Politica. Articoli vari del mese di Ottobre 2007, blog de "La Stampa"

30/10/2007
Grande Massacro?
«Riflettere sulla maniera migliore di rinforzare la Repubblica, è un obbligo per tutti. Tutte le iniziative, di qualsiasi origine, sono legittime». Beh, non si parla dell'Italia. È un articolo de «Le Monde» di stasera, che riguarda i cugini d'oltralpe. L'ha scritto Didier Maus, presidente emerito dell'Associazione francese di diritto costituzionale.
Il tema interessa però anche noi. La promessa (la minaccia? l'incubo?) di una riforma della Costituzione gira da parecchio tempo sia sui giornali sia in àmbito strettamente politico, soprattutto partitico.
Vogliamo anche noi «rinforzare la Repubblica», per usare un verbo debitamente sospetto a causa di tanti motivi storici. Che furono alla base dei numerosi contrappesi studiati nella Costituzione del 1948.
Dopo 60 anni, le pericolose ombre di poteri troppo forti che allora si vollero allontanare dopo la disastrosa esperienza che aveva portato alla seconda guerra mondiale, sono svanite del tutto, o possono ancora far capolino da dietro l'angolo?
La prudenza della vecchia classe dirigente nei partiti, aveva radici ben salde in quel passato difficile da accantonare.
Poi sono venute due crisi parallele, la scomparsa dei gruppi dirigenti di alcuni partiti, travolti dalla corruzione (con la cosiddetta inchiesta di «mani pulite»); e la nascita di un partito-azienda con un capo-proprietario che annaspa ma riesce ancora ad occupare la scena, nonostante tutto e nonostante tutti i suoi amici-nemici. Che non ne possono più (in segreto).
Berlusconi è oggi "liquidato" da Giuliano Ferrara in un'intervista a «Repubblica» con una dichiarazione che non lascia dubbi: la sinistra si muove, noi a destra «siamo fermi a Berlusconi».
Paradossale quel tanto che basta per lasciare intravedere una verità scomoda alla Cdl, Ferrara sembra però confidare troppo nella forza di Veltroni e caricare eccessivamente le tinte, quando parla pure di «ruiniani di sinistra»: il che sembra un bel contrasto logico, anzi teologico.
Ma si sa che Ferrara ama questi toni assurdi, non so quanto graditi sia a destra sia a sinistra, come quando definisce il sindaco di Roma una specie di copia conforme al «primo Silvio».
In effetti qualcosa accomuna Berlusconi a Veltroni, l'antipatia verso i giornali, come ha scritto su «La Stampa» di domenica Lucia Annunziata: «Addossare alla stampa l'invenzione di difficoltà politiche che nella realtà non esisterebbero è infatti un trucco contabile della politica vecchio quasi quanto la stampa stessa».
Oggi invece Barbara Spinelli ha osservato, sempre su «La Stampa»: «Mai ho visto tanta gente uniformemente invocare la fine d'una legislatura, e volontariamente servire il disegno di chi parla di democrazia ma non ne rispetta la regolamentazione. Tra la strategia di riconquista apprestata da Berlusconi fin dal 10 aprile 2006 e quel che mi dicono oggi giornali e tv non riesco, per quanto ci provi, a scorgere più differenza alcuna».
Mentre in Francia il problema è rafforzare Stato e Costituzione, da noi sembra avviato alla fine un gioco al massacro che serve soltanto ad indebolire il quadro politico, rimpiangendo (udite, udite) addirittura (sono parole di Veltroni), le «belle interviste di Zaccagnini o di Berlinguer in tv. Ognuno esponeva le sue idee e i cittadini giudicavano non le urla che si sovrapponevano ma le parole e la sincerità di ciascuno».
Di questo gioco al massacro si preoccupa giustamente Barbara Spinelli: «Ho l'impressione di assistere a una sorta di disfacimento della democrazia rappresentativa, e di perdita di senso del voto espresso alle urne dagli elettori. Dalla primavera dell'anno scorso l'Italia ha un governo, scelto dagli italiani per la durata di cinque anni, che è stato messo in questione quasi fin dal primo giorno: non dagli elettori tuttavia, ma da un capo dell'opposizione, Silvio Berlusconi, che il giudizio delle urne non l'ha mai accettato e che ogni sera da diciotto mesi annuncia a televisioni e giornali la fine di Prodi: prima negando i risultati, poi denunciando brogli, poi intimidendo i senatori a vita, poi appellandosi al cattivo umore della gente, in dispregio costante dei dettami costituzionali. Una strategia di delegittimazione del tutto anomala, ma che molto rapidamente è stata banalizzata e fatta propria da tutti coloro che fanno opinione, essenzialmente giornali e televisioni pubbliche oltre che private».

30/10/2007
Fisico da teologi
Una gentile collega ed amica ha scritto nel suo blog che «per la teologia, quella dottrinaria, ci vuole il fisico».
È una di quelle battute fulminanti che meritano di essere citate e ricordate. Brava Anna Rosa Balducci. La quale oltretutto confeziona opere di narrativa di gustosa lettura.
La frase calza a pennello con la notizia di ieri, relativa al discorso pontificio sull'obiezione di coscienza da parte dei farmacisti nella vendita di medicinali "che abbiano scopi chiaramente immorali, come ad esempio l'eutanasia e l'aborto".
Giusto è il principio, secondo la teologia romana. Ma la teologia romana non può automaticamente influenzare o diventare una norma di diritto civile nell'ordinamento di uno Stato.
Se l'unica farmacia che può fornire quel prodotto "immorale" ad un cliente che non riesce a contattare altri "negozi", rifiuta in base all'obiezione di coscienza, si tratta soltanto di un diritto proprio salvaguardato, o piuttosto non si tratta anche di un diritto altrui, violato? E che cosa è più grave dal punto di vista anche semplicemente morale? Per la morale laica, beninteso.
«Ci vuole il fisico», appunto per la teologia. Alla quale io ho sempre guardato con timore e diffidenza. Timore perché i teologi hanno sempre giustificato le guerre di religione, le esecuzioni capitali ed i roghi degli eretici. Diffidenza perché il linguaggio dei teologi è sempre difficile, contorto, per pochi eletti (quelli che il fisico ce l'hanno...), mentre il Vangelo è molto semplice, diretto a tutti, soprattutto agli ultimi, quelli che non hanno frequentato gli istituti di scienze religiose, come li chiamano oggi, con un americanismo orribile perché la religione non è una scienza esatta.
Ci hanno sempre detto che la perfezione non è di questo mondo. Bene. Perché si deve definire scientifico l'insegnamento della religione? Un motivo ci sarà, ma non avendo il fisico neppure io, non lo capisco.

29/10/2007
Usque tandem Romano
Usque tandem Romano, postea triciclum...
Bellissima l'idea di fondo del pezzo di Luigi La Spina: abbiamo il «primo governo-tandem della politica italiana, composto dalla coppia Prodi-Veltroni», e c'è il rischio che «si aggiunga alla coppia Prodi-Veltroni anche un altro pedalatore, di nome Berlusconi. Così il tandem si trasformerebbe in un triciclo».
Noi sulla Riviera romagnola da tanto tempo abbiamo strani veicoli derivati dalle bici, a due guidatori e quattro ruote, con un sedile posteriore in cui possono prender posto anche tre passeggeri...
Risciò
Li chiamano «risciò». Forse questo modello da «famiglia Brambilla [a proposito di MVB...!] in vacanza», è quello più adatto a contenere il carico di viaggiatori-governanti che si minaccia per il futuro più prossimo.
In un Paese in cui per antica tradizione non si nega a nessuno un sigaro ed una croce di cavaliere (secondo l'antico motto, credo, sabaudo), non si nega a nessuno neppure un posto di governo (o semmai di sottogoverno che è meglio ancora: stando all'ombra si evitano i rischi-insolazione).
Più si è meglio si sta, come nelle gite in campagna. Lo chiamavano consociativismo («termine nuovissimo, ancora assente in molti dizionari della lingua italiana», 1999, Piero Melograni). Adesso lo possiamo chiamare «governo del risciò: dimmi cosa chiedi ed io te la do».

27/10/2007
Francesi inquieti
Ricordate: «i francesi ci rispettano / che le balle ancora gli girano»?
Questa volta non c'entriamo noi italiani con Bartali, come nella canzone di Paolo Conte. I motivi per cui ai francesi girano le balle sono altri.
Leggete cosa scrive Le Monde di questa sera, ai francesi girano le balle più di tutti gli altri europei, se pensano al loro futuro: «Le Français est inquiet. Il est beaucoup plus anxieux que ses voisins européens sur l'avenir de ses enfants, redoutant de devenir pauvre, sans abri ou de perdre son emploi, méfiant sur la justice et la police, sur la mondialisation ou encore les syndicats et le Parlement, se suicidant même davantage. Et ce dans un pays plutôt moins pauvre et moins inégalitaire que la moyenne européenne».

26/10/2007
Forleo, le sue ragioni
L'intervista al gip di Milano Clementina Forleo ad «Annozero», spiega molti aspetti oscuri della realtà contemporanea.
Le sue parole non sono suscettibili di equivoco: «Ho subito intimidazioni da soggetti istituzionali».
Il cittadino inerme, che non bazzica codici e pandette (come dicevano una volta le persone esperte delle cose di mondo), che vede in tivù un giudice 'costretto' a confidare a vari milioni di persone una situazione così delicata, non dovrebbe scandalizzarsi, od urlare. Ma soltanto apprezzare, condividere (per quel che vale la sua adesione) il senso di un'esperienza non certamente facile, sapendo che la democrazia si difende non a parole ma con i fatti, come è accaduto ieri sera al gip Forleo.
Forleo ha portato i fatti, non ha recitato arzigogolate teoria sul Diritto penale o processuale. Quei fatti parlano da soli.
«Sono convinta che in momenti di forte crisi istituzionale come questa i magistrati hanno il dovere di non essere prudenti, di non essere sobri, di non stare a casa a scrivere sentenze, di parlare e di esprimersi», ha aggiunto. Lo scandalo dei magistrati che parlano «scoppia sempre quando questi magistrati nelle loro inchieste toccano i poteri forti, quei fili dove c'è scritto "chi tocca muore"».
Per questo appare eccessiva la nota dell'Udeur che parla di «processo stalinista». Beh, conoscere un po' di storia non farebbe male. Diritto di parola per tutti, è un cardine della democrazia. Non costringere un magistrato a denunciare pubblicamente le «intimidazioni» di cui abbiamo sentito ieri sera, spetta alla classe politica, secondo i principi della Costituzione.
Parlare di «processo stalinista» è un diversivo ed un'esagerazione che uomini politici responsabili ed accorti dovrebbero evitare.
Il cittadino inerme, che non bazzica codici e pandette ma appartiene alla folta schiera di chi, all'occorrenza, non può avere giustizia secondo i principi della Costituzione, dà ragione al gip Forleo. E pensa: ce ne fossero... Con la consapevolezza che i silenzi sono letali. Ricordano, quei silenzi suggeriti oggi ai giudici, la massima del manzoniano conte-zio espressa al padre provinciale: «Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire». Ma quella, aggiunge altrove Manzoni, era un'«età sudicia e sfarzosa». Dove per non essere considerati gente perduta sulla terra bisognava avere almeno «un padrone». È questa la società che si rimpiange? Basta dircelo, ed amen.

25/10/2007
Divieto di sosta
Prima o poi per Romano Prodi scatta il divieto di sosta a palazzo Chigi. Difficile rincorrere la cronaca. Ascolti la notizia di una sconfitta della maggioranza, e dopo due forchettate di spaghetti sei già a quattro.
Stamani Guido Anselmi sulla «Stampa» faceva un impietoso quadro della situazione: «L'impopolarità senza precedenti di Prodi è la personificazione di questo problema politico che ingloba e avviluppa Palazzo Chigi, sommando la delusione e la sfiducia dell'elettorato di centro-sinistra, un elemento sociale e psicologico che sarà difficile recuperare, e la rabbia di gran parte dell'elettorato di destra».
Forse l'impopolarità di Prodi ha una componente che dovrà essere studiata. Quanto peso ha in essa la nascita del Pd? Veltroni non c'entra. Lui è li che aspetta il cambio della guardia, come i corazzieri al Quirinale. Prima o poi gli tocca. Il problema Pd è palpabile non nelle analisi degli specialisti, ma nei discorsi della gente. Chi la sa lunga della politica vissuta sulla propria pelle per decenni, dice: embé, ma questo è un partito di sinistra?
La delusione e la sfiducia di cui parla giustamente Anselmi non possono essere mascherati dal brillante risultato dei tre milioni di elettori per il Pd. Ma chi sono gli eletti? Beh, ne conosco alcuni di faccia e di profilo. Non so che ci stiano a fare con un partito di sinistra. Per ora il giochetto funziona. Tutti allegri, brindisi e complimenti, poi verranno le rogne, se si vorrà fare una politica pulita. Se si continueranno i pateracchi, come non detto, chiedo scusa.
Stamattina Michele Serra chiudeva la sua rubrica su «Repubblica» con una domanda interessante: «Perché non proviamo ad affiancare all'estenuante dibattito su come è ridotta la sinistra, anche un piccolo dibattito a latere su come è conciata la destra, poveretta?». Giusto.
Ma la destra «poveretta» sta bene così, con un padrone come il re di Arcore che batte le mani e tutti gli obbediscono. Se non ci fosse Silvius primo, gli altri che farebbero? Certa destra «poveretta» contratta in periferia quello che odia a Roma, come una volta il Pci faceva con la Dc.
Intanto il Vaticano insiste contro «Repubblica». Scrive oggi Ezio Mauro: «"Finiamola". Con questo invito che ricorda un ordine il Cardinal Segretario di Stato della Santa Sede, Tarcisio Bertone ha preso ieri pubblicamente posizione contro l'inchiesta di Repubblica sul costo della Chiesa per i contribuenti italiani, firmata da Curzio Maltese». E poi: «Finiamola? E perché? Chi lo decide? In nome di quale potestà? Forse la Santa Sede ritiene di poter bloccare il libero lavoro di un giornale a suo piacimento?».
Sono solidale con Mauro, sottoscrivendo le parole di Barbara Spinelli (sulla «Stampa» di ieri): occorre sempre «una laica separazione tra fede e politica, ... una netta separazione fra cultura e politica, magistratura e politica, economia e politica».

24/10/2007
Madamini
Madamini, il catalogo è questo...
La lunga lista delle lamentazioni politiche che sorgerebbe spontanea, forse ormai non serve più a nulla.
Si chiedeva stamani Jacopo Iacoboni nel suo blog: «Che si fa se Prodi cade. Votare subito? Riformare la legge elettorale? Far decantare tutto, addirittura per un periodo indefinito?»
La risposta, questo pomeriggio, di Berlusconi («Non dialogo con questa sinistra») a Napolitano («Serve intesa per le riforme»), toglie significato e valore alle tre ipotesi?
Il capo dell'opposizione vuole il voto, ovviamente con questa legge elettorale. Oggi ha ripetuto un'opinione già espressa. Chi deve tagliare la testa al toro, è adesso l'altra fetta dell'opposizione. Al voto con la legge attuale, si aspetta il referendum o si fa una nuova legge?
Siamo in un vicolo cieco. Può aspettare il Paese la consumazione del malato, sostenuto sinora da quel brodino di cui parlava Bertinotti?
La crisi generale nei rapporti parlamentari fra governo ed opposizione è un fatto inedito. Almeno in apparenza.
Chi ci garantisce che sotto sotto non si stia trattando un bel pateracchio al centro, con un celebrante d'eccezione, magari Giulio Andreotti. Astuzia internazionale (asse Roma-Vaticano), o provincialismo politico?
Può servire a qualcosa la lezione polacca?
Ne discute Barbara Spinelli nel fondo di oggi, dove scrive: «La Polonia del ressentiment apparsa negli ultimi anni ha somiglianze impressionanti con l'Italia che Berlusconi ha cambiato, plasmato. Anche da noi ci sono forze di destra che speculano sul ressentiment e costruiscono sul rancore, il vittimismo, l'invenzione della realtà. Anche queste forze hanno potere sui mezzi di comunicazione, usano l'anticomunismo come arma per tacitare ogni critica, sono sospettose verso le separazioni molteplici che la laicità insegna. Anche in Italia l'integralismo cattolico ha accresciuto il proprio peso, profittando della politica divenuta campo di battaglia fra amici e nemici mortali».
Invece Miriam Mafai ricorda su «Repubblica» di oggi come l'appello pontificio contro il lavoro precario sia stato spiegato dal presidente della Cei mons. Bagnasco in un modo del tutto particolare: si chiede lavoro stabile per creare famiglie fondate sul matrimonio eccetera.
Potremmo a questo punto proporre al parlamento di ammettere il lavoro precario soltanto per scapoli e conviventi? Ritorna a galla la questione della laicità dello Stato («Libera Chiesa in debole Stato»), di cui ha trattato ieri Michele Ainis. Quanto è compresa ed apprezzata la questione in campo "democristiano" oggi? Si dovrebbero ricordare gli esempi luminosi di De Gasperi ed Andreatta. La loro lezione non è soltanto una pagina da libro di storia.

23/10/2007
Mastella mi agita
Ieri sera sono andato a letto con un interrogativo inquietante: ma quanti voti ha ricevuto il ministro Clemente Mastella, alle elezioni politiche del 2006?
Per tranquillizzarmi mi sono ripromesso di fare una ricerca nel sito del Ministero degli Interni.
Ma stamani non ne ho avuto bisogno. A risollevarmi ci ha pensato l'articolo di Lucia Annunziata sulla «Stampa» odierna, grazie al quale ho potuto chiarire tutti i miei dubbi e rendere meno angosciata la giornata: «Cifre alla mano, il tesoretto elettorale mastelliano è dell'1,4 per cento, tradotto in 534.553 voti alla Camera e 476.938 al Senato. Per capirne il peso è forse utile dire che 500 mila sono i consensi raccoltisi intorno alla Bindi (candidata senza partito nelle primarie) e tre milioni e mezzo hanno di recente votato per il Partito democratico».
Dunque se noi fossimo un Paese normale il signor ministro sarebbe un po' mesto come la signora Antonella Clerici che dicono in affanno per calo di ascolti. Invece, non essendo appunto quel Paese normale che sarebbe auspicabile, allora «il tesoretto elettorale mastelliano dell'1,4 per cento» diventa l'ago della bilancia di tutto il sistema politico italiano.
Meglio pensare ai successi, sul tappeto rosso del festival romano, delle attrici italiane Carolina Crescentini e Margherita Buy.
Se fossimo un Paese normale, forse non ci sarebbe bisogno neppure di discutere di «Libera Chiesa in debole Stato», come fa oggi Michele Ainis in un breve saggio, le cui conclusioni dovrebbero tornare utili alla stessa Chiesa romana: «in molti casi gli interventi della Santa Sede vengono sollecitati proprio da chi ci rappresenta». Ne ha interesse il Vaticano?
Una curiosità dalla periferia. Il presidente della mia Provincia per risolvere il problema della siccità ha invitato il vescovo a celebrare un rito nel Tempio malatestiano davanti all'antica statua della Madonna dell'acqua. Il rito si è tenuto, il presidente è intervenuto.
A noi hanno sempre insegnato di scherzare coi fanti e di lasciar stare i santi. Altri tempi, probabilmente.

22/10/2007
Cerimonie
Quando Romano Prodi e Silvio Berlusconi hanno saputo che il prossimo libro di Bruno Vespa in cui si parla delle rispettive consorti, avrà come titolo «Da Rachele a Veronica», hanno immediatamente pensato alla sorte del marito di Rachele Guidi (1890-1979), e di conseguenza hanno fatto riservate cerimonie propiziatorie.

21/10/2007
Cappucci & politica
Il titolo dell'editoriale di Andrea Romano, sulla «Stampa» di stamane, «La politica col cappuccio», mi ha suggestionato.
Quando l'ho letto ho immaginato che il «cappuccio» di cui si parlava fosse quello solito di certi gruppi che lo usano in altrettanto certi rituali.
Poi l'attacco dell'articolo sul «veltroniano mascherato» mi ha fatto ricredere, e mi sono detto: hai sbagliato tutto.
Successivamente, la frase: «La politica con il cappuccio è quella di Silvio Berlusconi», mi ha provocato un sussulto e riandare col pensiero a certe tessere di logge coperte (ovvero P2).
Dunque, titolo suggestivo, ma fuorviante la mia interpretazione, ammetto la colpa. Però ho un'attenuante.
Avevo appena letto un'intervista su «Repubblica» al pm Luigi De Magistris. Dove si trovano queste parole chiare: «Faccio le corna, ma dopo che mi hanno tolto le inchieste resta solo l'eliminaziione fisica».
Ma se davvero dietro la vicenda di Catanzaro, ci fosse «La politica col cappuccio»?
Grazie al cielo, capisco poco o nulla di queste cose, e le mie domanda restano senza risposta.

21/10/2007
Caro ministro Gentiloni...
Dopo aver postato il testo di ieri, ho aggiunto un'ultim'ora linkando le dichiarazioni del ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, riportate nel suo blog.
Oggi ritorno sul luogo del delitto, semplicemente per una breve aggiunta. Ed una domanda.
Un passo del testo dell'on. ministro conferma quanto avevo scritto qui ieri. Cioè che la norma che si vuole introdurre per le testate giornalistiche (art. 7 del disegno di legge 3 agosto 2007), esiste già (art. 1, legge n. 62/2001). Scrive Gentiloni: "Pensavo che la nuova legge sull'editoria confermasse semplicemente le norme esistenti, che da sei anni prevedono sì una registrazione ma soltanto per un ristretto numero di testate giornalistiche on line, caratterizzate da periodicità, per avere accesso ai contributi della legge sull'editoria".
La domanda (retorica). Non mi meraviglio della 'disattenzione' del ministro Gentiloni. Può succedere a tutti. Ma mi stupisce il comportamento degli esperti che hanno elaborato il testo del ddl governativo. I quali dovevano conoscere le disposizioni in materia. Non credo che sia ammessa per loro alcuna indulgenza teorica. In pratica, tiriamo a campare. Domani è un altro giorno, e si vedrà.

20/10/2007
Roc-blog, nuova tassa?
Infuria (giustamente) la polemica sul «Registro degli operatori della comunicazione» (ROC), a cui dovrebbero iscriversi quanti (art. 7 del disegno di legge 3 agosto 2007) «svolgono attività editoriale su internet (...) anche ai fini dell'applicazione delle norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa».
Ma è una norma inutile. La diffamazione è già punita, dal secondo comma dell'art. 595 CP, dove si parla chiaramente del «mezzo della stampa» o di «qualsiasi altro mezzo di pubblicità».
La questione sventolata dal ddl governativo potrebbe nascondere un altro scopo, controllare i blogger: ma ciò è già possibile da parte della Polizia postale (ed in caso di reato dalla Magistratura).
Resta in piedi soltanto l'ipotesi più triste: un nuovo balzello. Sono molti di più i blogger degli evasori fiscali?
Nei miei blog nel 2001 avevo inserito un avviso, conseguente alla pubblicazione di una legge dello stesso anno: «Questo è un sito amatoriale, non un prodotto editoriale». La legge è del 7.3.2001, n. 62, "Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2001.
L'art. 1 di tale legge definisce così il prodotto editoriale: "Per «prodotto editoriale», ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici".
Non riuscì nel 2001 il colpo di equiparare un blog ad una testata giornalistica. Non è logico che s'introduca ora questa norma ipotizzata nel ddl 3 agosto 2007.
Ultim'ora.
Per il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, bisogna ripensare a tutta la questione.

19/10/2007
Paolo Cevoli «proibito»
Il comico riccionese Paolo Cevoli, una delle colonne portanti della satira televisiva con le sue apparizioni a «Zelig», è stato censurato dal politici romagnoli.
Per domenica 21 nelle tre province di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, è stata organizzata una manifestazione culturale rivolta a promuovere la conoscenza del patrimonio bibliotecario e museale locale. L'opuscolo che la reclamizza contiene tre immagini (una per provincia) di altrettanti personaggi indigeni ma «extra-vaganti», cioè non legati al mondo della cultura e delle biblioteche: Martina Colombari per Rimini, Marco Melandri per Ravenna ed appunto Paolo Cevoli per Forlì-Cesena.
Ognuno dei tre ha consegnato alla storia una frase memorabile: «I musei di Romagna sono piccoli scrigni che racchiudono tesori di grande bellezza» (l' attrice Colombari), «C'è chi corre più veloce di me: è il pensiero di chi legge un libro» (il campione motociclistico Marco Melandri), e «Un buon libro è la compagnia più intelligente che un uomo possa trovare. Ogni tanto però ci vuole anche un po' di solitudine con qualche passerina ignorante» del comico Cevoli.
Sinceramente, le parole di Cevoli sono le uniche che hanno un senso. Per quanto «extra-vagante», cioè esterno all'ambiente che domenica si vuol valorizzare, il comico è l'unico che può vantare in fatto di cultura alcune credenziali di indubbio valore.
Se belle si nasce e campioni si diventa correndo in moto grazie ad intelligenza e coraggio propri e tecnologia altrui, il comico è l'unico intellettuale della compagnia perché ogni sua apparizione sopra un palcoscenico richiede studio, preparazione e capacità stilistiche che sono le uniche qualità compatibili con il mondo delle biblioteche.
Orbene la frase sulla «solitudine con qualche passerina ignorante» da godere come intervallo alle lunghe ore di studio, ha scandalizzato molti addetti ai lavori e tanti politici sia reazionari sia progressisti, sia maschi sia femmine.
L'effetto finale, è stato la censura sul comico ed il ritiro della pubblicazione che riporta la sua massima «immorale» sulla «passerina ignorante». Ma il ritiro è avvenuto quando la pubblicazione (gratuita) si era già esaurita, dopo il primo accenno di scandalo. Diventerà un oggetto di culto. Sarà un pregiato reperto del collezionismo dei bibliomani che troveranno conforto forse soltanto nel possedere quelle pagine colorante, e non nel mettere in pratica il suggerimento di Cevoli.
Al sequestro (divenuto praticamente impossibile), ha fatto sèguito anche una dichiarazione degli organizzatori con tanto di pubbliche scuse a chi si fosse ritenuto offeso dalle parole del comico.
A difesa di Paolo Cevoli si potrebbe citare l'illustre esempio dell'opera comica di un tal Dante Alighieri sepolto proprio in Romagna, a Ravenna, che in essa fece anche ricorso a quello che i benpensanti chiamano sbrigativamente turpiloquio.
Per non incorrere in analoga censura, tralascio le citazioni dirette dal poema in cui appaiono certi termini scandalosi, ma riprendo da un fresco libro di Franco Ferrucci, «Lo stupore e l'ordine» (editore Liguori), l'accenno contenuto in una nota (pp. 146-147). In essa si spiega che assieme a quelle che si considerano parolacce, appare pure il termine «comedìa» (poi popolarmente reso come «Commedia», ed arricchito in «Divina Commedia»), come se il linguaggio di Dante stesse facendo «le sue prove di quanto può spingersi nella lontananza del silenzio divino» nell'Inferno.
I politici romagnoli hanno buttato all'Inferno dei seminatori di scandali il buon Paolo Cevoli che invece meriterebbe un seminario di dotti italianisti sull'uso del linguaggio comico nel parlar corrente e nella triade cinema-teatro-televisione. Se ci si scandalizza tanto per la sua ridanciana «passerina ignorante», immaginiamoci che cosa succederà in futuro per discorsi più impegnativi. Li prenderanno sul serio o si metteranno a ridere, i nostri politici?

17/10/2007
Traslochi
Quando si dicono le combinazioni...
Ieri «Repubblica» presentava un'intervista a Piero Fassino, intitolata «Sì, chiudo casa...» eccetera, in una pagina dominata da una grande foto pubblicitaria che nel suo genere è ormai divenuta un classico, Mikhail Gorbaciov in auto con a fianco una nota valigia d'autore, reclamizzata pure da Scarlett Johansson.
Veniva quasi da pensare che Gorbaciov andasse a prelevare Fassino che chiudeva casa. Per portarlo chissà dove...
Lontano da chi? O vicino a chi?

16/10/2007
Ulivo, anzi gambero
Va tutto bene nei conti post-elettorali. Anzi no. Ha ragione Luca Ricolfi sulla «Stampa» di oggi a parlare per Veltroni di una «rivoluzione di nascosto», confermando quelle perplessità espresse da Fabio Fazio, anzi quello smarrimento che anche Ricolfi in conclusione ammette di conservare.
E per quell'anzi no, vorrei aggiungere un aspetto che non vedo sottolineato. Dalle elezioni del segretario del Pd, da tutto il processo messo in atto prima della corsa elettorale, l'antico spirito dell'Ulivo ne esce rafforzato o diluito se non annullato?
L'Ulivo di Prodi aveva creato una coalizione con un leader di governo che non si identificava in nessun segretario di partito.
Oggi ci troviamo a dover fare i conti in casa per una bigamia politica o per due conviventi come li chiama Filippo Ceccarelli su «Repubblica».
Avremo prima o poi un leader di partito che tornerà a salire le scale di palazzo Chigi (se una coalizione di centrosinistra esisterà ancora e vincerà nuovamente, ammesso che il fattaccio non succeda prima). Veltroni segretario del Pd, e quindi capo del governo. Addio spirito originario dell'Ulivo.
Aldilà del folclore, delle cronache e dei fatti quotidiani, l'esperienza ulivista si è conclusa domenica scorsa. Quello che ci aspetta, forse non lo sa neppure Veltroni. Forse un giorno si renderà conto che molti dei suoi non sono di quella sinistra (nuova, vecchia, riformata o riformista) che lui descrive, sogna o progetta, bensì provengono da un mondo molto moderato, quasi fermo se non in retromarcia sui problemi fondamentali da affrontare.
Per cui ci si interroga sul motivo per il quale non siano andati a fare combriccola con altri partiti più adatti alle loro posizioni, piuttosto che aderire ad un progetto «di sinistra» come il Pd. A meno che le parole abbiano perso ogni significato, ma bastava dirlo.
Veltroni sarà più o meno moderato di Rutelli? Dalle parole ai fatti. Chi dei due si stancherà prima dell'altro?
Anche in politica serve realismo come nella vita. La favoletta dei due cuori e una capanna, va bene per un mese di ferie. Dopo arrivano i primi freddi, e la capanna non basta più. Per cui anche i due cuori entrano in crisi.
In politica si può parlare di «cambiamento» per qualche giorno, per la luna di miele della vittoria. Poi dopo occorrono i fatti. In fretta.

15/10/2007
Votare fa buon sangue
Dunque, la parola d'ordine per Veltroni è «innovazione». Auguri. Ma si ricordi il segretario del Pd che deve rispettare la promessa. Se, come osservano i commentatori sui quotidiani di stamane, la voglia di politica dimostrata ieri è la negazione dell'«antipolitica» paventata o ipotizzata nelle settimane passate, non c'è nulla di peggio di una delusione dopo uno slancio generoso (almeno stando alle cronache di queste ultime ore).
Ha osservato Federico Geremicca sulla «Stampa» di stamani che «il grande successo delle primarie aiuta a ridimensionare il cosiddetto fenomeno dell'antipolitica».
Ha scritto Ezio Mauro su «Repubblica» che il voto «separa la protesta di questi mesi dalla sua frettolosa definizione: non era antipolitica, infatti, ma richiesta di una politica "altra", radicalmente diversa».
Dunque, la responsabilità di Veltroni è ancora maggiore perché una delusione sarebbe catastrofica non per lui ma per il Paese.
Aggiunge Mauro che «nel cosiddetto popolo della sinistra c'è ancora una disponibilità alla speranza, a ripartire e a riprovare».
Il problema è che non sappiamo quanti globuli di sinistra siano capaci di sostenere la circolazione del sangue nel nuovo partito. Cioè quanti saranno gli eletti veramente «di sinistra» messisi nelle liste sotto l'ombrello di Veltroni. Ci vorrà del tempo, ma ci accorgeremo che anche la lista Veltroni vincitrice, soffre di anemia. E non vi è nulla di più drammatico di un leader forte e di un sèguito in periferia che non ha le sue stesse intenzioni, origini e mete.

15/10/2007
Veltroni 'bulgaro'
E vai, Walter. Come previsto. Maggioranza bulgara, avrebbe detto qualcuno se si fosse verificata in campo avverso. Per essere buoni come lui, diciamo soltanto maggioranza prevista. Non era prevista da nessuno la quota altissima di partecipazione, da scremare per evidenti ragioni matematiche dalle quote di immigrati e di under-18 che non hanno partecipato alle primarie prodiane di due anni fa.
Il bello viene adesso. Per realizzare una democrazia partecipata non basta la scelta di un segretario già scelto. Avrei preferito che si fosse votato ieri per un'assemblea costituente delegata a scegliere un segretario. Lo so. Sarebbe stata la stessa cosa. Veltroni era e Veltroni sarebbe stato il segretario. Ma volete mettere un dibattito alla luce del sole, invece di queste liti dietro le porte...
Nel conclave si entra papi e si esce cardinali. Nel Pd si entra segretari e si esce segretari, è la forza di un partito vecchio che lascia nel nuovo la sua impronta di egemonia politica, culturale ed organizzativa.
Alle primarie di due anni fa, hanno preso nota di tutti i votanti. Ieri lo stesso. Adesso controlleranno i nomi di chi è mancato al voto. A me non interessa, sono fuori del gioco, antipatico di natura, ribelle per vocazione legata alla mia terra d'origine, la Romagna che non piace ovviamente a molti per certi uomini del passato. Come mi disse una volta un collega («Voi romagnoli avete rovinato l'Italia per vent'anni ed una guerra...»).
Ma quelli che dentro il gioco ci sono, che hanno avuto favori o che dovevano ringraziare per grazia ricevuta, al voto ci sono andati, per non essere depennati dalle liste dei personaggi 'simpatici'. Non c'è stata nessuna segretezza nel voto. Nessuno né allora (alle primarie prodiane) né adesso (in quelle veltroniane) avrebbe dovuto schedare gli elettori.
Ma tant'è. Adesso bisogna che Veltroni metta in pratica l'auspicio di Romano Prodi espresso come rimprovero a Silvio Berlusconi in un faccia a faccia televisivo: «E poi basta con tutte queste raccomandazioni».
Caro Veltroni, tutto deve cominciare da questo punto. Ma c'è poco da sperare. Ho letto ieri (ed ieri sera ne ho parlato qui) l'articolo di Marcello Sorgi dove è scritto che «in larga parte» del Paese, cioè nelle quindici regioni amministrate dal centrosinistra, è avvenuta «un'accorta lottizzazione del potere locale» che ha fatto venir meno «la distinzione tra Margherita e Ds».
Quale nuova linea politica si può aspettare da un partito nuovo che nasce da una vecchia «lottizzazione del potere locale», per non parlare poi delle scandalose storie delle università e delle gestioni culturali?
Auguri, caro Veltroni, di non passare alla storia come uno dei tanti Gattopardi di questa Italia rovinata dal clientelismo, in cui la Giustizia è sfinita ed in cui non «basta la parola», come diceva invece la pubblicità di un noto purgante, mentre in tanti, anzi in troppo, hanno nostalgia dell'olio di ricino. Non apra la porta del dialogo anche con costoro, signor sindaco di Roma.
Un mio commento nella rubrica di Anna Masera.

14/10/2007
Ombre e fantasmi
Sorgi ha condotto con estrema correttezza da lunedì a stamane la rassegna di «Prima pagina» su RadioTre.
Ovviamente oggi non ha citato un suo interessante articolo apparso su «La Stampa», «I mangiatori di pane e politica», che è uno dei pezzi più documentati apparsi sui quotidiani italiani alla vigilia del voto per il Pd.
Sorgi è ben informato. Ha così osservato che «in larga parte» del Paese, cioè nelle quindici regioni amministrate dal centrosinistra, è avvenuta «un'accorta lottizzazione del potere locale» che ha fatto venir meno «la distinzione tra Margherita e Ds».
Questo è il dramma italiano, l'«accorta lottizzazione» che non fa bene sperare neanche per il futuro pur con il nuovo partito.
Su questo futuro si proiettano le ombre di un passato che Sorgi analizza rievocando una costante storica del nostro Paese, il trasformismo. Per cui il nuovo appare sempre striato di vecchio.
Morosaragat Dalle ombre sul futuro alle ombre del passato, il passaggio è breve. Aldo Cazzullo sul «Corriere della Sera» di oggi presenta un libro di Giovanni Moro («Anni Settanta») che sarà distribuito da martedì, con un'intervista all'autore, figlio dello statista rimasto vittima del terrorismo.
Ne consiglio la lettura per rendersi conto dei «duri giudizi su Andreotti e Cossiga» (come recita un sottotitolo) e sul Vaticano, espressi da Giovanni Moro.
Il quadro che ne risulta conferma la drammaticità di un presente che rifiuta di fare luce su quelle ombre del passato, e l'anomalia del tutto italiana di un Paese che ha dimenticato lucidamente, secondo Giovanni Moro, di fare i giusti conti con l'uccisione di suo padre. Il quale è uno di quei fantasmi che ritornano, ovvero uno di quei morti, sono parole di Giovanni Moro, «che non riposano in pace e che non lasciano in pace nemmeno i vivi».
Non si tratta soltanto di un dolore personale, per Giovanni Moro. In esso si ritrovano i risvolti della storia di un intero Paese che ha preferito dimenticare, in mille modi e per mille convenienze quella tragedia del 1978.

13/10/2007
Che tempo, Fazio!
Caro Fabio Fazio, sottoscrivo indegnamente la sua nota apparsa stamani sulla «Stampa».
Condivido, con un'aggiunta anagrafica: dopo i 65 anni (i miei) la faccia si può perdere, tanto ormai chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, mentre giustamente lei ripete il motto prodiano: dopo i 40 ognuno è sommamente responsabile della propria faccia.
Ma anche nella mia fascia d'età occorre farsi rispettare. Mentre si protesta per le liste bloccate del «porcellum» elettorale per il Parlamento, si perpetua il sistema nella scelta del segretario di un partito che volendo essere nuovo dovrebbe avere il coraggio di cambiare rispetto alle cose che si criticano. E che invece tacitamente e pericolosamente si accettano. Ecco, questa è secondo me una grave mancanza di rispetto dell'elettore.
Lei si dichiara confuso, io mi sono chiarito le idee in un senso negativo, se così si può dire: approfondendo le cose, sono sempre rimasto più amareggiato.
Invidiabile (e condivisibile) per cattiveria e lucidità la sua conclusione: «E i famosi trent'anni di malgoverno democristiano?».
Resta sospeso l'interrogativo non quale pregiudizio verso i candidati Bindi e Letta, ma come constatazione di un fatto secondario però non collaterale: manca una qualsiasi idea di riformismo laico che sappia distinguere e non confondere unendo l'impossibile, come invece sembra voler fare il sindaco Veltroni (che uscirà vincitore) con le migliori intenzioni, beninteso.
Posso tranquillamente invocare sotto la testata della «Stampa» queste ragioni di uno Stato laico, ben conoscendo per una lettura di molti decenni lo spirito che ha animato sempre le grandi firme di questo giornale, e le sue linee editoriali.
Seguirò il suo esempio per ragioni opposte alle sue, caro Fazio, cioè per essermi fatto un'idea chiara sulla mancanza di uno spirito riformista laico nel complesso del nuovo partito.
E la prego di non considerare questa mia affermazione come un gesto di superbia.
Lei ha scritto: «È che sono confuso; anzi, grazie al partito democratico ho scoperto di essere confuso da un bel pezzo. Insomma, io a votare non ci vado».
In fondo il suo bell'articolo di oggi maschera sotto l'aggettivo «confuso» una precisa consapevolezza della crisi che il Paese sta attraversando.
Il suo è un artificio letterario, un sottovalutarsi per modestia. Ma la verità è che lei ha ben compreso le cose e lo stato di confusione del Paese. Il che è tutto un altro discorso rispetto al suo sentirsi «confuso» in questo Paese e davanti al partito democratico.

12/10/2007
inGiustizia
Ieri sera da Santoro ed oggi da Augias è stato ospite Bruno Tinti, un magistrato che lavora a Torino e che ha scritto un libro inquietante, le «Toghe rotte», sulla crisi della giustizia italiana, riassumibile con una sua battuta: «Siamo falliti da una vita però non se ne è accorto nessuno».
Scrisse Ugo Foscolo versi famosi: «Dal di che nozze e tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose...». Per dire che la giustizia è uno di tre elementi fondanti della civiltà.
Se essa viene a mancare, stando alle parole del magistrato Tinti, poveri noi.
Credo che Tinti abbia ragione, ma credo soprattutto che ci aspetti un triste futuro se non sappiamo ricostituire un tessuto civile degno di una società matura, e fatto di giustizia giusta.
In questo tessuto il render ragione a chi ha subito torti e il far pagare il peso delle colpe a chi ha commesso reati, è un fatto fondamentale. Forse il primo elemento della vita comune.
Se l'arroganza e la prevaricazione trasformano gruppi privilegiati in gruppi impuniti, non c'è speranza che la nostra società possa procedere verso una «compiuta democrazia» (definizione che sento ripetere da quasi quarant'anni).
Se trionfano i don Rodrigo, non siamo messi molto bene. L'ipotesi non è mia. L'ha fatta un magistrato inquirente circa questioni d'attualità che non rievoco per essere breve.
Lo scorso 24 ottobre 2006 pubblicavo questo post, intitolato "Giustizia miope" che ancora è pienamente attuale (scusate l'autocitazione):
«Dovrebbe essere cieca come la fortuna. Ma la Giustizia italiana appare miope. Non vede bene, quando guarda in faccia a qualcuno. Le sfugge il quadro d'assieme, per cui viene a mancare al suo compito.
È tardiva, lenta, incerta, contorta, non è giusta la nostra Giustizia. Riforma e controriforma, leggi vecchie e disposizioni nuove, tutto alimenta il sacrosanto giro autoreferenziale di chi detiene un Potere, e lo esercita non a vantaggio della collettività ma del Potere stesso.
Le due classi nobili della Giustizia, magistrati ed avvocati, si passano la palla, recitano la stessa commedia umana. Il dramma degli imputati che non hanno né soldi né alleanze di potere non interessa a nessuno. Ed allora non chiamiamola Giustizia, ma burocrazia della legge penale.
La Giustizia italiana è un labirinto in cui sopravvive soltanto chi, magistrato o avvocato, conosce le strade per uscire dallo stesso labirinto, ed accompagna chi «può» essere accompagnato. Gli altri sono numeri e non persone.
L'Italia resta pur sempre il Paese degli Azzeccagarbugli, alcuni con la toga da magistrato, altri con quella d'avvocato. Siamo ad uno stadio storico che esisteva prima di Beccaria, prima del 1789, prima del mondo moderno. Siamo in un eterno medioevo. Ahinoi».

11/10/2007
Se pure Serra predica
Caro Michele Serra, un satiro come lei, abituato ad usare ogni giorno la carta vetrata, non può ricorrere eccezionalmente ad un pennello per spolverare le cose che non vanno dall'abito del Pd, come ha fatto nella sua rubrica di oggi su «Repubblica».
La sua rubrica di oggi non è stata satira distillata con l'arguzia che apprezziamo, ma un predicozzo alla Montanelli che indicava nel "turarsi il naso" il miglior sistema per scegliere la classe di governo.
Lei rimpiange la mancanza di entusiasmo, anche se è costretto, dall'evidenza dei fatti, a scrivere: «Le ragioni di disincanto e di critica, per come si è arrivati a queste primarie, sono tante».
Ha ragione: la nascita di un «partito nuovo» e non di un «nuovo partito» (come ha detto giustamente qualcuno), deve essere seguìta con attenzione da chi ha a cuore le ragioni e le sorti della democrazia.
Ma quando quelle stesse ragioni si vedono dimenticate o calpestate proprio da chi tiene in mano i fili dei burattini, allora non si può chiedere alla gente né entusiasmo né convinzione.
Se piove a dirotto ed esco senza ombrello e mi infradicio, non posso dare la colpa al cattivo tempo.

10/10/2007
Le ragioni di Flavia Prodi
Una semplice verità, quella enunciata ieri da Flavia Prodi, circa le avances veltroniane alla signora Veronica Berlusconi. Tra i due poli, ci sono troppe differenze: «Una cosa è il rapporto costruttivo tra maggioranza e opposizione, una cosa è dire che non ci siano più contenuti propri nei due schieramenti. E visto che siamo qui a parlarne, basti pensare all'idea di welfare dell'opposizione, molto diversa dalla nostra». Così nell'intervista apparsa stamani sulla «Stampa».
Semplice verità che ovviamente desterà scandalo in quanti mirano all'unità dei cattolici all'insegna della facile etichetta del «bene comune» già al centro del mondo ecclesiastico italiano da tanto tempo. E ritornato alla ribalta anche per un complicato editoriale di ieri di «Avvenire», riassumibile nel sottotitolo: «Neoliberismo e neostatalismo sono come una morsa che toglie spazio a una vera sussidiariete ad un'attenzione alla persona che non sia solamente retorica».
Le poche parole della signora Prodi agiteranno più di qualche monsignorino della Segreteria di Stato.
Non me lo invento io, ricalco semplicemente un testo di don Gianni Baget Bozzo («il Giornale», 11 agosto 2006): «Prodi fa parte della corrente dossettiana, ostile all'unità dei cattolici nella Dc, e ha creato a Bologna un centro culturale cattolico contrario alla direzione vaticana della Chiesa italiana».
Aggiungeva Baget Bozzo: «La Chiesa è impegnata in una battaglia culturale sui temi della vita e della famiglia: e, rispetto a questi, Prodi compie la scelta del "cattolicesimo adulto". La Civiltà Cattolica, nel suo ultimo editoriale, ha condannato i cattolici "adulti" come una espressione del laicismo nella società italiana. Non a caso Prodi ha dato di sé quella definizione andando a votare in occasione del referendum sulla procreazione assistita».
La signora Prodi non rientra in nessuna delle due categorie teoriche enunciate da «Avvenire», neolibersimo e neostatalismo, ma in quella non presa in considerazione dal quotidiano milanese: la categoria del buon senso che vede le differenze che invece don Gianni Baget Bozzo ed i suoi monsignorini non vogliono sottolineare, auspicando un'unità dei cattolici che si è dimostrata impossibile nei fatti. Quando i più strenui difensori dei valori della famiglia, erano quelli che la dottrina della Chiesa definiva un tempo «pubblici peccatori» per le loro storie sentimentali.
Sono convinto che ognuno abbia diritto a fare quello che vuole se non offende la legge, tra le mura di casa. Ma non si spaccino per libertini i tipi i coniugi Prodi.
Le differenze fra i Poli esistono, come dice la signora Flavia. Nessun editto emesso tra le mura leonine potrà eliminarle.
Il teorico del «bene comune» (che trova seguaci in capolista regionali della lista Veltroni!) aveva scritto anche che «l'unità dei cattolici si ricrea attorno ad una nuova cultura politica».
Ovviamente quella cultura politica, negando differenze di interessi e di traguardi, farebbe un frullato in cui non si distingue ciò che anche evangelicamente occorre tener distinto.
Lo ha detto il papa il 23 settembre a Velletri: «La vita è in verità sempre una scelta: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male». I papisti non lo ricordano?

09/10/2007
Nuovi nonnismi (a proposito di TPS)
Riproduco qui un commento che ho inserito in un blog della nostra testata. A proposito dei "bamboccioni" di TPS.
Tps
In Italia c'è un fenomeno preso poco sul serio: il nonnismo. Non nel senso antico degli scherzi da o di caserma.
Ma nel senso del potere dei nonni.
Potere delegato dalle famiglie che ne hanno bisogno, per i motivi che conoscono tutti.
Potere che si trasforma in un condizionamento psicologico dei nipotini che, se non vengono viziati, cade il mondo.
Basta vedere i quasi neonati al supermercato che reclamano dalla nonna la merendina 'supergrassa', e la ottengono immantinenente senza nessuna opposizione.
Non ci sono più le nonne di una volta, che i dolci li facevano in casa facendo risparmiare al portafoglio ed alla salute...
Non prendetemi per un passatista. Ma pensate anche a tutti i cambiamenti che avvengono, e dei quali i signori ministri non parlano perché loro in casa con gli stipendi che si ritrovano, hanno baby sitter e cameriere, e non hanno le necessità di noi gente comune.
Quasi 50 anni fa il mio professore di Pedagogia all'Università, Giovanni Maria Bertin, scriveva in un trattato sul carattere, che la maturità di una persona si vede da tre scelte: politica, professionale, matrimoniale.
Dobbiamo credo renderci conto di come sono inguaiati i giovani di oggi tra lavoro precario od assente, mille partiti che cantano al vento, ed un'idea di famiglia ancora da definire: non è quella dei nonni (ferrea), né quella dei padri (di certi padri o di certe madri del '68) libera, libertina, da «comune» come dicevano allora i 'cinesi' (da non confondere con Cofferati di oggi).
Come giudicare maturo un giovane oggi?
Che cosa scriverebbe un pedagogista oggi in un trattato come quello uscito 50 anni fa?
Sarei curioso di leggere queste vostre opinioni...

08/10/2007
Se il bus va a piazza Venezia
Scusate la confusione che ho in testa. La politica italiana, stando alle cose lette oggi, sembra essere una corsa di autobus che non seguono più i percorsi fissati, ma fanno salire e scendere i passeggeri dove e come càpita. Non si sa se per colpa del guidatore o di un diabolico piano carnevalesco che mescola mezzi e persone. E poi se succede che qualche passeggero protesta, allora giù tutti a dire: ma guarda questi qui che invece di ringraziare perché li scorrazziamo gratis dappertutto, hanno anche l'ardire di lamentarsi: ma dove si credono di essere?
Fanno tristezza le conclusioni di Luca Ricolfi nell'editoriale della «Stampa» di oggi sulle colpe dei partiti politici: «Se i nuovi soggetti politici proliferano come funghi d'autunno, è anche perché nei partiti maggiori la partecipazione è soffocata, i burocrati imperano, il dibattito è astratto e poca, pochissima, è la voglia di capire, di ascoltare, di misurarsi davvero con i problemi dell'Italia».
Fanno inquietudine le conclusioni di Marc Lazar su «Repubblica» di oggi nel pezzo intitolato «L'Italia malata di febbre antipolitica», per cui in Italia «il tempo stringe», mentre è in atto una corsa tra i demagoghi dell'antipolitica e «gli artigiani di una profonda rigenerazione della politica che punta a condizionare l'avvenire della democrazia in Italia».
In questa corsa, sono apparse anche stranezze come l'invito di Antonio Di Pietro a MVBrambilla alla festa dell'Italia dei valori di Vasto: «Gli astanti l'hanno acclamata come una star hollywoodiana, centinaia di foto ricordo e autografi», ha riferito Ugo Magri.
O come la proposta di Veltroni alla consorte di Berlusconi ad iscriversi al Pd. La signora Veronica ottimisticamente ha detto a Maria Latella del «Corriere della Sera»: «Forse Veltroni vorrebbe dare rilievo all'esperienza di una madre di famiglia, sia pure molto privilegiata. È un ruolo che per tante donne è ancora il più importante».
Il progetto di Veltroni era semplicemente quello di rimescolare ancora di più le carte, sperando di convincere una fetta dell'elettorato a lui avverso che, se la moglie del capo dell'opposizione appoggiava il principale partito di governo, allora si potevano fare ponti d'oro a questo partito ed al suo futuro segretario (lo stesso Veltroni).
Pia illusione, o errore strategico? Tutti i due aspetti, in questa corsa impazzita degli autobus, in cui chi cerca di arrivare a piazza Montecitorio si trova scaricato a piazza Venezia.

05/10/2007
I Conti di Mastella
Non ha tutti i torti il ministro Clemente Mastella quando distingue le persone che (come suol dirsi) si sono fatte da loro stesse, da quelle che hanno sangue blu o discendono da magnanimi lombi. I quali garantiscono rendite di posizione e di prestigio pure in una società democratica o presunta tale come quella italiana del 2007. Anzi Mastella ha ragione da vendere.
L'occasione per il suo politico distinguo, è stata la conferenza stampa di stamani con cui ha criticato la trasmissione di «Annozero» di ieri sera. Che ho non visto, avendo preferito ascoltare Rai.News.24 (sul digitale), dove si è parlato a lungo ed approfonditamente di due libri. Uno sui finanziamenti di Stato alle aziende editoriali, significativamente intitolato «La casta dei giornali» di Beppe Lopez. E l'altro sul lavoro precario.
Mastella stamani alludeva alla co-conduttrice di «Annozero», la contessina Beatrice Borromeo, che il ministro ha definito una «velinista», termine nuovo che farà scorrere fiumi d'inchiostro. E che credo possa spiegarsi come un incrocio fra la «velina» che balla nel tg satirico di Antonio Ricci e la cronista che guida una trasmissione d'attualità.
Se è così, c'è del genio e della serena perfidia da parte del ministro, in quella sua «velinista» sbattuta in faccia alla graziosa signorina Borromeo.
Mastella ha poi rincarato la dose, spiegando che il governo deve impegnarsi «per quei 7 milioni di italiani, soprattutto al sud, che non hanno come la signorina Borromeo ville di famiglia, isole su qualche lago...».
Bella battuta, bel programma politico talmente spinto a sinistra, che forse nelle prossime ore qualche rimorso verrà al ministro.
Mastella ha aggiunto: «Io ho il dovere, a differenza di altri, di badare a questi che a differenza di altri non hanno natali illustri, che si sono fatti da sè, che non hanno cognomi di case reali, di conti, di marchesi. Penso a questi giovani anziché a signorine di buona famiglia che evidentemente, non so con quali concorso, sono diventate veliniste di trasmissioni...».
Forse il ministro sa che in certi ambienti si diventa qualcosa o qualcuno senza bisogno di concorso.
Questa coda finale Mastella poteva risparmiarsela, lasciarla a chi critica lo strapotere della casta politica.
Mastella è uomo di mondo, sa essere spiritoso, ha diritto a sentirsi offeso, ma su questo aspetto non posso giudicare perché ho accuratamente evitato Santoro che mi provoca accenni di turbe psico-somatiche con quel suo affannoso dire per ore ed ore.
Oggi si è parlato tanto anche del termine «bamboccioni» usato ieri da un altro ministro, il famoso TPS, a proposito dei giovani che non escono dalle famiglie di origine neppure con i primi capelli bianchi.
Battuta infelice, ha commentato Veltroni. Battuta inevitabile, direi, in un Paese in cui la verità delle notizie nascoste emerge soltanto dal tg satirico di Antonio Ricci.
TPS è vittima di quest'Italia che è stata scossa recentemente da un comico come Beppe Grillo, e che crede di potersi salvare imitando il modello apparso sulla scena mediatica. Ma il modello sperava che i politici seri non imitassero i politici per scherzo come appunto lo stesso Grillo.
Ma... Ma c'è sempre un ma nella storia e nella vita.
Ma, come ha spiegato Veltroni oggi per via radiofonica: «La politica italiana ha perso la capacità di capire la vita reale delle persone».
Ma, come ha scritto concludendo il suo editoriale Lucia Annunziata sulla «Stampa» di oggi, le liste del Pd «sembrano straordinariamente poco nuove. Più un'operazione per portare dentro un pezzo di politica che era in attesa di entrare, che l'annuncio di un rigoglioso nuovo organismo».
Ma, di quanto accaduto nel grembo del Pd, non è però colpa né di Santoro, né di Mastella né della graziosa signorina Borromeo.

04/10/2007
Signora Veronica, io prima di Veltroni
Il capo dell'opposizione Silvio Berlusconi raccoglie orgoglioso ma con cauta freddezza, la «stima» esplicitata verso la propria consorte, e mette le mani avanti: l'aspirante segretario del Pd non avrà mai la signora Veronica tra i suoi fans, perché la signora non ama le occasioni mondane da «first lady». Bene. La signora evita di mostrarsi troppo in pubblico fra i politici forse perché non sempre è d'accordo con il consorte.
Ricordate la lettera del 31 gennaio scorso al direttore di «Repubblica»?
«Egregio Direttore, con difficoltà vinco la riservatezza che ha contraddistinto il mio modo di essere nel corso dei 27 anni trascorsi accanto ad un uomo pubblico, imprenditore prima e politico illustre poi, qual è mio marito. Ho ritenuto che il mio ruolo dovesse essere circoscritto prevalentemente alla dimensione privata, con lo scopo di portare serenità ed equilibrio nella mia famiglia. Ho affrontato gli inevitabili contrasti e i momenti più dolorosi che un lungo rapporto coniugale comporta con rispetto e discrezione. Ora scrivo per esprimere la mia reazione alle affermazioni svolte da mio marito nel corso della cena di gala che ha seguito la consegna dei Telegatti, dove, rivolgendosi ad alcune delle signore presenti, si è lasciato andare a considerazioni per me inaccettabili: " ... se non fossi già sposato la sposerei subito" "con te andrei ovunque"».
Credo che la signora Veronica sia per il Cavaliere uno spauracchio costantemente presente, per cui quando si tratta di parlare di lei, lui ci va con i piedi di piombo, dopo quella lettera...
Ho la massima stima della signora Lario. Di lei ho scritto soltanto una volta nel febbraio del 2006: «La signora Lario (al secolo Miriam Bertolini, ex attrice conosciuta da Berlusconi a teatro nel 1980 mentre recitava non troppo vestita ne «Il magnifico cornuto» con Enrico Maria Salerno), dimostra una pacatezza che ci suggerisce un'ipotesi. Nel caso in cui il suo consorte a conclusione delle operazioni elettorali risultasse vincitore ma faticasse a formare un governo, potrebbe scendere in campo lei stessa, incontrarsi con la signora Flavia Franzoni in Prodi e dare inizio ad un giro di consultazioni informali, per formare un innovativo "governo delle donne"». Sono arrivato prima di Veltroni a mettere gli occhi politici sulla signora Lario...
E tanto per vantarmi (cercando la signora Veronica ho trovato anche un vecchio Grillo...), ho riletto con segreto gusto un mio post del 25 novembre 2005: «Beppe Grillo ha dichiarato a Sebastiano Messina di Repubblica (ieri 24 novembre, pag. 15): «"Su Internet nasce la nuova democrazia". Aprendo questo mio blog (il 19 novenbre, avevo scritto: "Internet è strumento di democrazia. Speriamo che la democrazia faccia progressi non con la ragione delle armi ma con le armi della ragione. Ed auguri anche per un uso consapevole di Internet. Un uso rivolto non ad offendere ma a difendere le ragioni di tutti. Un uso intelligente al servizio del bene comune".»

03/10/2007
Fassino ingrassa
Mentre Veltroni invita Veronica Lario (signora Berlusconi) a militare nel Pd, Fassino ingrassa le stime per il voto del 14 ottobre. Infatti prevede due milioni di partecipanti alle primarie.
Si sa che la soglia minima di un milione è stata variamente considerata. Per la Bindi sarebbe un flop, per Prodi un successo.
Il gioco dei numeri di qui alla data fatidica è forse destinato ad avere altre sorprese.
Forse Fassino è al corrente di sondaggi riservati, come quelli che ama il marito della signora Lario.
Forse Fassino confida nel fatto (indubbiamente matematico) che l'alto numero di candidati e di addetti all'organizzazione dei seggi, riuscirà a raccogliere una buona percentuale di parenti grati e lusingati.
Insomma una roba fatta in famiglia, dove i problemi del Paese conteranno meno delle voci in capitolo di portaborse, addetti alle segreterie, portavoce e suggeritori vari.
Insomma una roba di quelle che sarà più importante sapere chi non c'era, per poter dire di lui: oh, finalmente uno che pensa con la sua testa, e non la china davanti agli ordini di scuderia.

02/10/2007
Ci vuole un flop
Come il lettore Bruno Vergano di Asti (ne leggo la lettera nella «Stampa» di oggi), anch'io sono «tra quelli che due anni fa votarono per Prodi candidato del centrosinistra» e sono come lui uno che non andrà a votare il 14 ottobre.
L'operazione condotta da Veltroni (o per suo conto) è stata puramente di vertice.
Le liste sono nate nei segreti delle segreterie di partito con l'antichissimo metodo della spartizione dei posti.
Sono state oltretutto imposte (con solenne ipocrisia) non figure nuove ma figure blindate. Ovvero personaggi che alla politica sono stati spinti non da motivi ideali, ma dagli interessi dei gruppi che li hanno non proposti soltanto ora bensì inseriti prima in esperienze locali, poi (adesso con la nascita del Pd) a livello più alto. Perché continuino a fare gli interessi dei gruppi che stanno alle loro spalle.
Voterà un solo milione di persone per il Pd, il 14 ottobre?
Per la democrazia, per l'esperienza dell'Ulivo, per il futuro dell'Italia, auguriamoci che siamo meno, molto meno, per riuscire a svegliare i dirigenti degli ormai ex-partiti di centrosinistra, per realizzare quelle riforme che sono necessarie al Paese, per dare speranza a tutti che veramente si possano cambiare le cose.
Immagino che mi si dirà che sono un illuso. Pazienza. Ma la soglia minima del milione di voti che Rosy Bindi giudica un flop e Prodi un successo, non deve essere raggiunta per dimostrare a Veltroni che la gente non è tanto credulona come «loro» se la immaginano.
Fabio Fazio ha ricordato sulla «Stampa» del 29 settembre che Veltroni nella sua trasmissione gli aveva dichiarato l'intenzione di abbandonare la politica per sempre per andare in Africa.
Maurizio Crozza in un'intervista a «il Venerdì» ironizza sul fatto che che il pensiero di Veltroni ha una novità assoluta, il «ma-anchismo». Il sindaco di Roma cerca infatti di abbracciare e sostenere ogni cosa che esiste, anche le coppie di realtà in contrasto fra loro. L'ironia parodistica di Crozza forgia questo ragionamento 'veltroniano': «Siamo per la libertà ma anche per la schiavitù... non possiamo lasciarla alla destra».
Dietro l'ironia di Crozza, dietro il rimprovero di Fazio, c'è un reale disagio provocato dal trionfo della solita retorica molto berlusconiana che non avremmo mai voluto rivedere e riproporre anche nel centrosinistra. Quella retorica alla quale chi, appunto da centrosinistra come il lettore Bruno Vergano di Asti, crede nei fatti dovrebbe opporre la lontananza della urne il 14 ottobre prossimo.
Per dare «un segnale forte» alla classe politica con tale orientamento, circa la «mancanza di idee e progetti convincenti». Rubo la citazione a Joaquìn Navarro-Valls che ieri in lungo articolo su «Repubblica» usava queste parole riferendosi però a tutta la classe politica italiana.
Navarro-Valls ritornava sul tema dell'antipolitica, parlando di una «dissacrazione qualunquistica» avvenuta per colpa di Grillo.
Davanti ai pareri autorevoli ci togliamo il cappello, ma restiamo della nostra idea. La denuncia di una crisi, non è la causa di una crisi.

Antonio Montanari


2604/09.02.2018