lo stesso: dove la disinformazione si ferma e non si trasforma in uno strumento di pressione politica ben mirata verso scopi altrettanto ben precisi?
Non per nulla altri recenti attacchi bolognesi contro Prodi sono partiti ‘attraverso’ ambienti giornalistici attigui a quelli religiosi ufficiali. Le successive vicende «al polonio» hanno poi dimostrato che si è tentato di accreditare Prodi come agente del Kgb.
Abituata a trasformare tutto in operetta, la maggior parte dei commentatori politici ha preso sottogamba la questione. Ma la vicenda Wielgus può sollecitarci ad essere meno superficiali ed a prendere in maggior considerazione certi risvolti politici della vita religiosa, ben chiari a Varsavia ma trascurati a Roma. Dove il Tevere in questi anni si è fatto sempre più stretto a danno dello Stato laico, contro lo stesso Vangelo che obbliga a distinguere Cesare da Dio.
Il papa non ignorava la gravità di questa crisi, scrive Le Monde (8 gennaio) in una nota che parla della responsabilità del nunzio Joseph Kowalczyk (nominato nel 1989 da Giovanni Paolo II), di un errore commesso dal Vaticano con il comunicato di sostegno a Wielgus (21 dicembre, «Le Vatican indiquait avoir "pris en compte toutes les circonstances de la vie" du prélat désigné, y compris son passé, et affirmait que le pape avait "toute confiance" en lui»), e di una terza sorpresa, la fretta di accettare le dimissioni del neo arcivescovo di Varsavia da parte di Roma. Scritto appunto che «Le pape n'ignorait pas la gravité de cette crise», il quotidiano francese osserva che nella visita a Varsavia dello scorso anno, Benedetto XVI «avait admis la présence de "pécheurs" dans l'Eglise et les "échecs du passé", mais demandé au pays "de ne pas jeter à la légère des accusations sans preuve".
Una citazione italiana, da www.lettera22.it:
«Proprio un bel pasticcio. Il nuovo anno non inizia sotto i miglio auspici per il Vaticano, agitato dalla ambigua vicenda del vescovo Stanislaw Wielgus, dimessosi all'ultimo minuto, prima di insediarsi alla sede arcivescovile di Varsavia, dove il papa lo aveva nominato. Wielgus era un prete corrotto, che negli anni della guerra fredda è stato informatore e complice dei servizi segreti comunisti polacchi. Il suo curriculum era macchiato da uno dei delitti peggiori, specialmente pensando alla statura di Karol Wojtyla che, come ha ricordato ieri il suo ex portavoce Navarro-Valls, prima di diventare papa aveva resistito alle lusinghe alle minacce del regime. Il giorno dopo la chiusura (almeno momentanea) della spinosa vicenda, in Vaticano l'aria è piuttosto pesante e l'atteggiamento verso la chiesa polacca - fino a ieri indicata come modello, nuovo polmone cristiano in grado di ossigenare l'intera Europa - è di un crescente scetticismo. Si fanno strada dubbi sull'affidabilità di preti e vescovi polacchi, mentre la strategia già avviata da Ratzinger, di bloccare l'ascesa di prelati polacchi all'interno della curia romana (a favore del personale tedesco) trova conferme sempre più nette.»
Altre citazioni utili a comprendere megli il discorso:
Da www.ilgiornale.it:
«Era perciò noto da due anni che Wielgus, all'inizio del 2005 già vescovo di Plock dopo essere stato a lungo stimato rettore dell’Università cattolica di Lublino, aveva avuto a che fare, nel bene o nel male, con i servizi segreti. Era stato spiato o era divenuto suo malgrado, più o meno consapevolmente, una spia. Un particolare che di per sé avrebbe dovuto consigliare qualche approfondimento, nel momento in cui Wielgus, da pastore di una piccola diocesi della periferia polacca, veniva candidato alla guida della diocesi della capitale, quale successore del cardinale Glemp.
Se la nunziatura di Varsavia o la Conferenza episcopale polacca avessero promosso un’indagine, che cosa sarebbe emerso? La risposta non è facile. Infatti, tutti i dossier cartacei riguardanti Wielgus e pure i microfilm che li riproducevano, sono andati distrutti dopo il 1989 e la caduta del regime. Come e perché, allora, sono emerse le pagine relative all’arcivescovo eletto di Varsavia? Chi le ha tirate fuori? La disgrazia di Wielgus è dovuta a un refuso, a un errore dell’archivista, come ha confermato ieri lo storico Ian Zaryn, che studia i dossier dell’Istituto per la memoria nazionale: catalogando il microfilm, infatti, il nome di Wielgus era stato storpiato in «Welgus». Mancava una «i», che invece c’era, regolarmente, in tutti i documenti attribuiti al sacerdote e futuro vescovo.»
Da qn.quotidiano.net:
«Un dossier di 80 pagine tradotto in tutta fretta dal polacco in tedesco e recapitato via e-mail alla Santa Sede ma, soprattutto, la mossa disperata con cui monsignor Wielgus ha tirato in ballo lo stesso Benedetto XVI («Ho raccontato tutto al Papa», come dire: lui sapeva tutto), hanno convinto il Vaticano a chiudere l’ombrello con cui aveva deciso di proteggere il neoarcivescovo di Varsavia.
[...]
Il 6 dicembre Wielgus viene nominato vescovo; il 20 dicembre un giornale lo accusa di collaborazione con i servizi segreti; il giorno dopo la Santa Sede emana un nota in cui si sostiene che i fatti relativi a «tutte le circostanze della sua vita» sono stati presi in considerazione e il neonominato ha la fiducia del Papa. In effetti non era chiaro il livello del coinvolgimento e, soprattutto, ci si fidava dei fatti raccontati dall’interessato e riportati nelle schede arrivate dall’episcopato polacco. Wielgus intanto si difende maldestramente e tenta di negare. Il 4 gennaio nuova pubblicazione di elementi d’accusa; il 5 la presa di possesso canonica con la confessione pubblica; il 6 le dimissioni, accettate.»

Antonio Montanari


2571/05.02.2018