Politica. Articoli vari del mese di gennaio 2007, blog de "La Stampa"

23/01/2007
Perlasca di Romagna
I trentanove ebrei che Ezio Giorgetti ospitò nel suo albergo a Bellaria dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, riuscirono a salvarsi grazie a carte d'identità fornite loro da Virgilio Sacchini (1899-1994).
La vicenda ci è rivelata per la prima volta dalla dottoressa Patrizia Sacchini D'Augusta, nipote di Virgilio. Suo nonno in quei giorni era Commissario Prefettizio del Comune di Savignano sul Rubicone: «Era fascista, ma era anche un uomo buono ed estremamente generoso (con la sua Industria di Legnami e Imballaggi, prima che gli eventi bellici la distruggessero, aveva dato lavoro a tanti Savignanesi ed era un padrone che rispettava profondamente gli operai) ed è per questo che né lui né gli altri membri della sua famiglia furono oggetto di ritorsioni da parte dei partigiani del luogo».
Virgilio Sacchini mise al corrente del suo intervento a favore degli ebrei 'bellariesi' soltanto il proprio figlio Marino.
Ascoltiamo ancora la dottoressa Patrizia Sacchini: «La storia mi è stata raccontata diversi anni fa da mio padre, Marino Sacchini, prendendo spunto da un articolo comparso sul Corriere di Rimini (29/09/1994). Alla fine della guerra mio nonno, Virgilio Sacchini, nato a Savignano sul Rubicone il 26 dicembre 1899, Cavaliere della Corona D’Italia, confidò a mio padre di avere aiutato quel gruppo di ebrei, nel 1943, a fuggire e a raggiungere il Meridione. Si diceva felice che tutto avesse avuto termine, poiché aveva messo a repentaglio, con il suo gesto, la sicurezza della sua famiglia».
Prosegue la dottoressa Sacchini: «Ezio Giorgetti (che, attraverso un amico comune, il Sig.Bertozzi, conosceva mio nonno) ottenne da mio nonno le famose carte d’identità in bianco che nel recente articolo pubblicato dal Corriere di Rimini in data 22/01/2007 risulterebbero essere state fornite dal Segretario Comunale di San Mauro Pascoli, Sig. Alfredo Giovanetti. Le carte d’identità appartenevano al Comune di Savignano sul Rubicone e mio nonno, pur correndo un serio pericolo, per il ruolo che ricopriva, non esitò a metterle a disposizione del gruppo di ebrei. Non so se questo fatto fosse noto al Maresciallo Osman Carugno, al Sig. Giovannetti e a Don Emilio Pasolini, immagino che mio nonno avesse chiesto e ottenuto la garanzia del riserbo assoluto attorno al suo gesto. Mi fa immenso piacere offrire questo piccolo contributo alla vostra ricerca. Ricordo mio nonno sempre con tanto affetto e, da convinta antifascista, lo ringrazio di aver contribuito alla salvezza di quel piccolo gruppo di ebrei».
A parlare di carte d'identità fornite ad Ezio Giogetti da Alfredo Giovanetti fu la moglie dello stesso Giorgetti, Lidia Maioli nel volume curato da Bruno Ghigi nel 1980, «La guerra a Rimini», pag. 321.

23/01/2007
Pacs vobiscum
Su questo importante tema si sono confrontati il cardinal Romano Ruini e l'on. Camillo Prodi, giungendo alla conclusione che ormai il patto (tecnicamente «pacs») è fatto: il cardinale governerà l'Italia da Palazzo Chigi mentre il presidente del Consiglio sarà prossimamente sostituito alla guida della Conferenza episcopale italiana.

22/01/2007
Roma accusa Wielgus
Sul sito vicino al Vaticano e quindi come suol dirsi ufficioso www.zenit.org si va giù pesanti contro monsignor Stanislaw Wielgus. Rimandiamo al testo completo, qui riportiamo un'estrema sintesi del servizio:
1. «Il vescovo ha assicurato tutti, Santo Padre compreso, che non aveva collaborato con i servizi comunisti e non aveva fatto del male a nessuno».
2. «Il 2 gennaio monsignor Wielgus ha chiesto alla Commissione Storica dell'Episcopato di fare la verifica dei suoi dossier conservati negli archivi, confermando la sua estraneità al lavoro di spionaggio; lo ha giurato davanti all'arcivescovo Jozef Kowalczyk, Nunzio apostolico in Polonia.»
3. Il 5 gennaio «l'arcivescovo Wielgus, che nel frattempo aveva preso possesso della diocesi, ha scritto una commovente lettera penitente alla “Chiesa di Varsavia” nella quale ammetteva i suoi contatti con i servizi segreti, si scusava per aver taciuto su tali contatti, assicurava di nuovo che la sua collaborazione con i comunisti non aveva fatto male a nessuno, chiedeva il perdono per il suo comportamento di 30 anni fa e si metteva a disposizione del Santo Padre.»
4. «Perché monsignor Wielgus ha taciuto?»
Si legga tutto il documento qui:
http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=10438

19/01/2007
Art Buchwald, contro 'il potere'
La notizia della scomparsa di Art Buchwald, il columnist americano nato nel 1925, mi fa riandare con la memoria a quando in Italia vennero presentate mezzo secolo fa le sue irridenti annotazioni sul (o piuttosto «contro» il) potere politico. Le pubblicava «il Giorno», e su Internet trovo al proposito una pagina del 1999, scritta da Pilade del Buono che fu un grande giornalista sportivo dello stesso quotidiano milanese.
«Il Giorno» ospitava anche la «colonna» di una firma illustre e riscoperta in questi ultimi anni grazie alla ristampa di molti suoi libri, Giancarlo Fusco.
Mio padre conobbe Fusco quando venne a Rimini per parlare di turismo nel suo ufficio all'Azienda di soggiorno che dirigeva. E nella «colonna» (questo era proprio il titolo della rubrica) composta in occasione di quel viaggio, mi citò, perché avevo fatto 12 al Totocalcio con la schedina suggerita da Ghezzi. Vinsi 70 mila lire, che allora erano una bella cifra.
Buchwald e Fusco erano il pane quotidiano delle mie letture di ragazzino, mi hanno segnato tanto che per 24 anni (dal 1982 al 2006) ho tenuto una rubrica di satira in un settimanale riminese, «il Ponte». Se qualche consenso ho raccolto presso i lettori in tanti anni, è anche merito delle antiche letture di Buchwald e Fusco, due autentici maestri del genere.

18/01/2007
Vespa, advocatus papae
Ed alla fine arriva Bruno Vespa ad accusare il cardinal Stanislaw Wielgus ed a scagionare papa e curia per la vicenda dell'arcivescovo di Varsavia.
Su Panorama on line di oggi si legge:
"È ormai certo che Benedetto XVI non conoscesse la storia fino in fondo. Non la conosceva Giovanni Battista Re, capo della Congregazione dei vescovi e istruttore delle nomine che vengono sottoposte al Papa. In Vaticano escludono che il Pontefice abbia avuto altre fonti e sostengono che il «dico-non-dico» di Stanislaw Wielgus ha fatto traboccare il vaso costringendo il Papa ad accettare l'offerta (formale e un po' burocratica) di dimissioni proposta dal prelato."
Come abbiamo già scritto, "La lettera di Wielgus ai fedeli scaricava formalmente, venerdì scorso, ogni responsabilità su Roma. Wielgus ammetteva infatti d'aver detto al papa che era stato coinvolto «con i servizi di sicurezza dell'epoca che operavano in uno stato totalitario e ostile nei confronti della Chiesa»".
Vespa non crede a quella lettera, segue la linea 'romana' che accusa i politici polacchi, e getta la croce addosso al 'reo'-confesso Wielgus. Il quale non ha fatto ricorso alla tecnica del «dico-non-dico» di cui parla Vespa, ma ha scritto 'papale-papale' che era stato una spia e che a Roma il papa ora lo sapeva.
Vespa, da cronista di lungo corso, dovrebbe aver chiaro che in Vaticano non troverà mai conferma a queste affermazioni di Wielgus.
La stampa internazionale si è dimostrata molto attenta a cogliere le contraddizioni romane, ammesso che non si voglia parlare di errori compiuti nei sacri palazzi.

14/01/2007
Wielgus, chi rischia a Roma
Secondo il quotidiano inglese «Indipendent» il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi (oltre che presidente della pontificia commissione per l'America latina) rischia il posto per il caso Wielgus.
Spiega www.radinrue.com: «Mgr Stanis_aw Wielgus a déclaré à l'agence catholique d'Information polonaise KAI, samedi matin, qu'il n'a jamais mentit en donnant au Nonce Apostolique de faux serments en ce qui concerne ses relations avec les SB. "En lien avec les accusations médiatique j'aurais donné à Monseigneur le Nonce Apostolique en Pologne un faux serment concernant mes contacts avec les services spéciaux de la PRL. Je transmets la copie de mon serment transmis".»
Dunque. chi non ha trasmesso al papa le dichiarazioni di Wielgus?
Re, spiega Indipendent, ha detto che non avevano saputo nulla a Roma dell'attività di Wielgus.
Wielgus smentisce Re. Di qui l'ipotesi che il cardinale perda il posto.

14/01/2007
Amato e nuvole
Si vuole fare una nuova politica, ma non si sa come affrontarla ed attuarla, allora si mette in piedi una bella scuola dove illustri e dotti signori parlano dell'universo mondo, e dalla quale dovrebbero nascere poi i provvedimenti concreti da adottare in parlamento per il bene del popolo italiano.
L'apertura della scuola bolognese dell'ex Ulivo, è toccata ad uno dei più raffinati intellettuali della realtà cattedratica e partitica italiana, il prof. Giuliano Amato,
Riproduco la notizia Ansa di ieri sera:
«"Non è stravagante cominciare da una scuola prima ancora che attraverso un congresso". Così Giuliano Amato spiega la nascita di Ulibo. Il ministro dell'Interno, nella veste di professore di politica, ha inaugurato oggi il primo corso dell'Università libera di Bologna (Ulibo), annunciata come scuola per aspiranti aderenti al futuro Partito Democratico. "Dobbiamo sommare e fondere conoscenze, culture, valori e sensibilià' -ha spiegato Amato- prima di sommare e fondere tessere e tesserati". »
Sono contento che Amato sia contento.
Sono contento ma preoccupato. Se siamo ancora allo stadio della fusione di «conoscenze, culture, valori e sensibilità» come fase preparatoria dell'etc. etc., allora vuol dire che i nostri nipoti una bella mattina si sveglieranno e saranno interrogati dai nipoti dell'on. prof. Amato e dell'on. prof. presidente Romano Prodi, e da come risponderanno saranno distribuite loro le pagelle, e poi si convocherà un congresso per stabilire se l'università dell'ex Ulivo ha prodotto in cinquanta anni qualcosa di utile alla società italiana.
Leggete bene la formula: «scuola per aspiranti aderenti al futuro Partito Democratico». Vuol forse dire che ci saranno esami per passare alla aspirazione alla respirazione concreta nel seggio elettorale (candidati di lista) od in quello parlamentare (effettivamente eletti)?
Scusate il mio scetticismo. Ma nell'avvio con la calma enciclopedica e dottrinale del Dottor Sottile (vecchia definizione che calza a pennello ad Amato), così come con la sospirosa esposizione del professor Prodi, non vede nulla di promettente il sottoscritto, che resta tuttavia fermo nella sua adesione al programma che si chiamava dell'Ulivo e nel ricordo della sua entusiastica partecipazione alle primarie della scorsa primavera.
Maledetta primavera, non vorrei cantare prossimamente come Loretta Goggi.
Da altro testo dell'Ansa ricavo che Prodi ha detto che il Partito Democratico "nasce dalla richiesta della gente. E' da 10 anni, anzi 12, da quando è nato l'Ulivo, che gli italiani ci chiedono unità, ci chiedono una grande forza riformista''.
Il Partito Democratico, ha spiegato ancora il premier, ''non nasce da una scuola ma viene fortemente aiutato da una scuola; e la scuola si affianca per aiutare questo processo che è un processo voluto dagli italiani''.
Nella piccola cultura popolare corrente, il «mandare a scuola uno», equivale a definirlo incapace di fare qualcosa. Se l'esame dei bisogni degli italiani non è diretto, cioè fatto da parte degli stessi politici (che sono già altamente 'scolarizzati'), ma mediato da una scuola in cui i politici possono esporre le loro astruserie senza pagare pegno alla chiarezza pubblica ed alla decenza intellettuale, allora rischiamo di finire come in quella scenetta dei tre comici napoletani d'un tempo (c'era Troisi, e credo si chiamassero la Smorfia), in cui un povero disgraziato era oggetto di intervista sulla sua misera condizione sociale. E gli esperti che facevano le domande poi lo zittivano, dicendo che erano loro a dover parlare perché loro sì sapevano come viveva lui...
Insomma la libera università dell'ex Ulivo rischia di essere un inutile carrozzone teorico che finisce per dar ragione a don Benedetto, ovvero il filosofo Benedetto Croce.
Croce non tollerava la sociologia perché secondo lui non sono i filosofi ad doversi adeguare alla realtà descritta dalla sociologia, ma debbono essere gli uomini a seguire la filosofia ed i suoi preziosi dettami. Ecco perché quelli come don Benedetto si chiamano, sia tecnicamente in modo corretto, sia con derisione, pensatori «idealisti»: cioè gente che non aveva i piedi per terra, ma la testa fra le nuvole. Amato e Prodi corrono il rischio di andare a finire in quella schiera che è già folta si per sé, e non necessita di altri adepti.
Soprattutto perché i problemi di ogni giorno (dall'università vera non questa inventata a Bologna, all'economia, dalla giustizia all'informazione) richiedono attenzione e provvedimenti immediati, allo stesso modo per cui la gente quando va a fare la spesa deve avere in soldi in tasca.
Cari Prodi, Amato e compagni, vale per voi l'antica scritta dei negozi di una volta: «Qui non si fa credito». Anche per voi, è venuto il momento di pagare il conto. Siete in grado di mantenere le promesse elettorali? E soprattutto sapete far capire alla gente comune come il sottoscritto, e non soltanto ai vostri colleghi della libera università dell'ex Ulivo, le questioni gravi dell'ora presente ed i vostri progetti?
Scusate, ma di Caserta ho compreso soltanto che siete in forte disaccordo tra voi. Questo la sapevamo da un pezzo, ma noi vi abbiamo votato per governare, non per spiegarci che l'acqua bolle se si accende il gas.

12/01/2007
Gli amici se ne vanno
Le notizie di «nera» oltre ai drammi umani degli assassini con coltello e spranga, portano alla ribalta (come si usa dire con la solita retorica cronistica) figure che sino ad ieri avevano credito ed accrediti dappertutto.
Raccomando la lettura dell'inchiesta (sul Sole-24 Ore) di Claudio Gatti, che riguarda Scaramella e la sua «incredibile ascesa».
Giornali ed agenzie di oggi sono avari di informazioni su di un altro personaggio che lavorava a Milano (e non soltanto lì), finito in carcere per motivi fiscali. Mentre sui giornali locali (lontani dalla capitale lombarda) se ne dice qualcosa di più ma non tutto.
Questi signori che manovravano soldi e potere, ovviamente non sono nati dal nulla. Sono stati protetti ed utilizzati, adesso che sono nei guai, gli amici li abbandonano (come scrivono le cronache locali lontane da Miulano), tutti fingono di non sapere chi fossero un tempo e che cosa siano oggi.
Di tutte le miserie della condizione umana questa è la più frequente e la più classica.
Anche perché da quelle amicizie di un tempo sono magari giunti utili economici di non poco conto.
Nei giorni delle bufere giudiziarie, gli amici se ne vanno...
Ma restano tracce e convivenze del passato. Certe verginità politiche ed economiche non si rattoppano facilmente nella memoria dei concittadini.

08/01/2007
Polonia e polonio
In margine al caso di Stanislaw Wielgus, il vescovo-spia licenziato dal papa al novantesimo minuto (se non ai tempi supplementari), si possono fare tre osservazioni. Le prime due sono relative alla realtà polacca, e sono rispettivamente di tipo politico e religioso.
Aspetto politico. Il racconto che trapela dalle cronache circa una sorpresa papale davanti al frastuono provocato dalla nomina di Wielgus ad arcivescovo di Varsavia, non regge al confronto con la tradizionale prassi vaticana che raccoglie oculatamente dossier su dossier attorno ai propri «funzionari».
Dietro il racconto della sorpresa papale c'è l'affermazione della manovra antireligiosa, espressa dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi. Il quale ha denunciato «una strana alleanza fra i persecutori di un tempo ed altri suoi avversari».
Padre Lombardi sa bene (e qui passiamo al versante religioso del problema), che ogni sacerdote dev'essere pronto a donare se stesso a Cristo sino all'effusionem sanguinis, cioè al sacrificio della vita. La promessa di fedeltà spirituale al Vangelo mal si concilia con i compromessi politici sia nell'Italia fascista sia nella Polonia comunista.
Accertato che le notizie che circolavano «contro» Stanislaw Wielgus non erano frutto di invenzioni ma erano state dall'interessato stesso confermate, il Vaticano avrebbe dovuto essere più attento allo spirito religioso della Chiesa che alla propria presunzione politica di fare un'azione di rivalsa contro chi diffondeva quelle informazioni «contro» Wielgus.
Da Varsavia padre Adam Boniecki, amico di papa Woityla, dichiara: «Non so chi, ma qualcuno ha disinformato papa Ratzinger».
Chi ha disinformato Benedetto XVI abita a Roma od a Varsavia?
Impensabile che la Curia romana non sapesse. Quindi, non si possono attendere colpi di scena clamorosi contrari alla tradizione dei sacri Palazzi. Il caso è politicamente risolto. Sotto il profilo religioso resta come un ammaestramento profondo a non ridurre le cose dello Spirito a semplice gestione mondana e burocratica degli uffici e delle relative nomine.
Terza ed ultima osservazione. Se la Curia romana ha agito sapendo e tendendo all'oscuro il papa, il fatto in sé non meraviglia ma preoccupa per gli effetti collaterali che personalmente collego all'Italia.
La scorsa estate abbiamo visto trionfare il Cavaliere tra i ciellini del meeting di Rimini dove è di casa anche “fonte Betulla”, simbolo di una politica antiprodiana come se il professore di Bologna fosse un pericolo bolscevico.
Se tutto ciò faceva sorridere (od anche ridere del tutto) sino all'altro ieri, oggi non è più così. Il problema (per Roma o Varsavia secondo in casi) è lo stesso: dove la disinformazione si ferma e non si trasforma in uno strumento di pressione politica ben mirata verso scopi altrettanto ben precisi?
Non per nulla altri recenti attacchi bolognesi contro Prodi sono partiti 'attraverso' ambienti giornalistici attigui a quelli religiosi ufficiali. Le successive vicende «al polonio» hanno poi dimostrato che si è tentato di accreditare Prodi come agente del Kgb.
Abituata a trasformare tutto in operetta, la maggior parte dei commentatori politici ha preso sottogamba la questione. Ma la vicenda Wielgus può sollecitarci ad essere meno superficiali ed a prendere in maggior considerazione certi risvolti politici della vita religiosa, ben chiari a Varsavia ma trascurati a Roma. Dove il Tevere in questi anni si è fatto sempre più stretto a danno dello Stato laico, contro lo stesso Vangelo che obbliga a distinguere Cesare da Dio.
Ultim'ora. Il papa non ignorava la gravità di questa crisi, scrive stasera Le Monde in una nota che parla della responsabilità del nunzio Joseph Kowalczyk (nominato nel 1989 da Giovanni Paolo II), di un errore commesso dal Vaticano con il comunicato di sostegno a Wielgus (21 dicembre, «Le Vatican indiquait avoir "pris en compte toutes les circonstances de la vie" du prélat désigné, y compris son passé, et affirmait que le pape avait "toute confiance" en lui»), e di una terza sorpresa, la fretta di accettare le dimissioni del neo arcivescovo di Varsavia da parte di Roma.
Scritto appunto che «Le pape n'ignorait pas la gravité de cette crise», il quotidiano francese osserva che nella visita a Varsavia dello scorso anno, Benedetto XVI «avait admis la présence de "pécheurs" dans l'Eglise et les "échecs du passé", mais demandé au pays "de ne pas jeter à la légère des accusations sans preuve".

07/01/2007
Varsavia, una lezione per noi
Clamoroso dietrofront del Vaticano. Il papa ha imposto le dimissioni a monsignor Stanislaw Wielgus, dopo che per ben due volte (il 21 dicembre 2006 ed il 5 gennaio scorso), gli aveva confermato la sua fiducia incondizionata.
Il montare della polemica sul passato da spia comunista del neo arcivescovo di Varsavia, ha travolto le ultime resistenza dei Palazzi apostolici.
La Curia romana risulta la vera sconfitta dell'intera vicenda, dopo aver istruito la pratica di Wielgus, il quale ne esce tutto sommato a testa alta. Ha ammesso il suo "errore" dopo averlo inizialmente negato. Roma però lo ha sempre coperto, accettando sino all'ultimo momento una situazione assurda. In tal modo l'indietro tutta del papa è ancora più eclatante, ed è la sconfessione della procedura seguìta dalla Curia romana, consapevole della realtà drammatica e dolorosa delle cose, ma con testardo orgoglio noncurante dei gravi riflessi negativi che una tale nomina avrebbe potuto avere (come in effetti ha avuto) nell'opinione pubblica non soltanto polacca.
La Curia forse ha ritenuto che Varsavia fosse facilmente controllabile ed addomesticabile come accade con i vicini politici italiani. Da ciò deriva una severa lezione per il nostro Paese circa la linea laica da seguire nel rispetto della Costituzione del 1948.
La lettera di Wielgus ai fedeli scaricava formalmente, venerdì scorso, ogni responsabilità su Roma. Wielgus ammetteva infatti d'aver detto al papa che era stato coinvolto «con i servizi di sicurezza dell'epoca che operavano in uno stato totalitario e ostile nei confronti della Chiesa».
Ma il papa ed i «dicasteri competenti della Capitale Apostolica», aveva aggiunto Wielgus, non avevano manifestato rilievi. Per scaricare la sua coscienza, Wielgus si confessava davanti a tutti e fuori dai vincoli burocratici.
A quel punto la situazione era insostenibile per Roma. Oggi, mentre ci aspettavamo di vedere le telecronache del discusso insediamento del nuovo arcivescovo di Varsavia, è avvenuto all'ultimo momento il colpo di teatro. Il papa accettava quelle che sono state chiamate dimissioni soltanto per rispetto formale dei codici di Diritto canonico. In realtà si è trattato di un licenziamento in tronco del personaggio divenuto scomodo e non più difendibile davanti all'opinione pubblica mondiale, al punto di far ipotizzare che abbia spiato dal 1967 e per vent'anni anche Karol Woityla sia da cardinale sia da papa, il papa della caduta del muro di Berlino.
Come scriveva stamani sulla Stampa, con una domanda retorica, Franco Garelli, ammesso che Wielgus abbia realmente informato il Vaticano sul suo passato di spia, la sua nomina poteva apparire come «la sconfessione» della lotta condotta in patria e nel mondo dallo stesso Karol Woityla «contro il comunismo e per i diritti religiosi e civili».
L'episodio di Varsavia è accaduto all'interno del mondo cattolico e dell'Europa, questa volta non ci sono musulmani da incolpare, al contrario di quanto accaduto dopo il discorso papale di Ratisbona, dove Benedetto XVI aveva offerto improvvidamente una citazione da Manuele II Paleologo, per il quale Maometto aveva portato soltanto «cose cattive e disumane».
Questa volta sono gli stessi ambienti cattolici (non tutti, s'intende) a giudicare inadeguata l'azione della «Capitale Apostolica».
Resta soltanto da chiedersi: è colpa di Benedetto XVI oppure si tratta di un tiro mancino della Curia ai suoi danni?
La vicenda polacca avviene all'indomani del discorso papale sulla «immensa espansione dei mass-media», i quali se da una parte moltiplicano le informazioni dall'altra «sembrano indebolire la nostra capacità di sintesi critica».
Quanto accaduto a Varsavia per il caso Wielgus fornisce un'indicazione opposta: il moltiplicarsi delle notizie ha favorito la «sintesi critica», sino al punto di spingere il Vaticano a far marcia indietro sulla sua decisione per quella sede arcivescovile. A Varsavia nessuno immaginava una soluzione così rapida ed inattesa, data la tradizione ecclesiastica dei «tempi biblici».
A Roma dovrebbero mandare a memoria la frase dello storico Bronislaw Geremek, già vicino a Solidarnosc: i polacchi di oggi pensano che Karol Woityla non avrebbe mai scelto un personaggio come Wielgus per la carica da arcivescovo della capitale.

04/01/2007
La giacca di Prodi
Romano Prodi, simpaticamente accusato ieri dalla Stampa di non aver mai cambiato giacca da sci nel corso degli ultimi dieci anni, ha scritto oggi al giornale promettendo di mutare la sua tenuta da uomo delle nevi: «... ho potuto constatare che in dieci anni la tecnologia delle giacche a vento a difesa dal freddo è molto migliorata: prima di tornare a sciare rinnoverò quindi il mio guardaroba e lo renderò più riformista».
Prodi proviene da un ambiente culturale e geografico che una volta considerava il cambiar giacca un grave peccato politico. Il voltagabbana in Emilia e in Romagna non è mai stato tanto simpatico. Anzi è sempre stato considerato un traditore.
Rendendo il suo guardaroba più riformista dove sceglierà: più a destra o più a sinistra? Ritorna il tormentone della canzone di Giorgio Gaber.
Per essere «riformista» chi «tradirà»: Rutelli o Fassino?
Con l'augurio che non si possa mai dire: sotto quella giacca (nuova) niente.

02/01/2007
Ferrara, papa 'azzurro'
Se Giuliano Ferrara vuol 'salvare' la fede
Oltre al papa bianco che celebra in San Pietro ed a quello nero (dal colore della veste anche lui) che presiede all'Ordine di Gesuiti, adesso c'è pure l'«azzurro», Giuliano Ferrara, la cui tinta deriva dal partito in cui milita. L'editoriale che Ferrara ha pubblicato ne «Il Foglio» di sabato 30 dicembre 2006, è una predica da teologo che si crede investito d'una funzione salvifica nei confronti dell'intera Italia.
La sua «Sfida ai cattolici senza dottrina» (questo il titolo dell'editoriale) è stata una solenne tirata d'orecchie degna del Sant'Uffizio a quanti, tra i fedeli di Santa Romana Chiesa, hanno sostenuto che nel caso di Piergiorgio Welby si trattava di porre fine all'accanimento terapeutico e non di eutanasia, e che era stato un errore del Vicariato negargli la cerimonia religiosa. Indossate le pesanti vesti dell'Inquisitore, Ferrara ha chiesto di portare le pezze d'appoggio dottrinali di questo modo di pensare, i cui seguaci sono accusati di aver ridotto il Cristianesimo ad una «filastrocca umanitaria» senza alcuna giustificazione teorica (che in questo caso vuol dire non soltanto teologica, ma pure filosofica e persino politica…).
Ridotto in pillole, l'argomentare di Ferrara significa che non si può essere buoni cristiani senza essere buoni teologi. Ferrara ovviamente sa ma finge di non sapere che il Vangelo è cosa per tutti, più per quegli «ultimi» destinati a diventare «primi», che strumento di potere di un apparato organico specializzato nel distillare norme e discipline le quali, secondo il vento che tira nei sacri palazzi, possono anche condurre a bruciare qualche cristiano in odore d'eresia. Proprio per il suo spirito innovatore, Gesù Cristo misericordioso in quei roghi non poteva essere vicino ai carnefici ma doveva affiancarsi agli eretici arsi vivi in suo nome.
Ferrara non agisce da solo, ovviamente, in questa battaglia. A fargli buona compagnia (se non concorrenza) c'è un vero sacerdote, don Gianni Baget Bozzo che in un articolo sulla «Stampa» (28 dicembre 2006) intitolato «Berlusconi l'anima della libertà», aveva concluso con un'affermazione alquanto temeraria e bugiarda perché antistorica: «La Repubblica è di sinistra, la democrazia è di destra».
Enzo Bianchi, il priore di Bose, ha scritto: «Non spetta alle figure ecclesiali della gerarchia entrare nella tecnica, nella economia e nella politica per trovarvi specifiche soluzioni». Giuliano Ferrara vuol fare l'opposto: da militante politico vuol imporre lui che cosa debbano pensare i cattolici dissidenti rispetto alla gerarchia. Alla quale la gente «ultima» rivolge domande semplici: perché non fu negato il funerale alla guarda svizzera omicida e suicida, perché uno della banda della Magliana è sepolto in una basilica romana?
Sia per i credenti sia per i laici, vale comunque (soprattutto oggi) la vecchia lezione di Piero Gobetti, illustrata così da Norberto Bobbio: «Credeva in coloro che hanno sempre torto, che hanno torto perché hanno ragione, nei vinti anche se non saranno mai vincitori, negli eretici, che soccombono di fronte agli ottusi amministratori dell'ortodossia, nei ribelli, che perdono sempre le loro battaglie contro i potenti del giorno».

Antonio Montanari


2568/04.02.2018/13.02.2018