Politica. Articoli vari del mese di Maggio 2007, blog de "La Stampa"
30/05/2007
Le 999 ragioni di Prodi

Nell'intervista di Romano Prodi a Repubblica di stamani, ci sono 999 ragioni del leader del Partito democratico e premier. Ne manca soltanto una per arrivare alla proverbiale quota di mille. Questa: che chi aderisce alla sua linea politica deve smetterla di sottostare ai giochetti di potere clientelare. Punto e basta.
Per un'Italia nuova si deve cominciare di lì. Prendendo in considerazioni che gli astenuti di sinistra vogliono sottolineare proprio questo dato. La stanchezza degli elettori non compromessi in quei giochetti. Chi ci è immerso sino al collo, è andato a votare. Perché ha ricevuto un favore, e perché il voto è ben controllabile nei seggi, dove si vede chi ci va e non ci va.
Chi vota «per grazia ricevuta» non può far di meglio. Ma il prof. Prodi prenda in considerazione la minaccia delle astensioni già annunciata da questa tornata amministrativa. E che potrebbe essere messa in atto da quanti credono che i favoritismi siano spesso l'anticamera di una corruzione maleodorante. Ormai insopportabile.

29/05/2007
Spallata no, ceffone sì

Il presidente del Consiglio Romano Prodi non si meraviglia del risultato elettorale. Con una calma olimpica ha detto: «Era un risultato assolutamente atteso». Ha ripetuto che il suo programma riguarda cinque anni. Il primo è servito ad aggiustare le cose. Per cui la gente è rimasta scontenta.
Il ragionamento non fa una grinza. Però caro Prodi, consideri che dalle primarie in avanti lei ha perso consenso, e non certo per colpa sua personale e del suo "piano quinquennale" né per meriti particolari dell'opposizione. Che non le avrà dato una spallata come il Cavaliere sperava, ma un ceffone sì.
Sono convinto che iniziative come il Giorno della Famiglia siano state un bel servizio per l'opposizione, così come i Comitati civici di Gedda per la Dc del dopoguerra.
Anche lei vuole fare «l'antipolitico», ho letto sulla Stampa di stamane nel pezzo di Fabio Martini.
È una reazione stizzita. Più adatta ad un D'Alema che nella scuola di partito era stato abituato a considerare deviazionismo ogni critica alla decisioni della segreteria.
No, caro Prodi, l'Italia ha bisogno di nervi saldi perché abbiamo già troppe esperienze di discorsi a vanvera, come quello di Berlusconi che vuole far costruire dallo Stato case da concedere gratis alla gente. Magari ai ricchi evasori fiscali mascherati da poveri: succede, succede.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, da Avellino, ha suggerito rigore ed impegno da parte di tutti per rispondere alla crisi della politica italiana. Un discorso calmo, un invito alla responsabilità. La denuncia della crisi, ha detto, non deve essere fine a se stessa.
Caro presidente, lo ripeta tutti i giorni a tutti i politici che incontra: l'Italia ha bisogno di vedere realizzata una democrazia sostanziale che aiuti i giovani, non derida i vecchi, premi i meriti, non coltivi soltanto la malapianta delle raccomandazioni. Un Paese che (lo ha detto Prodi a Firenze) ponga dei limiti al lavoro precario che «distrugge una generazione».
Un Paese in cui vien da ridere pensando al fatto che sino ad ieri l'anti-Stato veniva collocato nel Sud, ed adesso è stato trasferito al Nord. È nata la questione settentrionale, ma non è stata risolta quella meridionale.
Coraggio signori. Vogliamo un Paese in cui i commenti freschi alle elezioni si ascoltino anche sulle reti della Rai. Ieri sera prima di cena c'è stato soltanto il fido Fede, e dopo è andata in onda una tavola rotonda sulla Sette.
Libertà è anche informazione, non soltanto per il canone versato.

28/05/2007
Turco, ha ragione

Dove sta tutto lo scandalo provocato dal ministro Livia Turco, circa l'auspicato intervento dei Nas nelle scuole?
Faccio un esempio. Se scoppia un incendio, intervengono i vigili del fuoco con gli idranti. Non arrivano gli addetti alle pubbliche relazioni spirituali a spiegare che quelle fiamme possono raffigurare il nostro destino ultraterreno perché siamo tutti dei peccatori.
Gira la droga nelle aule? Si chiama tecnicamente spaccio. Il potere del corpo docente è limitato all'uso del telefono per chiamare la più vicina caserma dei CC od un ufficio di Polizia.
Nessun docente può perquisire un alunno. Nessuna prof. può odorare lo zainetto o chissacosa di un allievo per vedere se il fanciullino vi nasconde sostanze da smerciare.
Dove sia lo scandalo non vedo.
Una cosa è l'uso personale sul quale può intervenire l'opera educativa (ma chi educa a che cosa, stando a quello che si legge?). Un'altra faccenda è lo smercio di sostanze proibite.

27/05/2007
Allarme voto

Il mio post «Bulli over 40», dove si parlava anche del congiuntivo (la cui crisi è stata presa da Alfio Caruso a simbolo della crisi della società italiana), ha ricevuto molte attente, ponderate risposte.
Ho già scritto in calce ai commenti che ai politici italiani d'ogni colore più che il congiuntivo piace il condizionale, anzi la condizionale.
Non possiamo cavarcela con una battuta che poi alla fine non è tale. Perché nel frattempo il discorso politico si è allargato ed allarmato.
Ho accumulato tanti ritagli da non poter citare che quelli più freschi.
Omar Calabrese, semiologo, e Giampaolo Pansa (giornalista e storico) buttano oggi alle ortiche la tonaca del Partito democratico con una delusione che troverà altre, numerose e forse infinite conferme nei prossimi giorni.
Il problema non è da poco. Chi scrive sui giornali ha un sèguito non indifferente. Calabrese e Pansa non sono due blogger da nulla come il sottoscritto. Fanno opinione. Ma nello stesso tempo fanno da termometro. Il loro sfogo racconta molto della crisi della politica italiana.
Adesso le fonti ufficiali diranno che la colpa è tutta della cosiddetta «antipolitica», appoggiandosi proprio al grido di Pansa di «viva il qualunquismo, viva l'antipolitica».
Credo che la cosiddetta «antipolitica» sia soltanto l'espressione non soltanto del diffuso malessere che ormai tutti notano (anche l'algido D'Alema), ma proprio la manifestazione di un progetto politico vero e proprio. Per far contare non i voti delle correnti dei partiti confluenti nel Partito democratico, ma i voti dei singoli cittadini. I quali hanno bisogno di respirare un'aria diversa da quella fumosa e nebbiosa delle segreterie nazionali, regionali, provinciali ed infine di quartiere. E magari di condominio.
I nostri politici di ogni colore si leggano sulla Stampa di ieri il testo di Luca Ricolfi : «Chi fa tutti i giorni il proprio dovere, ma non ha una rete di relazioni che lo sostiene e lo protegge, si accorge sempre più sovente che il gioco è truccato».
E su quella di oggi l'intervento di Barbara Spinelli: «Se è veramente forte, il politico non s'indigna se criticato».
La forza del politico dovrebbe servire per cancellare la debolezza del cittadino, non per schiacciare chi non gode di «una rete di relazioni che lo sostiene e lo protegge».
Il discorso è molto semplice. Se i nostri politici, per gretti interessi di bottega, non lo capiranno, sì che spunteranno i fenomeni qualunquistici dell'«antipolitica». È già accaduto quando l'operazione «mani pulite» era all'inizio applaudita da quanti poi si schierarono contro di essa. Vista da alcuni come occasione per spazzare via la vecchia classe dirigente, essa si rivoltò verso di loro.
L'articolo di Ricolfi di ieri cominciava così: «Qualche politico comincia ad avere paura, altri fingono di essere preoccupati, altri ancora preferiscono minimizzare. Certo è che da qualche settimana lo spettro del 1992 ritorna ad aleggiare nei palazzi della politica».
I prossimi giorni potrebbero farci capire se quello spettro spazzerà via gli abitanti del Palazzo in preda al panico o se sarà lo spettro ad essere espulso con la precisa coscienza che occorre cambiare musica nella direzione politica del Paese. Per ascoltare le esigenze della gente comune, non le richieste dei privilegiati e dei raccomandati. Si chiede troppo ad un Paese che voglia restare (o piuttosto divenire finalmente) democratico?

25/05/2007
Cherchez la femme

«Cherchez la femme» sostenevano una volta (in ordine d'importanza) i commissari di Polizia e quelle vecchie zie tanto care a Leo Longanesi (il quale sperava da loro la salvezza dell'Italia) ed a Alberto Arbasino. Che ne ha fatto un punto ricorrente delle sue memorie. Per dire che, in fin dei conti, erano meglio loro delle bisnipoti di sempre.
Personalmente credo che avessero ragione soltanto i commissari di Polizia.
Questa volta la scena non è quella del rimpianto politico o domestico, né quella di un delitto che richiede la ricerca di un colpevole.
Questa volta la «femme» la conosciamo prima delle indagini, non è un'immagine astratta fatta di rimpianto.
È il volto reale di una persona che s'è affacciata sulla scena politica, mandata avanti da Silvio Berlusconi a mettere il cappello sopra una sedia che potrebbe diventare la poltrona di leader politico di Forza Italia, o addirittura quella di Palazzo Chigi.
Questa «femme» apparsa nello splendore della sua bellezza e nel fascino della messaggera che parla non soltanto a titolo personale, ma addirittura per volere del suo «conducator», si chiama Michela Vittoria Brambilla, ed è diventata in breve lo spauracchio di tanta gente.
Perché ieri Luca Cordero di Montezemolo ne ha dette tante da Confindustria al punto da irritare lo stesso Cavaliere che avrebbe dovuto soltanto applaudirlo?
LCM s'è buttato nell'arena politica perché ha mangiato la foglia. Ha compreso che Silvio ha già scelto un erede fuori dal gruppo storico di Confindustria, ha scelto addirittura una donna: la signora Brambilla.
E così giù con la lista delle cose che non vanno. Mentre Silvio con saggezza epicurea rimproverava a LCM di non aver compreso che quando governava lui tutto andava benissimo, per cui Confindustria avrebbe dovuto sostenerlo e fargli rivincere le elezioni.
Berlusconi ha detto, in nome di quella saggezza, che chi è causa o concausa del suo mal «pianga se stesso». Proverbio da vecchia zia, utilissimo per lanciare una pregevole nipote, la signora Brambilla, appunto.
Post scriptum.
Ringrazio quanti sono intervenuti commentando il precedente «post» sui Bulli over 40.
Prometto di ritornare sul tema. Ho letto bellissime pagine di commento.
La storia del congiuntivo è simbolica.
Per lasciarci per ora con una battuta, si potrebbe dire che molti al congiuntivo, nella classe politica in gran parte sgrammaticata che ci affligge da ambo le parti, hanno preferito l'elogio del condizionale, anzi della condizionale.

23/05/2007
Bulli over 40

Un lettore mi ha chiesto di «spiegare» il bullismo. Non ho nessuna particolare preparazione per intervenire sul tema, se non l'esperienza personale maturata anche in un ambiente oggi al centro di non disinteressata attenzione, la scuola. Che nei tg si vuol far passare come un ricettacolo di malavitosi (in cattedra e sui banchi).
Quando avevo vent'anni (circa mezzo secolo fa) succedeva la stessa cosa. Un ragazzo scrisse una lettera al Corriere della Sera, alla pagina «Tempo dei giovani» per lamentare appunto la diffusione soltanto di cinismo, indifferenza, etc.
Ricordo che gli risposi per smentirlo, e che poi entrammo in cordiale corrispondenza privata. Lui mi scriveva da un carcere dell'Italia centrale.
Concordo con «Prussiano». I gesti e gli atti che lui elenca sono reati previsti dal Codice penale. E che come tali vanno trattati.
Condivido la sua ironia («In italiano si chiamano REATI, in inglese non saprei ...»).
Gli suggerisco di leggere sulla «Stampa» di oggi l'articolo di Alfio Caruso, che parte da questo assunto: «il crollo del congiuntivo nella lingua parlata» ha anticipato «il crollo delle piccole regole del nostro vivere quotidiano», per cui alla fine non c'è più distinzione fra le cose buone e quelle cattive.
Aggiunge Caruso:«Per acquisire la fluidità necessaria a onorare il congiuntivo da mattina a sera servivano la pazienza, la tenacia di schiere d'insegnanti e il rigore dei genitori. Finché la famiglia e la scuola hanno retto, finché ci sono stati padri e madri persuasi che l'insufficienza o la bocciatura del figlio non fosse addebitabile al malanimo dei professori e finché questi hanno creduto di esercitare una missione, non di svolgere un lavoro salariato, il congiuntivo è rimasto sulla breccia a ricordarci l'importanza della forma, la prevalenza del dovere sulla comodità».
In linea con la premessa di «Prussiano» e con le interessanti argomentazioni di Caruso, aggiungo che non c'è soltanto il bullismo scolastico, ma pure quello degli adulti over 40 ed over 50.
Un bullismo da capelli grigi, da gente che si presenta apparentemente «perbene». E che invece è molto lontana dall'immagine che essa diffonde attorno a sé.
Faccio alcuni esempi. Rigorosamente personali.
Due anni un mio sito fu chiuso dal gestore perché «qualcuno» gli fece scrivere una lettera da un legale, in cui falsamente mi si dichiarava inquisito per diffamazione in due sedi giudiziarie.
Dimostrato con atti legali che le notizie inviate al gestore erano appunto false, lo stesso gestore non ha riattivato il sito. Lo ha fatto tre mesi fa quando gli ho trasmesso foto di un giornale in cui quel «qualcuno» su nove colonne era dichiarato trasferito nelle patrie galere.
Secondo esempio. Alcune settimane fa in un blog che curo per un'istituzione pubblica locale, commento una notizia culturale in cui si dice che è stato ritrovato un antico manoscritto di cui non si avevano notizie dal 1790, etc.
Dimostro che quel manoscritto non era andato mai perduto, che se ne era parlato anche in un testo di dieci anni fa, che era registrato persino attorno alla metà dell'Ottocento in un indice tuttora esistente e consultabile su Internet.
Morale: pubblicamente sono aggredito da un funzionario del settore di cui parlo, perché avevo osato intervenire su un fatto che non è un argomento privato da amici al bar.
Infine. Qualche settimana fa ad un quotidiano locale arriva una mail segreta firmata che è pubblicata per sostenere che quanto da me scritto dieci anni fa (1997) è stato plagiato da un libro pubblicato... nel 2004. Il quotidiano rende noto soltanto lo pseudonimo del mittente, che per aver riscosso il credito della dignità della pubblicazione non dev'essere figura sconosciuta a chi ha reso nota quella mail. Spacciandola oltretutto come un libro apparso a stampa.
Ecco, questi sono atti di bullismo che conosco per esperienza personale, compiuti non da ragazzi in crisi d'identità ma da personaggi che sanno come 'lavorare' per maltrattare il prossimo, anche se poi a volte il gioco non riesce del tutto, e trovano sul loro cammino la Giustizia che li ferma almeno per un po'.
Ecco, questo bullismo da over 40 od over 50, è pericoloso quanto l'altro, ma soprattutto dimostra che la gestione delle cose pubbliche è sottoposta al vincolo mafioso dell'amicizia fra potenti. Per cui chi non partecipa al gioco (che ha pure le sue varianti da «scrivanie bollenti») è beffato e danneggiato.

22/05/2007
Se la casta non è casta

Nel linguaggio corrente di chi legge almeno i quotidiani, è da poco entrato con forza un termine imposto dal titolo di un libro di successo, la «casta» intesa come gruppo di persone privilegiate.
Il libro di Stella e Rizzo denuncia un grave malessere della democrazia italiana. Cioè il fatto che, se siamo tutti uguali per principio, nei fatti qualcuno (ovvero gli «eletti» della classe politica) è un poco più uguale degli altri.
E questo succede perché gli «eletti» godono di condizioni più favorevoli di quelle riconosciute ai «semplici» cittadini, come scrivevano una volta i giornali.
Il punto centrale della questione è chiaramente espresso da Lucia Annunziata nel suo editoriale di stamani sulla «Stampa»: l'opinione pubblica non ha la sensazione che il governo stia costruendo «un luogo in cui diritti e doveri valgono per tutti».
Questo «luogo», aggiungo, dovrebbe poi essere «tutta» la vita sociale, secondo il dettame della Costituzione e delle leggi che la dovrebbero attuare.
Non è un'utopia. Dovrebbe essere la prima regola della politica.
Non si riuscirà mai a cancellare la «casta» privilegiata dei politici, non c'è mai riuscito nessuno in nessun regime politico, in millenni di storia. Chi ottiene il potere, poi lo usa a suo piacimento.
Ci accontenteremmo soltanto che la «casta» (sostantivo) fosse più «casta» (aggettivo), ovvero meno propensa a gestire il proprio gruppo di potere con quell'arroganza che degenera nell'oscenità.
Quando monsignor Angelo Bagnasco denuncia la povertà che si diffonde in grandi fasce della popolazione, fa un discorso che i nostri leader politici conoscono bene. E che avrebbero dovuto fare loro, soltanto loro.
Bagnasco dice che ci sono i nuovi poveri (e questa non è una novità), i quali per tirare avanti vanno a chiedere la carità alla Chiesa. E pure questa non è una novità.
I nostri leader politici di governo dovrebbero sapere che uno Stato in cui si ricorre alla elemosina (sotto lo forma di «pacchi alimentari»), non è degno del suo nome.
La «giustizia» è ciò che la Costituzione indica come mezzo e fine della vita sociale, non la «carità» che è un gesto il quale dipende non da criteri oggettivi, ma da scelte arbitrarie.
Mia madre ricordava che durante il passaggio del fronte nella nostra zona, aveva gli occhi gonfi per il piangere a causa del fatto che non aveva nulla da darmi da mangiare. Andò alle tende degli ufficiali inglesi ad elemosinare qualcosa. Le fu risposto di no, perché «se dare a te, poi dare a lui, dare a lui, dare a lui», rispose un graduato di Sua Maestà indicando altre persone che si avvicinano anch'esse per chiedere qualcosa da mettere sotto i denti.
Ieri sera Canale 5 ha trasmesso la storia di don Giovanni di Liegro, un apostolo della Carità cristiana.
Era uno sceneggiato da servizio pubblico. Lo ha programmato la rete fondata da un uomo politico che ha sempre vantato, quand'era al governo, la ricchezza degli italiani in base al numero dei telefonini diffusi nel Paese.
Lo si potrebbe giustificare con la sentenza dell'Ecclesiaste, «L'uomo è segno di contraddizione». Ma non serve.
Il fatto è che Bagnasco parlando del ricorso sempre maggiore ai «pacchi alimentari» non ha reso un buon servizio a chi lo ha maggiormente sostenuto contro il governo con il Family day, ma lo ha reso alla Verità.
Il che non è poco, in questi chiari di luna.

19/05/2007
Leggi, poche o troppe?

Si era sempre letto che in Italia produciamo troppe leggi. Adesso il discorso si è rovesciato. Romano Prodi ha accusato il Parlamento di lavorare poco e male. Delle 104 proposte governative, soltanto dieci sono state approvate.
Le nuove leggi nell'ultimo anno (il primo di Prodi a palazzo Chigi) sono state 38. Una ogni dieci giorni. Quando governava il centro-destra, le Camere approvavano una legge ogni 2,6 giorni.
Ma veramente abbiamo bisogno di tutte queste nuove leggi?
Ricordiamo che la sovrabbondanza di disposizioni normative era stata criticata anche dall'attuale capo dell'opposizione.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto nella questione con tutto il peso del suo ruolo.
A parte l'ovvio richiamo agli scolaretti indisciplinati (per «armonizzare i lavori dei due rami del parlamento»), ciò che più conta nella sua lettera ai presidenti delle Camere, è la tirata d'orecchie al governo, ben evidente nel passaggio sui decreti-leggi. Che una volta presentati sono soggetti a modificazioni sino a diventare un'insalata russa.
Il passo di Napolitano è questo: "L'adozione di criteri rigorosi diretti ad evitare sostanziali modificazioni del contenuto dei decreti-legge è infatti indispensabile perchè sia garantito, in tutte le fasi del procedimento il rispetto dei limiti posti dall'articolo 77 della Costituzione alla utilizzazione di una fonte normativa connotata da evidenti caratteristiche di straordinarietà e che incide su delicati profili del rapporto governo-parlamento e maggioranza-opposizione".
Ovvero non si può modificare lo "spirito" di un decreto-legge aggiungendovi in parlamento cose che c'entrano come i cavoli a merenda.
L'allusione è al testo adottato per ripianare i debiti della sanità, nel quale il governo ha inserito l'abolizione del ticket.
La tirata d'orecchie di Napolitano non fa una grinza sotto il profilo costituzionale. Ha ragione da vendere.
Il governo da parte sua potrebbe difendersi sostenendo che è una consolidata tradizione italiana, quella di inserire qualcosa «di strano» in un decreto-legge. Ed in diritto come in politica, spesso la tradizione suggerisce di percorrere la stessa strada.
Lavorare di più, per i signori deputati e senatori, non dovrebbe significare produrre leggi a getto continuo, ma cercare di capire quali sono le vere esigenze del Paese. Alle quali il parlamento sovrano dovrebbe essere attento.
Ma nel parlamento non c'è soltanto la maggioranza. In esso pure l'opposizione ha il suo ruolo. Che oggi sembra essere ridotto soltanto al conto alla rovescia sulla fine del governo Prodi.
Ma non è questo un metodo serio di lavoro parlamentare. Per il bene della democrazia. È inutile sbandierare i sondaggi, come fa di continuo Berlusconi. Che oggi dà il governo al 23%. Questa sua realtà virtuale potrà rallegrare i suoi fans, ma non serve a nulla nel cammino difficile della politica intesa come bene comune.
Come non serve a nulla la dichiarazione di Walter Veltroni. Se con Sarkosy in Francia va al governo un uomo di sinistra quale Bernard Kouchner al ministero degli esteri, ha detto il sindaco di Roma, proviamo pure noi a Roma con Gianni Letta, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Berlusconi. Non serve a nulla perché l'opposizione italiana non si accontenta di un gesto simbolico, caro Veltroni. Vuole tutto il governo.
Bernard Kouchner ha dichiarato a Le Monde di stasera le sue ragioni, «Pourquoi j'ai accepté».

15/05/2007
Uccide moglie malata

Deposizione «Uccide moglie malata poi dice, non ce la facevo più». Titolo dell'Ansa di ieri pomeriggio 14 maggio, 17:47.
Ecco le prime righe del dispaccio: «Todi (Perugia) - Con un colpo di pistola al cuore ha ucciso la moglie di 86 anni gravemente malata e costretta da tempo a letto; poi un pensionato di Todi ha atteso in casa i carabinieri ai quali ha detto di avere sparato perché non ce la faceva più ad accudire e a vedere soffrire la moglie. Ai militari e ai suoi difensori ha anche riferito che l'anziana da qualche giorno rifiutava cibo e cure. Sarebbe stata lei stessa a chiedergli di non farla più soffrire. Ora il pensionato, anche lui di 86 anni, è in stato di fermo con l'accusa di omicidio aggravato».
Qualche giorno fa avevo scritto un post provocatoriamente intitolato «Famiglia killer».
Torno sul tema per chiedere ai politici, a tutti i politici, a quelli che manifestano nelle piazze, a quelli che se ne astengono ma dichiarano, a quelli che non dichiarano ma si dimostrano pensosi, a tutti loro chiedo: quei due poveri vecchi non sono un fenomeno astratto, facevano parte sino ad ieri mattina della cosiddetta famiglia normale, ma avevano tanti gravi problemi da affrontare, chi li ha aiutati? Chi di voi adesso ha il coraggio di condannarli?
Per non farla lunga. È facile fare i comizi, è molto più doloroso e drammatico assistere le famiglie con problemi, non quelle che inventavano gli spot di un certo mulino (bianco).
I servizi sociali costano, anche a questo servono le tasse.
Se facciamo l'elogio dell'evasione fiscale, esaltiamo uno Stato egoista che butta a mare due vecchi come questi di Todi. Lei che voleva morire, lui che l'accontenta e finisce psichicamente di vivere prima di ucciderla.
Adesso voi comizianti a favore della famiglia andate a spiegare a quel povero vecchio che eravate scesi in piazza anche per lui.
La famiglia che amiamo tutti è una cosa seria, con problemi e drammi, ne hanno fatto un fumettone da spettacolo televisivo che finisce quando spegni l'apparecchio.
Ma la vita continua, e spesso finisce così come a Todi, con quei due signori di 86 anni, con un ultimo gesto d'amore che li unisce.

14/05/2007
Aiutini e domande

Verso la fine dell'articolo di stamani («Sinistra, ascolta San Giovanni»), Lucia Annunziata pone una domanda fondamentale: «... com'è possibile che gli italiani che vogliono difendere la famiglia - obiettivo in sé non così disprezzabile (dopotutto non si trattava di svastiche o croci uncinate) - partiti con Savino Pezzotta siano arrivati poi sotto il cappello di Silvio Berlusconi. Ed è una domanda cui la sinistra ancora non ha dato risposta».
Il silenzio della sinistra potrebbe dipendere da un preciso calcolo politico. La maggioranza soprattutto al Senato è quella che è, e dopotutto bisogna pur governare dopo aver vinto le elezioni. Quindi non rompiamo con nessuno anzi se possiamo, facciamo comunella. Questo potrebbe essere un ragionamento delle teste pensanti sotto la Quercia.
Sino a due ore fa, avevo intenzione di aggiungere soltanto un argomento 'locale', relativo alla mia città Rimini, dove già nel 1999 Margherita e Ds si sono uniti, e dove governano avendo vinto alle ultime elezioni con un buon aiuto di voti cattolici sottratti a Forza Italia. Ma poi è arrivata la notizia di Mediaset che entra in Endemol la quale produce per la Rai.
Cito da un sito, www.dgmag.it:«Al di là del fattore economico, quel che preoccupa in questo momento è la posizione della Rai: se Mediaset acquisisce Endemol, che fine fanno dei format di successo realizzati da Endemol stessa e che adesso transitano in casa Rai?».
Questo è il problema. Non c'è soltanto la piazza di San Giovanni, c'è una progressiva occupazione del potere politico-economico da parte del capo dell'opposizione addirittura in «partibus infidelium».
Mediaset (leggi: Berlusconi) entra in Rai anche attraverso la produzione che la Rai stessa programma. Se fosse un'ipotesi fantascientifica, verrebbe da ridere...
Torno a Rimini. Ripeto qui quanto ho già scritto sulle elezioni Comunali 2006: «Forza Italia perde il 52,13% dei voti, mentre AN sale del 16,26. Una fetta del Polo vota per il Centro-sinistra. Segno che con la sua precedente amministrazione il Centro-destra (od almeno una sua parte) non se l'era poi passata così male. Luglio 2006. L'ex candidato sindaco del Polo decide di non votare contro la giunta ma di astenersi sulle linee programmatiche del governo cittadino».
Ecco. Quanto avvenuto domenica per la manifestazione di piazza San Giovanni (vedi la domanda senza risposta della sinistra di cui parla Lucia Annunziata) ed oggi pomeriggio con la questione Mediaset-Endemol, forse dimostra che il modello Rimini non dispiace ai Ds nazionali.
Un aiutino dell'opposizione a governare, ed "auitoni" all'opposizione come ringraziamento.
Su «Repubblica» di stamani il brillante Edmondo Berselli osserva che quanto avvenuto a Roma ha avuto un'intensità tale «da sorprendere gli stessi vertici ecclesiastici». Mi scuso con un «venerato maestro» come Berselli se avanzo un'obiezione. Quei vertici ecclesiastici si aspettavano con ansia e fermezza quello che è accaduto a Roma. Lo attendevano da tempo. Perché da tempo lavoravano per ottenere questo risultato. A livello nazionale ed a quello locale. Sorprende che ci si sorprenda.

13/05/2007
Cicoria & cicuta

Al posto del churchilliano «lacrime e sangue», Francesco Rutelli aveva riassunto i sacrifici di una vita ricorrendo ad una immagine più casareccia: «Siamo andati avanti a pane e cicoria».
Se i margheritini nostrani vorranno prestare troppo ascolto alle ragioni del moderatismo francese che ha vinto le elezioni con Sarkosy, tra breve saremo forse assordati da un nuovo slogan, meno rassicurante, non più autobiografico ma diretto agli avversari od ai più indocili fra i compagni di viaggio del nascituro Partito democratico.
Il motto che il centro del nuovo movimento potrebbe adottare, potrebbe essere ispirato ad una frase pronunciata proprio da Nicolas Sarkosy, e riportata stamani nell'editoriale di Barbara Spinelli sulla «Stampa»: «Non ho mai udito una frase assurda come il 'Conosci te stesso' di Socrate».
È una critica così sicura da non lasciar nessuno spiraglio aperto alla possibilità di discutere non di quello che sappiamo (o che presumiamo di sapere); e di quello che non sappiamo (in cui il povero Socrate riponeva il vero sapere).
È una critica che potremmo chiamare «assertiva e rancorosa», per usare le efficaci parole di Barbara Spinelli riferite a quella «battaglia di valori» che «non aspira a spiegare né a capire», a proposito del tema affrontato ieri a Roma nelle due piazze che manifestavano entrambe a favore della famiglia, ma chiedendo ognuna cose diverse.
Una piazza, con Berlusconi in testa o in coda non si sa, voleva meno diritti per tutte le singole persone che si pongano al di là delle formule canoniche del matrimonio religioso o civile.
L'altra chiedeva invece quei diritti senza danneggiare nessuno e senza abbassare il valore che ogni singolo individuo può esprimere nella propria esistenza, anche se non firma un registro ecclesiastico o di anagrafe in Municipio.
Il motto che potrebbe essere ispirato ai centristi italiani dalla destra di Sarkosy potrebbe essere questo: «Più cicuta per tutti».
Non dite che vaneggio. Ci sono tutte le premesse perché ciò avvenga. Silvio Berlusconi ha fatto un comizio.
Accusando la politica governativa di voler ridurre la Chiesa al silenzio. Come in Russia all'epoca del Baffone.
Accusando l'Unione di attaccare la Chiesa. Accusando in un certo senso i cattolici dell'Unione di una grave eresia perché ha stabilito che «non si può essere cattolici e stare a sinistra».
Ha parlato da teologo e non da politico. Aspettiamo la risposta dei teologi del consenso. Ovvero quelli ufficiali. (Lo benediranno senz'altro.)
A nome dei politici, gli ha già risposto Romano Prodi in preghiera a Stoccarda ad un raduno ecumenico: «Ho sempre pensato a un movimento politico in cui diverse radici filosofiche potessero convivere con obiettivi comuni e lavorare assieme per il futuro e non per il passato».
Appunto, le «diverse radici filosofiche». Sono quelle che non piacciono agli amici (italiani) di Sarkosy che rincareranno la dose contro Prodi, chiedendone la cacciata da palazzo Chigi.
Il vero bersaglio della Cei, ha scritto Curzio Maltese su «Il Venerdi» di «Repubblica» è proprio lui, il professore di Bologna. Il cattolicissimo Romano Prodi che a Roma un cartello indicava come «ammazzafamiglie».
Il senso dell'umorismo evidentemente non è una virtù da praticare, per cui temiamo che prenda piede da noi quello slogan «Più cicuta per tutti». Per tutti quelli che non la pensano come quelli che lo grideranno.

12/05/2007
Mediterraneo

Si chiude oggi a Ravenna la prima edizione del Festival Internazionale delle Culture del Mediterraneo "Meditaeuropa", occasione di dialogo e di riflessione su una realtà geografica che è anche, se non soprattutto, politica.
Fra gli intervenuti c'è stato Tahar Ben Jelloun, lo scrittore nato nel Marocco nel 1944.
Tahar Ben Jelloun ha dichiarato che il Mediterraneo è «una vera e propria visione del mondo» e che costituisce «una comunità di idee e pensieri» divisa in due parti, una ricca ed una povera: un mare «troppo spesso rosso invece che blu».

10/05/2007
Famiglia killer

Vabbé, mi risponderete che si tratta soltanto di cronaca nera.
Sì, ma nella cronaca nera c'è la proiezione di una buona fetta della nostra società.
Un padre che vende la figlia per una birra, e nessuno fa nulla, mentre in tanti sapevano. E poi delitto dopo delitto, vien da pensare provocatoriamente che pure la famiglia sia un killer. Un temibile killer.
Allora, lasciamo da parte la provocazione. E diciamo che tutti siamo per la famiglia, che tutti siamo per il trionfo del bene, ma che alla fine però certe famiglie non funzionano, oppure che non rientrano negli schemi ereditati dal passato.
A questo punto come la mettiamo?
Tanti anni fa non c'era il divorzio, e la donna era la parte soccombente, indifesa. Tanti anni prima dell'introduzione del divorzio, soltanto la donna poteva essere denunciata per adulterio, l'uomo no.
Dunque le idee sulla famiglia lungo il Novecento italiano sono cambiate. Le situazioni personali, reali, pure.
Ciò che una volta si teneva nascosto per paura di scandali, adesso viene alla luce del sole.
E allora di quale famiglia vogliamo parlare? Di quella che funziona (sono sposato da 40 anni, io)? O di quella che non funziona per tanti motivi: dall'adulterio alle violenze a danno dei suoi componenti?
È meglio partire da slogan politici o da un esame dei problemi reali della gente?
Ma oggi diventa terribilmente difficile discutere di tutto, anche delle cose semplici che fanno parte della vita quotidiana di tutti, perché poi viene fuori qualcuno a dire cose terribili. Leggete il Gramellini di oggi.

08/05/2007
Sarkò aiuta Prodi

Nicolas Sarkòzy, vincendo le elezioni presidenziali francesi, ha fatto una grazia a Romano Prodi.
Se avesse trionfato Ségolène Royal, per il professore sarebbero nate tante di quelle questioni «da sinistra» che avrebbe perso ogni possibilità di guidare il difficile traino della carrozza governativa.
Appunto «da sinistra» i colleghi italiani gli avrebbero gridato che soltanto seguendo il programma di madame Royal si sarebbe combinato qualcosa pure qui da noi.
Mentre François Bayrou confermava di voler fare «al centro» un «partito democratico» come quello italiano di centro-sinistra.
Sarkòzy ha tolto Prodi d'impaccio. Se attorno al nascituro Partito democratico qualcuno «da sinistra» a Roma farà le bizze, Prodi potrà invocare l'esempio della Francia.
Ai suoi «centristi» il professore potrà poi ricordare che Bayrou è soltanto nulla più di una promessa appunto immobile al centro.
Per cui l'unica soluzione ai problemi italiani resta lui, Romano Prodi. Uomo di centro e di sinistra. Almeno secondo Romano Prodi.

06/05/2007
Sconti ad azoto

Ieri era scontro. Un giornale lo indicava fra Berlusconi e Prodi. Un altro quotidiano fra Rutelli e lo stesso Prodi.
La causa del contendere con il signore di Arcore, è la legge sul conflitto d'interessi. Con il leader della Margherita, la questione dell'Ici sulla prima casa. L'uomo di palazzo Chigi ha detto no alla sua abolizione.
Scontro? Va a finire che si è trattato soltanto di un errore di stampa. E che tutto il problema (sia con gli amici sia con l'oppositore) si ridurrà nel trovare la strada dello «sconto». La solita maniera di evitare appunto gli scontri. E di mettere tutti d'accordo abbassando i prezzi. Con gli alleati nel governo e con gli avversari in parlamento.
Bisogna capirli. Berlusconi conta soltanto nei comizi quando può sfoderare il suo repertorio. Prodi sa in scienza e coscienza che il conto alla rovescia non riguarda la sua amabile persona, ma il discorso politico di una maggioranza in debito di ossigeno al Senato ed agitata dalla gestazione del Partito democratico con annesse partenze di personaggi di rilievo.
Dei due sta meglio Prodi. Che conosce il messaggio con cui ad ogni nuovo papa la Chiesa ricorda la vanità delle cose terrene: mentre brucia uno stoppino, si pronuncia la frase «Sic transit gloria mundi».
Berlusconi invece si crede ancora l'ago della bilancia della «sua» destra, ovvero di tutta la destra nel Paese. Ma non c'è più l'ago e qualcuno (Casini?) gli ha nascosto persino la bilancia.
Al supermercato della politica, se Prodi fa lo sconto al cavaliere, ne riceve uno pure lui per sopravvivere fino alle prossime elezioni (fra quattro anni).
Anche la questione del conflitto d'interessi sembra la vecchia storia dell'ammuina: ci muoviamo per far paura al nemico. E Berlusconi deve urlare, sbraitare, imitare se stesso per far vedere che in casa sua comanda lui.
Intanto allegramente ossigeno ed azoto si scambiano le parti nelle rianimazioni ospedaliere. Credono di essere al governo.

04/05/2007
Prezzo politico

A Rimini il costo della vita aumenta del 3,2% annuo contro l'1,5 nazionale.
Non è un fatto nuovo. Città cara lo è sempre stata, sin dagli anni Sessanta. Città ricca anche grazie ad un tipo di economia molto sommersa. Sulla quale si reggono le fortune di pochi. E dalla quale derivano i grattacapi di tanti. Cioè di quelli che ad esempio debbono pagare affitti elevati.
Città nella quale la speculazione edilizia è diventata un fenomeno politico incontrastato per un patto non tanto segreto di spartizione della torta. Per cui se qualcuno osa impostare una campagna giornalistica contro, ci rimette il posto. È successo. Era prevedibile. Non ha turbato nessuno. Anzi. Immaginiamo i commenti. Hai visto quello venuto da fuori, chissà chi credeva di essere.
E dietro sta un compromesso politico per nulla segreto, con due assessori all'edilizia defenestrati perché contrari al troppo cemento, e poi un bel risultato elettorale. Comunali 2006. Forza Italia perde il 52,13% dei voti, mentre AN sale del 16,26. Una fetta del Polo vota per il Centro-sinistra. Segno che con la sua precedente amministrazione il Centro-destra (od almeno una sua parte) non se l'era poi passata così male.
Luglio 2006. L'ex candidato sindaco del Polo decide di non votare contro la giunta ma di astenersi sulle linee programmatiche del governo cittadino.
Inciucio o preveggenza? Negli stessi giorni il presidente della Camera Bertinotti dice alla «Stampa»: «Le difficoltà si possono superare allargando la maggioranza di governo» con una discussione franca che «sotto traccia è già in corso».
Il presidente del Senato Marini ricorre ad una contorta formula per invocare più confronto con l'opposizione e meno voti blindati per addivenire a scelte condivise.
A questo punto Rimini diventa una specie di simbolo del quadro politico nazionale. Sembra anticipare una condizione di un accordo nazionale bipartisan.
Ma a spese di chi? Di chi deve subire il vertiginoso aumento del costo della vita, la gente delle classi non privilegiate, mentre aumenta la ricchezza di un ceto vasto, che è senza differenza politica perché il lusso non ha tessera di partito, omologa tutti tranne pochi critici guardati male e segnati a dito come pericolosi sovversivi.

03/05/2007
Grazie, grande Gram

Appena ho letto oggi pomeriggio la pagina della Stampa (cartacea) che annunciava la pubblicazione dei suoi «buongiorni», ho inforcato la bici e sotto la pioggia mi sono recato in città, tre-quattro km tra andata e ritorno, per acquistare il volume.
Posso definirmi un Gramellini-dipendente. Ma ciò che mi ha catapultato (il termine va preso ovviamente con le dovute cautele anagrafiche) verso la libreria, è stato il titolo «Ci salveranno gli ingenui».
Ne sono convinto anch'io, perché invecchiando ho potuto constatare come il tempo dei furbi duri non più di una stagione.
Ho avuto esperienze amare, di quelle che fanno agitare e magari ti procurano una psoriasi. Poi dopo vedi che gli idioti più o meno utili sono costretti a pagare il conto.
Ingenuo, mi hanno sempre detto certe persone, per sottintendere che sono uno che secondo loro si farebbe fregare facilmente.
Beh, farsi fregare (da che mondo è mondo) non è un'arte che dobbiamo imparare. Semmai un serafico esercizio da apprendere soltanto per aspettare tempi migliori.
Poi dopo qualche tempo (o piuttosto dopo molto tempo) ti accorgi che succedono cose strane, i fatti ti danno ragione, e chi ti ha fregato trionfa soltanto nello splendore della sua malvagità in un'aureola odorante di fogna.
Prima o poi chi getta fango ne resta coperto.
La cosa che dispiace più non è censire l'esistenza di tanti stupidi che appunto per non appare ingenui si credono, inutilmente, intelligenti. E che si attivano caldamente nel fregare il prossimo. Ciò che lascia amareggiati sono i finti tonti, quelli che vedono e vogliono far credere di esseri stati da un'altra parte.
A costoro gli ingenui danno fastidio perché possono testimoniare all'universo mondo la stupidità degli ignavi, degli eterni assenti perché pensano al perbenismo del loro tornaconto. Anche quelli che per scelta e professione dovrebbero servire la Verità.
Grazie grande Gram. Lei che è Massimo, non si offenda se la chiamo grande.

Antonio Montanari


2596/08.02.2018