Politica. Articoli vari del mese di Marzo 2007, blog de "La Stampa"

31/03/2007
Dignità è donna
In politica. Due casi. E due lettere indirizzate allo stesso quotidiano di Roma.
La prima del 31 gennaio è firmata da Veronica Berlusconi (all'anagrafe Miriam Bartolini) che scriveva al marito, Silvio Berlusconi, non avendo occasione di trovarselo di fronte per dirgliene quattro sulla faccia.
La seconda del 28 marzo, è di Livia Aymonino, consorte di Silvio Sircana, portavoce del governo, fatto oggetto di attenzioni fotografiche al limite del ricatto.
Berlusconi era stato galante con alcune attriccette della televisione durante una pubblica cena.
Miriam Bartolin ha tagliato corto: le parole del marito (per apprezzare la bellezza delle fanciulle), lei le considerava «lesive» della sua «dignità», e non «scherzose esternazioni».
Livia Aymonino ha scritto: «Bisogna stare dritti. Quando ondate di fango, di parole, di dolore, di nulla ti travolgono a tua insaputa, malgrado te, bisogna stare dritti perché se ti pieghi hanno vinto loro, le calunnie, le parole, il fango, il nulla».
Morale. Con poche parole due signore, tirate indirettamente per i capelli alla ribalta della cronaca, hanno detto con una chiarezza morale esemplare il loro pensiero per condannare idiozie che non gradivano. Miriam Bartolini si riferiva al comportamento del marito, Livia Aymonino alla campagna diffamatoria contro il marito.
Entrambe hanno costruito tutto il loro discorso attorno al tema della «dignità», parola usata espressamente da Veronica Berlusconi e parola richiamata da Livia Aymonino indirettamente sia nel concetto che «bisogna stare diritti» se ti tirano il fango, sia nel suo dichiarare fiducia alla «onestà specchiata e intellettuale» del marito.
Dobbiamo essere grati a Miriam Bartolini ed a Livia Aymonino del loro coraggio nel dire in pubblico cose che non riguardano soltanto loro e le loro famiglie. Alle quali auguriamo quella serenità di cui la vita pubblica italiana ha grande bisogno.

29/03/2007
Le vecchie zie

Cari lettori, dalla redazione ricevo una mail: il mio blog è finito «linkato in modalità fissa» nella pagina di «Politica» del sito StampaWeb.
Sono commosso (sinceramente) e preoccupato. Da vecchio cronista so che occorre essere sempre all'altezza della situazione, in ogni momento. Questo mi costringe a non prendere sottogamba né il blog né l'onore che ricevo dalla segnalazione.
Dico tutto ciò non per smanceria, ma per scusarmi in anticipo con eventuali navigatori delusi o disillusi.
Andiamo ad incominciare questa nuova fase, partendo da una foto di quest'oggi: il creativo cinese Zhu Fei, alla gara di design di gioielli a Pechino, ha presentato un paio di occhiali d'oro che lasciano vedere ben poco.
Sono adatti a rappresentare l'odierno quadro politico italiano.
Dove si osserva molto, si vede poco e si capisce ancor di meno.
Fuori di metafora: democrazia è comunicare, farsi intendere, non imitare il gatto che gioca con il topo e magari poi arriva una vecchia zia che prende entrambi a ciabattate.
A noi piacciono le vecchie zie dappertutto tranne che in politica.
L'Italia in politica purtroppo abbonda di vecchie zie che sanno tutto, spiegano tutto, pretendono tutto e scambiano il cielo per il loro cervello.
Ovvero ci fanno solenni ramanzine per dichiarare che tutto quello che fanno gli altri è sbagliato. Non se se può più.
Le vecchie zie hanno i portafogli pieni, la sapienza filosofica a dispense, il rimedio a tutti i mali senza ticket sanitario.
Nella pagina della politica, sotto il titolo del mio blog, c'è quello «Amarcord Cinquecento» che unisce una parola nata nella mia città (Rimini) come titolo del celebre film di Fellini, a quello dell'auto su cui ho imparato a guidare.
La «Cinquecento» della Fiat ha fatto più, per creare democrazia tra la gente, di tanti governi d'ogni colore.
Le vecchie zie non amano la «Cinquecento», preferiscono carrozze tirate dai cavalli, quelle di quando la gente stava a dieta per mancanza di cibo, e stendeva la mano a chiedere elemosina.
È questa l'Italia che sognano le vecchie zie. Ritroviamo lo spirito della «Cinquecento», ed andiamo avanti con la dignità che si richiede a tutti in una avventura comune.

24/03/2007
Bada come parli!

L'altro ieri ho letto il post interessante di Max Giordani su Gino Strada.
Ho visionato qualche commento. Mi ha impressionato quello di una persona che non si firma con il suo vero nome, ma come Grisostomo.
A cui Max ha risposto: «Non accetto chi, protetto dall'anonimato, si comporta come le donnicciole isteriche permettendosi insulti».
A mia volta ho commentato:
"Hai scritto, ed a ragione, «Non accetto chi, protetto dall'anonimato, si comporta come le donnicciole isteriche permettendosi insulti».
Sottoscrivo, dunque.
Da sempre sul Web combatto contro l'anonimato, segno di un esibizionismo patologico (altro che porno in tv!).
Combatto al punto che ormai mi rassegno a scrivere poco o nulla d'attualità per non lasciar spazio ai cretini."
Orbene: questo Grisostomo mi inviato una mail per chiedermi se volevo essere querelato.
Mia mail di risposta:
«Egregio architetto,
le chiedo scusa se lei si è sentito offeso da un discorso che ho fatto genericamente circa il web e certe usanze degli utenti.
C'è un malinteso di fondo. Non si può avere colpa se si parla di anonimato non conoscendo in calce ad un testo letto nome e cognome della persona che scrive.
Credo che lei possa convenire su questo fatto che non riguarda la sua persona di cui ignoro tutto, essendo possibile sul web spacciarsi per quello che non si è...
Credo che su questo aspetto non ci siano dubbi.
Dal punto di vista giuridico il reato di diffamazione si configura soltanto quando si dichiara l'identità legalmente anagrafica. Se lei che si chiama [omissis] dichiara di essere Grisostomo non può pretendere di non essere considerato un anonimo, ma soltanto di presentarsi con uno pseudonimo di cui dovrebbe rispondere penalmente se dichiarasse cose perseguibili, dato che si può risalire con l'IP a chi commette un reato per via informatica.
Abbia la più sincera espressione del dispiacere creato dall'episodio.»

19/03/2007
Privacy diseguale

Le cronache giudiziarie, politiche e mondane registrano gli interventi dell'Autorità per la tutela della privacy, dopo che è successo un fatto od un fattaccio che ha avuto per protagonista un uomo politico.
Il quale non ha commesso nessun reato, tranne che una mancanza di cauto buon gusto girando di notte per certe strade.
A me preme sottolineare il fatto che quell'Autorità per la privacy si è prontamente mossa.
Se un privato cittadino le si rivolge non trova ascolto, mentre gli uomini pubblici sono immediatamente tutelati.
Due anni fa una lettera con notizie false aveva fatto chiudere un mio sito come illegale.
Il gestore del sito aveva ricevuto la dimostrazione che quelle notizie erano false, ma non aveva mosso un dito per riaprire il sito.
Il Garante della privacy non mi ha nemmeno risposto.
A gennaio è finito in carcere chi aveva fatto scrivere la lettera con le notizie false a mio danno.
Il gestore del sito lo ha riaperto ancora prima di sapere che l'avvocato che da Milano aveva scritto e formato la lettera con le notizie false sarà tra poco processato a Rimini (dove abito) per diffamazione a mio danno.
Signor Garante, ma lei chi garantisce? Solo i potenti del Palazzo o del mondo mondano?

13/03/2007
Elezioni, Prodi deve tacere

Anche le parole e le espressioni della politica sono soggette a logoramento. Anzi, la stanca ripetizione di formule ne favorisce un deperimento ben più veloce e grave di quello fisico a cui tutto è naturalmente assoggettato. Nel bagagliaio della cronaca di questi ultimi giorni è stata deposta anche la valigia della «riforma elettorale». Di cui si legge che è stata inserita nel calendario delle attività di governo.
L'agenda del premier Romano Prodi si è così arricchita di una nuova voce, giudicata strumento strategico per sopravvivere. Una specie di carota (la riforma del sistema elettorale) davanti all'asino (gli elettori e l'opposizione) da condurre sino alla fine naturale della legislatura.
Lasciamo da parte queste interpretazioni da «visto da destra» e «visto da sinistra», per cui ogni atto è giudicato secondo una supposta convenienza di parte, finalizzata a raccogliere i frutti del lavoro compiuto od impedito (mors tua, vita mea). L'Italia, e non soltanto da oggi, è giunta ad un grado tale di crisi di governabilità che non basta più proclamare prima e dopo i pasti principali secondo il rito telegiornalistico, che tutto va rifatto, mutato, rivisto. Occorre che ci si renda consapevoli che già un precedente esperimento di «bicamerale» non è approdato a nulla, che non spetta ad un governo inserire in agenda la riforma elettorale, che infine la posizione centrale del Parlamento nell'organizzazione politica dello Stato fa sì che il governo governi e le Camere legiferino.
Non deve essere il capo dell'esecutivo (un nome, un destino) a guidare il gioco del mutamento. Si corre il rischio, se si ha in Parlamento una maggioranza forte, di far nascere una legge elettorale che potrebbe essere definita (cosa già successa) una bella «porcata», favorendo il governo in carica nella successione a se stesso (non verificatasi fortunatamente con la precedente riforma).
In caso contrario, con un leader a palazzo Chigi che fatica a far tornare i conti dei seggi di un ramo del Parlamento (come sta succedendo al Senato con Prodi), si potrebbe tentare una soluzione compromissoria rivolta a salvare capra e cavoli, e non a tutelare il rispetto della Costituzione ed i diritti degli elettori. Ai quali ora è tolto ogni giudizio sui candidati, con la predestinazione degli eletti in base alle scelte dei partiti in lizza.
Il rispetto della Costituzione si ha soltanto se ci si ricorda dei limiti posti dall'art. 71 della Carta fondamentale: al governo è riconosciuto il diritto di «iniziativa» delle leggi, mentre (art. 76) non può essergli attribuito l'«esercizio della funzione legislativa».
Se un premier comincia a trattare con l'opposizione sul testo di una legge di riforma elettorale che deve discutere il Parlamento, sembra uscire dal seminato costituzionale dell'art. 71 (il diritto di «iniziativa») per invadere un campo non proprio che però non è quello previsto dall'art. 76 («esercizio della funzione legislativa», ma «soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti»), bensì il terreno più vasto ed indeterminato dell'opportunità tutta politica di tenere rigidamente distinti ruoli e figure dell'impianto costituzionale dello Stato.
Quindi da palazzo Chigi era preferibile far partire un invito al Parlamento attraverso il ministro che ne regge i rapporti e che dovrebbe curare (secondo la dizione ufficiale attuale) pure le «Riforme istituzionali», al solo scopo di promuovere l'azione di Camera e Senato, senza l'intervento diretto del presidente del Consiglio.
Prodi è una delle parti in causa. Deve governare, e basta, non può contribuire a discutere con l'opposizione una legge da cui dipende non il futuro personale del capo di governo ma quello generale di tutta la rappresentanza politica dello Stato che si trova già formalmente e sostanzialmente presente nei due rami del Parlamento.
Prodi si è precostituito una via di fuga parlando di «dibattito informale». Ma non basta. Non deve mettere né naso né bocca nella legge di riforma elettorale, altrimenti diventa un leader alla Berlusconi, diverso da quello che abbiamo votato alle primarie e fatto salire al ruolo di capo del governo alle passate elezioni politiche.
Antonio Montanari

11/03/2007
Potere blogger

Tutto il potere ai soviet, disse uno. Non lo imito dicendo: tutto il potere ai blog. Per carità. Però anche i blogger nel loro piccolo, come le formiche di quel famoso libretto einaudiano, possono "alterarsi". Ed alla fine ottenere qualche risultato.
La storia in breve è questa. Sui quotidiani locali e nazionali appare un comunicato in cui si dice che nella mia città è stato «ritrovato» un manoscritto del XVII secolo. La notizia, detta soltanto così, è una balla bella e buona.
«Ritrovato un corno», semmai ne è stato identificato l'autore. Chiedo lumi ad un funzionario responsabile. «Ritrovato significa identificato l'autore, non il rinvenimento fisico dell'oggetto?». Mi si dice che è così. Oltretutto se l'oggetto «ritrovato» fosse stato materialmente rivenuto avrebbe voluto dire che era andato perduto, e la gente si sarebbe chiesta: ma come si fa a perdere un manoscritto in una pubblica istituzione destinata alla conservazione dei beni culturali?
Dunque, nulla di drammatico (perdita e ritrovamento), ma soltanto l'attribuzione certa della paternità dell'autore (un illustre sconosciuto ai più) di quel manoscritto. Benissimo.
Però il comunicato contiene un'altra affermazione da contestare: di quel manoscritto si erano perse le tracce dalla fine del 1700. Falso. Quel manoscritto appare in un catalogo ottocentesco con il nome del suo autore, a cui oggi se ne attribuisce la paternità. Ed appare pure in uno studio recente (1986) sui manoscritti lasciati nel XVIII secolo alla città da un suo figlio illustre, il cardinal Giuseppe Garampi.
Tutta la novità della scoperta del 2007 sta nell'aver identificato la corrispondenza tra il manoscritto e la sua edizione a stampa. Novità seria ed importante per gli specialisti. Quindi una scoperta c'è stata, ma non nei termini con cui è stata presentata alla stampa. Ma la colpa è di chi ha scritto il comunicato, non di chi (come noi) lo ha letto sui giornali chiedendo lumi agli esperti.
Quando il discorso appare sopra un blog "ufficiale" curato dal sottoscritto, si aprono le "danze" delle polemiche sia scritte sia sgraziatamente orali alla presenza di estranei.
Morale della favola: anche un piccolo blog può servire a qualcosa, soprattutto se fa agitare chi non la racconta giusta.
Non "tutto" il potere ai blog, dunque, ma soltanto quello di controllare quanto si legge sui quotidiani per verificarne l'esattezza. Più odiano noi blogger, più possiamo sentirci utili.

08/03/2007
San Marino. Capo dello Stato? No, sei disabile.

Capo dello Stato? No, sei disabile. Succede a San Marino, dove i capi di Stato sono due, si chiamano Reggenti e durano in carica sei mesi.
Mirko Tomassoni era candidato per il semestre che si inaugura il primo aprile 2007. Lo hanno scartato. Non può accedere al trono della Eccellentissima Reggenza con la carrozzina su cui deve muoversi. Quindi non può governare. Semplice, no?
San Marino con orgoglio si proclama «L'antica terra della Libertà».
Ovviamente sei «libero» soltanto se sei libero anche di muoverti. Come invece non può fare Mirko Tomassoni. Che quindi tanto «libero» benché sammarinese non è.

07/03/2007
Rimini, politici hard

Alcuni consiglieri comunali di Rimini visitavano i siti porno utilizzando computer dell'amministrazione pubblica. La denuncia viene da Antonella Beltrami, assessore ai servizi informatici del Comune di Rimini. La riporta il quotidiano Corriere Romagna di oggi. Gli episodi, come precisa la signora Beltrami (nella foto), risalgono a «qualche anno fa».

01/03/2007
Coppola e Rimini

Come in tutte le storie che si 'rispettino' anche in questa dell'arresto di Danilo Coppola, la mia città, Rimini, c'entra.
Basti citare la dichiarazione ufficiale del sindaco che riporto qui sotto.
Di mio aggiungo che l'imprenditoria riminese è troppo disinteressata alla sua città, ed allora si aprono le porte a conosciuti e sconosciuti che vengono da fuori facendo tremare un'economia già in affanno di suo.
Ma di questo non si vuol parlare perché non è un argomento politicamente corretto. Insomma tutto fa brodo, e poi dobbiamo leggere le parole del primo cittadino per quest'occasione di cronaca nera.
Ecco che cosa ha scritto in un comunicato ufficiale delle 15:11 il sindaco Alberto Ravaioli:
"La notizia dell'arresto di Danilo Coppola crea più di una preoccupazione nella comunità locale, visto che lo stesso è a capo del gruppo imprenditoriale italiano che di recente ha acquisito il Grand Hotel di Rimini.
Allorché fu ufficializzato l'acquisto dell'albergo, dichiarai pubblicamente che la nuova proprietà avrebbe dovuto tenere conto della storia e del ruolo fondamentale che il Grand Hotel riveste per Rimini. Avevo aggiunto che avrei attivato un confronto con la nuova proprietà per essere messo a parte dei progetti e delle iniziative in grado di consolidare la magia di un simbolo davvero patrimonio della collettività riminese. Devo dire che, nonostante le numerose sollecitazioni, in questi mesi non ho mai avuto risposte in tal senso.
Le notizie odierne dei guai giudiziari che hanno investito Danilo Coppola hanno dunque una ovvia ricaduta sul Grand Hotel il quale- è l'auspicio che come Sindaco di Rimini mi sento di fare- ha assoluta necessità di non cadere in labirinti che rischierebbero di comprometterne il futuro e dunque la valenza per l'intera città."

Antonio Montanari


2594/08.02.2018