il Rimino, ottobre 2007, n. 142, anno IX

Dossier Pd
03 ottobre 2007, Fassino ingrassa

Mentre Veltroni invita Veronica Lario (signora Berlusconi) a militare nel Pd, Fassino ingrassa le stime per il voto del 14 ottobre. Infatti prevede due milioni di partecipanti alle primarie.
Si sa che la soglia minima di un milione è stata variamente considerata. Per la Bindi sarebbe un flop, per Prodi un successo.

Il gioco dei numeri di qui alla data fatidica è forse destinato ad avere altre sorprese.

Forse Fassino è al corrente di sondaggi riservati, come quelli che ama il marito della signora Lario.

Forse Fassino confida nel fatto (indubbiamente matematico) che l'alto numero di candidati e di addetti all'organizzazione dei seggi, riuscirà a raccogliere una buona percentuale di parenti grati e lusingati.

Insomma una roba fatta in famiglia, dove i problemi del Paese conteranno meno delle voci in capitolo di portaborse, addetti alle segreterie, portavoce e suggeritori vari.

Insomma una roba di quelle che sarà più importante sapere chi non c'era, per poter dire di lui: oh, finalmente uno che pensa con la sua testa, e non la china davanti agli ordini di scuderia.


02 ottobre 2007, Ci vuole un flop

Come il lettore Bruno Vergano di Asti (ne leggo la lettera nella «Stampa» di oggi), anch'io sono «tra quelli che due anni fa votarono per Prodi candidato del centrosinistra» e sono come lui uno che non andrà a votare il 14 ottobre.
L'operazione condotta da Veltroni (o per suo conto) è stata puramente di vertice.
Le liste sono nate nei segreti delle segreterie di partito con l'antichissimo metodo della spartizione dei posti.
Sono state oltretutto imposte (con solenne ipocrisia) non figure nuove ma figure blindate. Ovvero personaggi che alla politica sono stati spinti non da motivi ideali, ma dagli interessi dei gruppi che li hanno non proposti soltanto ora bensì inseriti prima in esperienze locali, poi (adesso con la nascita del Pd) a livello più alto. Perché continuino a fare gli interessi dei gruppi che stanno alle loro spalle.

Voterà un solo milione di persone per il Pd, il 14 ottobre?
Per la democrazia, per l'esperienza dell'Ulivo, per il futuro dell'Italia, auguriamoci che siamo meno, molto meno, per riuscire a svegliare i dirigenti degli ormai ex-partiti di centrosinistra, per realizzare quelle riforme che sono necessarie al Paese, per dare speranza a tutti che veramente si possano cambiare le cose.

Immagino che mi si dirà che sono un illuso. Pazienza. Ma la soglia minima del milione di voti che Rosy Bindi giudica un flop e Prodi un successo, non deve essere raggiunta per dimostrare a Veltroni che la gente non è tanto credulona come «loro» se la immaginano.

Fabio Fazio ha ricordato sulla «Stampa» del 29 settembre che Veltroni nella sua trasmissione gli aveva dichiarato l'intenzione di abbandonare la politica per sempre per andare in Africa.
Maurizio Crozza in un'intervista a «il Venerdì» ironizza sul fatto che che il pensiero di Veltroni ha una novità assoluta, il «ma-anchismo». Il sindaco di Roma cerca infatti di abbracciare e sostenere ogni cosa che esiste, anche le coppie di realtà in contrasto fra loro. L'ironia parodistica di Crozza forgia questo ragionamento 'veltroniano': «Siamo per la libertà ma anche per la schiavitù... non possiamo lasciarla alla destra».

Dietro l'ironia di Crozza, dietro il rimprovero di Fazio, c'è un reale disagio provocato dal trionfo della solita retorica molto berlusconiana che non avremmo mai voluto rivedere e riproporre anche nel centrosinistra. Quella retorica alla quale chi, appunto da centrosinistra come il lettore Bruno Vergano di Asti, crede nei fatti dovrebbe opporre la lontananza della urne il 14 ottobre prossimo.
Per dare «un segnale forte» alla classe politica con tale orientamento, circa la «mancanza di idee e progetti convincenti». Rubo la citazione a Joaquìn Navarro-Valls che ieri in lungo articolo su «Repubblica» usava queste parole riferendosi però a tutta la classe politica italiana.
Navarro-Valls ritornava sul tema dell'antipolitica, parlando di una «dissacrazione qualunquistica» avvenuta per colpa di Grillo.
Davanti ai pareri autorevoli ci togliamo il cappello, ma restiamo della nostra idea. La denuncia di una crisi, non è la causa di una crisi.




27/09/07. Trucchi dei big

Tra le lettere di «Repubblica» di stamane, appare un messaggio di PierGiorgio Gawronski (foto), candidato alle primarie del Pd, da cui riprendo questo passaggio: «L'esperienza del Pd da dietro le quinte è ancora più deplorevole di quanto non emerga» dall'articolo di Mario Pirani (20.9) a cui egli fa riferimento.
Gawronski parla dell'esperienza fatta a Genova, dove non ha trovato un consigliere che vidimasse la sua lista.
Gawronski accusa di «trucchi mediocri» le «persone direttamente riconducibili ai tre 'big' politici» operanti all'interno del Pd.

Ieri sempre su «Repubblica» un lungo intervento dello storico Massimo L. Salvadori concludeva dicendo: «Questo paese non ha proprio bisogno che si ripeta una crisi di sistema». Il rinvio è a quella del 1919-1922 che Salvadori rievoca, seguendo la scia e la teoria di Eugenio Scalfari.

Personalmente ritengo fuori luogo richiamare la crisi del 1919-1922 perché essa nacque da un contesto politico anche internazionale (prima guerra mondiale, rivoluzione sovietica, ecc.) che è inesistente ai giorni nostri.

Salvadori nel suo pezzo ha fatto un'osservazione importante: il «successo improvviso» di Grillo, «è la misura delle lunghe miserie altrui».

Oggi sempre su «Repubblica» Piero Fassino interviene con i suoi dieci comandamenti («proposte», li chiama) «contro l'antipolitica».
Ho letto soltanto il primo: sopprimere gli enti inutili. Ne sento parlare da mezzo secolo. Per questo motivo sono rimasto choccato e non ho continuato la lettura del suo pezzo. Me ne scuso.

Più stimolante invece Ezio Mauro nel fondo sempre su «Repubblica» che dirige, dove s'interroga circa le cause di questa crisi che viene definita dell'antipolitica. C'è uno smarrimento provocato dal fatto che i cittadini sono stati trasformati da attori in spettatori, resi impotenti da un vuoto in cui predominano tanti fattori negativi tra cui la «lottizzazione di ogni spazio pubblico con l'umiliazione del merito».

Molto interessante la conclusione dell'articolo di Lucia Annunziata sulla «Stampa» di oggi: «Basta che ci si ricordi che la politica non è l’unica responsabile, e che la protesta può diventare uno di quei giochi circensi con cui Nerone teneva buona la plebe».

Avremmo bisogno di veder cambiare i comportamenti di parecchie persone, le stesse che Lucia Annunziata chiama in causa: chi opera illegalmente (lavoro nero), le corporazioni, chi genera le ineguaglianze tramite le stesse corporazioni nelle condizioni di lavoro.

Se «la politica non è l’unica responsabile», non c'è da stare più tranquilli ma da preoccuparsi di più. E credo che i primi a doversene preoccupare dovrebbero essere gli stessi politici. Ma allora torniamo alla domanda classica: è nata prima la crisi della società o quella della politica, ovvero prima c'è l'uovo o c'è la gallina?

L'uovo (si sa) nasce da qualcosa che esiste già, la gallina è invece creata. Il giochetto non è poi tanto scherzoso. Si contrappongono darwinismo e creazionismo.

Se c'è prima la crisi della società, i politici sono salvi. Se la crisi della società è provocata dai politici, allora cambia il discorso. Come scrive Mauro, noi cittadini ci sentiamo defraudati dal ruolo di protagonisti e costretti a quello di silenziosi spettatori.
Silenziosi perché se parliamo ne paghiamo le conseguenze.
Per esperienza personale posso dire che è così. I Neroni ci sono già, sono quelli che impongono il silenzio e nello stesso tempo fanno divertire la plebe e far gli affari ai loro amici.

Sono i politici ad aver provocato la «lottizzazione di ogni spazio pubblico con l'umiliazione del merito». Sarebbe la fine dell'Italia se adesso anche venissero fuori altri Neroni come quelli giustamente temuti da Lucia Annunziata, alludendo a Grillo. Ma per evitare tutto ciò occorre che in breve i politici veri e seri sappiano restituire fiducia alla gente. Non c'è molto tempo.
Fatti come quelli denunciati da Genova da PierGiorgio Gawronski non sono di conforto, perché si constata che il nuovo partito nasce in maniera diversa da come era stato promesso per risanare la politica.



26/09/07. Fame di buona politica

 «Né qualunquismo né antipolitica, c’è domanda di buona politica». Lo ha detto ieri sera Rosi Bindi a «Ballarò», dimostrando ancora una volta di aver compreso il senso del passaggio attuale nella vita politica del nostro Paese.

Lo aveva sostenuto subito dopo l’apparizione di Grillo sulle piazze con i banchetti per la raccolta di firme in quella giornata di protesta contro gli attuali politici che ha raccolto adesioni, (ovviamente) allarmato e persino scandalizzato.

Lo ha ripetuto con una lucidità che avrei apprezzato anche nell’altro concorrente alla corsa per il posto di segretario del futuro Pd, non perché personalmente preferisca Veltroni alla Bindi (o viceversa), ma solamente perché nei momenti capitali delle vicende collettive, più si è lucidi da parte di chi «sta a Roma», e meglio è per tutti.

Se volessimo buttarla sul tono scherzoso, verrebbe da dire che, se delle Botteghe oscure s’è persa traccia nella geografia politica romana, ne sono rimasti forti segni nel sangue del candidato diessino. Al punto che la pasionaria Bindi riesce a dire quello che non dice Veltroni pur non facendo grandi sforzi di tipo teorico, ma soltanto ispirandosi al buon senso di chi ha vissuto in prima persona altri difficili momenti. Quando, come ha spiegato ieri sera, le riunioni democristiane si iniziavano in dieci e si finivano in cinque, perché gli altri nel frattempo erano stati arrestati. Non lo ha detto il comico Crozza all’inizio di trasmissione, ma chi all’epoca era segretaria della Dc veneta.

Il realismo di Rosy Bindi sottolinea sempre più il distacco rispetto al tono da parata hollywoodiana in cui l’attuale sindaco di Roma incarta tutto quanto lo circonda. Il suo ottimismo festaiolo contrasta con le amarezza quotidianamente vissuta dalla gente.

Questo è un tema affrontato dall’editoriale di Luigi La Spina sulla «Stampa» di stamane, significativamente intitolato «La casta e la rabbia».
La Spina sviscera un aspetto fondamentale della questione, sotto il profilo dei rapporti fra Stato e cittadini in una realtà democratica. Tutti pensano a Grillo, nessuno sembra ascoltare la voce di chi si sente minacciato nel presente e nel futuro, in tanti aspetti della vita quotidiana.

«L’urlo di Grillo si confonde, minacciosamente, con quello disperato di tanti giovani e di tanti loro genitori», conclude La Spina: «Peccato che il primo faccia tanto rumore e il secondo si estingua nell’indifferenza di tutti».

Le parole pronunciate dalla signora Bindi ieri sera a tarda ora, quando i giornali andavano in macchina, permettono di aver fiducia che qualche politico sappia sottrarsi a questa indifferenza generale.
Più numerosi saranno questi politici di maggioranza e di opposizione, meglio sarà per il nostro Paese.

Non dimentichiamo però la risposta che il Cavaliere dette a quella figlia di un operaio che lamentava le non allegre condizioni economiche del padre: se guadagna poco, è segno che ha lavorato poco, segua il mio esempio. Il concetto era questo, non giuro sulle parole.

Fatto sta che quando i politici vogliono fare i comici o peggio (a definire rompicoglioni il povero Marco Biagi fu un ministro degli Interni), non è un bel segno. Non occupiamoci soltanto dei comici che vogliono fare i politici. Ma segniamo a dito quei politici che fanno i comici per non segnarli a matita poi sulla scheda elettorale.

Breve postilla con ringraziamento ad Arrigo Levi per la lettera pubblicata sulla «Stampa» di ieri, in ricordo di Giorgio Fattori.
Levi scrive che ogni giornale ha un’anima, «una personalità che misteriosamente si trasmette di generazione in generazione, e di cui sono guardiani, insieme con una proprietà responsabile, non soltanto i direttori, i redattori e i collaboratori, ma, con un giudizio pressoché infallibile, i lettori: che sono e rimangono i veri padroni del giornale».
In questo blog da «lettore», memore della frequentazione della rubrica delle lettere della «Stampa» in cui fui spesso ospitato, esprimo a Levi la gratitudine di chi compera ogni mattina il giornale, e non può offrire altro che un’onesta lettura come premessa indispensabile per dialogare con il giornale stesso. Ora anche sul web.



Sotto Veltroni, il papa

Alcune cose lette od accadute nelle ultime ore.

1.
Il caso di Bologna nato dall'accordo tra il sindaco Cofferati ed An sul tema della sicurezza, fa vacillare la giunta comunale ma spiazza Fini a destra favorendo Storace.

2.
Velletri. Il papa parla: «La vita è in verità sempre una scelta: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male».«È necessaria quindi una decisione fondamentale: la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo nel nostro agire e la logica della condivisione e della solidarietà». Per Benedetto XVI, «la logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra poveri e ricchi, come pure un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo, per il bene comune di tutti».
Questo appare dal testo della Stampa.web delle ore 11:28.

Su Televideo Rai delle 13:20 appare questo comunicato:
«Pd, Veltroni: serve un programma chiaro.
Il Pd nasce per evitare che in futuro possa esserci una coalizione che si presenta davanti ai cittadini "senza chiarezza di proposta", perché gli elettori"non capirebbero e non ci seguirebbero". Così Veltroni, sindaco di Roma e candidato alla segreteria del Pd. Quindi rimarca la necessità che il Pd abbia "un programma schiettamente riformista, in grado anche di immaginare valori carichi di radicalità del cambiamento"."Solo così potremo rilanciare l'azione del governo e superare la crisi di rapporto tra l'Unione e il Paese"»
Probabilmente Veltroni si è sentito spiazzato dal papa che ha parlato criticamente del capitalismo, dichiarando necessaria «la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo nel nostro agire e la logica della condivisione e della solidarietà».
Veltroni deve essersi sentito spiazzato a sinistra dal pontefice. Ed allora è andato a rispolverare una sua lettera apparsa su «Repubblica» il 2 settembre 2006. Un anno fa.
L'unica differenza tra il comunicato di oggi e la lettera del 2006, è che la parola radicalità ha perso le virgolette che ne attenuavano la portata, per non fare apparire l'autore del testo troppo estremista. Adesso Veltroni deve recuperare in salita ed invoca la «radicalità del cambiamento».
Deve aver pensato Veltroni: se anche il pontefice dice cose negative sul capitalismo, è ora che mi svegli anch'io...

3.
Articolo di stamani di Barbara Spinelli, sulla «Stampa»: leggetelo e conservatelo.
Già il titolo dice tutto: «Il vero antipolitico? È il Palazzo».
Sotto un diverso profilo tecnico-letterario, prosegue il discorso avviato dalla Jena-Barenghi il 17 scorso. Barenghi sosteneva che ormai la politica deve prendere atto di «un fatto doloroso ma ormai palese: cioè di essere essa stessa l’antipolitica».

Barbara Spinelli scrive che «l’antipolitica nasce prima di Grillo, e non a causa di Mani Pulite ma perché Mani Pulite non è riuscita a eliminare immoralità e cinismi ma li ha anzi dilatati. Il male dell’anti-politica è cominciato con la Lega, per culminare nell’ascesa di Berlusconi e nel patto d’oblio che egli strinse con parte dell’ex-Dc, dell’ex-Psi, dell’ex-Pri (oltre che con la sinistra nella Bicamerale). È un male che ha contaminato parte della stampa e televisione...».

Non voglio fare un riassunto del fondo di Barbara Spinelli, va letto tutto, tuttavia riporto un altro passo per sottolineare il taglio che l'articolo ha ricevuto, ovvero lo studio del contesto in cui il fenomeno Grillo è nato, e la serietà che anche i comici possono indossare in determinati momenti della storia (o della cronaca se si vuol volare più basso...): «La figura del buffone che dice la verità senza esser creduto perché appunto considerato buffone è già nell’Aut-Aut di Kierkegaard. "Accadde, in un teatro, che le quinte presero fuoco. Il Buffone uscì per avvisare il pubblico. Credettero che fosse uno scherzo e applaudirono; egli ripetè l’avviso: la gente esultò ancora di più. Così mi figuro che il mondo perirà fra l’esultanza generale degli spiritosi, che crederanno si tratti di uno scherzo"».

4.
Grillo suggerisce: "Tutti in Comune a controllare cosa fanno i politici".
Io modestamente nel mio piccolo l'ho fatto. Ma non essendo Grillo qualcuno si è adirato bene, come ho già raccontato sotto il titolo di «Liberi di tacere?».

5.
Mia semplice conclusione che non serve altro che a render chiare a me stesso le mie idee...
Il web diventerà sempre più importante, i blog saranno al servizio della politica come i giornali venti o trent'anni fa.
Lo pensa anche Barbara Spinelli: «Né la politica né le televisioni né i giornali hanno il potere di estromettere il nuovo mondo della comunicazione e della denuncia che si chiama blogosfera».
Il fenomeno in Italia è condizionato da tre fattori, aggiunge l'editorialista, tra cui il primo è «la complicità che lega il giornalista classico al politico, e che ha chiuso ambedue in una sorta di recinto inaccessibile: il giornalista parla al politico e per il politico, il politico parla al giornalista di se stesso e per se stesso, e nessuno parla della società, che ha l’impressione di non aver più rappresentanti».

Sarà necessario che i blog siano sempre pià attenti al «local» che al «global».
Avranno 'voglia' gli editori dei blog di accettare questa linea?

Circa il fondo di Eugenio Scalfari su «Repubblica», l'immagine della «prova d'orchestra» (dall'omonimo film di Federico Fellini») con «pifferi e tromboni», è molto bella.
Ma non credo che la condizione attuale sia quella dello sfascio del 1919.

Chiudo per non farla troppo lunga, dopo aver dato una risposta ad un lettore che mi chiede perché abbia scritto: "...il vero antipolitico è lo stesso Prodi che vive a Palazzo Ghigi perché non vogliamo che vi ritorni il Cavaliere».

In breve. Ho scritto «non vogliamo» per allargare la fascia dalla maggioranza attuale a parte di quella precedente.
Berlusconi non lo accettano più come leader né Casini né Fini né Bossi. I primi due aspettano l'occasione propizia e non traumatica per rompere ed andare verso il «grande centro», il terzo va per conto suo, ogni giorno, è incontrollabile.

Il bello sarà quando nel grande centro appariranno altri personaggi come Dini (che ha già in corso le pratiche di separazione da Prodi) e Mastella (che smania di saltare il fosso e non lo nasconde).

6.
Dimenticavo. Leggete Mina di oggi sulla «Stampa». Ormai Grillo, scrive la signora Mazzini, «parla con la voce di milioni di persone che, finalmente, hanno capito le urgenze che riguardano tutti quanti». Per cui «sarà dura metterlo a tacere».



20/09/07. Pd, tutto fa brodo?

Veltroni Stamani su «Repubblica» Mario Pirani ha scritto un editoriale sulla nascita del Partito democratico, che comincia così: «Non prendiamoci in giro. La nascita del Partito democratico non sta maturando attraverso una "fusione calda", malgrado le speranze suscitate e che erano sembrate coagularsi in due momenti: i congressi di scioglimento di Ds-Margherita e la presentazione della candidatura Veltroni. Dopo quei passaggi ci si attendeva un rilancio che aprisse subito le porte del costituendo partito a forze sociali fin qui mortificate, a intelligenze creative fin qui messe ai margini, a spiriti liberi pronti a impegnarsi. La delusione è, per contro, palpabile. Il timore che la perigliosa iniziativa sfuggisse di mano alle due nomenclature di riferimento ha prodotto un macchinario selettivo barocco e antidemocratico. Il suo funzionamento è difficilmente comprensibile, di nessuna attrattiva, dissuasivo nei confronti di ogni desiderio di partecipazione. Lo spezzatino delle liste per circoscrizione, la duplicazione delle medesime (più di una per candidato), la designazione delle candidature ad opera di piccoli gruppi di vertice addetti alla bisogna, il rifiuto di permettere le preferenze, così da controllare e gestire rigidamente l'ordine di ogni lista dei designati, (ricalcando l'aborrita - a parole - legge elettorale vigente): questi gli aspetti salienti del marchingegno messo in piedi».

Nelle parole di Pirani si rispecchia la sensazione che provo leggendo le liste riminesi. Non ditemi che parlo di cose periferiche. Il quadro complessivo del mosaico nazionale risulta dalle singole tessere locali. La mia città è una tessera, ma assieme contribuisce a fornire l'immagine generale, che è quella delineabile con le prime parole di Pirani: «Non prendiamoci in giro».

La lista a sostegno di Walter Veltroni nel collegio Nord è guidata da un assessore del Comune di Rimini, Elisa Marchioni, che l'anno scorso entrando in carica disse: «Non sono mai stata iscritta né vicina ad alcun partito, e più che interrogarmi sul centro-destra o sul centro-sinistra, alla proposta di un impegno in giunta, mi sono chiesta se mi sentivo di tirarmi indietro davanti all’opportunità di operare, da un altro punto di vista rispetto a prima, per le persone e la città».

Orbene, adesso a questo assessore verrebbe da chiedere se si è nel frattempo interrogata «sul centro-destra o sul centro-sinistra», per non definirsi più soltanto votata al bene comune della gente.
Ora si tratta di creare un nuovo partito (di centro-sinistra, se non ho io le visioni), per cui sarebbe opportuno sapere se è divenuta consapevole delle differenze fra destra e sinistra, o se per lei ancora tutto fa brodo.



"Sperare per tutti", 21 settembre:


Purtroppo non ce la faccio più ad illudermi, è l'effetto vecchiaia.

I valori cristiani? Sono stato educato ad essi. Vedo in giro che sono diventati un paravento per fare affari. Comodamente.

Quando un assessore fatto mettere in giunta dal vescovo (che aveva fatto ritirare il candidato dell'opposizione di centro-destra perché troppo cattolico e quindi si sarebbe messo in concorrenza con la curia che appoggiava il centro sinistra), quando un assessore di giunta di centro-sinistra come prima grande operazione fa affittare dalla curia al Comune il vecchio seminario per 12 milioni di euro in 30 anni (oltre venti miliardi di lire!), beh, la mia fiducia nelle persone che dovrebbero applicare e rispettare i valori cristiani cala di molto.

Su Repubblica di Bologna di oggi, un frate, padre Benito Fusco dei Servi di Maria, parlando di altre cose (la questione moschea), dice che la curia locale è «più rivolta alle aree immobiliari che al sociale»!

Troverai sempre sale affollate di persone ben intenzionate a rispettare i valori cristiani, poi in pratica...

Un pezzo grosso dovette essere richiamato dal sacerdote perché aveva l'amante: lui da solo non ci arrivava?

Di un altro dicono con certezza che sia di qua nelle grandi organizzazioni cattoliche e di là nella massoneria...

Il Vangelo è molto chiaro: il tuo parlare sia sì sì, no no, il resto appartiene al demonio. Ma molti hanno studiato su Vangeli stampati male, certe pagine le avevano perse in tipografia... e quindi certe cose non le sanno.

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